Cassazione Penale, Sez. 4, 08 maggio 2019, n. 19379 - Infortunio durante i lavori di sondaggio archeologico e mancanza di scarpe antinfortunistiche. Prescrizione


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 22/01/2019

 

 

 

FattoDiritto

 

1. Con sentenza del 03/10/2017, la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia del Tribunale che - dichiarato G.T. responsabile del reato di cui all'art. 590, commi 1 e 3 cod. pen., commesso il 26/06/2009 - lo ha condannato alla pena (sospesa) di mesi 3 di reclusione.
2. L'infortunio avveniva nel cantiere di via Gela della ditta C.O.M.O. s.r.l. di cui l'imputato era legale rappresentante. La persona offesa, M.R., si trovava in cantiere come archeologo incaricato dalla Sovraintendenza Archeologica di Roma per svolgere indagini preliminari di interesse archeologico nel sito di proprietà della società. Mentre si trovava sul fondo di uno scavo di 5x5 metri, profondo circa un metro, in prossimità di un muro di recinzione di cui aveva autorizzato la rimozione, veniva colpito dalla benna di un escavatore, al momento manovrato dal G.T., che lo attingeva al piede destro procurandogli lesioni personali giudicate guaribili in trenta giorni.
3. Al G.T. si rimprovera di non aver vigilato sulla sicurezza dei lavori di sondaggio archeologico, con particolare riguardo all'adozione, da parte dell'archeologo, dei DPI (nella specie, scarpe antinfortunistiche); né aveva provveduto a fornire al M.R. adeguata informazione sui rischi specifici a cui era esposto l'archeologo in relazione all'attività svolta, alle normative di sicurezza e alle disposizioni aziendali.
4. Avverso la prefata sentenza di appello, l'imputato, a mezzo del difensore interpone ricorso articolando cinque motivi.
4.1. Con il primo, deduce violazione di legge quanto alla mancata assunzione della testimonianza della persona offesa decisiva per l'esatta ricostruzione della dinamica degli eventi, in relazione all'erronea applicazione della legge penale con riguardo all'elemento psicologico della colpa specifica ex art. 43 cod. pen. Si premette che il M.R., trasferitosi all'estero, non è mai stato citato nel luogo di residenza, né mai si provvedeva alla rogatoria internazionale come previsto dall'art. 512-bis cod. pen. La Corte di appello rigettava la richiesta difensiva di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale affermandone la non necessarietà perché ritenuta certa la dinamica dell'incidente sulla base delle dichiarazioni testimoniali e della documentazione in atti.
Come pacificamente emerso in dibattimento, presso il cantiere della C.O.M.O. erano presenti le scarpe antinfortunistiche. Il teste C. riferiva addirittura che il M.R. preferiva lavorare con le normali scarpe da ginnastica in luogo di quelle previste dalla normativa antinfortunistica. Una volta sancita l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in fase di indagini, la sentenza perviene ad un giudizio di responsabilità che si fonda su deduzioni e ragionamenti apodittici. La Corte territoriale valorizza unicamente la testimonianza del M. che, però, non era presente al momento dell'ingresso del M.R. in cantiere. L'obbligo di vigilanza del datore di lavoro non può tradursi in una posizione di garanzia assistenziale. 
L'omesso controllo é escluso nell'ipotesi in cui il lavoratore ponga in essere una condotta talmente imprevedibile e rapida da impedire al datore di lavoro di poter esplicare il suo potere di vigilanza.
4.2. Con il secondo motivo, eccepisce violazione di legge sull'esclusione e/o interruzione del nesso causale, ex artt. 40 e 41 cod. pen. e in riferimento all'elemento psicologico della colpa generica ex art. 43. Il M.R. era pienamente consapevole, avendone lui autorizzato la demolizione, che il muretto all'interno del cantiere dovesse essere abbattuto. Ciò nonostante egli si collocava proprio dietro al muretto nelle more della sua demolizione. È evidente, si ribadisce, come soltanto l'escussione della persona offesa potesse rendere note le ragioni di una simile, inspiegabile, condotta. La sentenza impugnata non ha motivato sulla condotta tenuta dal M.R. e sulla eventuale insussistenza ovvero interruzione del nesso causale tra la condotta del G.T. e l'evento lesivo. La condotta dell'archeologo di porsi all'interno del cantiere collimante con la zona della demolizione, pone in essere quell'evento susseguente, connotato da eccentricità, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta e l'evento.
La carenza dell'impianto probatorio, decurtato dell'esame dell'imputato riverbera i suoi effetti anche sull'accertamento dell'elemento psicologico colposo, stante che l'imprudenza contestata non può che essere messa in relazione con la prevedibilità dell'evento. Si deve analizzare cioè se il ricorrente., postosi alla guida dell'escavatrice con la certezza che il cantiere fosse libero da persone, poteva o meno prevedere che il M.R. si mettesse nelle adiacenze di esso.
4.3. Il terzo motivo denuncia la mancanza di motivazione sulla sussistenza o meno del nesso causale tra la condotta e l'evento. La Corte di appello ha completamente omesso di spostare la sua indagine sull'esistenza dell'elemento soggettivo del reato. Il nesso causale, infatti, costituisce elemento inevitabile su cui focalizzare l'indagine per affermare la responsabilità penale.
4.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sotto il profilo della violazione di legge e della motivazione apparente. L'assunto che non ricorrano, nel caso di specie, «elementi positivamente valutabili ai fini della concessione delle attenuanti generiche» non soddisfa neppure il minimo grado motivazionale, atteggiandosi a mera clausola di stile.
4.5. Con il quinto e ultimo motivo, si eccepisce inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 135 cod. pen. e dell'art. 53 L. 689/1981 e motivazione apparente. La Corte territoriale rigettava la richiesta sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria richiamando espressamente i criteri di cui all'art. 133 cod. pen. e l'asserita entità della colpa. Proprio la dinamica dei fatti consente di addivenire ad un giudizio di lievità dell'eventuale colpa.
5. Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato il relativo termine di prescrizione.
Deve rilevarsi che il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione.
Sussistono, pertanto, i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. maturate, come nel caso di specie, successivamente rispetto all'adozione della sentenza impugnata.
È poi appena il caso di sottolineare che risulta superfluo qualsiasi approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della maturata prescrizione: invero, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, è ben noto che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U., n. 1021 del 28.11.2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511) e non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione (v. Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244275).
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in considerazione delle congrue e non illogiche valutazioni rese dalla Corte di appello nella sentenza impugnata: non emergendo, dunque, all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazione" cioè presa d'atto, la necessità di assoluzione (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244274), discende di necessità la pronunzia in dispositivo.
6. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato contestato estinto per prescrizione.
 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Così deciso il 22 gennaio 2019.