Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 febbraio 2019, n. 4238 - Riconoscimento della condizione di vittima del dovere per aver contratto un mesotelioma pleurico riconducibile ad esposizione all'amianto
Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 13/02/2019
Fatto
La Corte d'Appello di Genova, con sentenza 1174/2012, ha rigettato l'appello proposto da F.R. avverso la sentenza che aveva respinto la sua domanda azionata contro il Ministero dell'Interno per ottenere il riconoscimento di essere equiparato a vittima del dovere, al fine dei vari benefici previsti dalla legge, per aver contratto un mesotelioma pleurico riconducibile ad esposizione all'amianto presente nei materiali (coperte spegnifuoco, guanti, tute) che utilizzava nell'espletamento della sua attività, nonché negli isolanti all'epoca diffusissimi in case, officine, opifici vari ove aveva lavorato.
A fondamento della decisione, preliminarmente, la Corte d'Appello riconosceva la propria giurisdizione vertendosi in materia di diritto soggettivo di accesso ai benefici, rilevando altresì, che la risposta in via amministrativa, all'istanza dell'attore, in termini di impossibilità di procedere ad istruttoria dovesse ritenersi come un provvedimento di rigetto (tanto più che in essa si affermava che la patologia di F.R. non risultasse collegata ad un singolo e specifico episodio traumatico nell'espletamento dell'attività di soccorso tassativamente elencate nell'articolo 1 comma 563 legge numero 266 del 2005).
Nel merito la Corte sosteneva che la fattispecie non rientrasse nella previsione dell'articolo 1, comma 564 legge n. 266 del 2005 che, ai fini della concessione di vari benefici di carattere assistenziale, contemplava la nozione di soggetti equiparati alle vittime del dovere e descriveva i presupposti inerenti al concetto di missione (intesa come operazione autorizzata) ed alle condizioni di rischio (che dovevano integrare le particolari condizioni ambientali od operative), condizioni quest'ultime che non si riscontravano, però, nel caso di specie in cui i compiti allegati dall'appellante inerivano al lavoro tipico del vigile del fuoco ed ad una esposizione al rischio che era da considerare ordinaria e non straordinaria, come era invece necessario; e che, pertanto, neppure l'eventuale illegittimità delle condizioni di lavoro sarebbe valsa a trasformare in straordinaria.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione F.R. affidato ad un unico articolato motivo. Il Ministero dell'Interno ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale affidato a due motivi cui resisteva il F.R. con controricorso e deposito di successiva memoria.
A seguito di ordinanza interlocutoria, l'Ufficio preparatorio del procedimento per le Sezioni Unite civili, con provvedimento in data 23 luglio 2018, ha assegnato a questa Sezione lavoro la soluzione della questione di giurisdizione proposta con il ricorso incidentale, ai sensi dell'articolo 374, primo comma c.p.c.
Diritto
1. - Con un unico motivo il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 1, comma 564 I. 266/2005; art. 1, comma C. d.p.r. 243/2006), avendo la Corte d'Appello erroneamente applicato la normativa sopra indicata, dal momento che i vigili del fuoco dovevano essere considerate tanto vittime del dovere ai sensi del comma 563 dell'articolo 1, tanto soggetti equiparati alle vittime del dovere ai sensi del comma 564; mentre la Corte aveva pure equivocato sui concetti di missione e di particolari condizioni ambientali e od operative, cosi come definiti dall'articolo 1, comma c) del d.p.r. 243/06. Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, infatti, la intrinseca pericolosità dell'attività svolta non solo non è propria del concetto di missione; ma neppure è richiesta dal concetto di particolari condizioni ambientali e operative. Stante la funzione di chiusura del sistema riscontrabile nella norma del comma 564, un fattore di pericolo mortale come la generalizzata esposizione aN'amianto per i vigili del fuoco fino ai primi anni 90, non poteva essere considerato elemento ostativo al riconoscimento dei benefici; né poteva rilevare che la conoscenza in ordine alla nocività dell'esposizione fosse intervenuta successivamente all'attività di servizio, espletata dal ricorrente per 10 anni dal 1965 al 1975.
