Cassazione Penale, Sez. 6, 31 ottobre 2018, n. 49839 - Amianto e verifiche ispettive a tutela della sicurezza dei lavoratori. Delitto di concussione


 

 

Presidente: DE AMICIS GAETANO Relatore: VIGNA MARIA SABINA Data Udienza: 13/07/2018

 

 

Fatto

 

 

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'appello di Bari ha confermato nei confronti di A.F. la sentenza pronunciata dal Tribunale di Foggia in data 2 aprile 2015 per il delitto di concussione ex art. 317 cod. pen. in danno di E.A. (capo 8 - fatto commesso nel novembre 2003), rigettando anche l'appello presentato nell'interesse dello stesso avverso la declaratoria di prescrizione del delitto di divulgazione di segreto ai sensi dell'articolo 326 cod. pen. (capo 10 - fatto commesso nel settembre 2006), riformando, invece, la sentenza nei confronti di V.DT., dichiarando estinto per prescrizione il delitto di minaccia ex art. 612 cod. pen. in danno di E.A., così diversamente qualificata l’originaria imputazione di tentata concussione ai sensi degli articoli 56, 317 cod. pen. (capo 7 - fatto commesso nel dicembre 2004), confermando per entrambi le statuizioni civili della sentenza di primo grado.
1.1. A.F., responsabile del Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro (S.P.E.S.A.L.) della ASL di Foggia, è stato ritenuto responsabile del delitto di concussione in danno dell'ufficiale di polizia giudiziaria al medesimo sottoposto E.A. (capo 8), consistente nell'utilità prestata al terzo (imprese operanti nel «Villaggio - Artigiani») di non essere sottoposto alla verifica in tema di sicurezza e igiene del lavoro che doveva essere avviata su sollecitazione dell'A.R.P.A. Puglia che aveva riscontrato la presenza di amianto.
Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito è stato accertato che lo S.P.E.S.A.L. venne formalmente attivato dall'A.R.P.A., tramite un fax inviato dal dott. C., che stava effettuando verifiche ambientali relative alla presenza di amianto presso il «Villaggio - Artigiani», allo scopo di avviare una analoga attività ispettiva relativa alla protezione dei lavoratori rientrante nella competenza del Servizio (legge n. 626/1994), tanto che il dott. M., ricevuta la richiesta, incaricò la E.A. di procedere nel senso richiesto, come la stessa si appestava a fare, salvo esserne impedita dall'intervento dell'imputato A.F., responsabile dello S.P.E.S.A.L. che l'aveva minacciata di toglierle l'incarico se avesse svolto gli accertamenti.
2. Ricorrono entrambi gli imputati con distinti atti di ricorso.
3. V.DT., a mezzo del difensore avv. OMISSIS, denuncia la violazione di legge, in riferimento agli articoli 157 cod. pen., 546, 578 cod. proc. pen., e il vizio della motivazione, perché la Corte di appello, pur avendo rilevato la prescrizione del delitto di minaccia a far tempo dal marzo 2013, e cioè in data anteriore alla sentenza di primo grado, non ha proceduto alla revoca delle statuizioni civili.
4. A.F., a mezzo del difensore avv. OMISSIS, denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo:
4.1. alla ritenuta attendibilità della parte civile E.A. che, peraltro, la Corte d'appello ha ritenuto non attendibile in relazione ad altre imputazioni per le quali il ricorrente è stato assolto con formula ampia, così procedendo a una illegittima lettura frazionata del compendio dichiarativo che mina in radice la attendibilità della parte civile (primo motivo);
4.2. alla insussistenza di competenze in capo al Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro (S.P.E.S.A.L.), di cui era dirigente l'imputato A.F., rispetto alle attività svolte dall'Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione dell'Ambiente (A.R.P.A.), con riguardo al «Villaggio Artigiani - Foggia» ove l'Agenzia stava svolgendo degli accertamenti la cui effettuazione era stata per prassi comunicata allo S.P.E.S.A.L., tanto che la relativa comunicazione era stata assegnata per l'archiviazione alla E.A. che, in violazione dei compiti del servizio, pretendeva invece di svolgere accertamenti, sicché la Corte avrebbe dovuto rilevare l'insussistenza di qualunque illegittima condotta da parte dell'imputato, con riguardo all'ordine impartito alla E.A. di astenersi da qualunque attività (secondo motivo);
4.3. all'inesistenza dell'utilità prevista dall'articolo 317 cod. pen. (terzo motivo);
4.4. all'insussistenza del reato di cui all'articolo 326 cod. pen., come ampiamente argomentato nei motivi di appello che, però, non sono stati esaminati, essendosi arrestata la Corte territoriale di fronte alla declaratoria di prescrizione da parte del giudice di primo grado (quarto motivo).
