Cassazione Penale, Sez. 4, 08 marzo 2018, n. 10544 - Ponteggio non correttamente ancorato e caduta mortale del dipendente dell'impresa subappaltatrice. Responsabilità in caso di appalto e subappalto


Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: PEZZELLA  Data Udienza: 25/01/2018

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti S.G., C.G., N.D. e M.M., con sentenza del 4/4/2016 confermava la sentenza emessa in data 24/6/2015 dal Tribunale di Milano che li aveva condannati, riconosciuti a tutti le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, alla pena di quattro mesi di reclusione ciascuno, con i doppi benefici, oltre condanna in solido al risarcimento dei danni, provvisionale e rifusione delle spese alle pp.cc. in quanto riconosciuti colpevoli dei reati:
• S.G. e C.G. del reato previsto e punito dagli arti. 113, 589 comma 1 e 2 c.p., perché, in cooperazione colposa fra loro ed in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionavano la morte di V.R..
Ed in particolare:
 

 

S.G. - in qualità di amministratore unico della società "S.P.S. Servizi Posa S.G. s.r.l." (ditta subappaltatrice ed esecutrice dei lavori - d'ora innanzi 'SPS srl'), datore di lavoro di V.R., con l'inosservanza ai seguenti articoli del Decreto Legislativo n. 81/2008:
- art. 122, per non aver adottato nei lavori in quota, seguendo lo sviluppo degli stessi, un ponteggio adeguato o adottato precauzioni atte a eliminare pericoli di caduta di persone e di cose conformemente ai punti 2.3.1 dell'allegato XVIII;
- art. 136 co. 4 lett. c) f) per non essersi assicurato che il ponteggio fosse  stabile e che il montaggio degli impalcati fosse tale da impedire lo spostamento degli elementi componenti durante l'uso, nonché la presenza di spazi vuoti pericolosi fra gli elementi che costituiscono gli impalcati ed i dispositivi verticali di protezione collettiva contro le cadute;
- art. 96 co. 1 lett g) per avere redatto il piano operativo di sicurezza di cui all'art. 89 co. I lett. h), in assenza degli elementi di cui al punto 3.2.1 lettere d) g) i) dell'allegato XV.
 

 

C.G. - in qualità di legale rappresentante dell'impresa edile "C.G. e CA. s.n.c." (società affidataria dei lavori) con l'inosservanza all'art. 97 co. I D. Lgs. 81/2008 per non avere verificato le condizioni di sicurezza dei lavori affidati all'impresa "S.P.S. s.r.l." ciascuno per il ruolo e la condotta sopra descritta, non impedivano che durante i lavori di edificazione del muro divisorio all'interno del capannone industriale, sito in Via Monte Grappa 101 a Pessano con Bornago di proprietà dell'officina meccanica "Ma.Na.Ca di M.M./N.D. & c. s.n.c." - V.R. accedesse e precipitasse, in quanto sprovvisto di idonei sistemi di ritenuta per lavori in quota, dal ponteggio ivi installato la cui struttura non risultava correttamente ancorata e carente in termini di sicurezza, per la mancanza di tutti gli elementi costitutivi quali parapetti, tavole di calpestio e tavole fermapiede. In Pessano con Bornago il 03.08.2012.
 

 

N.D. e M.M.
del reato di cui agli articoli 113, 589, comma primo e secondo, c.p., in relazione all'articolo 90, comma 5, del d.lgs. n. 8112008, perché, in cooperazione colposa fra loro ed in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionavano la morte di V.R.. Ed in particolare perché in qualità di soci amministratori della committente "Immobiliare M.M. & N.D. S.n.c." dopo aver affidato i lavori di edificazione di un muro divisorio all'interno del capannone industriale di loro proprietà all'impresa edile "C.G. e CA. S.n.c.", omettevano di designare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori. Condotta omissiva che, quindi, non impediva che venisse allestito in cantiere un ponteggio non correttamente ancorato e carente in termini di sicurezza per la mancanza di tutti gli elementi costitutivi: parapetti, tavole di calpestio e tavole fermapiede. Struttura dalla quale precipitava da un'altezza superiore a mt. 3 l'operaio V.R. (alle dipendenze della S.P.S. Servizi Posa S.G. S.r.l. impresa subappaltatrice per l'esecuzione dei lavori) per avere operato sprovvisto di idonei sistemi di ritenuta per lavori di quota. In Pessano con Bornago il 3 agosto 2012.
2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
 

 

