Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 novembre 2018, n. 29401 - Risarcimento per la malattia professionale di mesotelioma pleurico
Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: CURCIO LAURA Data pubblicazione: 15/11/2018
Fatto
l) Con sentenza del 16.7.2013 la Corte d'Appello di Milano ha respinto il gravame di Ansaldo Energia spa avverso la sentenza del Tribunale di Milano che, accogliendo in parte le domande di E.B., ha accertato la responsabilità della Breda spa, poi incorporata nel gruppo Ansaldo Energia spa, di cui il E.B. era stato dipendente, dal 1965 come impiegato e poi sino al 1995 come dirigente, nella causazione della malattia professionale di mesotelioma pleurico, condannandola al risarcimento del danno biologico, per il resto respingendo la domanda.
2) La corte territoriale ha ritenuto infondato l'appello principale con riferimento all'eccezione di ìmproponibilità della domanda per intervenuta conciliazione transattiva, sottoscritta nel 1995 in sede sindacale ed in epoca largamente anteriore rispetto alla diagnosi della malattia; ha escluso il difetto di legittimazione passiva ex art. 13 Dlgs n.38/2000 per il risarcimento del danno biologico, stante la copertura assicurativa, trattandosi di danno ben superiore a quello indennizzato dall'istituto assicuratore ed essendo stata detratta la rendita Inail dall'importo liquidato.
3) Quanto al rapporto di causalità tra l'esposizione all'ambiente e la responsabilità dell'Ansaldo, la corte milanese ha ritenuto che l'istruttoria svolta nel giudizio di primo grado attraverso la CTU e anche attraverso testimonianze raccolte in altri giudizi relativi sempre allo stesso ambiente di lavoro, le quali avevano posto in evidenza l'insufficienza del mezzi di protezione resi obbligatori per la presenza di polveri prodotte dalle lavorazioni, la cui dannosità era emersa nel tempo, avesse consentito dì ritenere soddisfatto l'onere probatorio del E.B. circa la relazione causale tra la sua attività lavorativa e le condizioni espositive ambientali dirette ed indirette, essendo egli stato a stretto contatto con le specifiche lavorazioni che utilizzavano coibentazioni in amianto, in particolare quando presenziava a specifiche lavorazioni.
4) Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Alsaldo Energia spa affidato a quattro motivi, a cui ha resistito il E.B. con contro ricorso, atti poi illustrati da memorie ex art.378 c.p.c.
Diritto
5) I motivi di ricorso hanno riguardato: A)la violazione dell'art.13 dlgs n.38/2000 e del'art.10 DPR 1124/65, per avere la corte territoriale omesso di procedere all'accertamento del fatto-reato commesso da Ansaldo ai fini dell'esonero dalla responsabilità civile, non avendo il E.B. assolto gli oneri di allegazione e prova della responsabilità datoriale in termini di configurabilità di reato perseguibile d'ufficio; 2A) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2113, 1362 c.c., 401,411 c.p.c. in relazione all'art.360 c.l.n.3 c.p.c. per avere la corte di merito erroneamente escluso l'eccezione di improponibilità dell'azione per intervenuta conciliazione giudiziale sottoscritta in sede sindacale nel 1995 e dunque non soggetta alle limitazioni di cui all'art.2113 c.p.c. in punto di non negoziazione dì diritto inderogabili ;3A)la violazione degli artt. 2087,1218, 2697c.c. e 21 del dpr 303/1956, dell'art. 115c.p.c., per avere la corte omesso una valutazione della legislazione anche comunitaria in materia di j amianto e della sua pericolosità con riguardo alla patologia tumorale del mesotelìoma derivante da inalazione di amianto e per non aver tenuto conto della funzione della norma di chiusura di cui all'art.2087 c.c. e della conoscenza già negli anni 70 della sua mortale nocività; 4A) la violazione degli artt.40 e 41 c.p., oltre che dell'art.1223 c.c. , in relazione all'art.360 c.l.n.3 c.p.c.: avrebbe errato la corte nel non considerare la mancanza di prova sia con riferimento alla circostanza che E.B. avesse Inalato le fibre di amianto, poi mortali, a causa esclusivamente della condotta inadempiente di Ansaldo, consapevolmente diretta a non apprestare le misure antinfortunistiche idonee a prevenire l'insorgere della malattia, sia con riferimento al fatto che le misure imposte dalla legislazione vigente all'epoca del contatto da parte del dipendente E.B. con le fibre dì amianto causative del mesotelioma, fossero già sufficienti a prevenire l'insorgere della malattia.