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso di V.DT. è fondato e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio quanto alle statuizioni civili, che vanno revocate. E', invece, inammissibile il ricorso di A.F. per le ragioni di seguito indicate.
2. V.DT. nei motivi di appello chiedeva in principalità l'assoluzione dal reato di cui all'art. 317 cod. pen. e, in subordine, articolava una censura sul trattamento sanzionatorio.
Nell'udienza di appello l'imputato rinunciava alla prescrizione con specifico riferimento all'ipotesi di reato contestatagli.
Il giudice di appello, dopo avere proceduto alla riqualificazione del reato di tentata concussione in quello di minaccia, ha calcolato la data di prescrizione determinandola nel marzo 2013, e cioè in epoca anteriore alla sentenza di primo grado (2 aprile 2015). Ha, quindi, pronunciato sentenza di non doversi procedere per prescrizione in ordine al reato di minaccia, così riqualificata l'originaria imputazione, posto che la rinuncia alla prescrizione valeva solo per il reato contestato (cioè quello di concussione) e non anche per il reato così come riqualificato.
E' fondato il ricorso presentato nell'interesse di V.DT., poiché la Corte d'appello doveva fare applicazione del costante orientamento di legittimità secondo il quale «il giudice di appello, laddove, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, accerti che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, deve contestualmente revocare le statuizioni civili in essa contenute» (Sez. 3, n. 15245 del 10/03/2015, P.C. e C in proc. C e altri, Rv. 263018).
2.1. All'accoglimento del ricorso consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione alle statuizioni civili, disposte dal primo giudice e confermate dalla Corte d'appello, che vanno revocate.
3. È inammissibile il primo motivo di ricorso presentato nell'interesse di A.F., concernente l'attendibilità della E.A., poiché generico e assertivo.
Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito, infatti, la teste - parte civile E.A. è stata riconosciuta attendibile, sia perché non portatrice di astio o vendetta nei confronti dell'imputato, sia perché è emerso, piuttosto, che era quest'ultimo (insieme agli altri componenti dello S.P.E.S.A.L.) a portare grave inimicizia alla prima, come è stata desunto dalle intercettazioni eseguite nei confronti degli imputati. 
3.1. Il ricorso, che non si confronta con tali specifiche risultanze è, peraltro, manifestamente infondato laddove afferma, contrariamente al vero, che l'imputato è stato assolto dalle restanti imputazioni a causa della inattendibilità della E.A..
L'imputato, in verità, è stato prosciolto dalle altre imputazioni sia in ragione della prescrizione, sia in ragione dell'insussistenza del fatto dal punto di vista della condotta materiale, sia per la mancanza di dolo, ma comunque In nessun caso per la Inattendibilità della principale accusatrice.
4. Il secondo motivo di ricorso di A.F. è manifestamente infondato.
Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito è stato accertato che lo S.P.E.S.A.L. venne formalmente attivato dall'A.R.P.A., tramite un fax inviato dal dott. C., che stava effettuando verifiche ambientali relative alla presenza di amianto presso il «Villaggio - Artigiani», allo scopo di avviare una analoga attività ispettiva relativa alla protezione dei lavoratori rientrante nella competenza del Servizio (legge n. 626/94), tanto che il dott. M., ricevuta la richiesta, incaricò la E.A. di procedere nel senso richiesto, come la stessa si apprestava a fare, salvo esserne impedita dall'intervento dell'imputato A.F., responsabile dello S.P.E.S.A.L. che l'aveva minacciata di toglierle l'incarico se avesse svolto gli accertamenti. Anche quando risultava la positività ad amianto veniva reiterata la minaccia da parte dell'imputato.
D'altra parte, non essendo contestata l'esistenza del vincolo gerarchico tra A.F. e E.A., i giudici di merito hanno correttamente applicato il costante principio di diritto espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale «nel reato di concussione il soggetto passivo è individuabile in un altro pubblico ufficiale il quale può venirsi a trovare rispetto all'agente in posizione di inferiorità psichica soprattutto se si verte nell'ambito di un rapporto gerarchico; logicamente è necessario che il soggetto attivo operi per fini estranei alla pubblica amministrazione e, abusando della propria posizione di supremazia, persegua scopo di carattere personale, sia diretto che indiretto» (Sez. 6, n. 1894 del 09/01/1997, P.M. e Raimondo N., Rv. 207522).