• 1-2 N.D. E M.M. (Avv. Omissis)
COMMITTENTI
Con un primo motivo vengono dedotti, cumulativamente, violazione di legge e vizio motivazionale in punto di affermazione della penale responsabilità degli imputati.
Si contesta, in particolare, quanto affermato a pag. 15 della sentenza impugnata, ove si legge essere "...logico e intuitivo che la progettazione dell'opera possa essere fatta esclusivamente in base alla volontà e ai desiderata del Committente.
Egli dunque, e per prima cosa, farà eseguire un progetto di quanto vuoi vedere realizzato".
Questa argomentazione, valida in astratto -si sostiene- mal si attaglia al caso di specie, in quanto per l'articolazione in concreto dell'opera il N.D. (rectius, l'Immobiliare) si rivolgeva: "ai signor C.G., che ci ha fatto la sua offerta'". Il C.G., a sua volta, rappresentava il fatto che: "Fare il muro divisorio non è il mio lavoro perché io faccio il muratore, ma ci sono aziende specializzate che lo possono fare. Io (...) non ho problemi a fare questo nuovo locale (...) Per fare discorso del muro divisorio io col la boro (...) con un'impresa che è la M. che si occupa solo ed esclusivamente di fare questi muri faccia a vista".
Il difensore ricorrente evidenzia, dunque, che risulterebbe pacifico (ed anche la sentenza di primo grado evidenzierebbe ciò, anche se facendo una "crasi" riassuntiva) che era il C.G. a presentare la ditta M. ed il Geometra, O.M., quale "referente" del cantiere.
Altrettanto pacifico - si sostiene- è risultato che:
a) la ditta M. non avvertiva il committente dell'ulteriore subappalto dei lavori, esistendo solo la comunicazione ufficiale alla ditta C.G.;
b) il N.D. non sapesse dell'esistenza delle "maestranze" di una terza ditta interessata, venendo a conoscenza della circostanza solo a ridosso del grave evento per cui è processo.
Il difensore ricorrente evidenzia che l'immobiliare M.M. e N.D. s.n.c., nella persona degli odierni imputati, incaricava, tramite la firma del preventivo dei lavori, alla C.G. e CA. snc di eseguire la lavorazione di cui al preventivo e che è risultato che tutte le imprese coinvolte nella vicenda avessero i requisiti giuridici e professionali per svolgere la lavorazione richiesta. In concreto, poi la vicenda si sarebbe complicata, nel senso che per una scelta organizzativa interna - di società aduse a lavorare insieme - la lavorazione da svolgere si è articolata nella serie di subappalti accertati. Ciò determina un accrescimento degli obblighi di sicurezza a carico di tutte le parti coinvolte rispetto all'appalto diretto.
Secondo il ricorrente, tuttavia, è necessario evidenziare che M.M. e N.D. richiedevano l'effettuazione delle lavorazioni de quibus non nell'esercizio dell'impresa, ma uti singuli. E perciò lamenta che la sentenza di primo grado, così come integrata dalla sentenza di secondo grado, nulla dica, incorrendo così nel vizio dì omessa motivazione.
Si sottolinea, ancora, che è vero che gli odierni imputati andarono a chiedere una precisa opera da effettuare, sulla base delle loro necessità, ma è anche vero che l'articolazione programmatica delle lavorazioni è stata totalmente in mano alle imprese intervenute, al cui operato c'è stata acquiescenza da parte degli odierni imputati. Ed anche qui, sulla base dei principi della logica, secondo il difensore ricorrente c'è da chiedersi quale poteva essere in concreto il "comportamento alternativo richiesto e richiedibile" e anche su questo punto i giudici non avrebbero dato risposta, rimanendo ancorati ad argomentazioni del tutto generiche e valide in via astratta. Anche il giudice di secondo grado incorrerebbe, perciò, in una delle enumerate "contraddizioni interne", laddove da una parte argomenta nei termini anzidetti la responsabilità colposa di N.D. e M.M., e poi sostiene alla pag. 24: "E, pare opportuno sottolineare, l'unica opera da edificare, e l'unica opera oggetto dell'intero appalto, era proprio e solo la costruzione di quel muro".
Insomma, per il ricorrente la motivazione offerta in punto di responsabilità colposa degli odierni imputati apparirebbe ictu oculi monca e carente, laddove non svilupperebbe la tematica dell'errore dei committenti e non la ancorerebbe, quale sviluppo logico-consequenziale e giuridicamente dovuto, ai dati di fatto emersi ed utilizzabili. Si lamenta che quello che è mancato ad entrambe le argomentazioni dei giudici dei gradi precedenti sul punto sarebbe l'analisi in concreto della "esigibilità dell'osservanza" alla luce delle emergenze processuali. Opinare diversamente e, quindi, accogliere tali argomentazioni tout court non potrebbe che lasciare il campo alla punizione di porzioni di responsabilità oggettiva.
Peraltro, nel caso che ci occupa - relativo ad un'ipotesi di colpa specifica - non di poco rilievo sarebbe l'omessa analisi del soggetto non qualificato /committente, visto che il giudicante, per fondare la responsabilità, ha aderito alla tesi (discutibile, ma esistente) della sufficienza dell'accertamento della violazione della regola cautelare scritta e la riconducibilità dell'evento al tipo che tale regola intende prevenire. Inoltre, per le concrete caratteristiche della lavorazione da svolgersi (i lavori di ristrutturazione edilizia, slegati dall'oggetto sociale dell'attività dell'immobiliare) i profili della colpa ravvisabili sarebbero da ascrivere alla colpa generica, con il conseguente, necessario accertamento da svolgersi in concreto, tenendo presenti tutte le circostanze in cui il soggetto si trovava ad operare, della prevedibilità dell'evento e della sua prevenibilità-evitabilità. Nessun rimprovero potendosi muovere all'agente se il risultato non poteva essere previsto oppure impedito.
Peraltro, ci si duole che il giudice di seconde cure non spenda alcuna parola nemmeno (e, quindi, ometta di motivare anche in relazione a questo ulteriore profilo della colpa) sull'ulteriore profilo della colpa ravvisabile nell'errore, limitandosi a dire alla pag. 21:" Il ritenere che in cantiere esistesse di fatto la sola C. e CA. s.n.c., fu un pesante errore dei committenti, che si aggiunge alle gravissime omissioni sopra spiegate nei vari paragrafi dei punto 4".
Ebbene, ci si duole che, se doveva essere costruito solo un muro ed il committente non qualificato si era rivolto a specifiche, qualificate, aziende del settore qualificare l'errore solo come "pesante" sarebbe riduttivo e proverebbe poco. Non si dice, infatti, quello che si sarebbe dovuto esplicitare, ovvero che l'errore sulla
legge extrapenale (la normativa antinfortunistica), traducendosi in un errore sul fatto, non avrebbe escluso la punibilità per colpa solo in quanto frutto di errore inescusabile.
Per il difensore ricorrente risulterebbe omessa tutta la parte della motivazione legata all'inescusabilità dell'errore, laddove l'istruttoria dibattimentale aveva dato conto del fatto che:
a) nel capannone di circa 800 metri Meccaniche N.D. occupava solo una piccola parte dello stesso e, per come venivano svolte le lavorazioni edili, non era visibile il modus operandi;
b) M.M., che aveva consentito l'operazione, poi, per la propria organizzazione lavorativa, non proseguiva nel seguire le lavorazioni, essendo sempre fuori per lavoro.
Difatti, sia nella sentenza di primo che di secondo grado, si parla di ponteggio carente di molti elementi necessari per la sicurezza degli operai "al momento dell'incidente" (pag. 3, ultimo periodo, pag. 4 primo periodo sentenza primo grado; pag. 5, ultimo periodo, sentenza secondo grado :"al momento dell'incidente").
Con un secondo motivo si lamenta vizio motivazionale in ordine all'ascrivibilità del reato in capo all'imputato M.M..
Si sostiene che risulterebbe omessa la motivazione in ordine aN'ascrivibilità del comportamento colposo alla propria azione od omissione, a meno di non voler farne una semplice responsabilità da posizione. Difatti, il medesimo sottoscriveva, quale ratifica e conferma, il preventivo formulato dalla società C. e C. e il suo operato terminava qui.
Ci si duole che entrambi i giudici abbiano trattato entrambi gli imputati alla medesima stregua, senza diversificarne le posizioni, quanto meno da un punto di vista di argomentazione motivazionale.
Con un terzo motivo si deduce vizio motivazionale quanto alla sussistenza dei presupposti della condanna al risarcimento dei danni, del danno grave ed irreparabile e si chiede la sospensione della provvisoria esecutività delle statuizioni civili della sentenza ex art. 612 cod. proc. pen.
Il difensore ricorrente evidenzia che, per tutte le argomentazioni sopra riportate, non vi erano i presupposti per pronunciare, la "condanna" degli odierni imputati in solido al risarcimento dei danni patiti in favore delle parti civili.
Inoltre, la motivazione sul punto della concessione della provvisionale risulterebbe del tutto omessa. Difatti, ex art. 539 comma 2 cod. proc. pen., la stessa viene concessa "nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova".
Secondo il difensore ricorrente il primo giudice si contraddice nella stessa frase, in quanto, da una parte, rinvia alla sede civile per la liquidazione dei danni patrimoniali e non "non avendo il difensore fornito alcuna prova circa il quantum del danno", dall'altra, liquida la provvisionale nei limiti del danno patrimoniale provato. E la Corte d'Appello, alla pag. 22 dell'impugnata sentenza, non aggiungerebbe alcunché, se non il fatto - irrilevante a parere dello scrivente difensore che "è stata correttamente parametrata sulle tabelle di risarcimento dei danni morali elaborata dal tribunale di Milano".
Il difensore ricorrente sostiene che mancavano i presupposti per la provvisoria esecutività delle statuizioni civili, sub specie di provvisionale, e che quest'ultima possa arrecare un danno grave ed irreparabile agli odierni ricorrenti. Danno ancor più evidente, nel caso de quo, atteso che, da un parte, non è dato conoscere le condizioni economiche in cui versano le costituite parti civili; dall'altro è pendente anche il giudizio avverso MOR. e O.M., della M. S.p.a., che - ad oggi - è stato impossibile riunire al presente procedimento ed il cui esito potrebbe interferire, anche per ragioni di economia processuale, sulle sorti del presente procedimento.
Pertanto, i ricorrenti chiedono annullarsi l'impugnata sentenza con rinvio al giudice, che dovrà procedere con le disposizioni consequenziali.
 

 

