Cassazione Penale, Sez. 3, 21 gennaio 2019, n. 2580 - Omessa nomina del medico competente e omessa formazione ed informazione. Mancata esibizione della documentazione


 

 

Presidente: LIBERATI GIOVANNI Relatore: SCARCELLA ALESSIO Data Udienza: 21/11/2018

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza 4.06.2018, il tribunale di Firenze dichiarava lo S. colpevole delle contravvenzioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro ascrittegli (artt. 18, co. 1 e 55, d. lgs. n. 81 del 2008; art. 37, co. 1 e 55, d. lgs. n. 81 del 2008), contestate come accertate in data 26.07.2013, e, ritenuta la continuazione tra le violazioni contestate, lo aveva condannato alla pena di 12.000,00 di ammenda.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia iscritto all'albo speciale ex art. 613, c.p.p., deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. In particolare, il ricorrente, deduce, con il primo motivo, violazione della legge processuale in relazione all'art. 195, co. 4, c.p.p. e correlato vizio di mancanza ed illogicità della motivazione sulla mancata individuazione della qualifica soggettiva dell'imputato quale datore di lavoro del proprio socio e di altri due soggetti presenti sul cantiere nonché sulle condotte omissive contestate in rubrica.
Si sostiene che il giudice avrebbe errato nel dichiarare utilizzabili le dichiarazioni dell'unico teste di p.g. sentito in dibattimento il quale avrebbe riferito de relato su quanto riferitogli dalle persone informate sui fatti, atteso che l'unica attività svolta dal teste di p.g. era consistita nel sentire i testimoni; la successiva attività di formulazione ed invio delle prescrizioni non muterebbe la questione, non avendo tali atti contenuto investigativo ma si reggono loro stesse sulle dichiarazioni delle persone informate sui fatti mai assunte in dibattimento; il giudice, peraltro, anziché attivare i poteri di cui all'art. 507, c.p.p. avrebbe operato una deduzione illogica, desumendo la sussistenza dei fatti dall'omessa esibizione dei documenti discendenti dalla condotta richiesta delle norme, confondendo peraltro il c.d. foglio di prescrizioni con le condotte omissive contestate ai capi di imputazione, accorpando le condotte sanzionate con l'oblazione amministrativa; si censura infine l'affermazione di cui alla sentenza, in cui si rimprovera l'imputato per non aver mai eccepito alla DPL il fatto che i tre soggetti non fossero il socio e due dipendenti, avendo infatti il giudice omesso qualsiasi verifica sulla sussistenza della qualifica soggettiva dell'imputato, desumendola unicamente dalle dichiarazioni del relato del teste di p.g.
2.2. In particolare, il ricorrente, deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell'art. 131 bis, c.p. e correlato vizio di mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione.
Si censura la sentenza impugnata in quanto, nonostante l'espressa richiesta presentata in sede di conclusioni all'ud. 4.06.2018 di riconoscimento della speciale causa di non punibilità, il giudice non avrebbe motivato sul punto, pur sussistendone gli elementi oggettivi e soggettivi e non ostandovi il riconoscimento della continuazione.
2.3. In particolare, il ricorrente, deduce, con il terzo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 132 e 133, c.p. e correlato vizio di mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione quanto alla determinazione della pena.
Si censura la sentenza impugnata per aver applicato la pena pecuniaria nel massimo edittale, senza indicare le ragioni del notevole discostamento dal minimo edittale previsto per le violazioni accertate e, soprattutto, in ordine alla scelta di applicare il criterio del cumulo giuridico anziché quella del cumulo materiale, atteso che la pena inflitta a titolo di aumento per la continuazione di € 6000,00, pari esattamente alla p.b., era superiore al massimo edittale fissato in € 5699,20 per il reato sub b); la sentenza quindi sarebbe censurabile sia in relazione all'art. 132 che in relazione all'art. 133, c.p. in quanto la motivazione della sentenza si risolverebbe in una mera cronologia dei fatti, priva di ogni tipo di osservazione ulteriore in ordine alle circostanze del fato o alla gravità del danno, o ancora in ordine al grado della colpa, all'intensità del dolo o alla personalità dell'imputato.
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso è complessivamente infondato e dev'essere rigettato.
4. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Ed invero, la circostanza sostenuta dalla difesa che l'unica prova fosse costituita dalle dichiarazioni del teste di p.g. sentito in dibattimento le cui dichiarazioni sarebbero inutilizzabili per aver riferito de relato su quanto riferitogli in sede di sommarie informazioni testimoniali, non ha pregio.
Orbene, è ben vero che il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato o dell'indagato ed il connesso divieto di utilizzazione si applicano alla testimonianza resa da un ispettore del lavoro su quanto a lui riferito da persona nei cui confronti siano emersi, nel corso dell'attività ispettiva, anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato e le cui dichiarazioni, ciononostante, siano state assunte in violazione delle norme poste a garanzia del diritto di difesa, atteso che il significato dell'espressione "quando...emergano indizi di reato" - contenuta nell'art.220 disp. att. cod. proc. pen. e tesa a fissare il momento a partire dal quale, nell'ipotesi di svolgimento di ispezioni o di attività di vigilanza, sorge l'obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire ai fini dell'applicazione della legge penale - deve intendersi nel senso che presupposto dell'operatività della norma sia non l'insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall'art.192 cod. proc. pen., bensì la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001 - dep. 20/12/2001, Raineri, Rv. 220291). E' tuttavia altrettanto vero che la asserita illogicità della deduzione del giudice che ha tratto la prova della sussistenza dei fatti dalla omessa esibizione dei documenti discendenti dalla condotta normativamente richiesta non sussiste; ed invero, sul punto è sufficiente rilevare che tanto la mancata nomina del medico competente (art. 18 c. 1 lett. a), D.lgs. 81/2008) quanto il mancato assolvimento degli obblighi di formazione ed informazione (art. 37 co.2, D.lgs. 81/2008 e Accordo Stato Regioni del 21.12.2011) necessitano per legge di essere documentati, donde correttamente il giudice ha tratto la prova della sussistenza dei reati ascritti dalla mancata esibizione della documentazione, nemmeno dopo la notifica del c.d. foglio di prescrizione, con cui era stata attivata la procedura prevista dal d. lgs. n. 758 del 1994.
5. Quanto alla prova della mancata sussistenza del rapporto lavorativo tra l'imputato, il socio e i due dipendenti, la doglianza difensiva secondo cui la sentenza sarebbe censurabile laddove si rimprovera l'imputato per non aver mai eccepito alla DPL il fatto che i tre soggetti non fossero il socio e due dipendenti, avendo il giudice omesso qualsiasi verifica sulla sussistenza della qualifica soggettiva dell'imputato, non ha parimenti pregio.
Ed invero, risulta che della s.n.c. Edil Tre Costruzioni di S. Ionel & c. fosse legale rappresentante l'attuale imputato e che il personale ispettivo, alla presenza dell'Imputato, aveva proceduto al controllo del personale che era impegnato in occasione del sopralluogo a lavorare, ossia il socio dello S. e due operai che si trovavano sul posto. In relazione a quanto sopra, pertanto, a prescindere da quanto dichiarato in sede di sommarie informazioni testimoniali, è del tutto evidente che delle violazioni accertate fosse tenuto a rispondere lo S. sulla cui veste di legale rappresentante della società non vi è contestazione nemmeno in ricorso. Ed infatti, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, destinatario delle normativa antinfortunistica in una impresa strutturata come persona giuridica è il suo legale rappresentante, quale persona fisica attraverso cui l'ente collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive; ne consegue che la responsabilità penale del predetto, ad eccezione delle ipotesi di valida delega, deriva dalla sua qualità di preposto alla gestione societaria ed è indipendente dallo svolgimento, o meno, di mansioni tecniche (v., in senso conforme: Sez. 3, n. 17426 del 10/03/2016 - dep. 28/04/2016, Tornassi, Rv. 267026).
Ne consegue, pertanto, che lo S., quale legale rappresentante della s.n.c., è ex lege da qualificarsi soggettivamente come datore di lavoro, donde le censure del ricorrente circa l'omessa verifica sulla sussistenza della qualifica soggettiva dell'imputato (e, quindi, della correlativa posizione di garanzia nei confronti degli altri soggetti che ivi operavano al momento del controllo degli organi di vigilanza) non hanno pregio, in quanto sarebbe spettato a quest'ultimo fornire dimostrazione del contrario, ossia che alla qualifica di legale rappresentante non si accompagnasse anche quella di datore di lavoro di coloro che erano presenti in loco (mediante, ad esempio, produzione di valida delega), discendendo infatti tale posizione di garanzia dalla sua veste di legale rappresentante della persona giuridica.
