Cassazione Civile, Sez. Lav., 01 giugno 2004, n. 10510 - Domanda di liquidazione dell'equo indennizzo del dipendente delle Ferrovie


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATTONE Sergio - Presidente -
Dott. MERCURIO Ettore - rel. Consigliere -
Dott. MAIORANO Francesco Antonio - Consigliere -
Dott. ROSELLI Federico - Consigliere -
Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
B.R. , elettivamente domiciliato in ROMA P.ZZA S. CROCE IN GERUSALEMME 4, presso lo studio dell'avvocato ALBERTO PUCCIARELLI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA (già FERROVIE DELLO STATO SOCIETA' DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA C.SO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell'avvocato RENATO SCOGNAMIGLIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 19232/00 del Tribunale di ROMA, depositata il 19/06/00 - R.G.N. 13686/95;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 19/09/03 dal Consigliere Dott. Ettore MERCURIO;
udito l'Avvocato PUCCIARELLI;
udito l'Avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO per delega SCOGNAMIGLIO RENATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 

 

Fatto

 


Il Pretore di Roma, con sentenza del 19 aprile 1994, rigettava la domanda proposta nei confronti delle Ferrovie dello Stato, Società di Trasporti e Servizi per azioni, con ricorso del 28 luglio 1993 dal sign. B.R., dipendente della stessa, con la qual domanda il ricorrente - deducendo di avere richiesto senza esito alla società il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di malattie da cui era affetto nonchè l'equo indennizzo e il risarcimento di danno biologico - aveva chiesto in giudizio la condanna della stessa al pagamento in suo favore delle somme di lire 31.101.998 a titolo di equo indennizzo e di lire 86.992.185 a titolo di danno biologico. Lo stesso giudice, dando applicazione all'art. 36 del D.P.R. n. 686 del 1957, riteneva inammissibile la domanda di liquidazione dell'equo indennizzo in quanto il lavoratore era incorso in decadenza per inosservanza del termine semestrale ivi previsto, essendo risultato che egli era a conoscenza da anni, prima della domanda oggetto del giudizio, delle manifestazioni patologiche e del loro presunto aggravamento. Respingeva la domanda riguardante il danno biologico, per non essere stata dedotta la sussistenza di elementi di responsabilità del datore di lavoro nella determinazione del preteso danno, causato dal normale svolgimento della attività lavorativa e delle mansioni proprie della qualifica attribuita.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 19 giugno 2000, ha rigettato l'appello del B.R. ribadendo la inammissibilità della domanda di equo indennizzo per intervenuta decadenza, con applicazione del citato art. 36 del D.P.R. n. 686 del 1957. Ha inoltre osservato - tra l'altro - che nell'ipotesi, ricorrente nella specie, in cui il deterioramento fisico consegua alle normali e inevitabili modalità di svolgimento della prestazione, si esula dal campo dell'art. 2087 c.c..
Avverso tale sentenza il B.R. ricorre per Cassazione, formulando quattro motivi di censura.
La Rete Ferroviaria Italiana società per azioni (già Ferrovie dello Stato, Società di Trasporti e Servizi per azioni) resiste con controricorso, illustrato da memoria.
 

 

Diritto

 


