Cassazione Civile, Sez. 3, 28 settembre 2018, n. 23474 - Infortunio mortale: sicurezza e controllo nell'esecuzione delle opere edili appaltate
Presidente: VIVALDI ROBERTA Relatore: DI FLORIO ANTONELLA Data pubblicazione: 28/09/2018
Ritenuto che
1. G.N. ricorre, affidandosi a cinque motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Brescia che, accogliendo l'appello dell'INAIL, aveva riformato parzialmente la pronuncia del Tribunale di Bergamo affermando che le modalità dell'Infortunio sul lavoro che aveva determinato il decesso di N.T. dovevano ricondursi totalmente alla negligenza ed alle omissioni dell'odierno ricorrente in ordine alla sicurezza ed al controllo nell'esecuzione delle opere edili appaltate all'impresa dell'infortunato ( che in primo grado era stato, invece, ritenuto parzialmente responsabile di quanto accaduto).
La Corte territoriale aveva altresì statuito che non era opponibile all'ente la transazione sottoscritta prima della definizione della controversia e l'avvenuto pagamento da parte del G.N. agli eredi N.T. della somma in essa concordata, in quanto l'istituto, comunicando l'apertura del sinistro, lo aveva diffidato dal risarcire la vittima o i parenti della stessa; ed aveva conseguentemente condannato l'odierno ricorrente a corrispondere all'Istituto previdenziale, per il recupero della prestazione previdenziale erogata, la somma di € 300.964,71 comprensiva anche degli interessi compensativi, oltre accessori e spese per entrambi i gradi di giudizio.
3. L'INAIL ha resistito con controricorso supportato da memorie.
Considerato che
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 n° 3 cpc , la violazione e falsa applicazione del Dlgs 494/1996 e del Dlgs 626/1994 nonché dell'art. 2087 c.c .
Lamenta che la Corte territoriale sull'erroneo presupposto che il N.T. avesse operato sotto la sua direzione ed diretto controllo aveva ritenuto che non fossero state rispettate le disposizioni di sicurezza previste nella normativa sopra indicata, all'epoca in vigore: assume, al riguardo, che la decisione era frutto di violazione di legge, in quanto l'infortunio si era verificato nel 1999 e dunque in data "antecedente alla novella del 2007 con conseguente applicabilità, al caso di specie, dell'art. 7 Dlgs 626/1994"; e che il contratto di appalto stipulato con l'impresa di cui l'infortunato era titolare prevedeva la mera realizzazione di due lucernai sul tetto del capannone di sua proprietà, con l'apertura di un cantiere di ridotte dimensioni ( visto che in esso operava soltanto l'appaltatore, personalmente ) e di brevissima durata ( tre giorni al massimo ), circostanze dalle quali dovevano ritenersi inapplicabili le prescrizioni del Dlgs 494/1996,tenuto conto delle indicazioni contenute nella Circolare n. 30/1998 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.
Il motivo è manifestamente infondato.
Premesso, infatti, che la gerarchia delle fonti non consentirebbe di ritenere che la circolare ministeriale invocata possa prevalere sulla normativa primaria, si osserva che:
a. i decreti legislativi richiamati dalla Corte territoriale trovano piena applicazione al caso di specie: il Dlgs 494/1996 costituisce l'attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute sul lavoro da attuare nei cantieri temporanei o mobili" e rappresenta una più specifica regolamentazione, in termini di tutela, per il settore dell'edilizia,V rispetto al più generale Dlgs 626/1994 in materia di sicurezza sul lavoro: tutte le misure in esso previste sono state compiutamente esaminate dalla Corte territoriale in termini di raffronto con la situazione accertata all'interno del cantiere nel quale accadde l'incidente mortale, sia in relazione agli obblighi di informazione che alla mancata predisposizione di un piano di sicurezza che rappresentava un preciso obbligo per il committente, a prescindere dalla durata e dalla complessità delle opere da realizzare, in relazioni alle quali detto piano doveva essere attentamente modulato;
b. la circolare invocata - neanche compiutamente riportata nel corpo del ricorso - contiene,comunque, previsioni differenti da quelle richiamate dal ricorrente, in quanto afferma espressamente che " ove i lavori o le attività individuate negli allegati I e II del decreto legislativo n. 494/1996 vengano effettuati dal datore di lavoro esclusivamente con proprio personale disposizioni del decreto legislativo n. 494/1996 non sono applicabili poiché in tal caso il soggetto in questione non assume il ruolo di committente, bensì unicamente quello di datore di lavoro.