• 3. C.G. (Avv. Omissis) APPALTATORE
Il ricorrente ricorda che, secondo quanto si evince dalla sentenza impugnata, egli sarebbe l'interlocutore principale dei committenti e spesso sarebbe stato presente in cantiere (circostanza che invece fa presente essere non vera e non essere attestata da alcun teste o documento), ma ciò nonostante non sarebbe intervenuto in nessun modo per adottare le più basilari misure di sicurezza che venivano costantemente violare dagli operai della SPS s.r.l..
Per tali motivi la Corte territoriale ha ritenuto che appare pacifico che C.G. abbia violato la norma cautelare prevista dall'art. 97 dlgs.81/2008.
Ebbene, con un primo motivo il difensore del C.G. deduce la nullità dell'impugnata sentenza ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., lett. c) per inosservanza degli artt. 40 cod. pen.. co. 1, 41 e 43 cod. pen. co. 4, e 97, co. 1, del d.lgs. 81/208.
La contestazione del reato sarebbe errata e si lamenta che l'errore sia stato reiteratamente denunciato dal C.G. sia all'udienza preliminare sia in primo grado e sia in secondo grado, deducendo in tali occasioni che egli non aveva mai affidato i lavori alla "S.P.S. Srl", ma alla M. S.p.A..
L'errore sarebbe stato determinato dalle non corrette valutazioni dei verbaliz-zanti, i quali inopinatamente hanno riferito che il C.G. aveva "operato di fatto" (ma non avrebbero chiarito come e quando), precisando che "non aveva al momento della realizzazione del muro alcun dipendente in cantiere". Di seguito - ci si duole.- i giudici di appello statuiscono, con una motivazione che il ricorrente censura, che: "Sono, invece, escluse responsabilità palesi, legate al rispetto della normativa prevenzionale in materia di sicurezza del lavoro, della M.; impresa esecutrice che ha subappaltato l'intera realizzazione del muro alla SF5 Servizi Posa S.G. S.r.l.," escludendo, quindi, la responsabilità dei collaboratori della stessa società M..
Il PM - ci si duole- avrebbe dato corpo alle non corrette e infondate valutazioni dei verbalizzanti ed avrebbe contestato anche al C.G. il reato di omicidio colposo aggravato, ignorando l'anello di congiunzione tra l'attività della società S.P.S., alle cui dipendenze lavorava la vittima V.R. , e la M. S.p.A., addebitando al ricorrente, come avevano scritto i verbalizzanti, la violazione dell'art. 97, c. 1, del d.lgs. 81/2008 e ignorando che il C.G. aveva stipulato il citato contratto in data 17.7.2012 con la società M., riservandosi di realizzare, una volta completato il muro divisorio, un piccolo locale con due porte e una soletta (il richiamo è alla deposizione del N.D. all'udienza del 16.3.2015 di cui alle pagg. 80 e 89 del verbale di udienza di primo grado).
I verbalizzanti e il PM avrebbero stabilito un inesistente contatto diretto tra la società C.G. e CA. e la società SPS Sistemi Posa S.G., ignorando la posizione intermedia della società M., che gli stessi verbalizzanti hanno accertato essere la "impresa esecutrice che ha subappaltato l'intera realizzazione del muro alfa SF5 Servizi Posa S.G. S.r.l", con il citato contratto in data 18.7.2012, avente a oggetto gli stessi lavori, del contratto in data 17.7.2012, concluso tra la società C.G. e CA. e la M. S.p.A.
L'errata contestazione - si lamenta- è stata reiterata dal giudice di primo grado, che ha disatteso le denunce della difesa del C.G. e le istanze della stessa di escutere come testi i collaboratori della società M., ossia l'ing. MOR., "responsabile chiavi in mano" con il compito di coordinare e supportare gli assistenti di cantiere, e il suo collaboratore Geometra O.M., entrambi dipendenti della M. S.p.A., pur con ruoli di responsabile di cantiere, di opere in muratura e pavimentazione con procura notarile il primo e di Assistente di cantiere con Ordine di servizio dell'ing. MOR. il secondo, poiché, secondo le scorrette valutazioni dei verbalizzanti costoro non potrebbero risultare responsabili per la sicurezza del cantiere, come di legge nel rapporto in data 16.4.2016 e come si evince dai documenti 11 e 12 allegati allo stesso rapporto. In questi ultimi documenti, si ribadisce che il geom. O.M. è indicato come preposto.
Ci si duole che la Corte territoriale, assumendo una motivazione avulsa dalle risultanze istruttorie, avrebbe liquidato, sic et simpliciter, i motivi di appello del C.G., definendo le sentenze di legittimità richiamate come non supportanti affatto la teoria difensiva ed abbia inesattamente attribuito al C.G. di avere scritto nei propri motivi l'espressione "in verità C.G. non frequentava spesso il cantiere (il che proverebbe un'operata superficiale lettura degli atti, perché il C.G., nei motivi di appello, facendo un preciso richiamo alle risultanze istruttorie, aveva chiarito che solo in due occasioni egli era stato sul cantiere, vale a dire il giorno 18.7.2012 quando, presente il N.D., ha fatto le consegne al geom. O.M. e il 3.8.2012 quando ha saputo dell'Infortunio). La Corte territoriale - si aggiunge- non avrebbe correttamente valutato le argomentazioni difensive, svolte nell'atto di appello, non spendendo neppure una parola sul punto focale della denuncia del C.G., che aveva fondatamente ripetuto eli non aver mai affidato i lavori alla società S.P.S., come riferito dai verbalizzanti e come erroneamente contestato nel capo di imputazione.
Viene ribadito in proposito che il C.G., nella veste di legale rappresentante della C.G. e CA. Snc., aveva stipulato, in data 18.6.2012, con la società M.M. e N.D. il contratto di appalto dei lavori de quibus, poi subappaltati con il contratto 17.7.2012 alla società M., riservandosi una minima parte, vale a dire la realizzazione di un locale, la posa delle porte e di una soletta, da eseguirsi una volta completato il muro divisorio.
L'imputato non avrebbe, dunque, dato causa all'evento, di cui è stato ritenuto responsabile.
Non sussiste alcun dubbio - si sostiene in ricorso- che l'esecuzione dei lavori fu da lui affidata alla società M., che nominò un proprio preposto, il geom. O.M., il quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte sarebbe destinatario in quanto tale e iure proprio dei precetti antinfortunistici, perché titolare di una autonoma posizione di garanzia.
Non vi sarebbe, pertanto, alcun nesso di causalità tra la condotta del C.G. e l'evento, che deve essere ritenuto riferibile al comportamento omissivo dei collaboratori della società M., l'ing. MOR. e il geom. O.M., in ragione degli incarichi loro conferiti. La Corte d'Appello avrebbe rigorosamente applicato il principio, secondo cui tutte le imprese coinvolte, anche se solo formalmente (come era, nella fattispecie, la società C.G. e CA.), nel rapporto avente a oggetto la formazione del muro divisorio, avevano il dovere di rispettare le norme dì sicurezza sul lavoro, secondo il ricorrente disattendendo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte laddove ha affermato che tale principio non può essere applicato automaticamente, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori.
In questa prospettiva, secondo la tesi proposta, per fondare la responsabilità dei committente (e la C.G. e CA. non vi è dubbio che fosse a sua volta la committente della Ma. ndr.), non si sarebbe potuto prescindere da un attento esame della situazione (attuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento, a fronte della capacità organizzativa della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori.
Nel caso in esame, in relazione alla specificità dei lavori da eseguire, si evidenzia essere provato che essi attenevano alla formazione di un muro divisorio, sicché non vi era dubbio di sorta che la subappaltatrice, la società M., che era la "società esecutrice" e che "si occupa solo ed esclusivamente di fare muri faccia vista", possedesse i mezzi, le capacità e il personale per realizzare il manufatto. La stessa società - si aggiunge- era stata scelta dal C.G. tra le migliori, operanti nel settore edile, essendo di rilievo nazionale e internazionale. Il C.G., pertanto, aveva scelto una subappaltatrice, che gli dava la più ampia garanzia di operatività e di rispetto della legislazione vigente in materia.