1. - Con il primo motivo il ricorrente B.R. denunzia "violazione e falsa applicazione delle disposizioni di legge; art. 68 DPR 10 gennaio 3/57, 686/57, 1622/83; DPR 1092/73", e censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la domanda di equo indennizzo per intervenuta decadenza deducendo che la norma dell'art. 36 del DPR n. 686 del 1957 in quanto contenuta in un regolamento d'esecuzione non poteva contrastare con le norme primarie del DPR n. 3 del 1957, e che pertanto il Tribunale era incorso nella denunziata violazione di legge per avere erroneamente escluso la natura regolamentare dello stesso art. 36 e per non averlo ritenuto, per tale ragione, disapplicabile. Aggiunge che il DPR n. 686/1957 non poteva avere forza e valore di legge in quanto emanato senza il rispetto del termine di un anno previsto dall'art. 1 della legge delega e perchè anche carente del requisito costituito dal parere della commissione parlamentare previsto dall'art. 3 della legge delega e neppure contenente nel proprio preambolo il richiamo alla stessa legge delega. Eccepisce inoltre, subordinatamente la violazione di norme della Costituzione per l'illegittimità del termine suddetto previsto dal citato art. 36.
Il motivo va disatteso, con modifica peraltro (ai sensi dell'art. 384 secondo comma c.p.c.) della motivazione in diritto della sentenza impugnata sul punto della normativa applicabile alla fattispecie, stante la conformità a diritto del dispositivo, ed essendo compito del giudice - tenuto a pronunciare "secondo diritto", ex art. 113 c.p.c. - attribuire l'esatta qualificazione giuridica alle azioni od eccezioni svolte dalle parti senza essere vincolato dalla qualificazione formale da esse prospettata, dalla quale è dunque libero di discostarsi nell'esercizio del potere-dovere di autonoma qualificazione secondo il principio "jura novit curia".
Va così rilevato che la normativa tenuta presente dai giudici di merito è riferita al personale impiegatizio civile dello Stato e non può ritenersi applicabile alla presente fattispecie che riguarda personale dipendente delle Ferrovie dello Stato il quale è oggetto, in materia, di speciale normativa legale, secondo quanto puntualizzato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza 19 dicembre 1996 n. 11395, pronunciata a composizione di contrasto giurisprudenziale formatosi in tema di equo indennizzo relativo ad impiegati ed agenti delle Ferrovie dello Stato.
Con tale decisione, cui il Collegio ritiene doversi attenere nell'individuare la normativa di legge applicabile alla fattispecie, stante l'autorevolezza dell'organo giurisdizionale e la particolare funzione regolatrice ad esso attribuita dall'ordinamento, è stato statuito che "l'art. 11 della legge 6 ottobre 1981 n. 564 ha, per la prima volta, attribuito ai ferrovieri il diritto all'equo indennizzo quale effetto (non unico) dell'infermità contratta per causa di servizio stabilendo altresì che il suddetto beneficio compete non solo in relazione alle infermità sopravvenute dopo l'entrata in vigore della legge stessa, ma anche in relazione a quelle contratte in epoca anteriore, purché dopo il 30 giugno 1956; in relazione a quest'ultima ipotesi, di natura transitoria, la richiesta di equo indennizzo deve essere presentata nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge in relazione alle infermità pregresse -ferma restando l'ammissibilità delle domande presentate prima di tale data - potendo l'interessato utilizzare il riconoscimento della causa di servizio se già avvenuto, ovvero potendo anche presentare contemporaneamente la richiesta di tale accertamento, non essendosi verificata alcuna preclusione in relazione a tale diritto; per le infermità contratte in epoca successiva la tempestività della domanda di accertamento di tale causa (secondo la disciplina fissata per gli impiegati civili dello stato) costituisce un presupposto necessario della richiesta del suddetto beneficio, la quale deve essere a sua volta presentata entro sei mesi dalla comunicazione del provvedimento che tale causa riconosce, ovvero entro sei mesi dalla data in cui si è verificata la menomazione dell'integrità fisica in conseguenza dell'infermità o della lesione già riconosciuta dipendente da causa di servizio" (cit. Cass. S.U. n. 11395/1996).
Nel dare applicazione ai principi così espressi ed alla normativa così correttamente individuata, deve rilevarsi anzitutto quanto già definitivamente accertato in punto di fatto nelle pronunce di merito, e cioè, da un lato, che le malattie lamentate dal B.R., assunto alle dipendenze delle Ferrovie nell'anno 1969, ebbero a manifestarsi (ove non preesistenti) a distanza molto breve dall'inizio del rapporto, e, dall'altro, che nessuna domanda per ottenere il riconoscimento della causa di servizio e l'equo indennizzo fu da lui presentata anteriormente alla data di entrata in vigore della citata legge 6 ottobre 1981 n. 564 e nemmeno nel termine semestrale di decadenza decorrente da tale data quale previsto dal citato art. 11 della legge 6 ottobre 1981 n. 564 (recante "norme di integrazione e modifica al trattamento normativo del personale dell'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato") qui applicabile (mentre dalle citate pronunce di merito risulta presentata nel gennaio 1983 una prima domanda di riconoscimento della causa di servizio, disattesa dalle Ferrovie con provvedimento del febbraio 1995, ed in seguito, nel settembre 1992, altra domanda di riconoscimento della causa di servizio, dell'equo indennizzo e del danno biologico, parimenti disattesa).
Poiché dunque trattasi di infermità comunque manifestatesi prima dell'entrata in vigore della detta legge n. 564 del 1981, deve ritenersi, sulla base della ora indicata normativa di legge applicabile alla fattispecie, essersi verificata la decadenza dalla domanda di equo indennizzo, decadenza - come s'è visto - dai giudici di merito del resto già dichiarata pur se in base a normativa non pertinente.