Pertanto le normative di riferimento sono quelle contenute nel decreto legislativo n. 626/1994 e nelle disposizioni speciali di settore di volta in volta applicabili: la situazione fattuale in esame è completamente differente da quella sopra descritta , in quanto il N.T. non era dipendente del G.N., bensì titolare di una autonoma impresa alla quale erano stati appaltati i lavori che avevano causato l'infortunio;
c. l'art. 7 del Dlgs 494/1996 - invocato dal ricorrente - non prevede affatto che la dotazione dei dispositivi di sicurezza debba essere affidata alla sola responsabilità dell'appaltatore (con esclusione di quella del committente), essendo, invece, espressamente sancito che,al fine di garantire la massima tutela, i lavoratori autonomi debbano adeguarsi alle indicazioni fornite dal coordinatore per l'esecuzione dei lavori, con riferimento al piano predisposto: la cui assenza non può che ridondare, in termini di responsabilità, a carico del committente.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della normativa prevista, valutando compiutamente, con motivazione congrua, logica ed approfondita, sia le modalità con le quali le opere dovevano essere eseguita (cfr. anche Cass. 25578/2013) (sia la mancanza di controllo da parte del G.N. e, addirittura, l'autorizzazione, da parte sua, all'esecuzione di un lavoro che presentava evidenti e notevoli margini di pericolo ( cfr. pag. 7 , 8 e 9 della sentenza). .
La censura deve pertanto essere respinta.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 n° 5 cpc, l'omesso esame di una fatto decisivo per il giudizio, consistente nella valutazione delle misure da lui apprestate, con particolare riferimento al ponteggio che era stato messo a disposizione del N.T. nell'area interessata dai lavori di taglio.
Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della statuizione di condanna, fondata sulla mancata predisposizione di un piano di sicurezza e sull'avallo prestato dal committente all'esecuzione delle opere da parte del N.T., senza casco ed altri sistemi antinfortunistici: la censura, pertanto, in presenza di un compiuto esame delle modalità con le quali si verificò l'incidente, maschera una richiesta di rivalutazione del merito della controversia, preclusa in questa sede.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 n° 3 cpc, la falsa applicazione dell'art. 1916 c.c : assume che, con l'azione proposta, l'INAIL era subentrato nell'identica posizione sostanziale dei danneggiati e cioè degli eredi del N.T.. Da ciò desume che la natura del vantaggio da loro realizzato attraverso il pagamento deH'importo oggetto di transazione doveva indurre la Corte d'Appello a defalcarlo rispetto alla somma per la quale l'Inail aveva agito in rivalsa.
Il motivo è infondato.
Gli arresti contenuti nelle recenti pronunce di questa Corte in materia di compensatio lucri cum damno( Cass. SSUU 12564/2018; Cass. SSUU 12565/2018, Cass. SSUU 12566/2018 e Cass. SSUU 12567/2018 ), due delle quali richiamate nelle memorie delle parti non sono utili per la soluzione del caso in esame.
Pur vero che la recente Cass. SSUU 12566/2018 ha escluso la cumulabilità tra il risarcimento del danno dovuto al lavoratore infortunato (od ai suoi congiunti) dal datore di lavoro responsabile dell'infortunio e la rendita attribuita alla vittima (od ai suoi congiunti) dall'INAIL (cfr., al riguardo, anche Cass. 15534/2017 che ha richiamato, in tema, Cass 5964/1979; Cass. 3806/1998; e Cass. 3503/1986)[m ragione della sovrapponibilità funzionale della elargizione indennitaria con la funzione compensativa del risarcimento, si osserva, tuttavia, che tale principio non si pone in contrasto con la decisione della Corte territoriale la quale si è limitata ad affermare che la transazione cui le parti erano giunte in corso di causa (ed il conseguente pagamento,da parte del ricorrente danneggiante in favore dei superstiti dell'appaltatore deceduto, della somma in quella sede concordata) era antecedente alla pronuncia di condanna che il pagamento era avvenuto nonostante che l'Istituto avesse trasmesso una diffida, regolarmente ricevuta dagli interessati,con la quale , oltre ad essere stata comunicata l'apertura dei sinistro , le parti erano state invitate ad astenersi dalla stipula di accordi pregiudizievoli per l'ente e veniva resa nota la volontà di surrogarsi nei diritti vantati dagli eredi del N.T. nei confronti del G.N..