D'altra parte, si rileva che è pure emerso che il C.G., dopo aver eseguito il sopralluogo, presente il sig. N.D., con il geom. O.M., non si ingerì nell'esecuzione dei lavori, dal momento che ritornò in cantiere solo dopo l'infortunio mortale. Egli, non avrebbe "operato di fatto", come senza fondamento affermano i verbalizzanti, e, pertanto, non poteva percepire che la subappaltatrice M. S.p.A. non avrebbe rispettato le norme antinfortunistiche.
Per il ricorrente va sottolineato che dagli atti di causa non emerge che egli avesse avuto siffatta percezione né d'altronde poteva averla sia perché la sua subappaltatrice offriva le più ampie garanzie sotto ogni aspetto, sia perché egli andò sul cantiere solo due volte, quando indicò al geom. O.M. i lavori da eseguire e quando seppe dell'infortunio.
Ci si duole che il tribunale abbia ritenuto che il C.G. fosse colpevole, e la Corte ha confermato tale assunto, sull'errata considerazione che emergesse "dai documenti e dalle testimonianze in atti" che egli era interlocutore principale per i committenti e spesso era presente in cantiere.
Si lamenta in proposito che la prova documentale e testimoniale non può essere costituita dalla espressione, contenuta a citata pag. 9 del rapporto, ove si legge che "il C.G. ha operato di fatto", poiché non è sorretta da alcun elemento probatorio. Nessun teste, infatti, ha riferito la circostanza. Lo stesso verbalizzante N.D., all'udienza del 16.3.2015, rispondendo alla domanda della difesa del ricorrente sulla presenza del C.G. in cantiere, ha risposto: "No, non mi risulta".
Non sarebbe, poi, corretto sostenere che il C.G. fosse l'interlocutore principale per i committenti, in base alle dichiarazioni del primo committente N.D., nel corso del suo interrogatorio, svoltosi all'udienza del 16.3.2015, che vengono trascritte in ricorso. Sarebbe di tutta evidenza, ad avviso del ricorrente, che la Corte Territoriale non ha valutato correttamente le obbiettive circostanze fattuali, acquisite agli atti processuali e di determinante rilevanza ai fini di escludere la colpa del C.G. in ordine alla causazione dell'evento, attribuitogli ingiustamente. 
Con un secondo motivo si lamenta nullità dell'impugnata sentenza per violazione dell'art 606 lett. d) in relazione all'art. 495 cod. proc. pen., c. 2, per la mancata assunzione di una prova decisiva, laddove tutti i giudici di merito e, in ultimo la Corte territoriale, hanno sempre rigettato la richiesta di escutere come testi a discarico, al fine di dimostrare l'assoluta assenza di colpa del C.G., l'ing. MOR. e il geom. O.M., il primo quale delegato in materia di sicurezza della M. S.p.A. e il secondo quale preposto con incarico alle misure di prevenzione e addetto al primo soccorso. Le reiterate istanze - si evidenzia in ricorso- hanno conseguito il solo risultato della iscrizione dei predetti nel registro degli indagati dell'anno 2015 e tale iscrizione permane tuttora, con il pericolo di una probabile prescrizione, che risolverebbe parecchi problemi alla M. S.p.A.. I due collaboratori della M. - ci si duole- potevano e dovevano essere sentiti se non altro come persone informate dei fatti, poiché l'ing. MOR. era il delegato in materia di sicurezza e responsabile chiavi in mano con il compito di coordinare gli assistenti di cantiere, mentre il geom. O.M., era il collaboratore dell'ing. MOR., era assistente di cantiere con ordine di servizio era il preposto del cantiere de quo, nonché incaricato delle misure di prevenzione e addetto al primo soccorso e doveva essere presente in cantiere otto ore al giorno.
I due stretti collaboratori della "impresa esecutrice" avrebbero potuto fornire precise notizie sui fatti di causa, che sono stati ritenuti provati dalle sole non condivisibili valutazioni dei verbalizzanti F.N. e M.V.. Nessuno meglio di loro poteva riferire quali furono i ruoli nella vicenda de qua delle società C.G. e CA., Immobiliare M.M. N.D. e SPS Servizi Posa S.G., Gli stessi potevano riferite sulle carenze antinfortunistiche, poi riscontrate, nonché escludere in modo definitivo qualsiasi ingerenza del C.G. nella gestione dei lavori, che la M. aveva avuto in subappalto, offrendo tutte le garanzie di legge al C.G..
Si lamenta, invece, che la Corte territoriale non abbia ritenuto di rinnovare parzialmente il dibattimento per l'assunzione della testimonianza di Mo. e O.M. sul presupposto non giuridicamente corretto che tutti i soggetti, interessati ai contratti per la realizzazione del noto muro erano automaticamente obbligati a predisporre, ciascuno per suo conto, le misure di sicurezza antinfortunistiche, redigendo i relativi documenti e curando che le stesse misure venissero applicate da ogni soggetto.
Con un terzo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen. lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine alla causa del decesso della vittima.
Ci si duole in proposito che la Corte territoriale abbia disatteso la prospettazione dell'accaduto, spiegata nei motivi di appello dal C.G., il quale aveva dedotto che, a suo parere, il povero V.R. non fosse caduto dal ponteggio, ma che fosse stato colpito, mentre operava al suolo, da un grosso mattone lasciato sul ponteggio, alleggerito di una parte dei sui elementi, perché gli operai addetti ai lavori lo stavano spostando dopo aver rimosso gli ancoraggi; aggiungeva che il mattone aveva colpito la testa scoperta del V.R., che non indossava il casco, disponibile in loco, e che poi lo stesso mattone, scivolando sul corpo, aveva provocato le altre lesioni, che sono quelle descritte nell'esame necroscopico che giustificano il decesso, ma che non ne chiariscono in modo convincente la fenomenologia. La Corte territoriale, invece, ha ritenuto che la ricostruzione, fatta dal ricorrente, fosse inattendibile, perché contraddetta: a) dalla testimonianza di S.S. b) dall'esame autoptico; c) dalla posizione del corpo della vittima.
La motivazione sul punto non viene condivisa dalla difesa del ricorrente per le seguenti ragioni: 1. Perché a suo dire il teste S.S. non è attendibile, perché era il capo cantiere della SPS di ScibiIia e aveva il dovere di impedire al V.R. di salire su un ponteggio alleggerito e non ancorato, dal momento che era in fase di spostamento con trascinamento. Lo S.S., comunque, si era allontanato dal luogo delle operazioni, portandosi all'esterno per prendere del materiale. Quando è rientrato, il V.R. giaceva sotto il ponteggio; 2. Perché la lesione letale è stata collocata dal perito sul capo nella regione frontale destra e ciò consente di dedurre che il mattone, dopo aver colpito la testa, sia scivolato lungo il corpo, provocando le lesioni descritte nell'esame, ove non si parla di "contraccolpi esiziali per gli organi interni", verificati solo dalla Corte. 3. Perché la posizione del corpo, parte del quale rinvenuta sotto il ponteggio dai primi soccorritori, che hanno dovuto estrarlo, mal si concilierebbe con l'addotto contraccolpo, apparendo più verosimile che il povero V.R., ricevuto il colpo sul lato destro del capo, privo di casco, si sia accasciato all'indietro, finendo sotto il ponteggio.
La motivazione, addotta dalla Corte sul punto, contrasterebbe con le risultanze probatorie agli atti, apparendo carente e contraddittoria. Se solo il V.R. avesse, pertanto, utilizzato il casco, l'infortunio non avrebbe avuto le conseguenze letali per lui e giuridiche per gli imputati, tra i quali non potrebbe essere ricompreso il C.G. per le ragioni spiegate in precedenza.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
 

