Cassazione Penale, Sez. 4, 12 giugno 2019, n. 25836 - Operaio polivalente schiacciato dal rullo compattatore. Responsabili il presidente del cda, l'amministratore delegato, il preposto e il coordinatore


 

 

 

 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: BRUNO MARIAROSARIA Data Udienza: 05/03/2019

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 29/6/2018 la Corte d'appello di Milano ha confermato la pronuncia del Tribunale di Como con cui R.E., R.A., B.M. e C.M., sono stati ritenuti responsabili dei delitto di omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in danno del lavoratore G.S.A., dipendente della impresa edile R. s.r.l. e condannati alla pena di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separato giudizio, con attribuzione di una provvisionale di euro 50.000 in favore di ciascuna di esse.
I fatti che condussero al decesso del lavoratore, come ricostruiti dai giudici di merito, possono essere così riassunti. Nel corso della realizzazione di opere di fognatura affidate dal comune di Montano Lucino alla società Selva Mercurio s.r.l. e da questa subappaltate alla R. s.r.l., si provvedeva alla copertura degli scavi dove erano state posate le tubazioni. Tale attività era compiuta mediante l'utilizzo di un rullo compattatore, alla guida del quale si trovava il G.S.A., addetto al cantiere con mansioni di "operaio polivalente". Il tratto di strada interessato dai lavori, con una pendenza del 6%, era caratterizzato dalla presenza, su un lato, da una ripida scarpata dell'altezza di circa 2,5 metri. Il G.S.A. mentre procedeva alla operazione di compattazione del terreno che richiedeva diversi passaggi, si avvicinava al ciglio della scarpata. A causa del cedimento del terreno in quel punto, il pesante automezzo si inclinava e si rovesciava ed il lavoratore, sbalzato fuori, veniva schiacciato dal suo peso.
A R.E. e R.A., nelle rispettive qualità di presidente del consiglio di amministrazione e di amministratore delegato dell'impresa edile di cui la vittima era dipendente, era contestato di avere redatto il piano operativo di sicurezza senza valutare tutti i rischi specifici relativi ai lavori di rullatura e schiacciamento del materiale riempitivo dello scavo; di non aver cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro; di non aver adottato le misure necessarie per la idonea e continua manutenzione del macchinario al fine di garantirne i requisiti di sicurezza; di non aver vigilato sull'osservanza, da parte del lavoratore, delle norme in materia di sicurezza e sull'utilizzo dei dispositivi di protezione individuali e collettivi.
A C.M., nella veste di preposto, era, invece, contestato di non aver vigilato sull'osservanza, da parte del lavoratore, degli obblighi di legge, delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza e sull'uso dei dispositivi di protezione (in particolare dell'utilizzo della cintura di sicurezza e dell'arco di protezione installati sul rullo compressore) e di non aver segnalato al datore di lavoro o al dirigente le carenze presenti sulla predetta attrezzatura di lavoro.
A B.M., in qualità di coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori, veniva contestato di non aver verificato l'idoneità dei piani operativi di sicurezza delle imprese esecutrici, assicurandone la coerenza con il piano di sicurezza e di coordinamento con particolare riferimento al rischio derivante dalla esecuzione dei lavori di "rullatura e schiacciamento" da eseguirsi con un rullo compressore che doveva operare in prossimità di una scarpata.
2. Avverso la sentenza d'appello, hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati a mezzo dei rispettivi difesori deducendo quanto segue.
2.1 R.E., nell'atto di ricorso afferma di essere unico responsabile del decesso di G.S.A. e censura la pronuncia della Corte di appello nella parte in cui non concede l'attenuante del risarcimento del danno, conferito ai congiunti del deceduto nella misura di euro 400.000,00.
2.2 R.A., nell'atto di ricorso sostiene di non avere rivestito alcuna posizione di garanzia in materia antinfortunistica, di non avere alcun potere decisionale nell'ambito della società, di non essersi mai occupato del cantiere di Montano Lucino. Si duole del mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno.
2.3 La difesa di B.M. articola due motivi di ricorso. Nel primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. Rappresenta che il giudice di primo grado aveva dato atto che nel piano di sicurezza e coordinamento predisposto dall'imputato, il B.M. aveva correttamente contemplato i rischi per l'uso dei mezzi meccanici, il rischio del ribaltamento dei mezzi (specificando che doveva essere vietato il transito con mezzi meccanici sul ciglio degli scavi), il rischio connesso alle vibrazioni del rullo compressore. La pronuncia della Corte d'appello, contro tale evidenza e contraddicendo quanto osservato dal Tribunale, ha affermato che il B.M. aveva omesso di indicare le misure di prevenzione e di protezione da adottare per fronteggiare il rischio della lavorazione in prossimità della scarpata. Quanto all'addebito riguardante l'omessa verifica dell'adeguatezza del piano operativo di sicurezza della ditta R., la Corte non avrebbe valutato attentamente l'operato dell'imputato. Durante il suo esame il ricorrente aveva evidenziato di avere comunicato verbalmente le precise modalità operative da seguirsi, in linea con quanto indicato nel piano operativo, tuttavia la Corte di merito non avrebbe considerato tale circostanza. 
