Cassazione Civile, Sez. 3, 27 settembre 2018, n. 23176 - Infortunio mortale con un mezzo agricolo. Regresso
Fatto
1. Nel 2000 S. C., G. M. ed A. M. convennero dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme la S. XXXXXXXX s.r.l. (d'ora innanzi, per brevità, "la SCAL") ed il suo rappresentante legale, M. P., esponendo che: erano moglie e figli di B. M.
B.M., dipendente della SCAL, perse la vita a causa d'un infortunio, occorsogli allorché il mezzo agricolo da lui condotto si ribaltò, schiacciandolo; l'infortunio fu determinato dalla mancanza, nel mezzo condotto dalla vittima, della necessaria struttura di protezione del conducente contro il rischio di schiacciamento; in conseguenza dell'accaduto M. P. venne rinviato a giudizio per omicidio colposo, e condannato con sentenza irrevocabile. Chiesero pertanto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della morte del proprio congiunto.
2. Nel giudizio intervenne volontariamente l'Inail, deducendo di avere corrisposto ai congiunti della vittima una rendita, in adempimento dei propri obblighi istituzionali, e formulando nei confronti dei responsabili domanda di regresso per gli importi versati, ai sensi dell'art. 10 d.p.r. 30.6.1965 n. 1124.
3. Con sentenza XXXXXXX il Tribunale di Lamezia Terme accolse la domanda attorea e quella dell'I.. La sentenza venne appellata dai soccombenti.
4. Con sentenza XXXXXX la Corte d'appello di Catanzaro rigettò il gravame. La Corte d'appello ritenne che: l'intervento dell'Inail fosse ammissibile, a nulla rilevando che fosse avvenuto dopo il maturare delle preclusioni processuali; non vi era prova di un concorso di colpa della vittima; il danno andava liquidato in base ai criteri equitativi utilizzati dal Tribunale al momento della decisione, e non in base a quelli utilizzati al momento del fatto illecito.
5. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da M. P. e dalla SCAL, con ricorso fondato su quattro motivi. Ha resistito l'Inail, il quale ha altresì depositato memoria.
Diritto
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano - senza formalmente inquadrare la censura in alcuno dei cinque tipi di vizi previsti dall'art. 360 c.p.c. - la violazione degli artt. 183 e 268 c.p.c..
Sostengono che la domanda di regresso proposta contro di loro dall'Inail si sarebbe dovuta dichiarare inammissibile, perché l'ente intervenne nel processo dopo il maturare delle preclusioni assertive ed istruttorie. 1.2. Il motivo è infondato. Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che la formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall'art. 268 c.p.c. non si estende all'attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non opera il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento "fino all'udienza di precisazione delle conclusioni", configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie (in tal senso, tra le tante, Sez. 1, Sentenza n. 25798 del 22/12/2015, Rv. 638291 - 01).
2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 112 c.p.c.. Nell'illustrazione del motivo formulano una tesi così riassumibile: gli attori chiesero la condanna dei convenuti al risarcimento di un danno patrimoniale quantificato nella misura di XXX milioni di lire, ovvero euro XXXXX; il giudice di merito, invece, accolse la domanda dell'Inail nella misura indicata dall'Istituto, ovvero il maggior importo di euro XXXXX; così facendo, la Corte d'appello avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, dal momento che la domanda dell'Inail, "in quanto domanda di regresso", non poteva eccedere la misura del risarcimento invocata dagli attori-danneggiati. 2.2. Il motivo è manifestamente infondato. In primo luogo, è infondato perché l'ultrapetizione va accertata con riferimento a chi ha proposto la domanda, non con riferimento ad altre parti del processo. Ultrapetizione, dunque, nel nostro caso vi sarebbe potuta essere solo se la condanna in favore dell'I. fosse stata superiore a quanto richiesto dallo stesso Inail, e non a quanto richiesto da altre parti. In secondo luogo, varrà la pena ricordare che l'Inail ha diritto di agire in regresso verso il datore di lavoro responsabile dell'infortunio, al fine di recuperare le somme pagate agli assistiti (art. 10 d.p.r. 30.6.1965 n. 1124). Il limite al diritto di regresso è rappresentato, da un lato, dall'importo effettivamente pagato dall'Istituto all'assistito; e dall'altro dall'oggettiva entità del danno causato dal datore di lavoro al lavoratore infortunato (ex multis, Sez. L, Sentenza n. 11296 del 24/10/1991, Rv. 474392 - 01; Sez. L, Sentenza n. 2286 del 04/03/1988, Rv. 458088 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 3093 del 30/10/1971, Rv. 354415 - 01). Sono questi gli unici due accertamenti che il giudice di merito deve compiere, al fine di individuare l'ammontare del credito spettante all'Inail che abbia agito in regresso nei confronti del datore di lavoro. A tal fine, pertanto, è del tutto irrilevante che il danneggiato abbia chiesto o non abbia chiesto la condanna del datore al risarcimento del danno, ovvero che l'abbia chiesta in misura inferiore a quanto preteso dall'Inail a titolo di regresso.
3. Il terzo motivo di ricorso. 3.1. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano che la Corte d'appello avrebbe violato l'art. 1227 c.c., là dove ha escluso il concorso di colpa della vittima. Sostengono che la perizia disposta dal P.M., nel corso Delle indagini preliminari scaturite dall'infortunio, evidenziava invece la sussistenza d'una condotta colposa della vittima. 3.2. Il motivo è inammissibile, in quanto censura un accertamento di fatto e la valutazione delle prove. Ma una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant'anni: e cioè che "la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione").
4. Il quarto motivo di ricorso. 4.1. Col quarto motivo i ricorrenti lamentano che il giudice di merito avrebbe pronunciato ultra petita, per avere accordato agli attori somme, a titolo di risarcimento del danno, eccedenti quelle da essi richieste. Soggiungono che la clausola inserita dagli attori nell'atto di citazione (vale a dire la richiesta di condanna dei convenuti al risarcimento indicato, ovvero al pagamento della "somma diversa che sarà ritenuta di giustizia") sarebbe una clausola di stile e priva di effetto. 4.2. Il motivo è infondato. Questa Corte ha infatti già ripetutamente affermato che la domanda di condanna al pagamento d'una data somma, ovvero della "somma maggiore o minore ritenuta dovuta" o altra equivalente, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di un certo importo, non costituisce una clausola dimeramente di stile quando vi sia una ragionevole incertezza sull'ammontare del danno effettivamente da liquidarsi, come appunto nel caso di specie (Sez. 3, Sentenza n. 12724 del 21/06/2016, Rv. 640262 - 01).
5. Le spese. 5.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo. 5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P.Q.M.
La Cassazione rigetta il ricorso; condanna M. P. e la S.s.r.I., in solido, alla rifusione in favore di Inail delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro XXXX, di cui XXX per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55; dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di M. P.e la S. s.r.l., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per 'impugnazione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì XXXXX.