Cassazione Penale, Sez. 3, 03 giugno 2019, n. 24650 - Caduta da una soletta e mancanza di misure di sicurezza. Ricorso di un coordinatore per l'esecuzione dei lavori


 

Presidente: SARNO GIULIO Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA Data Udienza: 12/02/2019

 

 

 

Fatto

 


1. - Con ricorso ai sensi dell'art. 625 bis cod. proc. pen., Z.P. ha impugnato l'ordinanza della Corte di cassazione, sez. 4, 14 dicembre 2017, n. 3898/2018, con la quale il suo ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia il 10 febbraio 2017 era stato ritenuto inammissibile per tardività. Il ricorrente evidenzia l'esistenza di un errore di fatto, consistente nell'affermazione che il ricorso stesso fosse stato depositato il 17 maggio 2017 anziché l'11 maggio 2017, e richiede alla Corte di cassazione di adottare i provvedimenti consequenziali.
 

 

Diritto

 


2. - Deve rivelarsi che, dall'esame degli atti, emerge che effettivamente il ricorso per cassazione era stato proposto l'11 maggio 2017, mediante deposito presso la cancelleria del tribunale di Bergamo, ovvero prima della scadenza del termine per l'impugnazione, e non il 17 maggio 2017; con la conseguenza che l'errore di fatto denunciato deve essere ritenuto sussistente e con l'ulteriore conseguenza che l'ordinanza impugnata deve essere revocata.
3. - Questa Corte deve ora procedere all'adozione dei provvedimenti necessari per correggere l'errore, a norma dell'articolo 625 bis, comma 4, cod. proc. pen., ovvero all'esame del ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia erroneamente ritenuto tardivo.
Con tale sentenza era stata confermata - con la concessione all'imputato del beneficio della non menzione della condanna - la sentenza del Tribunale di Brescia del 4 novembre 2015, con la quale l'imputato stesso era stato condannato, in qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori nell'ambito di un cantiere, per il reato di cui all'art. 590, secondo e terzo comma, cod. pen., perché, in cooperazione con il legale rappresentante dell'impresa, aveva colposamente cagionato a un operaio lesioni personali conseguenti alla caduta del predetto dalla soletta ove lavorava, non avendo verificato l'applicazione, da parte dell'impresa esecutrice dei lavori, degli accorgimenti contenuti nel piano di sicurezza e coordinamento (art. 92, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 81 del 2008) e non avendo sospeso l'attività del cantiere fino all'adeguamento ai previsti requisiti di sicurezza.
3.1. - Con un primo motivo di doglianza, il ricorrente lamenta la mancata assunzione della prova decisiva rappresentata dalla testimonianza di PA., soggetto presente ai fatti e in grado di riferire: se la persona offesa avesse ricevuto specifiche istruzioni di non recarsi nella zona di lavoro di cui in cui si è verificato l'infortunio; da chi avesse effettivamente ricevuto l'istruzione di lavorare in quota anziché a terra; il momento dell'arrivo dell'imputato in cantiere rispetto al verificarsi dell'incidente. Secondo la prospettazione difensiva, nel caso in cui il teste PA. confermasse di avere detto alla persona offesa di lavorare in quota contrariamente alle indicazioni ricevute da Z.P. e di avere visto Z.P. arrivare in cantiere dopo l'incidente, verrebbe meno la colpa dell'imputato. Del resto, la non superfluità della testimonianza di PA. sarebbe dimostrata dal fatto che, all'udienza del 28 ottobre 2015, esaurita l'escussione degli altri testimoni, il giudice aveva rinviato il procedimento ad altra udienza proprio per l'esame dello stesso.
3.2. - In secondo luogo, si deduce la nullità del provvedimento con il quale il giudice aveva revocato l'ordinanza di ammissione del teste PA. senza sentire le parti e senza motivare in ordine al requisito della superfluità.
3.3. - In terzo luogo, si deduce la mancanza di motivazione sulla censura difensiva in ordine alla nullità della revoca dell'ammissione dello stesso teste PA., non avendo la Corte d'appello fornito alcuna motivazione sul punto.
3.4. - Con un quarto motivo di impugnazione, si deducono vizi della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità dell'imputato, non avendo la Corte d'appello indicato la condotta doverosa che, nel caso di specie, avrebbe impedito l'evento. Si sostiene che l'imputato, che era spesso presente sul cantiere a vigilare sulla corretta esecuzione dei lavori, non aveva motivo di dubitare della condotta del coimputato, legale rappresentante dell'Impresa. Lo stesso imputato aveva raccomandato all'impresa di coprire i vuoti, dando un termine ravvicinato entro cui provvedere, in previsione di una fase di lavorazione che presentava pericoli di caduta dall'alto. Nel giorno stesso che aveva dato come termine, e che era precedente all'inizio delle lavorazioni in quota, l'imputato si era recato in cantiere proprio per verificare l'esecuzione delle sue prescrizioni. Tale essendo la ricostruzione dei fatti secondo la difesa, la Corte d'appello avrebbe sostanzialmente configurato una responsabilità oggettiva, in ragione del ruolo di garanzia rivestito dall'imputato e non in ragione della sua condotta effettiva.