La Corte d'appello ha, altresì, evidenziato la gravità della minaccia e la condizione di grave sudditanza psicologica nella quale era stata posta la E.A. la quale era costantemente ostracizzata, esclusa, minacciata e ostacolata solo perché, come è emerso dalle intercettazioni, si palesava, secondo gli imputati, troppo rigida e scarsamente disponibile verso le aziende sottoposte al controllo dello S.P.E.S.A.L..
5. Il terzo motivo che denuncia l'assenza dell' utilità prevista dall'articolo 317 cod. pen. è manifestamente infondato.
5.1. Deve rilevarsi che questa Suprema Corte ormai da tempo ha affermato che, ai fini della configurabilità del delitto di concussione, l'espressione "altra utilità" di cui all'art. 317 cod. pen., ricomprende qualsiasi bene che costituisca per il pubblico ufficiale (o per un terzo) un vantaggio, non necessariamente economico, ma comunque giuridicamente apprezzabile (Sez. 6, n. del 9/01/1997, Raimondo).
Si è, inoltre, costantemente affermato che «ai fini della configurabilità del delitto di concussione, è irrilevante che il soggetto passivo sia costretto o indotto a procurare l'utilità indebita al pubblico ufficiale attraverso un "facere" o un "non facere" (Sez. 6, n. 48764 del 06/12/2011, Pmt in proc. Leone, Rv. 251570), sicché, la condotta posta in essere da A.F. in danno della E.A. rientra, come correttamente evidenziato dalla Corte di appello, nello schema legale tipico della concussione, essendo la vittima (pubblico ufficiale) stata costretta ad omettere un comportamento, peraltro, doveroso dal quale poteva derivare una utilità per le imprese che non erano sottoposte alle verifiche in tema di sicurezza sul lavoro.
5.2. Correttamente articolata e sorretta da congrua logica espositiva, secondo un percorso che non segnala deficienze o contraddizioni, è poi la motivazione spesa nelle sentenze di primo e secondo grado nella parte in cui si sottolinea che, essendo risultata la presenza di amianto presso la ditta titolare dei capannoni di Villaggio Artigiani, l'imputato, impedendo alla sua sottoposta di fare accertamenti, volesse fare conseguire alla predetta ditta l'utilità derivante dall'omesso controllo che avrebbe sicuramente comportato l'accertamento di violazioni alla normativa antinfortunistica.
6. È inammissibile il quarto motivo di ricorso presentato nell'interesse di A.F., che contesta la mancata assoluzione nel merito dal delitto di divulgazione di segreto per il quale il giudice di primo grado aveva dichiarato la prescrizione.
6.1. Sussiste, in effetti, l'interesse all'impugnazione, dovendosi fare riferimento all'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale è configurabile l'interesse ad impugnare dell'imputato nel caso in cui sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per prescrizione, ex art. 129, comma primo, cod. proc. pen., considerato che detto interesse sussiste qualora dalla modifica del provvedimento impugnato - da intendere nella sua lata accezione, comprensiva anche della motivazione - possa derivare l'eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame.
Pertanto, detta modifica rileva non solo quando l’imputato si ripromette, attraverso l'impugnazione, di conseguire effetti penali più vantaggiosi come l'assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio, ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelli che l'ordinamento rispettivamente fa derivare dall'efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (art. 651 e 652 cod. proc. pen.), e dal giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654 cod. proc. pen.)» (Sez. 5, n. 24300 del 19/03/2015, Migliaccio e altri, Rv. 263907).
6.2. Il motivo di ricorso è inammissibile perché era originariamente inammissibile il motivo di appello, che, come puntualmente dichiarato dal giudice di secondo grado, non chiariva le ragioni poste a fondamento dell'impugnazione, contestando solo genericamente l'inconsistenza del panorama probatorio.
7. Il ricorso di A.F. deve, quindi, essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del predetto al pagamento delle spese processuali.
In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
A.F. deve, inoltre, essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile E.A. Eugenia, che vanno liquidate in euro 3.500,00 oltre a spese generali in misura del 15%, IVA e CPA.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di V.DT. Vincenzo quanto alle statuizioni civili, che revoca.
Dichiara inammissibile il ricorso di A.F. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile E.A. Eugenia, che liquida in 3.500 euro, oltre a spese generali in misura del 15%, IVA e CPA.
Così deciso il 13 luglio 2018