Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 maggio 2019, n. 13644 - Infortunio ad un occhio. Respinto il ricorso del lavoratore: gli occhiali erano presenti ed idonei alla funzione protettiva
Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: BLASUTTO DANIELA Data pubblicazione: 21/05/2019
Fatto
1. Il 14 luglio 2008 il dipendente della società IMES, B.L., mentre era addetto alle mansioni di forgia, nel reparto attrezzeria e stava martellando per staccare una lettera di metallo da uno stampo, veniva colpito all'occhio destro da un corpo estraneo. La domanda di risarcimento del danno avanzata lavoratore nei confronti dell'azienda datrice di lavoro veniva respinta dal Giudice del lavoro del Tribunale di Busto Arsizio e tale sentenza veniva impugnata dal lavoratore, che ribadiva la responsabilità contrattuale ex art. 2087 cod. civ. dell'appellata: a) per mancata adozione delle misure di prevenzione, con particolare riferimento all'inadeguatezza degli occhiali protettivi messi a disposizione dall'azienda, inidonei ad evitare il rischio di penetrazione dei corpi estranei nocivi; b) per mancata informazione e formazione del dipendente sui rischi connessi alle mansioni; c) per mancata adozione di altre, diverse misure di protezione.
2. La Corte di appello di Milano respingeva l'appello sulla base - in sintesi - dei seguenti argomenti:
- l'appellante aveva fatto generico richiamo alle disposizioni di legge senza individuare quale specifica disposizione sarebbe stata violata, idonea a prevenire rischi di lesione, tenuto conto che la società aveva fornito al lavoratore gli occhiali protettivi;
- dall'istruttoria era emerso che nessuno dei testi, pur lavorando in azienda, era presente al momento dell'incidente, in quanto tutti i dipendenti erano impegnati in reparti diversi o comunque in luoghi distanti rispetto al banco attrezzeria dove avvenne l'infortunio, per cui il quadro probatorio non era da ritenere certo in merito alla circostanza che il lavoratore avesse effettivamente indossato gli occhiali al momento dell'infortunio;
- l'istruttoria non aveva consentito di avvalorare la tesi secondo cui gli occhiali protettivi forniti sarebbero stati inidonei a prevenire l'evento;
- innanzitutto, dal documento di valutazione dei rischi aziendali risultava rispettata l'intera procedura relativa alla scelta, all'acquisto, alla distribuzione e all'uso di dispositivi di protezione individuale e dei rischi propri di ciascuna mansione e reparto;
- specificamente, quanto all'attività di addetto all'allestimento delle macchine di stampaggio presso il reparto forgia, al quale era in concreto adibito il ricorrente, era stato previsto il rischio di "proiezione di frammenti o particelle" connesso svolgimento della singola operazione consistente "nell'utilizzo di martello, mazza ecc. manutenzione stampi su macchina" ed era stata individuata, quale specifica misura di prevenzione, con riferimento alla tipologia di rischio lavorativo, la fornitura di occhiali, l'addestramento in fase di assunzione e la formazione periodica sui rischi legati alla mansione specifica; tra i requisiti minimi degli occhiali protettivi in questione vi era anche l'idoneità a fornire adeguata "protezione laterale"e tale requisito sussisteva nella specie;
- gli occhiali protettivi in uso presso la società risultavano conformi alla direttiva europea 89/686/EEC e soddisfacevano i requisiti richiesti dalla normativa di prodotto EN 166-199, in quanto predisposti per offrire adeguata protezione contro "impatti meccanici" di particelle o schegge di metallo;
- risultava comprovato dai documenti acquisiti al giudizio che il lavoratore aveva ricevuto l'addestramento inerente i rischi della mansione e aveva altresi partecipato a un corso di formazione riguardante tra l'altro il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale;
- a norma del d.lgs. n. 475/92, gli occhiali di protezione devono essere progettati e fabbricati in modo da non provocare rischi o altri fattori di disturbo nelle condizioni prevedibili di impiego ed ostacolare il meno possibile i gesti da compiere, le posizioni da assumere e la percezione sensoriale, dovendo rispondere a requisiti di comfort e di efficacia;