3.5. - Si contesta, poi, l'erronea applicazione dell'art. 41 cod. pen., per la mancata considerazione del fatto che la reazione abnorme e imprevedibile della persona offesa aveva eliso il nesso di causalità, perché egli aveva cominciato a svolgere lavori in quota in una fase di lavorazione in cui tali lavori non erano previsti.
3.6. - Si deduce, infine, la violazione dell'art. 131 bis cod. pen., il quale troverebbe applicazione anche in caso di lesioni gravi colpose. Si contesta la motivazione della Corte d'appello che avrebbe escluso la particolare tenuità del fatto anche in considerazione dell'elevato grado della colpa; elemento non preso in considerazione dalla disposizione quale ostacolo alla sua applicazione.
4. - Il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia del 10 febbraio 2017 è inammissibile.
4.1. - I primi tre motivi di doglianza - che possono essere trattati congiuntamente, perché attengono alla mancata audizione del teste PA., decisiva ad avviso della difesa - sono inammissibili.
La difesa non richiama, neanche a fini di critica, la motivazione della Corte d'appello sul punto, dalla quale emerge che la revoca dell'audizione del teste, disposta senza che le parti nulla opponessero riguardo, in considerazione la sua superfluità, è pienamente giustificata. Tale soggetto avrebbe dovuto, infatti, deporre su circostanze già ampiamente acclarate, ovvero circa le istruzioni che l'infortunato aveva ricevuto e le scelte lavorative di quest'ultimo, nonché circa la presenza di Z.P. in cantiere. Quanto a tali profili, dal verbale di visita sottoscritto da entrambi gli imputati, del 25 settembre 2009, emerge che gli stessi conoscevano la situazione delle protezioni e che non adottarono le cautele necessarie per la sicurezza, essendosi limitati ad un generico invito agli operai a segnalare meglio i vuoti delle armature del solaio di copertura; vuoti che esistevano proprio in conseguenza della loro prolungata negligenza. E la difesa omette altresì di considerare che l'infortunato non aveva con sé cinture di sicurezza, per le quali peraltro non erano previsti, in ogni caso, punti di ancoraggio, né aveva ricevuto alcuna formazione in merito all'esecuzione dei lavori e ai rischi per l'incolumità. Del tutto sganciate dalle risultanze processuali risultano, poi, le affermazioni difensive secondo cui la persona offesa avrebbe svolto le lavorazioni pericolose di propria iniziativa, in presenza di una condotta omissiva di entrambi gli imputati che si era protratta per più giorni e che non aveva riguardato solo la posizione del soggetto infortunato, ma più in generale la complessiva tenuta del cantiere.
4.2. - Analoghe considerazioni valgono per il quarto e il quinto motivo di impugnazione, con cui si deducono vizi della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità dell'imputato e alla pretesa reazione abnorme e imprevedibile della persona offesa che avrebbe eliso il nesso di causalità. Come già in parte anticipato, anche sotto questo profilo il ricorso si basa su una ricostruzione parziale dei fatti e sull'affermazione - puntualmente smentita dei giudici di primo e secondo grado - della diligenza dell'imputato, che la difesa argomenta sulla base della circostanza che lo stesso avrebbe assegnato all'impresa un termine entro cui provvedere alla copertura dei vuoti ai fini dell'esecuzione delle lavorazioni in quota. Né può dirsi che la Corte d'appello non abbia indicato la condotta doverosa che avrebbe impedito l'evento, perché tale condotta emerge dalla semplice lettura dell'imputazione e consiste nel diligente svolgimento del coordinamento della sicurezza e nella sua verifica in concreto. Risulta, in ogni caso, smentita dalla persona offesa l'affermazione della difesa secondo cui l'imputato avrebbe espressamente vietato lo svolgimento di lavori "in quota". Tale divieto, del resto, avrebbe potuto essere ragionevolmente garantito solo con la chiusura di una parte del cantiere, mai disposta da parte dell'imputato.
4.3. - Del pari inammissibile è la sesta censura, con cui si deduce l'erronea applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. Anche tale doglianza consiste in asserzioni del tutto sganciate dalla realtà dei fatti, che è stata correttamente ricostruita dalla Corte d'appello, nel senso della rilevante gravità degli stessi, a fronte di lesioni le cui conseguenze si sono portate nel tempo, nell'ambito di una generale mancanza dei più elementari presidi di sicurezza sul lavoro.
5. - Da quanto precede consegue che, revocata l'ordinanza di inammissibilità impugnata, l'originario ricorso per cassazione deve essere deciso nel senso dell'inammissibilità. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale deve rilevarsi che, in considerazione del tenore assolutamente generico dei motivi dell'originario ricorso, che rappresentano la pretesa sostanziale sulla quale questa Corte è chiamata a decidere, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità». Dunque, alla declaratoria dell'Inammissibilità medesima consegue, a norma delTart. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.
 

 

P.Q.M.

 


Revoca l'ordinanza della Corte di cassazione n. 3898/2018, con la quale la quarta sezione penale ha dichiarato, in data 14 dicembre 2017, inammissibile per tardività il ricorso di Z.P. e, decidendo sullo stesso, lo dichiara inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2019.