 

4. S.G. (Avv. OMISSIS) - SECONDO SUBAPPALTATORE E DATORE DI LAVORO di V.R. V
Con un primo motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli articoli 40, 41, 589 c. 2 cod. pen.
Il ricorrente si duole che la Corte d'Appello abbia ritenuto, nella motivazione della sentenza oggi impugnata, non credibili le argomentazioni difensive riportate nell'atto d'appello, addirittura ritenendo che la tesi del comportamento abnorme del lavoratore sia "...veramente sorprendente, per la sua infondatezza giuridica e fattuale.."
In proposito, per quanto riguarda la dinamica del sinistro di cui si tratta, si lamenta, in particolare, che la Corte d'Appello abbia ignorato, o quantomeno non abbia ritenuto credibili, le dichiarazioni del teste S.A, il quale affermava: il ponteggio era attaccato vicino al muro. Dopo ho dovuto, siccome era troppo scomodo per lavorare su, ho detto io... abbiamo deciso di spostarlo con V.R. e abbiamo tirato, l'abbiamo suddiviso non ricordo se in due o tre parti il ponteggio per alleggerirlo e l'abbiamo spostato sicché lui ha deciso di spostarlo con me ". Oltre a ciò, lo stesso teste dichiarava che il V.R., in palese violazione degli ordini impartitigli dall'appellante ed anche del suo preposto decideva inopinatamente di salire sul ponteggio instabile, così da provocare la sua stessa caduta.
Ebbene, da quanto emergeva dalle dichiarazioni dello S.S., il V.R. aveva l'assoluto divieto di salire sul ponteggio di cui si tratta ma, nonostante ciò, lo stesso ignorava gli ordini impartitigli sia dall'odierno appellante che dallo stesso preposto S.S.. Oltre a ciò, ancora più gravemente lo stesso V.R., nonostante le avesse in dotazione, non utilizzava alcuna delle dotazioni di sicurezza personale, messegli a disposizione dall'azienda, così contravvenendo ad un ulteriore obbligo.
A riprova di ciò, lo S.S., nel corso dell'esame testimoniale a proposito degli strumenti di sicurezza in dotazione agli operai dichiarava: "...no, che ricordo io non ce li aveva addosso perché diceva, che faceva caldo e gli dava fastidio alla pancia... ".
Le dichiarazioni testimoniali sopra riportate -si ricorda- non sono state oggetto di contestazione né da parte del giudice monocratico e neppure dalla Corte d'Appello con la conseguenza che le stesse devono essere considerate assolutamente credibili e idonee a provare l'assoluta abnormità ed imprevedibilità del comportamento assunto dal signor V.R..
Secondo tale tesi, appare evidente per il ricorrente che la condotta tenuta dal V.R., sia da considerare totalmente imprevedibile e quindi al di fuori della sfera di controllo del signor S.G., configurando in sé un comportamento abnorme del lavoratore che esclude ai sensi dell'art. 41 c. 2 cod. pen. il nesso di causalità, per i fatti in contestazione.
Con un secondo motivo si lamenta vizio motivazionale della sentenza impugnata laddove gran parte della motivazione sarebbe stata redatta per relationem rispetto a quella di primo grado senza affrontare le argomentazioni difensive proposte con l'atto di appello.
Il ricorrente contesta il contenuto della motivazione della sentenza impugnata nei seguenti punti. 
In primo luogo laddove la Corte d'Appello di Milano confuta le argomentazioni della difesa aventi ad oggetto l'ottemperanza della società SPS, riconducibile all'odierno ricorrente, alla redazione della documentazione finalizzata a stabilire le misure di sicurezza nel cantiere e nell'esecuzione dell'opera.
Tale confutazione viene espressa dal giudice di secondo grado senza fornire una motivazione completa relativamente alla mancanza di contenuti della documentazione di cui si tratta.
A sostengo di quanto già si è riferito nell'atto di appello, il ricorrente evidenza a questa Suprema Corte che la società SPS si premurava tempestivamente di predisporre sia il POS che il PIMUS (Piano per il Montaggio, l'Uso e lo Smontaggio del Ponteggio), con la conseguenza che contrariamente a quanto indicato, e non dimostrato, nelle pronunce di primo e secondo grado, la stessa adempiva a tutti gli obblighi stabiliti dalla normativa sulla sicurezza del lavoro vigente all'epoca dei fatti. Oltre a ciò, come emergerebbe pacificamente dall'istruttoria dibattimentale, lo S.G., al tempo dei lavori, sollecitava in numerose occasioni alla società Magnete, società appaltatrice della SF5, la consegna del PSC (Piano Sicurezza Cantiere) seppure con esiti negativi, considerato che la stessa M. non provvedeva a consegnare all'odierno imputato quanto richiestole, come per legge.
Sul punto si rileva che il PSC è il documento dal quale discendono poi le attività lavorative, i POS di ogni azienda affidataria e di ogni azienda esecutrice. Infatti mediante il PSC vengono individuati e stimati i rischi e le misure preventive adatte al singolo cantiere e pertanto assurge a riferimento indispensabile per ogni figura professionale presente in cantiere.
In ragione di quanto sopra, ad avviso del ricorrente appare assolutamente evidente che non si può certo muovere alcun rimprovero allo S.G. relativamente alla mancata presentazione del PSC, tenuto conto che era obbligo della società M. di presentargli il proprio PSC , in maniera tale da permettere allo stesso di presentare il POS, che come sopra riferito, nonostante l'inadempienza della M. veniva comunque presentato dalla S.G.. Ebbene, il ricorrente si duole che, nonostante tutto quanto sopra affermato anche nell'atto d'appello e dimostrato dall'istruttoria dibattimentale, il giudice di secondo grado affermava nella sentenza in oggetto che il POS della società SPS era affetto da carenze sostanziali molto gravi senza però motivare in concreto sul punto.
Infatti la Corte d'Appello non spiegava quali siano, di fatto, le gravi carenze sostanziali della summenzionata documentazione presentata dalla società SPS al momento dell'assunzione dell'incarico di subappalto dell'opera.
Per tali motivi il ricorrente ritiene evidente che la motivazione del provvedimento impugnato è da considerarsi assolutamente lacunosa. 
Oltre a ciò, in aggiunta a quanto già menzionato, lo stesso rappresenta che la Corte territoriale, nella sentenza impugnata, non descrive concretamente quali siano gli adempimenti documentali mancanti nella documentazione predisposta dalla società SPS e consegnata alla società M..
Infine, cosa ancor più grave, secondo il ricorrente, è che il giudice di secondo grado riteneva che il divieto al V.R. di salire sul ponteggio fosse una mera affermazione difensiva sguarnita di qualsiasi prova. Ebbene, tale circostanza entrerebbe palesemente in contrasto con quanto affermato, e mai contestato dai giudicanti di primo e secondo grado, dallo S.S., nell'ambito di dichiarazioni testimoniali e perciò piena fonte di prova.,
Chiede, perciò in via principale: 1. ex art. 620 cod. proc. pen. annullare senza rinvio l'impugnata sentenza e, per l'effetto, assolvere lo S.G. ex art. 530, comma primo perché il fatto non sussiste o comunque perché l'imputato non ha commesso il fatto; 2. In subordine: ex art. 620 cod. proc. pen. annullare senza rinvio l'impugnata sentenza e, per l'effetto, assolvere lo S.G. ex art. 530, comma secondo cod. proc. pen. perché manca, è insufficiente o comunque contraddittoria la prova che abbia commesso il fatto; 3. In ulteriore subordine: ex art. 623 cod. proc. pen., comma primo lett. C), cod. proc. pen. annullare l'impugnata sentenza per tuffi i motivi dedotti, con rinvio ad altre sezione della medesima Corte di Appello di Milano.
3. All'odierna udienza dinanzi a questa Corte di legittimità il difensore delle parti civili ha comunicato di revocare la costituzione per tutti i propri assistiti tranne che per A.R., concludendo solo per quest'ultimo.
 

