Cassazione Penale, Sez. 4, 23 maggio 2019, n. 22552 - Caduta mortale del dipendente comunale LSU da una scala allungabile. Responsabilità del Sindaco


 

 

 

 Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 15/05/2019

 

 

FattoDiritto

 

 

 

1. Con sentenza resa il 21 maggio 2018, la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la sentenza con la quale, In data 4 novembre 2016, il Tribunale di Cosenza aveva condannato S.M. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di omicidio colposo con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro in danno di F.R., contestato come commesso il 28 novembre 2013.
Il F.R. era dipendente L.S.U. del Comune di Cerisano, di cui il S.M. era sindaco; in tale qualità, Il giorno dell'incidente, stava eseguendo lavori di allestimento di un albero di pino quando cadeva da una scala allungabile in alluminio, procurandosi lesioni che lo traevano a morte.
Al S.M., cui viene attribuita la qualità di datore di lavoro ai sensi dell'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, si addebita di non aver provveduto a nominare un responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi e di non aver fornito al F.R. un'adeguata formazione e informazione sui rischi che costui avrebbe corso. Tali addebiti sono stati ritenuti confermati dalla Corte di merito.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il S.M., con atto articolato In un unico motivo di ricorso. Il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualità datoriale attribuitagli e alle connesse responsabilità ravvisate a suo carico: assume in particolare che il S.M. provvide a nominare l'ing. G., con appositi atti, quale responsabile dell'area tecnlco-manutentlva - LLPP Urbanistica, nonché come responsabile dei vari servizi, che lo facoltizzavano anche a porre In essere atti di gestione e organizzazione. Né é corretto l'assunto della Corte distrettuale secondo cui la qualifica di datore di lavoro non potrebbe essere attribuita a soggetto non provvisto di qualifica dirigenziale: in senso contrario militano sia l'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, sia l'art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008, in base ai quali viene riaffermata la distinzione fra responsabilità politica e responsabilità gestionale nell'ambito delle pubbliche amministrazioni.
3. Con tre atti separati, l'avv. A., patrono delle parti civili  OMISSIS, ha rassegnato conclusioni scritte. Le stesse parti civili OMISSIS hanno depositato in data 14 maggio 2019 tre memorie, di contenuto sovrapponibile, volte a chiedere che il ricorso venga dichiarato inammissibile e che comunque la sentenza impugnata venga confermata. 
4. Il ricorso é inammissibile perché tardivo. Premesso infatti che trova applicazione nel caso di specie l'art. 585 cod.proc.pen. come modificato dalla legge n. 67/2014 (applicabile nella specie, non versandosi nell'ipotesi transitoria di cui all'art. 15-bis della stessa legge, introdotto con legge n. 118/2014), deve darsi atto che la motivazione della sentenza, pronunziata il 21 maggio 2018 e depositata il successivo 10 luglio, era riservata in 90 giorni, scadenti durante il periodo di sospensione estiva, con la conseguenza che il decorso del termine per proporre ricorso avverso la stessa, in base a quanto disposto dal D.L. n. 132/2014 (convertito con modifiche nella legge 162/2014), iniziava dopo la cessazione della sospensione stessa (ossia il 1 settembre 2016); ma, poiché il ricorso é stato presentato il 25 ottobre 2016, come risulta da annotazione di cancelleria in calce alla sentenza, lo stesso deve considerarsi tardivo, essendo a tale data decorsi i 45 giorni di cui all'art. 585, comma 1, lettera C, cod.proc.pen..
5. All'Inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. A carico del ricorrente va inoltre posta la rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili OMISSIS, che vengono liquidate come da dispositivo tenuto conto dell'unicità del difensore che le assiste e dell'identica posizione processuale.
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili OMISSIS che liquida in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.