2. - Il ricorso principale è fondato.
La controversia - conformemente alla causa petendi della domanda azionata - verte sull'interpretazione del comma 564 dell'art. 1 legge n. 266/2005; non può invece farsi riferimento ai fini di identificare la regola iuris della domanda al comma 563 di cui pure si parla nel ricorso.
3. - Com'è noto, il comma 563 ed il comma 564 prevedono ambiti soggettivi diversi e condizioni differenti per il riconoscimento dei medesimi benefici assistenziali di cui si discute.
4. Il comma 563 prevede le vittime del dovere in senso stretto ovvero " I soggetti di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invalidità permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità."
5. - Il comma 564 prevede invece i soggetti "equiparati" alle vittime del dovere. La norma stabilisce: "Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative".
6. - Successivamente, in attuazione di quanto stabilito dal comma 565 dell'art. 1 della stessa legge n. 266/2005, è stato emesso, col D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, il Regolamento concernente i termini e le modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, che all'art. 1, comma 1, prevede che ai fini del presente regolamento, si intendono: a) per benefici e provvidenze le misure di sostegno e tutela previste dalle leggi 13 agosto 1980, n. 466, 20 ottobre 1990, n. 302, 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e 3 agosto 2004, n. 206; b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall'autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata a! dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto. "
7. - Sul significato da attribuire alle previsioni normative concernenti i due fondamentali presupposti relativi alla "missione di qualunque natura" e alle "particolari condizioni ambientali od operative" sono intervenute più volte le Sez. Unite di questa Corte. In particolare la sentenza n. 759/2017 ha effettuato un'approfondita e puntuale esegesi della normativa primaria e regolamentare, alla quale questo Collegio intende dare continuità.
7.1. Essa ha affermato che il concetto di "missione di qualunque natura" deve essere inteso in un senso che possa essere correlato "sia ad un'attività di particolare importanza, connotata da caratteri di straordinarietà o di specialità; sia ad un'attività che tale non sia e risulti del tutto "ordinaria" e "normale", cioè, in definitiva, rappresenti un "compito", l'espletamento di una "funzione”, di un "incarico", di una "incombenza", di un "mandato", di una "mansione", che siano dovuti dal soggetto nei quadro dell'attività espletata".
7.2. Quanto al concetto di condizioni ambientali ed operative "particolari", le Sez. Unite hanno anzitutto affermato che la disposizione regolamentare cit., la quale definisce invece "le circostanze come straordinarie" potrebbe apparire esorbitante dai limiti indicati dal comma 565 dell'art. 1 della I. 266 del 2005, che demandavano alla fonte regolamentare soltanto il compito di disciplinare "i termini e le modalità per la corresponsione delle provvidenze" e non di precisare tramite attività definitoria i concetti espressi dalla legge nel comma 564. Pertanto, secondo le stesse S.U., la formulazione del regolamento deve essere intesa nei limiti in cui non possa esorbitare dal rapporto con la legge e pertanto assegnandole un significato corrispondente a quello della legge: la quale sul punto va intesa nel senso che la condizione ambientale ed operativa 'particolare' "è quella collocantesi al di fuori del modo di svolgimento dell'attività "generale", id est "normale" in quanto corrispondente a come l'attività (in quel caso addestrativa ndr) era previsto si svolgesse".
Ai fini dell'integrazione del presupposto delle particolari condizioni di condizioni ambientali ed operative sarebbe pertanto sufficiente, secondo le SU, un'evenienza che non sia contemplata dalla previsione relativa al normale modo di svolgimento di una determinata funzione.
8. - Nel caso di specie il ricorrente rivendica le provvidenze previste dalla legge in favore dei soggetti equiparati alle vittime del dovere, assumendo - come afferma la sentenza impugnata - di aver prestato servizio dal 1965 al 1975 come vigile del fuoco e di essere affetto da un mesotelioma pleurico dovuto all'esposizione alle fibre di amianto presente nei materiali (coperte spegnifuoco, guanti, tute) che utilizzava nell'espletamento della sua attività, nonché negli isolanti all'epoca diffusissimi in case, officine, opifici vari ove aveva lavorato.
