Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 luglio 2018, n. 19511 - Infortunio sul lavoro e azione di regresso
Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 23/07/2018
Fatto
Il Tribunale di Siena, accogliendo la domanda dell'Inail, condannò O.G. e M.C. a pagare in solido all'istituto la somma di € 196.053,75 a titolo di regresso in relazione all'indennità corrisposta e da corrispondere al lavoratore B. in dipendenza dell'infortunio occorsogli il 6.11.2002.
Appellata tale sentenza dal solo M.C., nella contumacia dell'O.G. - datore di lavoro del B. - e della società Winecircus s.r.l. - committente dei lavori - resisteva l'Inail.
La Corte d'appello di Firenze (sentenza del 26.7.2012) ha rigettato il gravame dopo aver rilevato che l'Inail non era decaduto dall'azione di regresso nei confronti del sub-appaltante M.C., essendo stato rispettato il termine triennale di cui al T.U. n. 1124/65, sia con riferimento alla decorrenza dall'archiviazione penale riguardante quest'ultimo, sia con riguardo al momento dell'erogazione dell'indennità al danneggiato. Inoltre, era risultata provata la corresponsabilità civile del sub-appaltante e del sub-appaltatore in ordine all'infortunio sul lavoro occorso al B. per il mancato apprestamento delle cautele atte ad evitare l'incidente, così com'era risultata generica la contestazione sul quantum della pretesa restitutoria dell'Inail.
Per la cassazione della sentenza ricorre M.C. con tre motivi. Resiste con controricorso l'Inail.
Diritto
1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10, 11 e 112, comma 5, oltre che dell'art. 2943 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., nonché l'omessa declaratoria dell'intervenuto spirare del termine triennale di decadenza.
In pratica, secondo la prospettazione difensiva del ricorrente, il termine di decadenza triennale in questione decorreva dalla prima archiviazione penale del 24.3.2003 in favore del datore di lavoro O.G., ritenuto corresponsabile del fatto unico, e non da quella successiva del 9.12.2004 che aveva riguardato il M.C., per cui l'azione di regresso intrapresa dall'Inail il 26.4.2006 era da considerare tardiva rispetto al primo termine di cui sopra.
2. Il motivo è infondato.
Si è, invero, osservato (Cass. Sez. Un., n. 5160 del 16.3.2015) che <<In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale previsto dall'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che, stante il principio di stretta interpretazione delle norme in tema di decadenza, ha natura di prescrizione e, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato (ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa), il quale costituisce il fatto certo e costitutivo del diritto sorto dal rapporto assicurativo, dovendosi ritenere che detta azione, con la quale l'Istituto fa valere in giudizio un proprio credito in rivalsa, sia assimilabile a quella di risarcimento danni promossa dall'infortunato, atteso che il diritto viene esercitato nei limiti del complessivo danno civilistico ed è funzionale a sanzionare il datore di lavoro, consentendo, al contempo, di recuperare quanto corrisposto al danneggiato>>.
Orbene, considerato che una delle due autonome ragioni della decisione sulla individuazione, da parte della Corte di merito, del termine iniziale di decorrenza del triennio entro il quale era esperibile l'azione di regresso dell'Inail è proprio quella che fa specifico riferimento al momento dell'erogazione dell'indennizzo al lavoratore infortunato e che tale soluzione, basata su un dato certo, trova il suo avallo nel precedente di diritto sopra richiamato, non può non constatarsi che tale autonoma ratio decidendi non risulta investita dalle odierne censure del ricorrente, per cui sotto tale specifico aspetto la motivazione dell'impugnata sentenza rimane validamente espressa sia in termini di fatto che di diritto.
3. Col secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11, oltre che degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., sul rilievo della mancata deduzione del fatto/reato, dell'insussistenza della prova al riguardo, con conseguente inammissibilità dell'azione di regresso promossa dall'Inail. In sostanza, secondo il ricorrente, non essendo emersa la prova che una maggiore informazione sui rischi presenti nel cantiere avrebbe potuto evitare il verificarsi dell'evento, la domanda avanzata dall'Inail doveva essere respinta per omessa allegazione del nesso causale.
4. Col terzo motivo il ricorrente si lamenta della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11, oltre che degli artt. 1218, 2043, 2087 e 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., per avere la Corte d'appello ritenuto idoneamente provato il fatto colposo posto a base della condanna della ricorrente, pure in presenza di un comportamento imprevedibile da parte del soggetto infortunato il quale aveva deciso di slacciarsi le cinture di sicurezza.
5. Osserva la Corte che il secondo ed il terzo motivo, esaminabili congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati.
Invero tali motivi, che investono la questione della responsabilità nella verificazione dell'infortunio occorso al lavoratore B. e del concorso causale nella determinazione dello stesso, sono infondati in quanto attraverso gli stessi il ricorrente tenta una rivisitazione del merito istruttorio che non è consentita nel giudizio di legittimità allorquando la decisione impugnata riposi, come nella fattispecie, su una motivazione adeguata ed esente da vizi di ordine logico-giuridico.
Infatti, la Corte territoriale ha ben spiegato che la corresponsabilità civile del sub-appaltante e del sub-appaltatore in ordine all'Infortunio sul lavoro occorso al B. era risultata provata in conseguenza del riscontrato mancato apprestamento delle cautele doverose atte ad evitare l'incidente.
6. Al riguardo si è già statuito (Cass. Sez. Lav. n. 27127 del 4/12/2013) che <<in materia di tutela dell'integrità fisica del lavoratore, il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell'abnormità, dell'imprevedibilità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute. Ne consegue che, qualora non ricorrano detti caratteri della condotta del lavoratore, l'imprenditore è integralmente responsabile dell'infortunio che sia conseguenza dell'inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell'obbligo di sicurezza integra l'unico fattore causale dell'evento, non rilevando in alcun grado il concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l'incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza>>.
Pertanto, l'omissione di cautele da parte del lavoratore non è idonea di per sè ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del datore di lavoro che non abbia provveduto, pur avendone la possibilità, all'adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro o non abbia adeguatamente vigilato, anche tramite suoi preposti, sul rispetto della loro osservanza, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell'adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale ipotesi, del cd. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo quando l'attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso (In tal senso v. anche Cass. Sez. 3, n. 21694 del 20/10/2011).
Si è, altresì, affermato (Cass. Sez. Lav. n. 19494 del 10/9/2009) che le norme dettate In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le Idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, (in senso conf. v. Cass. Sez. Lav. n. 22818 del 28/10/2009 e Cass. Sez. Lav. n. 4656 del 25/2/2011)
7. Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 5700,00, di cui € 5500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.