- in conclusione gli occhiali forniti dalla società risultavano adeguati a prevenire il rischio di proiezione di schegge o particelle di metallo durante un'attività;
- non era condivisibile l'assunto del lavoratore secondo cui gli occhiali forniti in dotazione avrebbero dovuto garantire una protezione "a chiusura ermetica o stagna del viso", essendo invece condivisibile l'osservazione di parte appellata secondo cui i dispositivi di protezione individuale con caratteristiche costruttive abnormi, che avvolgano eccessivamente la parte del corpo da proteggere, rischierebbero paradossalmente di ridurre il campo visivo e creerebbero sporgenze o irregolarità tali da ostacolare i movimenti e sarebbero forieri di rischi ulteriori rispetto a quelli che sarebbero destinati a prevenire;
- il dovere di prevenzione che grava sul datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ. non può giungere ad imporre l'adozione di ogni cautela possibile e innominata diretta ;
evitare qualsiasi danno, occorrendo pur sempre che l'evento sia riferibile a colpa del datore per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati.
3. Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore propone ricorso affidato a quattro motivi. Resistono con controricorso la IMES s.p.a. e Generali Italia s.p.a..
4. Hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. il ricorrente e la Generali Italia s.p.a., già INA Assitalia s.p.a., incorporante Alleanza Toro s.p.a..
Diritto
1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli articoli 1218, 1374 e 2087 cod. civ. (art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ.) in riferimento al riparto degli oneri probatori della responsabilità contrattuale per avere la sentenza dato rilevanza alla circostanza che il ricorrente non avesse fornito la prova piena di avere indossato gli occhiali protettivi nel momento dell'Infortunio, omettendo di considerare la priorità logica di stabilire se gli occhiali forniti fossero idonei a scongiurare il danno.
2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per avere la sentenza omesso di considerare che, accanto ad una colpa specifica consistente nella violazione di norme, regolamenti, ordini o discipline, esiste altresì una colpa generica, consistente nella inosservanza di quelle regole di diligenza e di prudenza idonee ad evitare o diminuire il danno rispetto alle quali pure deve conformarsi l'operato aziendale.
3. Il terzo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.). Si assume l'erroneità della valutazione di avere ritenuto che gli occhiali forniti dalla società IMES fossero idonei ad evitare incidenti, laddove alcuni testi avevano riferito che già in altre occasioni si era verificato il ferimento degli occhi con schegge fuoriuscite da materiali caldi e che per evitare tali rischi sarebbe stata necessaria una maschera a protezione integrale del viso, che però l'azienda non aveva fornito.
4. Con il quarto motivo si denuncia nullità della sentenza per omessa motivazione in relazione alla violazione del principio del contraddittorio (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.), poiché il giudice di appello non si era pronunciato sulla richiesta di ammissione dei mezzi di prova e specificamente sul rinnovo della prova testimoniale e sull'ammissione della CTU medico-legale, accertamenti finalizzati ad appurare se, al momento dell'Infortunio, il ricorrente indossasse gli occhiali protettivi della società e se essi si fossero rivelati inidonei ad impedire il danno.
5. Il primo motivo, che verte sulla presunta violazione delle regole sul riparto degli oneri probatori in tema di responsabilità ex art. 2087 cod. civ., è infondato.
5.1. Premesso che l'art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro - di natura contrattuale - va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, il lavoratore che agisca, nei confronti del datore di lavoro, per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 cod. civ..