9. - Ad avviso del collegio, tenuto conto dell'evoluzione giurisprudenziale sopra richiamata e degli ulteriori sviluppi ai quali conduce il caso esaminato, deve riconoscersi che i presupposti normativi di cui alla tutela richiesta possono essere identificati anche nella fattispecie in esame dell'esposizione all'azione nociva delle fibre di amianto subita da un lavoratore appartenente alla PA.
9.1. Anzitutto va chiarito che la norma è tale da ricomprendere non solo singoli eventi lesivi di tipo traumatico, dal momento che si riferisce ad "infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso" ed adopera, quindi, una formula ampia, idonea a ricomprendere anche le malattie professionali che producono i descritti esiti.
D'altra parte, sul piano della intrinseca razionalità e del rispetto del principio di eguaglianza nessuna giustificazione potrebbe sorreggere, ai fini in esame, un trattamento sfavorevole riservato ai lavoratori che abbiano contratto malattie professionali rispetto a quelli che abbiano subito un infortunio in presenza delle altre condizioni valevoli a ricondurre entrambi gli eventi allo svolgimento dei compiti di istituto.
9.2. In secondo luogo, va affermato che, al contrario di quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, nulla osta a che il concetto di "missione di qualunque natura" e quello di "particolari condizioni ambientali od operative" possano essere riscontrati anche nello svolgimento dei compiti che afferiscono al tipico lavoro del vigile del fuoco.
9.3. Infatti, fermo restando che la ricostruzione concreta dei fatti di causa in ordine allo svolgimento dell'attività in oggetto ed al nesso di causa con la malattia professionale allegata appartiene all'ambito della valutazione demandata al giudice di merito, va affermato - anzitutto- che la continuativa o frequente condizione di esposizione di un lavoratore ad una sostanza pericolosa e nociva (avvenuta nei fatti) non vale a rendere la stessa situazione come normale condizione operativa (di diritto); senza che il giudice si faccia carico di verificare, in primo luogo, in quali condizioni l'ordinamento prevedeva che si svolgesse la stessa attività lavorativa dal punto di vista della tutela della salute degli stessi operatori; non potendosi certamente condividere l'affermazione della Corte genovese secondo cui una condizione di illegittimità di svolgimento dell'attività di lavoro non avrebbe alcuna rilevanza, in mancanza del presupposto della straordinarietà del rischio (presupposto che non è invero richiesto, secondo quanto già detto in premessa).
9.4. In realtà, in questa ottica, va osservato che l'art. 32 della Cost. non consente che l'esercizio di una qualsiasi attività lavorativa possa svolgersi, in nessun caso (art. 35 Cost.), in condizioni di rischio tali da nuocere "normalmente" all'integrità psicofisica del lavoratore o da portare al suo "regolare" sacrificio; posto che, come riconosciuto più volte anche dalla Corte Cost. (ad es. n. 399/1996, n. 309/1999), la Costituzione considera quello alla salute un diritto fondamentale primario mai comprimibile nel suo nucleo essenziale ("protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana"). Il primato assicurato alla salute dalla normativa costituzionale è stato poi diversamente garantito dalle varie norme emanate nel corso del tempo (d.p.r. 547/55, d.p.r.303/1965, d.lgs.626/1994, ed attualmente dal fondamentale T.U. di cui al d.lgs. 81/2008) secondo la tecnica della tutela preventiva dei lavoratori nei luoghi di lavoro; la quale si ritiene soddisfatta anche quando, mediante una serie di misure, adottate secondo le concrete circostanze, il rischio esistente nella situazione di lavoro, se non eliminato del tutto, sia almeno ridotto ad una soglia talmente bassa da far ragionevolmente escludere che la salute dei lavoratori venga messa a repentaglio.
