Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 luglio 2018, n. 17684 - Fibrosi polmonare


 

Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: BELLE' ROBERTO Data pubblicazione: 05/07/2018

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte d'Appello di Perugia, con sentenza n. 316/2012, ha riformato la pronuncia del Tribunale di Terni che aveva accolto, riconoscendo un'invalidità del 11%, la domanda proposta da B.A. nei confronti dell'I.N.A.I.L., finalizzata a far constare che la fibrosi polmonare di cui egli era affetto aveva origine professionale.
La Corte territoriale riteneva che, pur essendo comprovata l'esposizione pluriennale ad amianto, non vi fosse stata prova, neanche a seguito delle tre c.t.u. svolte, rispetto alla reale diagnosi in termini di asbestosi per la fibrosi di cui era affetto il ricorrente, al punto che lo stesso B.A., nell'agire in giudizio, aveva fatto riferimento soltanto ad una fibrosi polmonare diffusa e non all'asbestosi.
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi del ricorrente, medio tempore deceduto, con due motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso INAIL.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., si afferma che la sentenza impugnata sarebbe munita di motivazione insufficiente rispetto alla rilevanza della comprovata esposizione ad amianto, nonché alla ricorrenza di sintomatologia e durata del decorso propri dell'asbestosi.
Con il secondo motivo si afferma invece, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del d.p.r. 1124/1965, artt. 3 e 53, come modificato dal t.u. 38/2000.
2. Il primo motivo non può essere accolto, in quanto la mera insufficienza di motivazione in fatto non costituisce vizio rientrante nell'ambito dell'art. 360 n. 5 c.p.c., nella novellata formulazione di esso qui applicabile ratione temporis.
D'altra parte non può dirsi che la Corte territoriale abbia omesso di considerare l'esposizione ad amianto sofferta, in quanto piuttosto, ma di ciò si parlerà rispetto al secondo motivo di ricorso, essa è stata inserita in un ragionamento etiologico fondato su parametri che hanno portato a concludere per l'insussistenza di nesso causale tra attività lavorativa e malattia.
3. Il secondo motivo è invece fondato.
3.1 Costituisce dato acquisito in causa quello per cui l'asbestosi è una forma di fibrosi, caratterizzata dal derivare da esposizione ad amianto, mentre di fibrosi idiopatica, generalmente a decorso più rapido, si parla nei casi in cui la genesi sia ignota.
3.2 La Corte d'Appello ha in proposito ritenuto che non potessero essere avallate le conclusioni peritali (tratte dal c.t.u. da essa nominato, ma non difformi nella sostanza da quelle del secondo c.t.u. nominato in primo grado, dopo che era stata appurata l'esposizione ad amianto subita dal ricorrente) secondo cui si sarebbe potuto ragionevolmente supporre che la fibrosi polmonare fosse appunto derivata dall'esposizione lavorativa ad asbesto e quindi fosse da qualificare come asbestosi.
Ciò per concludere che, non essendo stato possibile un dirimente prelievo di tessuto polmonare ed avendo lo stesso ricorrente fatto riferimento, nell'agire, ad una fibrosi polmonare diffusa e non in specifico all'asbestosi, risultava impossibile una diagnosi precisa e quindi non si poteva ritenere che l'esposizione ad amianto avesse avuto incidenza nel determinismo causale.
3.3 E' intanto palese che il ricorrente, nell'agire lamentando la sussistenza di una fibrosi polmonare diffusa, non ha per nulla escluso che essa potesse derivare dall'esposizione ad amianto.
D'altra parte, specie in situazioni di incertezza diagnostica è evidente che per chi agisce al fine di ottenere i benefici previdenziali I.N.A.I.L. è sufficiente manifestare la propria sintomatologia o i fatti morbosi accertati ed addurre i possibili agenti patogeni cui il lavoro lo ha esposto, senza essere tenuto ad una specifica identificazione del nomen della patologia reliquata, che ben può essere definita, nel quadro allegatorio di cui sopra, attraverso le attività peritali e decisionali proprie del processo (v. Cass. 19 giugno 1999, n. 6175).
3.4 Ciò posto, il criterio di assoluta certezza della diagnosi che è prospettato dalla Corte territoriale non appare corretto, in quanto in ambito civilistico è acquisito il principio per cui il giudizio di derivazione causale di un evento (qui la fibrosi) da un altro evento (qui l'esposizione ad amianto in sede di lavoro, che come detto avrebbe altresì comportato la qualificazione della fibrosi come asbestosi) deve essere svolto su base probabilistica e secondo la c.d. regola della preponderanza dell’evidenza o del "più probabile che non" (Cass., S.U., 10 gennaio 2008, n. 576 e, in ambito di malattie professionali, Cass. 19 gennaio 2011, n. 1135; Cass. 26 marzo 2010, n. 7352).
3.5 La Corte richiedendo un giudizio di certezza rispetto alla diagnosi e disattendendo la valutazione probabilistica prospettata dai consulenti tecnici d'ufficio, si è sottratta all'apprezzamento cui essa era tenuta, violando in ultima analisi proprio la norma (art. 3 d.p.r. 1124/1965, come risultante in esito a Corte Cost. 18 febbraio 1988, n. 179) che impone il riconoscimento della copertura per le malattie derivanti da causa di lavoro.
4. La sentenza va quindi cassata, con rinvio ad altra Corte d'Appello affinché si dia corso al giudizio causale secondo i corretti parametri qui richiamati.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di d'Appello di Firenze.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 10.4.2018.