Cassazione Civile, Sez. 6, 12 aprile 2018, n. 9170 - Infortunio mortale durante la mietitura di un campo a bordo di un trattore privo dell'arco di protezione. Colpa esclusiva della vittima


 

 

Presidente: AMENDOLA ADELAIDE Relatore: ROSSETTI MARCO Data pubblicazione: 12/04/2018

 

Fatto

 


1. Nel 1996 G.DL. e la sig.a L.M., quest’ultima sia in proprio che quale rappresentante legale dei propri figli minori Ro.DL., M.DL. e M.DL., convennero dinanzi al Tribunale di vallo della Lucania G.N., A.N. e la società Milano Assicurazioni s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in UnipolSai s.p.a.; d’ora innanzi, sempre e comunque, “la UnipolSai”), esponendo che:
-) erano prossimi congiunti di R.DL.; 
-) R.DL. perse la vita il 27.5.1994 in conseguenza di un infortunio sul lavoro;
-) in quell’occasione la vittima stava eseguendo la mietitura di un campo, a bordo di un trattore agricolo di proprietà di G.N., e fino a poco prima condotto da A.N., assicurato dalla UnipolSai;
-) quel trattore era privo dell’ “arco di protezione”, ovvero d’una struttura destinata alla protezione del posto di guida in caso di ribaltamento;
-) a causa della mancanza di quell’arco di protezione R.DL., in seguito al ribaltamento del trattore, rimase schiacciato dal pesante mezzo.
Conclusero pertanto chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento del danno rispettivamente patito.
2. Con sentenza n. 726 del 2007 il Tribunale di Vallo della Lucania rigettò la domanda.
La Corte d’appello di Salerno, adita dai congiunti di R.DL., con sentenza 18.1.2016 n. 35:
-) dichiarò inammissibile la domanda come proposta nei confronti della UnipolSai;
-) rigettò la domanda proposta nei confronti degli altri due convenuti, ritenendo sussistere la colpa esclusiva della vittima, per essersi messa alla guida di un trattore altrui, senza il consenso del proprietario; ed essersi inerpicato su un pendio scosceso.
Ha poi soggiunto la Corte d’appello che la mancanza nella cabina del trattore del c.d. “arco di protezione” era irrilevante: sia perché la vittima poteva avvedersi della mancanza di esso; sia perché quand’anche quella protezione fosse stata presente, essa non avrebbe salvato la vita del conducente.
3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da L.M., G.DL., RO.DL., M.DL. e M.DL., con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.
Hanno resistito con separati controricorsi la UnipolSai e G.N..
 

 

Diritto

 