9.5. Com'è noto, l'art. 2087 c.c. individua, inoltre, il contenuto del dovere di sicurezza datoriale attraverso criteri elastici che evitano la cristallizzazione di regole cautelari ed impongono un continuo aggiornamento dei mezzi e delle misure da adottare, pur specificamente previste dalla normativa e rese eventualmente obsolete dallo sviluppo scientifico e tecnico. E' importante ricordare, a questo proposito, alcuni fondamentali decreti risalenti agli anni '50, ispirati come la norma codicistica alla logica della prevenzione (sia pure secondaria) e non a quella della monetizzazione: il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (prevenzione degli infortuni sul lavoro), il D.P.R. 7 gennaio 1955 n.164 (prevenzioni degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni); il D.P.R. 19 marzo 1965 n. 303 (recante le norme generali per l'igiene sul lavoro).
Tale legislazione ha avuto il merito di aver tradotto, già all'epoca, il principio generale dell'art.2087 c.c. in prescrizioni e misure dettate per la prevenzione di specifici rischi di infortunio o malattia, a fronte dei quali veniva richiesto: una adeguata regolamentazione delle modalità di esecuzione delle prestazioni che presentassero elementi di pericolosità; l'adozione di speciali apparati o congegni secondo le esigenze e le possibilità dell'organizzazione tecnica del lavoro; l'obbligo di informare i lavoratori sui rischi specifici derivanti dallo svolgimento delle loro mansioni e di esigere il rispetto delle disposizioni impartite; requisiti generali degli ambienti e la prescrizione di visite mediche obbligatorie preventive e periodiche per i lavoratori esposti all'azione di sostanze tossiche o comunque nocive.
10. In secondo luogo, va considerato che nella prospettiva solidaristica ed assistenziale che viene qui in rilievo, non si tratta di formulare un addebito di colpa o di accertare una responsabilità, ma di assicurare una protezione monetaria, su presupposti di parità di trattamento, a tutti soggetti considerati dalla legge, che abbiano svolto i propri compii istituzionali in condizioni di particolare rischio per la salute. Pertanto, a fini dell'integrazione del presupposto delle particolari condizioni ambientai ed operative ovvero del giudizio sull'ordinarietà o meno del rischio corso dai soggetti equiparati alle vittime del dovere qui considerati, nello svolgimento delle loro attività istituzionali - ed in specifico in relazione all'azione nociva svolta da sostanze come le fibre di amianto - la valutazione giudiziale dovrà assumere, all'occorrenza, anche una prospettiva diacronica; ed essere formulata anche ora per allora, con riferimento cioè alle maggiori conoscenze oggi disponibili ed ai più elevati standard protettivi oggi assicurati agli appartenenti alla stessa categoria lavorativa in discussione; in modo di evitare il paradosso per cui ai lavoratori che si siano ammalati per aver operato in condizioni di maggior rischio non venga corrisposta alcuna concreta provvidenza quando, per ipotesi, il modello di svolgimento di attività lavorativa allora praticato, in sé lecito ma pur assai pericoloso, non fosse tale da scongiurare il rischio di insorgenza di una determinata malattia (come ad es. il mesotelioma).
11. - Passando ora al primo motivo di ricorso incidentale, il Ministero dell'Interno deduce error in procedendo, difetto assoluto di giurisdizione in relazione all'articolo 360 n.l c.p.c. avendo la Corte d'Appello erroneamente affermato che la risposta fornita in via amministrativa al ricorrente, circa l'impossibilità di aderire alla sua richiesta in mancanza di sufficiente documentazione, sarebbe da ritenere al pari di un rigetto; laddove, invece, l'amministrazione, con nota del 17 maggio 2011, non aveva inteso negare all'ex dipendente la condizione di vittima del dovere, ma non aveva potuto che limitarsi a comunicare l'impossibilità di procedere all'Istruttoria in ordine all'istanza, manifestando l'impossibilità di poter attivare l'istruttoria di rito in assenza della necessaria documentazione attestante i fatti di servizio svolti dal soggetto. A tutt'oggi nessuna documentazione era pervenuta dall'interessato, ed essa era decisiva per l'innesco del procedimento il quale deve giungere alla preliminare verifica della dipendenza da cause di servizio delle patologie sofferte; ovvero in merito alla prova del nesso di causalità. Da qui l'errore della Corte d'appello che non poteva giudicare sulla domanda difettante del presupposto dell'azione dell'interesse ad agire avverso rifiuto insussistente.
