Cassazione Civile, Sez. 6, 31 maggio 2019, n. 15045 - Malattia professionale conseguenza di mobbing. Ricorso inammissibile
Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 31/05/2019
Fatto
che, con sentenza depositata il 13.6.2017, la Corte d'appello di Napoli ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di U.DN. volta a conseguire le prestazioni dovutegli dall'INAIL in relazione alla malattia professionale denunciata in conseguenza del mobbing di cui asseriva essere stato vittima sul luogo di lavoro;
che avverso tale pronuncia U.DN. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura; che l'INAIL ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio; che parte ricorrente ha depositato memoria;
Diritto
che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione del T.U. n. 1124/1965 e dell'art. 13, d.lgs. n. 38/2000, nonché del relativo decreto attuativo, con riferimento agli artt. 2103 e 2087 c.c., 99, 112, 115 e 116 c.p.c. e 1362 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che le prove testimoniali assunte in primo grado non avrebbero dimostrato la sussistenza di condotte lesive di parte datoriale ai suoi danni;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 41 c.p. e 61 c.p.c. per non avere la Corte territoriale correttamente valutato il nesso di causalità tra le condotte denunciate e la malattia professionale insortagli; che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione dell'art. 61 c.p.c. per non avere la Corte di merito fatto ricorso alla CTU per la determinazione del danno biologico;
che, con riguardo al primo motivo, è consolidato il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 13395 del 2018, 24155 del 2017, 27000 del 2016);
che, nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una presunta violazione delle disposizioni sostanziali e processuali citate nella rubrica, pretende di criticare l'accertamento di merito che la Corte territoriale ha effettuato in ordine alla (in)sussistenza di condotte datoriali persecutorie in danno dell'odierno ricorrente;
che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di disposizioni di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, atteso che in tal modo si consentirebbe la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017);
che l'inammissibilità del primo motivo determina l'assorbimento del secondo e del terzo, che logicamente presupporrebbero l'accertamento - che i giudici di merito hanno viceversa escluso - di condotte datoriali lesive della persona del ricorrente; che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d'inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 19.2.2019.