6. Il secondo motivo di ricorso è invece manifestamente infondato.
Ed infatti, quanto alla mancata applicazione dell'art. 131 bis, c.p., non è sufficiente l'espressa richiesta presentata in sede di conclusioni all'ud. 4.06.2018 di riconoscimento della speciale causa di non punibilità, ai fini di imporre al giudice un obbligo di motivazione sul punto, quand'anche sussistessero gli elementi oggettivi e soggettivi (anche in ipotesi di mancata ostatività del riconoscimento della continuazione), tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di particolare tenuità del fatto, l’art. 131-bis cod. pen. individua un limite negativo alla punibilità del fatto medesimo, la prova della cui ricorrenza è demandata all'imputato, tenuto ad allegare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l'indicazione di elementi specifici (Sez. 2, n. 32989 del 10/04/2015 - dep. 28/07/2015, Lupattelli, Rv. 264223). Elementi specifici, la cui indicazione peraltro non emerge dagli atti esaminabili da parte di questa Corte.
7. Ad analogo approdo, infine, deve pervenirsi quanto alla censura di violazione di legge in relazione agli arti. 132 e 133, c.p. ed al correlato vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena.
Ed infatti, la pena base pecuniaria è stata determinata dal giudice in misura prossima al massimo edittale, pur senza specifica indicazione delle ragioni del notevole discostamento dal minimo previsto per la violazione di cui al capo a) della rubrica. Analogamente, non vi è stata alcuna specifica indicazione delle ragioni per le quali il giudice ha deciso di applicare un aumento a titolo di continuazione pari alla stessa pena base, ossia 6000,00 € di ammenda. Sul punto, è tuttavia sufficiente ad assolvere all'onere motivazionale richiesto il mero riferimento ai criteri di cui all'art. 133, c.p. ed alla conseguente valutazione di equità della pena che ne discenderebbe, atteso che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di irrogazione del trattamento sanzionatone, quando per la violazione ascritta all'imputato sia prevista alternativamente la pena dell'arresto e quella dell'ammenda (come nel caso in esame), il giudice non è tenuto ad esporre diffusamente le ragioni in base alle quali ha applicato la misura massima della sanzione pecuniaria, perché, avendo l'imputato beneficiato di un trattamento obiettivamente più favorevole rispetto all'altra più rigorosa indicazione della norma, è sufficiente che dalla motivazione sul punto risulti la considerazione conclusiva e determinante in base a cui è stata adottata la decisione, ben potendo esaurirsi tale motivazione nell'accenno alla equità quale criterio di sintesi adeguato e sufficiente (v., in termini, Sez. 3, n. 37867 del 18/06/2015 - dep. 18/09/2015, Di Santo, Rv. 264726 che, in applicazione del principio e in fattispecie sostanzialmente identica a quella qui esaminata, ha ritenuto, in relazione ai reati di cui all'art. 159, comma secondo, lett. a), e 159, comma primo, del D.lgs. n. 81 del 2008, puniti alternativamente con sanzione detentiva e pecuniaria, adeguatamente motivata la determinazione della pena deH'ammenda, in misura prossima a quella massima, attraverso il riferimento al criterio della "conformità a giustizia").
Ciò vale del resto, anche per l'applicazione dell'aumento a titolo di continuazione sulla base del criterio del cumulo giuridico, atteso che la prevalente (e condivisa dal Collegio) giurisprudenza di questa Corte è nel senso che in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (da ultimo, in senso conforme: Sez. 3, n. 44931 del 02/12/2016 - dep. 29/09/2017, Portulesi e altri, Rv. 271787).
8. Deve, infine, precisarsi che i reati non sono estinti per prescrizione, in quanto occorre tener conto delle sospensioni del termine a seguito di rinvio dal 14.09.2016 al 13.09.2017, con la conseguente maturazione del termine massimo di prescrizione - che originariamente sarebbe maturato il 26.07.2018 - alla data del 25.07.2019.
9. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 21 novembre 2018