Il motivo è privo di fondamento. In primo luogo va rilevato come la censura sollevata dall'amministrazione non richiami alcuna norma di legge relativa al procedimento in questione; si sostiene un difetto assoluto di giurisdizione e/o una mancanza di interesse ad agire che non sono però giustificati sotto il profilo normativo, limitandosi l'amministrazione ad affermare che in carenza di documentazione attestante i fatti di servizio svolti dal soggetto, la risposta dell'amministrazione non poteva che essere di impossibilità di procedere all'istruttoria in ordine alla sua istanza.
Non si spiega, però, per quale motivo il richiedente non potesse agire in giudizio davanti al giudice ordinario onde chiedere tutela circa la propria pretesa ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost, ed innanzi al quale, in ipotesi, dimostrare tutti i presupposti del diritto azionato.
Non si spiega come una mancanza di documentazione, in sede amministrativa, si traduca sul terreno processuale in un difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario o in un difetto del presupposto dell'azione costituito dall'interesse ad agire; i quali integrano, piuttosto, requisiti che, in mancanza di previsioni normative speciali attinenti al rapporto con la fase amministrativa, vanno ricostruiti nel processo secondo le regole generali.
Per di più nel caso in esame il dpr 7 luglio 2006, n. 243 - recante il regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell'articolo 1, comma 565, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 - contempla all'art. 3 che le procedure di esame delle singole posizioni sono attivabili a domanda degli interessati; che le domande possono essere presentate direttamente ovvero trasmesse a mezzo posta alle amministrazioni di appartenenza delle vittime; si prevede inoltre che " le amministrazioni riceventi procedono alla definizione delle singole posizioni dei
beneficiari, con riguardo alla situazione in essere dei componenti il nucleo dei familiari superstiti, secondo l'ordine cronologico di accadimento degli eventi, a cominciare dal più remoto nel tempo e fino a tutto il 31 dicembre 2005"; senza tuttavia disporre, in alcun modo, che la stessa domanda debba essere accompagnata inderogabilmente da documentazione probatoria in sede amministrativa. L'art. 6 del dpr stabilisce, poi, che l'accertamento della dipendenza da causa di servizio, per particolari condizioni ambientali od operative di missione, delle infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegue il decesso, nei casi previsti dall'articolo 1, comma 564 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, è effettuato secondo le procedure di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461, prescindendo da eventuali termini di decadenza.
Nessuna norma del medesimo DPR prevede una declaratoria di inammissibilità o d'improcedibilità della domanda per carenza documentale.
12. - Con il secondo motivo di ricorso incidentale il Ministero dell'Interno solleva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 360 n. 1 c.p.c., atteso il carattere di specialità della nozione di vittima del dovere rispetto a quella generica del deceduto o ferito per causa di servizio; per individuare la quale costituisce elemento determinante, ma non sufficiente, la dipendenza dell'evento da un rischio specifico, intimamente connesso alla peculiare pericolosità dell'attività concretamente effettuata; onde la necessità di uno scrutinio specifico da parte dell'amministrazione il quale attinge ad ambiti di sicura discrezionalità amministrativa, anche di ordine tecnico; dovendosi individuare quello specifico elemento di rischio richiesto dalla normativa in relazione ad una valutazione discrezionale delle circostanze nelle quali si è verificato l'evento e della tipologia del servizio svolto atteso che la specificità del rischio va valutata di volta in volta nel contesto della circostanza in cui le operazioni sono svolte;
infine anche a voler identificare in un diritto soggettivo anziché in un interesse legittimo la situazione giuridica oggetto del contendere non sarebbe il giudice ordinario quello competente a giudicare sulla controversia in questione, bensì trattandosi di giurisdizione esclusiva ai sensi dell'articolo 63 del decreto legislativo numero 165/2001, quello amministrativo.
