Cassazione Penale, Sez. 3, 08 novembre 2018, n. 50643 - Violazioni in materia di sicurezza. Ricorso inammissibile


 

 

Presidente: SAVANI PIERO Relatore: CERRONI CLAUDIO Data Udienza: 13/09/2018

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 13 gennaio 2016 il Tribunale di Messina ha condannato S.L. alla pena di euro 12.000 di ammenda per i reati di cui agli artt. 81 capoverso cod. pen., 122, comma 1, 18, comma 1, lett. c), 36 e 37, comma 1, 80, comma 3, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto appello, poi convertito in ricorso per cassazione dalla Corte peloritana e qui trasmesso, articolato su tre motivi di impugnazione. 
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha sostenuto che in modo incomprensibile il Tribunale di Messina lo aveva ritenuto responsabile delle contravvenzioni, omettendo di spiegare perché le prove fossero tali da non consentire pronuncia diversa dalla condanna. Né sussisteva elemento soggettivo della contravvenzione.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha lamentato la mancata ammissione all'oblazione, richiesta ripetutamente formulata e riproposta.
2.3. Col terzo motivo il ricorrente ha censurato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, senza che in proposito il primo Giudice avesse motivato alcunché, non essendo sufficiente il riferimento alla congruità della pena.
3. Il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
 

 

Diritto

 


4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Il primo Giudice era invero pervenuto ad un giudizio di penale responsabilità assumendo che l'odierno ricorrente, tratto a giudizio per rispondere di molteplici contravvenzioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, aveva infine sanato le violazioni contestate, omettendo peraltro di provvedere al pagamento previsto dall'art. 21, comma 2, del d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, benché fosse stato regolarmente notiziato al riguardo.
In proposito va solamente ricordato, data la struttura del provvedimento, che gli artt. 20 e segg. del d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, in tema di "Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro", prevedono, per quanto di rilievo, che "Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza ... impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario (art. 20 comma 1)...; Resta fermo l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale (art. 20 comma 4). Del pari "1. Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione. 2. Quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento alla prescrizione, nonché l'eventuale pagamento della predetta somma. 3.
Quando risulta l'inadempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione" (art. 21). In ragione di ciò, "1. Il procedimento per la contravvenzione è sospeso dal momento dell'Iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 del codice di procedura penale fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all'art. 21, commi 2 e 3" (art. 23 comma 1), mentre "3. La sospensione del procedimento non preclude la richiesta di archiviazione. Non impedisce, inoltre, l'assunzione delle prove con incidente probatorio, né gli atti urgenti di indagine preliminare, né il sequestro preventivo ai sensi degli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale" (art. 23 comma 3). E' previsto infine che "1. La contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'art. 21, comma 2. 2. Il pubblico ministero richiede l'archiviazione se la contravvenzione è estinta ai sensi del comma 1.
3. L'adempimento in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell'art. 20, comma 1, ovvero l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall'organo di vigilanza, sono valutate ai fini dell'applicazione dell'art. 162-bis del codice penale. In tal caso, la somma da versare è ridotta al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa" (art. 24).
4.2. Ciò posto, il ricorrente ha lamentato la mancata assoluzione ed il difetto di motivazione al riguardo, l'insussistenza dell'elemento soggettivo della contravvenzione e l'omessa indagine in proposito da parte del Tribunale di Messina, la mancata ammissione all'oblazione - istanza che veniva riproposta - e l'omessa spiegazione di detto rigetto, infine il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e il conseguente mancato adeguamento della pena al fatto.
4.2.1. Va invero osservato che, in realtà, il ricorso non si confronta in alcun modo col provvedimento impugnato.
Nulla viene detto infatti sul mancato pagamento dell'oblazione analiticamente prevista, quanto a modalità procedimentali e sostanziali, dalla legge speciale (v. supra); nulla ancor prima è allegato in ordine all'intervenuta sanatoria delle violazioni, invero in tal modo riconosciute, di cui al verbale redatto dall'Ispettorato del lavoro; nulla è osservato quanto al già avvenuto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, invero espressamente concesse come si evince dall'ultimo capoverso della motivazione del provvedimento impugnato, che per il resto si richiama all'operata valutazione a norma dell'art. 133 cod. pen.. Tra l'altro, contrariamente ai rilievi formulati nell'impugnazione (comunque proposta quale appello, e convertita dalla Corte di Appello di Messina stante la condanna alla sola ammenda), il Tribunale aveva motivatamente disatteso la domanda di oblazione siccome proposta, ed anche al riguardo nulla è stato specificamente dedotto dall'odierna parte ricorrente (in ogni caso la richiesta era stata formulata a norma dell'art. 162 cod. pen., laddove al contrario i reati contestati sono puniti con pena alternativa).
Né in questa sede, a tutto concedere, può essere riproposta detta istanza, atteso che per l'applicazione dell'art. 162-bis cod. pen. è necessario svolgere l'accertamento circa la sussistenza delle molteplici condizioni stabilite dalla norma, demandato soltanto al giudice di merito (cfr. Sez. 3, n. 10218 del 22/10/1996, Casino, Rv. 206736).
4.2.2. I motivi prospettano così deduzioni generiche e, soprattutto, del tutto scollegate col percorso motivazionale e quindi con i contenuti della sentenza impugnata (cfr. ad es. la censura relativa alla mancata concessione delle attenuanti generiche, invece espressamente riconosciute), in quanto non si confrontano specificamente con le argomentazioni ivi svolte (confronto doveroso per l'ammissibilità dell'impugnazione, ex art. 581 cod. proc. pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso) (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita e altri, Rv. 244181).
La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di a-specificità, tale da condurre, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), cod. proc. pen., all'inammissibilità (Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473; da ult. Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
5. La manifesta infondatezza dell'impugnazione non può che condurre quindi all'inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 13/09/2018