3.1. Poiché quest'ultimo non tenne conto di tale avviso,correttamente i giudici d'appello hanno ritenuto il pagamento della somma oggetto di transazione inopponibile all'ente previdenziale: la situazione fattuale - "rovesciata" rispetto a quella oggetto di esame in casi analoghi ( cfr., ex multis,Cass. 10649/2012) - impone infatti di ritenere che, in ragione di una interpretazione letterale dell'art. 1916 c.c che, congiuntamnete all'art. 142 CdA, fonda la sua ratio anche sulla necessaria "tenuta dei conti" posta a fondamento del sistema previdenziale, l'ente fosse legittimato, attraverso l'azione di rivalsa proposta, a recuperare la somma versata a titolo di rendita capitalizzata, spettando, eventualmente, al ricorrente di agire nei confronti degli eredi del Tombinper la restituzione di quanto complessivamente versato in eccedenza.
3.2. Questa Corte ha avuto modo di chiarire, infatti, che "la surrogazione ex art. 1916 c.c costituisce una peculiare forma di successione a titolo particolare nel diritto al risarcimento dell'infortunato, che si realizza nel momento in cui l'assicuratore abbia comunicato al terzo responsabile che l'infortunato è stato ammesso ad usufruire dell'assistenza e degli indennizzi previsti dalla legge, al contempo manifestando la volontà di avvalersi della surroga. Nella conseguente azione non ha pertanto rilievo il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, ma soltanto la responsabilità aquiliana dell'autore dell'atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o l'assicuratore che ne abbia anticipato l'indennizzo, sicché il responsabile non è legittimato ad opporre all'assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto, salvo che esse incidano sulla misura del risarcimento del danno cui egli sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato" ( cfr. Cass. SU 8620/2015 ). La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra riportati e la censura esaminata deve, pertanto, essere respinta.
4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, ex 360 n° 5 cpc, l'omesso esame della (carente ) dimostrazione della misura dell'effettiva erogazione nei confronti dell'INAIL: assume, al riguardo, che la Corte non aveva considerato che in primo grado l'Istituto non aveva provato di aver corrisposto le somme che assumeva di aver pagato in favore degli eredi N.T. in quanto, solo tardivamente e con documento proveniente da se stesso aveva fornito la prova del quantum oggetto di surroga, a seguito di eccezione sollevata in sede di comparsa conclusionale.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Si osserva infatti che l'attestazione di credito dell'INAIL è un atto amministrativo assistito da presunzione di legittimità (cfr. Cass. 21540/2007; Cass. 1841/2015): nel caso in esame, l'importo in esso indicato non è mai stato contestato con la dovuta specificità da parte del ricorrente .
A ciò si aggiunge che, poiché le variazioni di ammontare del credito conseguenti ai mutamenti quantitativi della rendita non costituiscono domanda nuova, è consentito all'ente di aggiornare, in ogni stato e grado del giudizio di merito, l'importo richiesto ex art. 1916 c.c (cfr. ex multis, Cass. 3704/2012 ; Cass. 4089/2016): il fatto di cui il ricorrente lamenta l'omesso esame, pertanto, non è affatto decisivo per il giudizio e dunque la censura non può trovare ingresso in questa sede.
5. Con il quinto motivo,infine, il ricorrente deduce la violazione dell'art. 360 n° 3 cpc e degli artt. 10,11,116 DPR 1124/1965, in quanto i giudici d'appello avrebbero riconosciuto erroneamente interessi e rivalutazione sulla somma pagata dall'INAIL .
5.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che " il credito dell’Inail per il rimborso delle prestazioni erogate in favore dell'infortunato, fatto valere - in via di surrogazione - nei confronti del terzo responsabile del fatto illecito, ha natura di credito di valore e non di valuta, di talché esso include la svalutazione monetaria sopravvenuta dopo il pagamento effettuato dall'ente previdenziale, in conformità con la natura di successione a titolo particolare nel diritto controverso propria del fenomeno surrogatorio, e senza alcuna incidenza dell'avvenuto pagamento dell'indennizzo, che opera sul piano del rapporto assicurativo" (Cass. 5594/2015 ).
La Corte territoriale, nella liquidazione degli interessi compensativi, ha fatto corretta applicazione di tale principio.
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Ai sensi dell'alt. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 10.200,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.
Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della terza sezione civile del 4.7.2018.