 

Diritto

 


1. I motivi sopra illustrati sono tutti infondati e, pertanto, i proposti ricorsi vanno rigettati.
2. Per una piena comprensione della vicenda, è utile schematizzare, come già fatto dai giudici di merito la piramide datoriale.
Il giorno 18/6/2012, l'Immobiliare M.M. e N.D. S.n.c., che si pone quindi come committente, i cui soci amministratori sono M.M. e N.D., stipulò un contratto di appalto con l'Impresa Edile C.G. e CA. S.n.c., che è quindi impresa affidataria dei lavori e a sua volta, come vedremo, committente dei subappaltatori, avente a oggetto la realizzazione di un muro divisorio in blocchi di cemento a facciavista di cls di circa mq 22,00 nel proprio capannone, sito in Pessano con Bornago alla via Monte Grappa n.101.
La società Impresa Edile C.G. e CA. snc di C.G., con contratto di subappalto in data 17.7.2012, subappaltò lo stesso lavoro alla M. S.p.A. - Pavimentazioni e Murature, con sede in Cervico (BG) alla via Don. A. Pedinelli n. 118. E la società M. che è una delle maggiori aziende produttrici e posatrici in Italia e all'estero di materiali da costruzione in calcestruzzo (masselli, blocchi e piastre) e accessori per la posa di pavimenti e murature, all'art. 6 del citato contratto assunse l'impegno "ad osservare tutte le prescrizioni in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene sul lavoro assumendo ogni esclusiva responsabilità nell'osservanza delle vigenti disposizioni di legge".
Il C.G., con lettera in data 17/7/2012, comunicò alla società Immobiliare N.D. e M.M. di aver stipulato nella stessa giornata un contratto di subappalto dei lavori, commissionatigli con il contratto in data 18.6.2012, alla M. S.p.A..
La M. S.P.A. (i cui responsabili MOR. e O.M.  sono stati giudicati per questi stessi fatti in altro procedimento), a sua volta diede in subappalto il lavoro alla Soc. SPS (SERVIZI POSA S.G.) S.R.L. datore di lavoro della vittima V.R. , il cui amministratore unico era S.G..
Fin qui lo schema delle imprese coinvolte, a vario titolo, nei lavori durante i quali trovò la morte l'operaio V.R..
Quanto ai fatti che hanno portato all'odierno processo, gli stessi sono stati correttamente descritti dal giudice di primo grado: "...in data 3 agosto 2012 nel cantiere della SPS S.r.l. presso il capannone industriale situato in Pessano con Bornago, Via Monte Grappa n. 101, di proprietà della Società M.M. e N.D. S.n.c., quattro operai stavano lavorando alla posa dei blocchi di cemento: in particolare, V.R.  e S.A. stavano lavorando sul ponteggio, mentre S.M, e A.E. stavano posando i blocchi a livello, del pavimento. Durante tali lavorazioni V.R. , dal terzo piano del ponteggio, ha perso l’equilibrio, (verosimilmente per un ondeggiamento del ponteggio non ancorato ovvero per una qualsiasi altra causa), ed è caduto al suolo riportando lesioni cranio-encefaliche e toraciche, lesioni che ne hanno causato il decesso...".
Punto nodale del decidere, è che al momento dell'incidente, il ponteggio si presentava carente di molti elementi necessari finalizzati a garantire la sicurezza degli operai, in particolare, secondo quanto si legge ancora nella sentenza di primo grado "...vi erano poche tavole fermapiede montate ai piani inferiori e nessuna all'ultimo piano dei ponteggio; nessun parapetto di protezione era presente verso l'interno al primo e ai secondo piano de! ponteggio; alcune tavole di calpestio erano assenti e alcuni piani di calpestio sconnessi; i diagonali traversi avevano mollette di tenuta arrugginite e non inserite completamente nelle asole; i piani di calpestio erano costituiti, perla gran parte, da tavole di legno prive di listelli di ancoraggio".
Acclarato, dunque, è che l'infortunio mortale è derivato dal mancato ancoraggio del ponteggio ad elementi fissi del capannone. Il ponteggio avrebbe dovuto avere dei "castelli" per il trasporto in quota di materiali, nonché la distribuzione e l'effettivo utilizzo dei dispositivi di sicurezza, quali l'imbracatura e il cordino in grado di scongiurare qualsiasi caduta dall'alto.
3. Prima di passare all'esame delle singole posizioni processuali, va detto che tutti i ricorsi, in molti punti, lamentano vizio motivazionale, ma, in realtà richiedono a questa Corte di legittimità una rivalutazione nel merito, che le è inibita.
Non va peraltro trascurato che siamo di fronte ad una doppia conforme affermazione di responsabilità, per cui le motivazioni delle due sentenze si saldano in un tutt'uno.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009 e n. 23528 del 6/6/2006). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciarle, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c'è, in altri termini, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla l. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica "rispetto a sé stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Milano alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato conto, come si vedrà rispetto alle singole posizioni, delle gravi carenze rispetto alla normativa prevenzionale in materia di sicurezza del lavoro e di gestione del rischio, da parte di tutti i titolari delle posizioni di garanzia.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia i ricorrenti chiedono una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
4. Prendendo le mosse dai committenti, cioè dai due odierni ricorrenti Mal e N.D., correttamente la Corte territoriale rileva che si tratta dei soggetti per conto dei quale l'intera opera venne realizzata e che erano titolari del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell'intero appalto, primi titolari dei doveri facenti capo al Datore di Lavoro (artt. 26 e 89 Dl.gs 81/08).
I giudici del gravame del merito ricordano che figura differente e accessoria è quella del responsabile dei lavori, che può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti, per il quale occorre una nomina specifica e formale fatta nelle forme dell'articolo 16 D.lgs 81/08, ma che nel caso che ci occupa non risulta essere mai stato nominato.
Costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte quella che vuole, in materia di responsabilità colposa, che il committente di lavori dati in appalto debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza scegliere l'appaltatore e più in genere il soggetto al quale affida l'incarico, accertando che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa Egli ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744 in un caso relativo alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza).
E' pur vero che è stato di recente precisato - e va qui riaffermato- che in tema di infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità, da parte del committente, di situazioni di pericolo, (cfr. Sez. 4, n. 27296 del 2/12/2016 dep. il 2017, Vettor, Rv. 270100 in una fattispecie in tema di appalto di lavori di pulizia all'interno dell'azienda, in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ritenuto la responsabilità del committente in relazione al reato di lesioni colpose, per aver dato incarico ad un lavoratore di pulire il piazzale della ditta usando soda caustica, senza assicurarsi che il datore di lavoro appaltatore avesse spiegato al dipendente la necessità di cambiare gli indumenti contaminati dalla predetta sostanza pericolosa; conf. Sez. 4, n. 44131 del 15/7/2015, Heqimi ed altri, Rv. 264974-75).
Rimane anche fermo il principio che, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (così la condivisibile Sez. 3, n. 12228 del 25/2/2015, Cicuto, Rv. 262757 che, in applicazione del principio, ha escluso che potesse andare esente da responsabilità il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio).
Tuttavia va anche ribadito -ed è il caso che ci occupa- che il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell'Infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (cfr. Sez. 4, n. 10608 del 4/12/2012 dep. il 2013, Bracci, Rv. 255282, in un caso di inizio dei lavori nonostante l'omesso allestimento di idoneo punteggio).
Vale anche l'ulteriore precisazione che il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice (c.d. cantiere "sotto - soglia"), è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall'art. 3, comma ottavo, D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (così Sez. 4, n. 23171 del 9/2/2016, Russo ed altro, Rv. 266963, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto la responsabilità a titolo di omicidio colposo del committente, il quale aveva omesso non solo di verificare l'idoneità tecnico professionale della ditta appaltatrice, in relazione alla entità e tipologia dell'opera, ma anche di attivare i propri poteri di inibizione dei lavori, a fronte della inadeguatezza dimensionale dell'impresa e delle evidenti irregolarità del cantiere).
I giudici del merito hanno articolatamente confutato, con motivazioni prive di aporie logiche, la tesi secondo cui il M.M. ed il N.D. avrebbero agito uti singulis.
Ma soprattutto -a sgombrare il campo da ogni dubbio in ordine alla loro per-manente responsabilità, ricordato che il datore di lavoro committente ha l'obbligo assoluto e non delegabile (art. 26, co., D.lgs 81/08 ), di elaborare il DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi - artt. 17, 18, 26, comma III, 28 e 29 D.LGS 81/08), hanno evidenziato come dalla compiuta istruttoria fosse emerso che nessuno ha mai né presentato né nemmeno citato il DUVRI , e quindi si deve ritenere che M.M. e N.D. non lo abbiano mai elaborato.
Dopo avere sottolineato essere logico ed intuitivo che la progettazione dell'opera possa essere fatta esclusivamente in base alla volontà e ai desiderata del committente, viene anche ricordato che nei cantieri temporanei o mobili in cui sia prevista la presenza (anche se non contemporanea) di più imprese esecutrici, il- committente, nella fase preliminare di progettazione dell'opera, deve nominare il coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera (CSP )o coordinatore per la progettazione di cui all'art. 89 co 1 lett. f) Dlgs.
Nel caso che ci occupa, nel grande opificio, erano co-presenti M. spa, SPS srl, e Ma.Na.Ca. di M.F. e N.D. & C. snc..
Nel corso delle indagini e di tutto il processo -rilevano ancora i giudici del merito- non è mai stato individuato e indicato il CSP ; e quindi si deve ritenere che M.M. e N.D. non lo abbiano mai nominato.
E' venuto, dunque, a mancare, per una precisa responsabilità dei committenti quella figura investita dell'obbligo di predisporre il PSC (Piano di Sicurezza e Coor-dinamento), costituito da una relazione tecnica, e da dettagliate prescrizioni correlate alla complessità dell'opera da realizzare, e alle eventuali fasi critiche del processo attuativo; prescrizioni idonee a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (art. 91, co. 1, lett. a) D.lgs 81/08)
Anche di questo documento -come si legge nella sentenza impugnata- non si trova traccia nel fascicolo processuale; né viene menzionato da alcuno dei difensori (tranne che nell'atto di appello di C.G.). Ne parla invece il dipendente della M. spa, geom. O.M., che nelle s.i.t. dell'11.01.2013 dichiara che il PSC non risulta essere mai stato redatto.
Corretto è il rilievo che il PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) è a sua volta fondamentale per la corretta gestione prevenzionale e antinfortunistica di tutte le fasi lavorative, dato che i POS Piani Operativi di Sicurezza ne sono piani complementari di dettaglio (art. 92 co. 1 lett. b D.lgs 81/08).