5.2. La Corte di appello non ha invertito l'onere probatorio, in quanto, diversamente da quanto affermato in ricorso, la sentenza ha incentrato il decisum sulla conformità degli occhiali forniti dalla società alle prescrizioni di legge e alla normativa regolamentare che disciplina i mezzi di protezione individuale, nonché sulla adeguatezza del mezzo di protezione alla particolare lavorazione cui era stato adibito il lavoratore. Ha dunque ritenuto sussistente la prova dell'assenza di una colpa datoriale relativa alla inosservanza di cautele specifiche inerenti alla particolare mansione.
6. Il secondo motivo è inammissibile. La Corte di appello ha argomentato in merito alla conformità degli occhiali in dotazione (che il lavoratore aveva l'obbligo di indossare) alle prescrizioni normative e regolamentari, mentre il motivo si limita ad affermare l'inidoneità del dispositivo sulla base del solo rilievo dell'essersi verificato l'infortunio.
6.1. Per un verso, il denunciato error in iudicando non corrisponde ai canoni di cui all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.. Tale vizio, giusta il disposto dell'art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. tra le tante, Cass. n. 16862 del 2013, n. 3010 del 2012; cfr. Cass. nn. 16132, 26048, 20145 del 2005, nn. 1108, 10043, 20100, 21245 del 2006 e n. 14752 del 2007). Nel caso in esame, non risultano operate specifiche e puntuali contestazioni alla soluzione interpretativa indicata dalla Corte di appello, mediante argomentazioni esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata sarebbero errate in merito alla conformità degli occhiali in dotazione alla normativa legale e regolamentare.
7. Per altro verso, dovendosi escludere - come già detto - che la responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell'art. 2087 cod. civ. configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto detta responsabilità va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (v. ex plurimis, Cass. 29 gennaio 2013 n. 2038), l'ambito di responsabilità datoriale di cui all'art. 2087 cod. civ. non può fondarsi sul mero presupposto teorico secondo cui il verificarsi dell'evento costituisce circostanza che assurge in ogni caso ad inequivoca riprova dell'inidoneità dei mezzi in concreto apprestati dal datore di lavoro (cfr. Cass. n. 12089 del 2013; cfr. in precedenza, Cass. 15350 del 2001).
7.1. Nel caso in esame, parte ricorrente omette di considerare che le risultanze istruttorie non avevano consentito di confermare la dinamica dei fatti nel senso dalla stessa prospettato, mentre per altro verso la riscontrata conformità regolamentare degli occhiali affermata dalla Corte di appello non risulta essere stata validamente censurata. In conclusione, la responsabilità datoriale non può essere fatta derivare dalla sola circostanza che l'evento lesivo si era verificato, non potendo per ciò solo ritenersi la sussistenza della prova della inidoneità del mezzo di protezione in dotazione.
8. Il terzo motivo è inammissibile, in quanto tende ad una rivisitazione del merito e delle risultanze istruttorie. Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operata dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è precluse sede di legittimità (v., da ultimo, Cass. n. 29404 del 2017). L'esame e la valutazione dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16056 del 2016, n. 17097 del 2010). Nel caso in esame, la censura di omesso esame di un fatto decisivo si risolve, invece, in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della causa.
8.1. A ciò aggiungasi che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., come sostituito dall'art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134) qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. sent. 8053 del 2014).
9. In ogni caso, infine, la Corte di appello non ha omesso l'esame delle caratteristiche tecniche degli occhiali di protezione forniti dalla società, ma ne ha escluso l'inidoneità lamentata dal ricorrente.
10. Il quarto motivo è infondato. Non è ravvisabile alcuna violazione del principio del contraddittorio, né nullità della sentenza nel fatto che il giudice di appello non abbia dato ingresso alle istanze istruttorie richieste dalla parte ricorrente, ritenendo già acquisita la prova in ordine alla conformità del mezzo di protezione a garantire una protezione dai rischi insiti nella specifica lavorazione cui era stato adibito il ricorrente.
11. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna della parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
12. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna B.L. al pagamento delle spese, che liquida in euro 4.500,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti.
Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del commal-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2019