Ciò stante risultano non conferenti e superate le censure, pure svolte nel motivo in esame, riferite alle formalità di emanazione di tale ultima normativa, nella specie non applicabile, atteso oltretutto che la decadenza qui riscontrata consegue alla inosservanza di norma di legge (appunto il citato art. 11 della legge n. 564/1981) e non invece a norma di natura regolamentare.
Per quanto poi concerne i dubbi di incostituzionalità prospettati nel medesimo motivo, ove gli stessi possano ritenersi riferibili anche alla norma di legge della quale nella presente sede è stata ritenuta l'applicabilità, giova ricordare quanto al proposito già affermato da questa Corte, e cioè che la previsione del termine semestrale di cui all'art. 11 della legge n. 564/1981 "non può considerarsi in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. in quanto l'art. 11 citato, come norma primaria afferente ad una situazione pregressa e ad un diritto ormai non più azionabile nel vigore della disciplina precedente, ne ha tuttavia procrastinato in via transitoria ed eccezionale la sussistenza, legittimamente però condizionandone la validità entro brevi termini in ragione dell'effetto della reviviscenza del diritto da esso prodotto" (Cass. 10 novembre 1998 n. 11341 ).
2. - Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. per avere il Tribunale posto a carico del lavoratore l'onere di provare la tempestiva presentazione della domanda di riconoscimento della causa di servizio nel considerato termine semestrale, e sì assume che era invece onere della società dimostrare la fondatezza dell'eccezione di decadenza.
E con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 36 secondo comma del citato D.P.R. n. 686/1957 sull'assunto che il termine semestrale non operava allorquando l'Amministrazione dovesse procedere d'ufficio come nel caso in cui il dipendente fosse rimasto esposto a lavorazioni morbifiche.
Di questi due motivi va ravvisata l'inammissibilità siccome entrambi attinenti a normativa che, come prima esplicitato, non può ritenersi applicabile alla fattispecie in quanto non riferibile al personale dipendente dalle Ferrovie dello Stato (cit. Cass. S.U. n. 11395/96), e quindi perchè superati dalle considerazioni prima svolte in ordine alla decadenza riconosciuta essersi verificata nel caso in esame, non involgente la normativa oggetto dei motivi medesimi.
3. - Con il quarto motivo il B.R. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2043 c.c., ed insufficienza e contraddittorietà di motivazione su punto decisivo, per avere il Tribunale escluso una responsabilità, ai sensi di tali norme codicistiche, a carico della società datrice di lavoro, non avendo questa provveduto a spostare esso ricorrente ad altro posto di lavoro, pur consapevole che le mansioni del personale viaggiante avevano determinato i danni anatomici e funzionali a carico della colonna vertebrale e delle articolazioni e quindi le patologie da cui egli era affetto (spondiloartrosi diffusa con radicolopatie, coxartrosi, gonoartrosi). Censura l'impugnata sentenza nella parte in cui ha rilevato che il lavoratore svolgeva la sua attività in condizioni di assoluta normalità, senza considerare che il datore di lavoro, a conoscenza di una infermità del lavoratore incompatibile con le sue mansioni, deve mettere in atto le misure atte a tutelare la sua integrità, incorrendo, in caso di omissione, in responsabilità per danni.
Il motivo è privo di fondamento.
Questa Corte ha affermato, in argomento, che "dal dovere di prevenzione imposto dall'art. 2087 c.c. non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che l'evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati" (Cass. 10 maggio 2000 n. 6018). Ed ha pure precisato che "il carattere contrattuale dell'illecito e l'operatività della presunzione di colpa stabilita dall'art. 1218 c.c. non escludono che la responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c. (che non configura un caso di responsabilità oggettiva) in tanto possa essere affermata in quanto sussista una lesione del bene tutelato che derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento, imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche. Ne consegue che la verificazione del sinistro non è di per sè sola sufficiente a far scattare a carico dell'imprenditore l'onere probatorio di avere adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento: la prova liberatoria dell'imprenditore presupponendo la dimostrazione, da parte del lavoratore, sia del danno subito che del rapporto di causalità fra la mancata adozione di determinate misure di sicurezza (specifiche o generiche) e il danno predetto" (Cass. 7 agosto 1998 n. 7792).
Ribadito dunque, alla stregua di tali principi, che l'elemento costitutivo della fattispecie dell'illecito riconducibile alla previsione del citato art. 2087 c.c., - nel contempo astrattamente configurabile anche come illecito extracontrattuale ex art. 2043 c.c. -, è pur sempre rappresentato dal requisito soggettivo del dolo o della colpa, deve ritenersi che l'impugnata sentenza, uniformatasi ai principi ora enunciati, non è incorsa nella denunziata violazione di legge nè in alcun vizio motivazionale là dove ha affermato, svolgendo congrue e sufficienti considerazioni motive, che i doveri di protezione nei confronti del lavoratore, quali appunto prescritti dal detto art. 2087, non sono riferibili al caso in cui l'attività di lavoro venga espletata, come nella fattispecie, in condizioni di assoluta normalità e senza che sia violata alcuna misura di sicurezza o preventiva, e dove pure ha riscontrato, in punto di fatto, che da parte del dipendente era mancata qualsiasi sollecitazione al mutamento di mansioni e che non era possibile ravvisare un comportamento colposo della società Ferrovie nel mantenere il predetto nelle stesse sue mansioni.
4. - In conclusione per quanto sin qui detto il ricorso deve essere rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2004