La sua mancanza costituisce anch'esso una gravissima omissione da parte dei committenti, che avrebbero dovuto, prima dell'affidamento dei lavori progettati, designare anche il CSE (coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera - art. 90 co 4 D.lgs. 81/08), chiamato a verificare scrupolosamente l'idoneità del POS di ciascuna impresa, sia in rapporto al PSC che in rapporto ai lavori di eseguirsi.
Ebbene, la Corte territoriale rileva che anche questa importantissima figura della rete prevenzionale stabilita dal D.lgs. 81/08, nel corso delle indagini e di tutto il processo, non è mai stata individuata e indicata, dovendo perciò ritenersi che M.M. e N.D. non l'abbiano mai nominata.
La sua rilevanza strategica, come rileva la Corte milanese, è fondamentale, dato che il CSE, oltre a controllare i POS, deve verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti - contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro (cfr. ex multis questa Sez. 4, 27165 del 24/5/2016, Battisti, Rv. 267735).
Il CSE deve inoltre segnalare al committente, previa contestazione scritta all'impresa o ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni antinfortunistiche; e, nei casi di pericolo grave ed imminente, sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.
5. Correttamente, rileva la Corte territoriale che i datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici (art. 96, comma I, lett. g) D.Lgs 81/08) redigono il POS Piano Operativo di Sicurezza (art. 89, comma I, lett. h D.Lgs 81/08), che, come già detto si pone come piano integrativo e specifico del PSC.
In altri termini, ciascuna impresa che collabori o sia presente (anche non contestualmente) nel cantiere temporaneo o mobile, deve studiare le modalità di ese-cuzione del suo segmento di lavoro, prevedendo le aree di pericolo per la salute dei lavoratori, e dando precise disposizioni per evitare in modo assoluto qualsiasi infortunio. Il tutto in adeguato coordinamento con le altre imprese operanti nel cantiere, onde prevenire i rischi interferenziali, attraverso quella figura del CSE che in tal caso, però, mancava,.
Rilevano i giudici di merito che nel caso che ci occupa gli unici documenti relativi alla valutazione dei rischi prevenzionali e antinfortunistici che sono stati rinvenuti o che e vengono menzionati dalle indagini e dai testimoni, sono i POS di M. spa e di SPS srl.
Si tratta, però, come danno atto i giudici di merito, di documenti assolutamente inadeguati, di carattere formale, che ripetono le disposizioni di legge e degli allegati dei D.lgs 81/08, senza scendere in un esame approfondito della platea di lavoro all'interno del capannone di Pessano con Bornago.
Ad esempio, in nessuno dei due POS, viene preso in considerazione il fatto - di estremo rilievo ai fini che ci occupano- che per la costruzione del muro al di sotto della traversa di colmo ove poggiano le capriate delle due zone del grande capannone, il ponteggio (alto 9 metri e lungo 15 metri) poteva trovarsi alla distanza regolamentare dal muro da costruirsi (20 cm., tali da non consentire la caduta dei lavoratori), ma per costruire il muro al di sopra della traversa di colmo, il ponteggio doveva essere arretrato (e cioè discostato dal muro) di ulteriori 5060 cm, dato che la traversa stessa era più ingombrante. In tal modo il ponteggio si trovava ad essere praticamente sempre, a 70-80 cm. dal muro appena costruito sotto la traversa, e permetteva la caduta dei lavoratori.
Di questo gravissimo ed evidente pericolo - si legge nella sentenza impugnata- non viene fatto cenno in nessuno dei due POS (e, a fortiori, in nessun altro documento: DUVRI, PSC, in quanto del tutto inesistenti). Ed inoltre nel POS di SPS srL. tra i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), non viene mai menzionato il casco, come se nell'edificazione di un muro alto oltre 9 metri, non vi fosse il pericolo di caduta dall'alto dei mattoni necessari per costruirlo.
Rileva la Corte, territoriale, che, in tutta la vicenda, dunque, M.M. e N.D.: 1. non hanno redatto il DUVRI documento unico di valutazione dei rischi; 2. non hanno nominato il CSP coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione, sottraendosi all'obbligo di diretto controllo di corretta redazione del PSC piano di sicurezza e coordinamento; 3. non hanno nominato il CSE coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, omettendo in tal modo, il pregnante controllo dei POS delle imprese esecutrici.
Di fronte ad un simile quadro di inadempienze, dunque, non possono con tutta evidenza i committenti addurre quale scusante quella di non avere conosciuto la catena di subappalti che andava oltre la M..
Peraltro, la Corte territoriale prende atto di dover mantenersi "chirurgicamente" nell'alveo indicato dal capo d'imputazione, ove si contesta al M.M. ed al N.D. la sola mancata nomina solo del CSE (coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori), ma perviene ad una logica conclusione nel ritenere come tale omissione basti a radicare la responsabilità degli stessi, ponendosi come la causa prima del mancato rilievo dell'assenza del PSC , e soprattutto del mancato rilievo delle gravissime carenze dei POS delle imprese esecutrici.
6. Passando all'Impresa affidataria o appaltatore dei lavori, la C.G. e CA. s.n.c., che conferì a sua volta subappalto alla 'M. spa', la quale a sua volta conferì ulteriore subappalto a 'SPS srl', la linea difensiva è stata, per tutto ii processo, quella di avere subappaltato i lavori ad un'impresa di grande affidabilità (la M.) e di non avere avuto notizia degli ulteriori subappalti.
Tale ricorrente pone l'accento sul fatto che la mattina del 18.7.2012, la società M. gli consegnò il "Piano operativo di sicurezza e Coordinamento e controllo attività", ove, tra l'altro, venivano individuati il delegato in materia di sicurezza nella persona dell'ing. MOR., il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nella persona di S.V., il preposto, lavoratore incaricato delle misure di prevenzione addetto ai primo soccorso nella persona del geom. O.M.. E che quest'ultimo, nella stessa giornata del 18.7.2012, insieme al C.G., si recò in via Monte Grappa n.101, in Pessano con Bornago, ove, presente anche il sig. N.D., prese in carico il cantiere. 
Dopo tale evento, il C.G. ricorda di avere fatto ritorno sul cantiere solo il giorno 3.8.2012, quando venne a conoscenza dell'infortunio letale del povero V.R. , un collaboratore della SPS Sistemi Posa S.G. S.r.l., cui la M. aveva, a sua volta, subappaltato a sua insaputa l'esecuzione dei lavori de quibus, fornendo i materiali, il ponteggio e un carrello elevatore, come è emerso in dibattimento.
Tuttavia i giudici di merito hanno dato atto congruamente e logicamente del perché hanno ritenuto che permanessero in capo a C.G., legale rappresentante della società, tutti i doveri prevenzionali e antinfortunistici dettati dal D.ls. 81/08.
Dirimente e corretta è stata la considerazione che il datore di lavoro dell'impresa affidataria, deve verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati, e l'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del PSC (piano di sicurezza e coordinamento) e che nel caso in esame ciò fu impossibile, data la mancanza del medesimo, fatto immediatamente percepibile, e che imponeva al C.G. di attivarsi in merito, ad esempio richiedendolo immediatamente al committente oppure rifiutandosi di conferire il subappalto.
Su di lui gravavano inoltre tutti gli obblighi di cui all'articolo 26 D.LGS 81/08, e cioè tutti gli obblighi antinfortunistici facenti capo al datore di lavoro. Ma -come rileva la sentenza impugnata- non risulta che il C.G. si sia mai adoperato per l'ottemperanza puntuale e diuturna, di tutte le norme in proposito.
Egli doveva infine verificare la congruenza dei POS piani operativi di sicurezza delle imprese esecutrici, rispetto al proprio, prima della trasmissione dei suddetti piani operativi di sicurezza al coordinatore per l'esecuzione. Ma anche qui, fa rilevare la Corte milanese: l.non risulta che C.G. si sia mai dotato di un POS; 2. non risulta che abbia esaminato i POS delle imprese esecutrici (M. spa e SPS srl), che, come detto in precedenza, erano incredibilmente carenti; 3. non risulta che li abbia trasmessi al CSE coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, per il semplice fatto che il CSE non esisteva.
La sentenza, che ritiene la condotta ampiamente omissiva del C.G. avere "permesso la scellerata gestione del ponteggio indispensabile per la costruzione dei muro all'interno del capannone di Pessano con Bornago" appare in linea con le disposizioni normative in tema di impresa affidataria dei lavori (vedasi l'art. 89, comma 1, lettera i), D.Lgs. 81/2008, che definisce "impresa affidataria" l’impresa "titolare del contratto di appalto con il committente" e art. 97, stesso decreto, che attribuisce al datore di lavoro dell'impresa affidataria tutti previsti dall'art. 26 del D.Lgs 81/08). 
In estrema sintesi, il datore di lavoro della impresa affidataria è tenuto a verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese subappaltatrici e dei lavoratori autonomi, con le modalità di cui all'Allegato XVII del D. Lgs 81/08 e a fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici del cantiere e sulle misure di prevenzione e protezione, nonché a coordinare gli interventi di prevenzione e protezione, cooperando alla loro applicazione e verificando le condizioni di sicurezza dei lavori ad essa affidati.
Nel caso che ci occupa l'appaltatore (o impresa affidataria) "C.G. e CA. s.n.c.", rispetto ai subappaltatori, si poneva con il ruolo di committente e datore di lavoro.
Ebbene, come si diceva poc'anzi, costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte quella che vuole, in materia di responsabilità colposa, che il committente di lavori dati in appalto (impresa appaltante rispetto all'appaltatore, o appaltatore rispetto ai subappaltatori) debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza nello scegliere ¡1 soggetto al quale affidare l'incarico, accertandosi che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa.
La Corte territoriale rileva correttamente che non ha alcuna giuridica rilevanza che C.G. frequentasse spesso o saltuariamente il cantiere, in quanto le palesi omissioni a lui ascritte prescindono dalla frequentazione dei luoghi , e si posero in stretta relazione causale con l'evento. Inoltre, se ci fosse dimostrazione di qualsivoglia frequentazione del cantiere (come sembra emergere dagli atti), C.G. sarebbe maggiormente colpevole dell'evento, in quanto avrebbe effettuato azione di interferenza nelle lavorazioni, andando ad assumere in via diretta e personale, ulteriore responsabilità prevenzionale.
Condividibile appare, pertanto, la conclusione cui sono pervenuti i giudici del gravame del merito nel senso che la scelta di un'ottima società (così descritta dalla difesa del C.G. la M. spa), di rilievo nazionale, a cui affidare la gestione del lavoro, non esimeva l'imputato, dall'ottemperare alle norme sopra ricordate.
