Cassazione Penale, Sez. 4, 19 aprile 2019, n. 17205 - Lavoratore schiacciato dal cassero ribaltatosi a seguito dell'urto con un carrello elevatore guidato da un altro lavoratore. Intermediazione di lavoro
Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 05/02/2019
Fatto
1. La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che, concesse le generiche, ha condannato alla pena di euro 200,00 di multa, con il beneficio della non menzione, ed al risarcimento dei danni nei confronti dell'INAIL, da liquidarsi in sede civile, salva la provvisionale di euro 70.000.00, A.K. per il reato di cui all'art. 590, terzo comma, cod.pen., perché, nella sua qualità di legale rappresentante dell'omonima ditta individuale, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché per inosservanza delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro (in particolare per non aver fornito idonea ed adeguata formazione al personale in materia di sicurezza, soprattutto relativamente alla conduzione del carrello elevatore e per aver messo a disposizione dei suoi lavoratori attrezzature non conformi ai requisiti previsti dalla normativa vigente) cagionava lesioni al suo dipendente S.C., rimasto schiacciato dal cassero ribaltatosi a seguito dell'urto con il carrello elevatore condotto da un altro dipendente dell'imputato - 4 febbraio 2011. In entrambe le sentenze di merito si è riconosciuto essere l'imputato un intermediario di mano d'opera a favore della F.O. s.r.l., presso il cui stabilimento l'infortunio si è verificato.
2. Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, l'imputato deducendo 1) l'erronea applicazione dell'art. 299 del d.lgs. n. 81 del 2008 e la mancanza e contraddittorietà della motivazione, atteso che in virtù del principio di effettività non può ritenersi A.K. titolare di alcuna posizione di garanzia, in quanto egli non aveva alcun potere di ingerenza nelle mansioni svolte dai suoi dipendenti, essendo un mero intermediario di mano d'opera, come riconosciuto dalla sentenze di merito, che, quindi, sono errate e contraddittorie facendo discendere la responsabilità penale dal mero dato formale; 2) l'erronea applicazione dell'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2008, nonché la mancanza e contraddittorietà della motivazione e la violazione dell'art. 521 cod.proc.pen., in quanto l'imputato è stato qualificato dai giudici di merito preposto, senza alcuna individuazione degli elementi di fatto a cui si è collegato tale ruolo, ed è stato condannato anche quale preposto e, cioè, per un ruolo che non è stato oggetto di contestazione; 3) l'erronea applicazione dell'art. 40 cod.pen. e la mancanza e illogicità della motivazione, essendo emerso dall'istruttoria che S.C. era stato avvisato dall'altro dipendente della movimentazione del muletto e aveva, inoltre, sentito sopraggiungere tale mezzo, mentre il conducente semplicemente non l'ha avvistato, per cui né l'assenza di segnalatori luminosi ed acustici del muletto né la mancata formazione del conducente del muletto hanno avuto alcuna incidenza nella dinamica dell'infortunio.
3. In data 17 gennaio 2019 ha depositato memoria l'I.n.a.i.l. con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Diritto
1. Preliminarmente osserva il collegio che il reato per il quale l'imputato è stato tratto a giudizio deve ritenersi prescritto, trattandosi di delitto commesso il 4 febbraio 2011, la cui prescrizione è maturata, non essendovi periodi di sospensione, il 4 agosto 2018.
Al riguardo, ritenuto che l’odierno ricorso avanzato dall'imputato non appare manifestamente infondato, né risulta affetto da profili d'inammissibilità di altra natura, occorre sottolineare, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all'imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una 'constatazione', che a un atto di 'apprezzamento' e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274). E invero il concetto di 'evidenza', richiesto dal secondo comma dell'art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275). Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell'imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui 'positivamente' deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l'assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).
Ciò non è riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte - anche tenendo conto degli elementi evidenziati nella motivazione della sentenza di merito - non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo comma dell'art. 129 c.p.p.
2. Occorre, tuttavia, decidere sull'impugnazione proposta, nonostante la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, ai sensi dell'art. 578 cod.proc.pen., in quanto l'imputato è stato condannato al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile.
3. Il primo motivo è destituito di fondamento, atteso che il ruolo di intermediario di mano d'opera, riconosciuto da entrambe le sentenze all'imputato, non esclude affatto né i suoi poteri né i suoi obblighi nei confronti dei propri dipendenti e conseguentemente non incide sulla sua posizione di garanzia.
Invero va ricordato che, già dal punto di vista civile, risulta ormai abrogata la l. n. 1369 del 1960, il cui art. 1 prevedeva la nullità del contratto fra committente ed appaltatore (o intermediario) e stabiliva espressamente che i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni, comportando che solo sull'appaltante (o interponente) gravassero gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una (concorrente) responsabilità dell'appaltatore (o interposto) in virtù dell'apparenza del diritto e dell'apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi (relativamente a tale disciplina v. le Sez. U civili, n. 22910 del 26/10/2006, Rv. 592841 - 01). Tale disciplina è stata sostituita con il d.lgs. n. 276 del 2003, vigente all'epoca dei fatti, e successivamente con il d.lgs. n. 81 del 2015. Nel nuovo sistema l'intermediazione di lavoro non è vietata e il somministratore di lavoro è titolare del rapporto di lavoro con il prestatore di lavoro, alla cui tutela è, dunque, obbligato sia dal punto di vista civile sia dal punto di vista penale.
