Cassazione Penale, Sez. 5, 12 dicembre 2018, n. 55793 - Delega di funzione
Presidente: FUMO MAURIZIO Relatore: SETTEMBRE ANTONIO Data Udienza: 27/09/2018
Fatto
1. M.L. è stato condannato in primo e secondo grado per la distrazione di somme - nell'ordine di centinaia di milioni di lire - appartenenti alla B.R.A. srl e alla S.A.K. srl, dichiarate fallite il 29 maggio 2002. Tali condotte l'imputato avrebbe tenuto nella qualità di amministratore di fatto delle società suddette.
Gli è stata contestata l'aggravante dell'art. 219, comma 1, legge fall..
2. Contro la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, lamentando e deducendo:
a) la prescrizione del reato intervenuta - a suo giudizio - prima della sentenza d'appello, dovendo ritenersi applicabile - sostiene - la disciplina della prescrizione anteriore alla legge 251 del 2005;
b) la violazione dell'art. 16 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, che consente la delega delle funzioni a soggetti dotati dei necessari requisiti di professionalità. Il M.L., invece, per le sue limitate competenze tecniche, "non poteva essere in grado di valutare e comprendere il significato delle operazioni di conto corrente bancario che doveva effettuare in virtù della delega ad operare" (pag. 7). Peraltro, la delega a lui conferita non riguardava i poteri di amministrazione, ma solo le movimentazioni bancarie necessarie all'acquisto della carne. Infatti, era l'organo amministrativo che contrattava con i fornitori e decideva le modalità dell'acquisto;
c) la violazione e falsa applicazione degli artt. 216 e 223 della legge fall., per essere stata riconosciuta in capo a M.L. la qualifica di amministratore di fatto in assenza di significativi atti di gestione da lui compiuti con continuità.
Diritto
Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Si applica, nella specie, la legge più favorevole all'Imputato, essendo il reato stato commesso il 29 maggio 2002 ed essendo intervenuta nel 2013 la sentenza di primo grado. La legge più favorevole è, nella specie, quella antecedente alla legge 251/2005, che consente di bilanciare le circostanze aggravanti - anche quelle ad effetto speciale - con quelle attenuanti (concesse, nella specie, all'imputato). Pertanto, il reato di bancarotta fraudolenta si prescrive in 15 anni (10 anni, aumentati della metà, e non già di un quarto, come erroneamente ritenuto dal ricorrente, per effetto delle interruzioni intervenute). Di conseguenza, il reato non era prescritto al momento della pronuncia della sentenza d'appello, intervenuta il 2/2/2017.
2. I motivi relativi alla responsabilità sono inammissibili per eccentricità e per manifesta infondatezza.
La responsabilità dell'imputato è stata ricollegata al suo ruolo nelle società fallite (era socio della S.A.K. srl e amministratore della B.R.A. srl nel periodo in cui avvennero gli acquisti di carne). Al riguardo, fuor di luogo sono - innanzitutto - le considerazioni difensive in ordine alla natura della delega fornita all'imputato e alla sua efficacia. L'art. 16 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, richiamato dal ricorrente, si riferisce alla delega conferita, a collaboratori, dal datore di lavoro per attuare le misure necessarie alla sicurezza dei luoghi di lavoro e non ha nessuna attinenza con la "delega" concessa a M.L. dall'amministratore della BRA srl. Nella specie, si parla di delega (apparente) conferita dall'amministratore (anch'esso apparente) di società a soggetto estraneo alla compagine amministrativa, utilizzata da M.L. per portare a termine una colossale operazione truffaldina ai danni dell'erario, attuata attraverso l'interposizione fittizia delle società fallite - vere e proprie cartiere - nell'acquisto di carne all'estero, in esenzione d'imposta, e nella successiva rivendita a società italiane (le quali versavano alla venditrice UVA dovuta, che veniva indebitamente trattenuta). E' fin troppo evidente, quindi, che le "deleghe" conferite a M.L. servivano, è vero, per attuare le "movimentazioni bancarie" necessarie all'acquisto della carne, ma in funzione del fine da lui (e dai complici) avuto di mira, che era quello di sottrarre risorse al fisco. Il suo coinvolgimento nella gestione delle società fallite era, pertanto, totale, sicché priva di ogni concludenza è la contestazione - da lui operata - del ruolo (amministratore di fatto) riconosciutogli dal giudicante.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro duemila, commisurata all'effettivo grado di colpa dello stresso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 a favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 27/9/2018