6) Il primo motivo è infondato. Come già rilevato da questa corte, ( Cfr Cass. n. 8204/2003 e Cass. n. 20142/2010 ) "l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dall'art. 10 del d.P.R. n.1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano casualmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087 cod. civ., che come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, dì adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato". Ed infatti, a seguito della sentenza della corte costituzionale n.118/1986, il giudice ha la facoltà di accertare il fatto reato , da cui discende l'obbligo risarcitorio del datore di lavoro, anche in essenza della promozione dell'azione penale.
7) E tale principio vale altresì con riferimento c.d. danno biologico differenziale che va liquidato oltre l'importo relativo alla rendita INAIL, prevista dall'art. 13 del D.Lgs n. 38/2000.
8) La corte di merito ha congruamente motivato in ordine alla sussistenza di un inadempimento e di una colpa della datrice di lavoro, quindi di una responsabilità ex art.2087 c.c. della società Ansaldo, desunta dall'istruttoria svolta in primo grado, sia attraverso l'acquisizione di testimonianze rese sia pure in altri processi analoghi, ma pur sempre dai testi indicati anche nel presente giudizio, sia dalle risultanze della CTU medico legale, in termini di relazione causale tra la malattia contratta dal E.B. e l'ambiente lavorativo, per la presenza di polveri di amianto sprigionatesi a causa delle modalità di lavorazioni effettuate nei locali dove il dipendente si recava per il suo lavoro.
riguardare diritti non ancora entrati nel patrimonio del prestatore di lavoro (Cfr Cass. n.18405/2011) e legati ad eventi addirittura futuri ed eventuali, come nel caso di specie. In tal caso, nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati, la preventiva disposizione può determinare la nullità di tale atto dispositivo, poiché esso potrebbe essere diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata dalle norme di legge o di contratto collettivo (Cfr Cass. n. 12561/2006 ).
9) E' infondato anche il secondo motivo. La corte di merito ha correttamente precisato che la conciliazione ha valore solo con riferimento ai fattori conoscibili all'atto della conclusione dell'accordo conciliativo, essendo precluse dall' accordo transattivo le situazioni prive del requisito dell'attualità. Ed infatti una rinuncia preventiva a diritti futuri od eventuali è nulla, riferendosi l'art.2113 c.c. a diritti già presentì o comunque ben individuati, dovendosi escludere che la conciliazione possa riguardare diritti non ancora entrati nel patrimonio del prestatore di lavoro (Cfr Cass. n.18405/2011) e legati ad eventi addirittura futuri ed eventuali, come nel caso di specie. In tal caso, nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati, la preventiva
disposizione può determinare la nullità di tale atto dispositivo, poiché esso potrebbe essere diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da
quella fissata dalle norme di legge o di contratto collettivo (Cfr Cass. n. 12561/2006) .
10) Inammissibile deve ritenersi il terzo motivo di ricorso perché, dopo aver premesso un ampio quanto non particolarmente necessario excursus di tutta la normativa , anche europea, in tema di rischi connessi con una esposizione all'amianto nel luogo di lavoro, più che denunciare una non corretta interpretazione delle norme di legge regolatrici della fattispecie esaminata, detto motivo si risolve in un riesame del merito delle questioni oggetto di causa, che censura quello effettuato dalla corte distrettuale. La ricorrente infatti ha riprodotto in ricorso buona parte delle deposizioni testimoniali, riesaminandola e finendo per lamentare come l'iter logico motivazionale della sentenza impugnata non avesse "fornito alcun supporto obiettivo in ordine alla ritenuta esposizione continuativa del E.B. a rilevanti quantitativi di polveri di amianto
11) Peraltro tali censure, lungi dall'avere ad oggetto la violazione delle norme di legge come indicato in rubrica, attengono all'iter motivazionale della sentenza impugnata e dunque si profilano viepiù inammissibili alla luce della nuova formulazione dell'art.360 c.l.n.5 c.p.c. , che preclude oramai una critica abbia ad oggetto aspetti motivazionali.
12) Infine per analoga ragione deve ritenersi inammissibile anche il quarto motivo, che egualmente finisce per censurare, sia pure sotto il diverso aspetto dell'esame delle concause e della causa efficiente secondo il principio della causalità materiale di cui agli artt. 40 e 41 c.p.c. , quanto motivato dalla corte distrettuale (anche sulla base della CTU d'ufficio esperita nel primo grado di giudizio ) in relazione alla presenza del dirigente E.B. nei reparti produttivi per controllare specifiche lavorazioni, posizionandosi a stretto contatto con tali lavorazioni e così inalando l'amianto sprigionato dalle coibentazioni utilizzate in tali lavorazioni. Ed infatti la valutazione dei fatti, compiuta dalla sentenza impugnata, non è suscettibile di essere sindacata in questa sede.
13) Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, cui va aggiunto il pagamento del contributo previsto dall'art.13 quater del DPR n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art.13 comma 1 quater DPR n.115/2002 , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso , a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 .
Roma , 10 maggio 2018