Il motivo deve essere disatteso in conformità dell'orientamento che si è consolidato in materia (Sez. Unite 10791/2017, 759/2017, 23396/20016, n. 23300/2016) e secondo cui "In relazione ai benefici di cui all'art. 1, comma 565, della l. n. 266 del 2005 in favore delle vittime del dovere, il legislatore ha configurato un diritto soggettivo, e non un interesse legittimo, in quanto, sussistendo i requisiti previsti, i soggetti di cui al comma 563 dell'art. 1 di quella legge, o i loro familiari superstiti, hanno una posizione giuridica soggettiva nei confronti di una P.A. priva di discrezionalità, sia in ordine alla decisione di erogare, o meno, le provvidenze che alla misura di esse. Tale diritto non rientra nell'ambito di quelli inerenti il rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti pubblici, potendo esso riguardare anche coloro che non abbiano con l'amministrazione un siffatto rapporto, ma abbiano in qualsiasi modo svolto un servizio, ed ha, inoltre, natura prevalentemente assistenziale, sicché la competenza a conoscerne è regolata dall'art. 442 cod. proc. civ. e la giurisdizione è del giudice ordinario, quale giudice del lavoro e dell'assistenza sociale."
Quello configurato dal legislatore è quindi un diritto soggettivo e non un interesse legittimo, in quanto, in presenza dei requisiti richiesti, i soggetti prima indicati, o i loro familiari superstiti, hanno una posizione giuridica soggettiva nei confronti di un'amministrazione pubblica priva di discrezionalità in ordine alla decisione di erogare o meno le provvidenze ed in ordine alla misura delle stesse (su questa medesima linea si sono espresse, in relazione a norme di analogo contenuto, anche Cass. 18 dicembre 2007, n. 26626 e 29 agosto 2008, n. 21927).
11. Sulla scorta delle considerazioni fin qui svolte il ricorso principale va dunque accolto, mentre va rigettato il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata in relazione al ricorso accolto e la causa rinviata alla Corte d'Appello di Genova in diversa composizione la quale, nel decidere la controversia, si atterrà ai seguenti principi di diritto 1.- Nella tutela assicurata ai soggetti equiparati alle vittime del dovere dai comma 364 dell'art. 1 legge n. 266/2005 sono ricompresi anche i lavoratori affetti da malattie professionali. 2.- Il concetto di "missione di qualunque natura" di cui al comma 364 dell'art. 1 legge n. 266/2005 va riguardato in relazione allo svolgimento dei compiti istituzionali, mentre quello di "particolari condizioni ambientali od operative" va riscontrato, in primo luogo, alla luce dei rispetto di tutte le regole dettate dall'ordinamento in relazione alla tutela della salute dei lavoratori. 3.- Nella prospettiva assistenziale solidaristica che viene in rilievo, ai fini del giudizio sull'ordinarietà o meno del rischio corso dai soggetti considerati nello svolgimento delle loro attività istituzionali, ed in specifico in relazione all'esposizione all'azione di sostanze nocive come le fibre di amianto, la valutazione giudiziale dovrà assumere, all'occorrenza, anche una prospettiva diacronica; ovvero essere formulata anche ora per allora, con riferimento cioè alle maggiori conoscenze oggi disponibili ed ai più elevati standard protettivi oggi assicurati agli appartenenti alla stessa categoria di lavoratori; allo scopo di evitare il paradosso per cui ai lavoratori che si siano ammalati per aver operato in condizioni di maggior rischio non venga corrisposta alcuna concreta provvidenza quando, per ipotesi, il modello di svolgimento dell'attività lavorativa allora praticato, pur in sé lecito ma assai pericoloso, non fosse tale da scongiurare il rischio di insorgenza di una determinata malattia professionale (come ad es. il mesotelioma)".
La Corte provvederà inoltre sulle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell'art. 385,3° comma c.p.c.
Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte dei ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale ; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte d'Appello di Genova in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 18.12.2018