1. Il terzo motivo di ricorso.
1.1. Va esaminato per primo, ai sensi dell’art. 276, comma secondo, c.p.c., il terzo motivo di ricorso, in quanto logicamente anteriore rispetto all’esame degli altri.
Con tale motivo i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. (si lamenta, in particolare, la violazione degli arti. 2043 c.c.; 40 e 41 c.p.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo modificato dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134).
Nell’ampia illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello, là dove escluse il nesso di causa tra la condotta di G.N. (che consentì la circolazione d’un mezzo insicuro) e la morte di R.DL., avrebbe commesso i seguenti errori:
(-) ha erroneamente ritenuto che la vittima fosse esclusiva responsabile della propria morte, per essersi posta alla guida del trattore di sua spontanea volontà; ma tale affermazione è illogica, perché la libera scelta della vittima di porsi alla guida del mezzo non escludeva la 
responsabilità del proprietario, per averne consentito la circolazione benché privo dell’arco di protezione;
(-) ha erroneamente trascurato di considerare che la condotta della vittima avrebbe potuto costituire, al massimo, una concausa, ma non la causa esclusiva dell’evento letale, giacché se il mezzo fosse stato dotato dell’arco di protezione, il suo ribaltamento non avrebbe provocato lo schiacciamento del capo del conducente tra il parafango del mezzo ed il tronco d’un olivo;
(-) ha erroneamente ritenuto che la presenza dell’arco di protezione non avrebbe evitato la morte del conducente: l’esatto contrario, infatti, era stato ritenuto dal consulente tecnico d’ufficio, con motivazione congrua ed immotivatamente disattesa dalla Corte d’appello.
1.2. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame del fatto controverso il motivo è infondato.
Il vizio di omesso esame del fatto sussiste quando il giudice di merito trascuri di considerare una circostanza, debitamente allegata e provata, di per sé idonea a fondare la domanda dell’attore o l’eccezione del convenuto.
Ma nel caso di specie la Corte d’appello non ha trascurato di considerare nessuno degli elementi dell’illecito: non la condotta della vittima, non quella del responsabile, non il nesso di causa.
Né, ovviamente, può costituire il vizio di “omesso esame del fatto decisivo” la circostanza che il giudice abbia ritenuto di non condividere la relazione del consulente tecnico d’ufficio. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, chiamate ad interpretare il novellato art. 360, n. 5, c.p.c., hanno stabilito che “l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in consideratone dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultante probatorie astrattamente rilevanti” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
1.3. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo è del pari infondato.
Stabilire se la condotta tenuta dalla vittima di un illecito sia stata colposa o no; valutare se quella condotta sia stata la causa esclusiva o concorrente del danno; ipotizzare cosa sarebbe accaduto se un certo veicolo avesse avuto i dispositivi di sicurezza di cui era invece sprovvisto, costituiscono altrettanti accertamenti di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità.
1.4. Le osservazioni che precedono non paiono infirmate dalle deduzioni svolte, al riguardo, dai ricorrenti alle pp. 3 e ss. della propria memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
Ivi si sostiene, in sintesi, che col terzo motivo di ricorso i ricorrenti non hanno voluto chiedere a questa Corte una nuova valutazione delle prove o un diverso accertamento dei fatti, ma solo il controllo sulla logicità della motivazione: sia nella parte in cui ha ritenuto esclusiva l’incidenza causale della condotta della vittima, sia nella parte in cui ha disatteso senza motivazione le conclusioni del consulente d’ufficio.
Tuttavia deve in contrario osservarsi che:
(a) il vizio di illogicità della motivazione, in quanto tale, dopo la riforma dell’art. 360, n. 5, c.p.c., non è più censurabile in sede di legittimità, come confermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, nel chiarire il senso della nuova norma, hanno stabilito che per effetto della riforma “è denunciabile in cassazione solo l''anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all1 esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultante processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile"’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014);
(b) in ogni caso, la scelta del giudice di merito di disattendere le conclusioni del consulente d’ufficio non è immotivata: la Corte d’appello ha infatti in sostanza ritenuto che il consulente, per stabilire se la presenza dell’arco di protezione avrebbe evitato la morte del conducente, avrebbe dovuto compiere un esperimento concreto, e non limitarsi a svolgere delle supposizioni sulla base delle fotografie in atti: e questa motivazione non può dirsi illogica; stabilire, poi, se fosse anche coerente con le prove raccolte è questione che esula dal perimetro dei poteri di questa Corte.
2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col primo e col secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la domanda da esse proposta contro la UnipolSai, ed escluso la colpa di G.N..
Ambedue tali motivi restano assorbiti dal rigetto del terzo motivo: il passaggio in giudicato della statuizione circa l’inesistenza del nesso di causa tra la condotta del proprietario del mezzo e l’evento letale rende infatti irrilevante stabilire se quella condotta fu colposa o meno.
3. Le spese. 
3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi delTart. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dalTart. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
 

 

P.Q.M.
 

 

(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna L.M., G.DL., Ro.DL., M.DL. e M.DL., in solido, alla rifusione in favore di G.N. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 4.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) condanna L.M., G.DL., Ro.DL., M.DL. e M.DL., in solido, alla rifusione in favore di UnipolSai s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 4.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di L.M., G.DL., Ro.DL., M.DL. e M.DL., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 23 gennaio 2018.