7. Quanto alla posizione dell'immediato datore di lavoro del V.R., S.G., ultimo subappaltatore e titolare della SPS s.r.l. la sentenza impugnata ha esaminato in maniera efficace i pregnanti profili di responsabilità, palese sotto vari aspetti.
Il primo dato rilevante, come si è detto, è che il POS della SPS srl era un documento praticamente solo formale, peraltro con carenze sostanziali molto
gravi, e, nei fatti, comunque ampiamente disapplicato, restando in tal modo pie-namente provata la violazione dell'art. 96 D.lgs 81/08 contestata allo S.G. al capo A) terzo capoverso dell'imputazione.
Sotto altro aspetto, quanto alla violazione dell’art. 136 D.lgs 81/08, è illuminante al proposito, secondo la Corte territoriale, la lettura della relazione degli ispettori ASL che intervennero sul posto ed operarono i primi rilievi dopo l'incidente: 1. il tratto di muro sopra la trave, in corrispondenza del ponteggio, era quasi ultimato e la malta cementizia utilizzata per costruire tale tratto di muro era fresca (scura in quanto non essiccata) nella parte più alta (foto 8,12,13). La presenza del muro sopra la trave con malta fresca e la presenza sia sul ponteggio che sulla trave di secchi, attrezzature e blocchi FV (foto 76) denotano che, al momento dell’incidente, sul ponteggio, erano in corso lavori di muratura e che, comunque, si era lavorato fino a quel momento con il ponteggio già spostato e non in sicurezza (foto 7,8,12,13); 2. il ponteggio, diversamente da quanto riferito da. S.A., si presentava largamente carente in termini di sicurezza: poche tavole fermapiede montate ai piani inferiori e nessuna all'ultimo piano del ponteggio (foto 7,8,12,13,24); 3. nessun parapetto di protezione era presente verso l'interno (lato muro) al primo e secondo piano del ponteggio (foto 6,9, 10); 4. alcune tavole di calpestio erano assenti e alcuni piani di calpestio sconnessi (foto 6,9,10,11); 5. i diagonali traversi avevano mollette di tenuta arrugginite e non inserite compieta- mente nelle asole (foto 32); 6. i piani di calpestio erano costituiti, per la gran parte, da tavole di legno prive di listelli di ancoraggio (foto 7,23,29).
La consapevolezza da parte dei lavoratori dell'impresa SPS che, al momento dell'incidente, il ponteggio non fosse idoneo, secondo la logica considerazione dei giudici milanesi, è confermata dal fatto che, subito dopo l'incidente, S.M. venne sorpreso dalla Polizia Locale del Comune di Pessano con Bornago mentre cercava di posizionare una tavola mancante sul ponteggio con il chiaro intento di nasconderne le carenze. A significare che, a! momento dell'incidente, il ponteggio era in uso per la costruzione del muro sopra la trave al terzo piano, pur in presenza di carenze tali da vietarne l'impiego.
Condivisibile e logica appare pertanto la conclusione dei giudici territoriali secondo cui "le scellerate omissioni del datore di lavoro S.G. sono state dunque la causa prima ed efficiente dell'Infortunio funesto".
Quanto alla violazione dell'articolo 122 D.lgs 81/08, rilevano i giudici di appello che, essendo fuori discussione che si trattasse di lavori in quota, è acclarato che non fu adottata alcuna precauzione atta a eliminare i pericoli di caduta di persone o cose; ad esempio imbragatura e fune di trattenuta per ciascun lavoratore, nei momenti di montaggio e smontaggio del ponteggio; corretta e piena edi-ficazione del ponteggio stesso, proprio seguendo quel PIMUS pur presente nel car-taceo, ma per nulla seguito nei fatti.
Infine, sempre quanto allo S.G., la Corte territoriale confuta argomentata- mente la tesi difensiva secondo cui, essendo state indicate dalla M. spa le figure dell'arch. MOR., in veste di responsabile del cantiere, e del geom. O.M. in veste di assistente di cantiere, questi fossero gli unici responsabili della sicurezza dei lavoratori all'Interno dell'opificio.
Viene ricordato in proposito che il D.lvo n. 81/08 ha disegnato un'efficace rete di protezione della salute e sicurezza dei lavoratori, assegnando ruoli prevenzionali e di garanzia a tutte le figure apicali presenti nei cantieri mobili o temporanei, non esimendo dalla propria responsabilità alcuna delle figure datoriali o in posizione di garanzia, a fronte della presenza di altri corresponsabili, rimanendo tutti coinvolti nella diuturna ed efficace ottemperanza alle norme di legge.
Ciò significa che, pure in presenza ad esempio, di un responsabile di cantiere, il datore di lavoro non resta assolutamente e per nessuna ragione, esentato dalle responsabilità a lui facenti capo, fra le quali oggi si stanno esaminando, quelle sancite dagli articoli 122, 136 e 96 D.ls. 81/08.
Nella sentenza impugnata viene anche evidenziato che, come emerge dagli atti, non corrisponde al vero che lo S.G. si sia allontanato dal cantiere dopo avere verificato l'effettiva e corretta predisposizione del ponteggio da parte degli operai, dato che il ponteggio stesso era carente di così tanti e così importanti elementi costruttivi, da non potersi ritenere essere stato repentinamente smantellato dagli operai in sua assenza.
Rilevano i giudici del gravame del merito che, poiché vi è prova agli atti - in base al verbale degli ispettori ASL sopra riportato, e alle testimonianze esaminate - che il ponteggio sia stato utilizzato sino al momento dell'infortunio mortale, per svolgere l'attività di costruzione del muro sopra la trave di colmo, l'affermazione difensiva non risulta provata. Inoltre la delega di "preposto" al proprio operaio S.S., non lo sollevava di certo, da tutte le proprie responsabilità il datore di lavoro. E anche il divieto ai V.R. di salire sul ponteggio (asseritamente a causa della sua età, e della mancanza di specializzazione in materia), è stata ritenuta una mera affermazione difensiva sguarnita di qualsiasi prova.
8. Del tutto infondata appare anche la questione del preteso comportamento abnorme del lavoratore. V.R. - come si legge nella sentenza impugnatasi trovava in quel cantiere in quanto operaio della SPS srl, subappaltatrice della costruzione del muro; era in orario di lavoro, e attendeva le occupazioni a lui demandate. Nulla indica perciò di una qualsiasi forma di abnormità del suo comportamento.
Correttamente, peraltro, la Corte territoriale rileva che non sono riconducibili a un'ipotesi di comportamento abnorme, gli incidenti sul lavoro determinati da colpa del lavoratore.
Sul tema dell'Incidenza causale della condotta negligente del lavoratore in occasione dell'infortunio di cui lo stesso rimanga vittima, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha raggiunto approdi consolidati che consentono di ritenere nello specifico la condotta dell'Infortunato non abnorme né imprevedibile, ma anzi realizzata proprio in quanto non sussistente all'epoca dei fatti una sostanziale ed efficace vigilanza da parte dei soggetto preposti al controllo delle modalità esecutive delle prestazioni dei lavoratori in servizio presso il cantiere.
Va ricordato come, secondo il dictum di questa Corte di legittimità, il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro.
Ritiene il Collegio di condividere il principio affermato da questa Sez. 4 con la sentenza n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, rv. 259321 secondo cui non esclude la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore in-fortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia riconducibile co-munque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neu-tralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente. (Fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori - si è peraltro affermato in altre condivisibili pronunce- ha il dovere di accertarsi dei rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (Sez. 4, n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli, Rv. 261946 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
In particolare, nel caso di specie, la condotta della p.o. non può ritenersi abnorme in quanto pienamente inserita nell'attività lavorativa specifica della ditta per cui lavorava ed in stretta relazione proprio con la tipologia dell'intervento, anche se fosse stato attuato secondo modalità non conformi alle regole di comune prudenza.
Non potendosi ritenere abnorme, in quanto non radicalmente, ontologicamente lontano dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione dei lavoro, la condotta dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento (art. 41 e. 2, c.p.) e a da determinare l'interruzione del nesso causale.
Orbene, con motivazione logica e congrua - e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità- la Corte territoriale ribadisce come nel caso che ci occupa non si sia stati di fronte ad un comportamento abnorme del lavoratore, evidenziando anche che la possibilità di caduta da un ponteggio alto 9 metri, di uno degli operai addetti ai lavori di costruzione del muro, non può certamente essere ritenuto fatto totalmente imprevedibile e fuori della sfera di controllo del datore di lavoro, e possa mai costituire comportamento abnorme del lavoratore.
Quanto alla circostanza che se il lavoratore avesse avuto il casco, forse si sarebbe potuta evitare la grave lesione letale, la Corte dà atto argomentatamente di escludere, sulla scorta delle risultanze istruttorie, la caduta di un manufatto sulla testa dell'operaio. E peraltro condivisibilmente ritiene che, in ogni caso, non si tratti di una spetto dirimente della vicenda, in ragione del fatto che nel POS della SPS sri non era previsto indefettibilmente l'uso del casco da parte dei lavoratori (anzi, l'uso del casco non era previsto affatto).
9. In ultimo, assorbita la richiesta di sospensiva dalla presente decisione finale, va rilevato essere inammissibile il profilo di doglianza con cui si deduce vizio motivazionale in ordine alla determinazione della provvisionale, in quanto, secondo il costante orientamento di questa Corte di legittimità la determinazione della provvisionale, in sede penale, ha carattere meramente delibativo e può farsi in base a giudizio presuntivo, derivandone che detta valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto e conseguendone che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura pronuncia provvisoria ed insuscettibile di passare in giudicato, destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento del danno (così Sez. Un. n. 2246 del 19.12.1990 dep. 19.2.1991, Capelli, rv. 186722; conf. sez. 5, n. 40410 del 18.3.2004, Farina ed altri, rv. 230105; sez. 5, n. 5001 del 17.1.2007, Mearini ed altro, rv. 236068; sez. 4, n. 34791 del 23.6.2010, Mazzamurro, rv. 248348; sez. 5, n. 32899 del 25.5.2011, Mapelli e altri, rv. 250934; sez. 2, n. 49016 del 6.11.2014, Patricola ed altri, rv. 261054; sez. 3, n. 18663 del 27.1.2015, D.G., rv. 263486; sez. 6, n. 50746 del 14.10.2014, P.C. e G., rv. 261536).
Il ricorrente, dunque, non può dolersi nè del difetto di motivazione e nemmeno potrebbe di un'eventuale abnormità, poiché dispone di ogni possibilità di difesa nella sede civile di liquidazione definitiva del danno.
10. Al rigetto dei ricorsi consegue, ex lege, la condanna dei ricorrenti al pa-gamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio in favore della parte civile V.R. Angelo, liquidate come in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio in favore della parte civile A.R., che liquida in complessivi euro 2500 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 25 gennaio 2018