Come ha già chiarito dalla giurisprudenza penale, in presenza dì legittimo distacco, laddove siano rispettati i requisiti previsti dall'art. 30, comma 1 del d.lgs. n. 276 del 2003, la ripartizione degli obblighi di prevenzione e protezione fra il distaccante ed il distaccatario viene stabilita dall'art. 3, comma 6, d.lgs. n. 81/2008, che prevede che tutti gli obblighi di prevenzione e protezione siano a carico del distaccatario, fatto salvo l'obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato (Sez. 4, n. 31300 del 19 aprile 2013, Farinotti ed altro, Rv. 256397; Sez. 4, n. 40499 del 20 ottobre 2010, Borelli, Rv. 248861, nella parte motiva). In altre parole, sul distaccante viene a gravare solamente l'obbligo di informazione e formazione relativo alle mansioni per cui il lavoratore viene distaccato, che, peraltro, è proprio l’obbligo di cui è stata contestata la violazione all’imputato. Si è, tuttavia, chiarito, che, in caso di distacco fittizio di lavoratori, in quanto avvenuto al di fuori dei casi previsti dall’art. 30, comma 1, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (ipotizzato dai giudici di merito), gli obblighi di prevenzione e protezione, di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, gravano, ai sensi dell'art. 299 dello stesso decreto, sia sul distaccante fittizio, il quale mantiene la qualifica di datore di lavoro in senso formale a norma dell'art. 2, d.lgs. n. 81 del 2008, sia su colui presso il quale i lavoratori sono distaccati, il quale assume la qualifica di datore di lavoro di fatto, dal momento che si serve concretamente degli stessi (Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018 ud. - dep. 30/10/2018, Rv. 274042 - 02). Difatti, in caso di distacco fittizio, troveranno applicazione non l'art. 3, comma 6, citato, ma piuttosto i principi e le disposizioni generali sanciti dal d.lgs. n. 81 del 2008 - in particolare gli artt. 2 e 299. Ne deriverà, cioè, che risulteranno gravati dalla posizione di garanzia propria del datore di lavoro (in tutta la sua estensione) sia il datore di lavoro formale (il distaccante fittizio), a norma dell'art. 2, decreto citato, sia il datore dì lavoro sostanziale o di fatto (il dìstaccatario fittizio), a norma dell'art. 299, medesimo decreto. Sul distaccatario fittizio, infatti, verrà a gravare una posizione di garanzia ulteriore e concorrente rispetto a quella del datore di lavoro formale, che trova la propria origine normativa nell'art. 299, in quanto è proprio il distaccatario fittizio a servirsi di fatto del lavoratore, dovendone garantire la sicurezza.
Risultano, dunque, non pertinenti le critiche del ricorrente, il quale resta responsabile sia nell'ipotesi della liceità sia in quella della illiceità del contratto stipulato con la F. - nel primo caso, come contestato dalla pubblica accusa e come ritenuto dal giudice di primo grado, per la violazione dell'obbligo di formazione del datore di lavoro che ha cagionato l'infortunio.
3. Parimenti non merita accoglimento il secondo motivo, atteso che la qualifica di preposto "in termini sostanziali", cui fa riferimento la Corte di appello nel punto 3.3 della sentenza, non incide nell'economia del ragionamento di fatto e dì diritto e lascia inalterata sia la formulazione del capo di imputazione sia l'accertamento compiuto già dal giudice di primo grado. Come ha precisato il giudice di secondo grado l'attribuzione della qualifica di preposto è avvenuta in base ad una ricostruzione parallela, svolta al solo fine di rafforzare la motivazione.
4. La terza censura non si confronta con tutte le argomentazioni dei giudici di merito e non evidenzia, dunque, alcuna manifesta illogicità o contraddittorietà di alcune di esse. In proposito va ricordato che, in tema di motivazione della sentenza, quando essa poggi su più ragioni distinte, ciascuna delle quali sia sufficiente a giustificare la decisione adottata, le eventuali carenze logiche e giuridiche, relative ad una sola di tali ragioni, non possono determinare l'annullamento della decisione, trovando essa adeguato sostegno razionale nelle altre (ragioni) non infirmate da tale vizio (Sez. 4, n. 3864 del 4/11/1988 ud. - dep. 17/03/1989, Rv. 180783 01).
Sul punto va precisato che dalla sentenza di primo grado risulta che l'incidente è stato provocato da una serie di fattori causali, tra cui il mancato controllo del muletto, da parte del conducente, dipendente dell'imputato - dipendente che ove adeguatamente formato avrebbe manovrato con maggiore perizia il muletto, evitando l'impatto con il cassero che ha schiacciato la vittima. Tale aspetto è ribadito dal giudice di secondo grado, secondo cui "è provato .. che non fosse stata somministrata al conducente del carrello elevatore adeguata formazione in materia di sicurezza: ... non era stato attentamente spiegato e insegnato di non manovrare nei pressi di strutture non adeguatamente fissate a validi sostegni ... la causa diretta dell'infortunio fu l'urto delle forche del muletto contro il manufatto (cassero) semplicemente poggiato a terra e non sostenuto da alcunché". Il ricorrente ha omesso di prendere in considerazione tale ricostruzione del fatto e del nesso di causalità, soffermandosi esclusivamente sull'irrilevanza, nella dinamica dell'infortunio, delle difformità del mezzo e, dunque, su una serie di elementi probatori che non risultano significativi o, comunque, decisivi in ordine alla carenza di formazione, alla conseguente imperizia del dipendente posto alla guida del mezzo ed alla rilevanza causale nella verificazione dell'infortunio di tali profili.
5. In conclusione, la sentenza va annullata senza rinvio, agli effetti penali, per l'intervenuta prescrizione del reato, mentre il ricorso va rigettato agli effetti civili, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, da liquidare in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio, agli effetti penali, la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione;
rigetta il ricorso, agli effetti civili, e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese della costituita parte civile INAIL, che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 5 febbraio 2019