Il principio di affidamento nell'operato del terzo in sede civilistica riveste significativa importanza nella valutazione e graduazione delle responsabilità dei soggetti agenti. Esso, traslato in ambito penalistico, potrebbe comportare l'esclusione della colpa del ricorrente.
Da tali premesse, secondo la difesa, si ricaverebbero le seguenti considerazioni: la costruzione di un parapetto non risultava essere una soluzione realizzabile; la ditta R. s.r.l. era stata debitamente informata del fatto che occorresse non uscire dal bordo (su tale punto la sentenza non evidenzia elementi di contestazione) e, sebbene ciò non trovi un riscontro documentale, la deposizione dell'imputato potrebbe assurgere a prova del fatto. Il compito dell'Ing. B.M., doveva considerarsi esaurito con la redazione di un piano di sicurezza esente da censure e, in fase esecutiva, nella corretta informazione alla ditta esecutrice (che, comunque, non poteva operare prescindendo dal piano di sicurezza predisposto, nel quale tutti i rischi era espressamente previsti, persino il cedimento del terreno a causa delle vibrazioni del rullo). I Giudici di merito avrebbero poi trascurato di considerare che l'interlocutore del B.M. era un altro professionista, ring. C.M., per cui l'imputato non nutriva alcun dubbio circa la comprensione degli accordi verbali presi con l'altro tecnico.
Lamenta che non sono state adeguatamente considerate le condotte di altri imputati che avrebbero inciso sulla determinazione dell'evento: la scelta di incaricare il G.S.A. (lavoratore forse poco esperto e poco formato) dell'esecuzione di quel determinato intervento era assolutamente sottratta al potere decisionale e volitivo del B.M., essendo di esclusiva competenza del datore di lavoro. Impartire tutte le necessarie istruzioni ai lavoratore, per quello specifico incarico e per l'adozione dei dispositivi di sicurezza, non era compito del B.M.
Altra scelta criticabile da parte del datore di lavoro era stata quella di incaricare in qualità di preposto tale S.R., soggetto non perfettamente a conoscenza delle lingua italiana.
Pertanto, una serie di circostanze non riferibili alla persona del B.M. avrebbero determinato l'evento. Si è inoltre appurato che il lavoratore non adoperava la cintura di sicurezza e che mancava un perno di fissaggio dell'arco di protezione di cui era dotato il rullo.
Nella sentenza non si rileverebbe uri corretto percorso motivazionale ed un giudizio controfattuale adeguato sull'uso dei suddetti dispositivi. Si afferma che se il lavoratore avesse usato tali dispositivi l'evento non si sarebbe verificato.
Sotto il profilo soggettivo si evidenzia che il B.M. aveva comunicato verbalmente alla ditta R. gli accorgimenti necessari nella fase esecutiva. 
Ciò avrebbe dovuto determinare la esclusione della sua responsabilità in base al principio dell'affidamento.
Con il secondo motivo, si duole della motivazione espressa dalla Corte con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti.
2.4 La difesa di C.M. si duole dell'affermazione di responsabilità. I giudici di merito non avrebbero valutato adeguatamente le risultanze processuali, trascurando gli elementi evidenziati dal consulente del P.M.: la distrazione di guida del lavoratore ed il mancato utilizzo dei dispositivi di sicurezza presenti sul mezzo (cinture e arco di sicurezza) sarebbero stati causa dell'infortunio. I POS redatti dalle due aziende avevano previsto i rischi connessi alla lavorazione. La motivazione che ha condotto alla responsabilità del C.M. sarebbe errata: il funzionamento dell'arco di protezione era ininfluente sul verificarsi dell'evento ed è dipeso dalla volontà del lavoratore il mancato impiego delle cinture di sicurezza, obbligatorio in ogni veicolo.
3. Si costituiva in giudizio l'INAIL che depositava in data 25/2/2019 memoria difensiva nella quale, dopo avere riepilogato i fatti e richiamato ampia giurisprudenza di legittimità, chiedeva alla Corte di confermare la pronuncia di appello e di accogliere le conclusioni da rassegarsi in udienza.
 

 

Diritto

 


1. I motivi di doglianza proposti risultano infondati, pertanto i ricorsi devono essere rigettati.
2. Con riferimento alla posizione di R.E., si osserva: il ricorrente ha ammesso le proprie responsabilità e non ha formulato doglianze attinenti al merito, essendosi limitato a censurare la sentenza impugnata nella parte in cui esclude il riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno.
La Corte d'appello ha argomentato il diniego evidenziando che non vi è stato integrale risarcimento da parte della compagnia assicuratrice ("Quanto al trattamento sanzionatolo, non può egli godere anche dell'attenuante de! risarcimento de! danno, atteso che, per sua stessa ammissione, la polizza assicurativa della compagnia era stata adito stato solo parzialmente messa in esecuzione").
Trattasi di motivazione immune da censure e rispettosa dei principi espressi in sede di legittimità: é ormai prevalente, ed é qui condiviso, l’indirizzo secondo il quale, ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., il risarcimento, ancorché effettuato da una società di assicurazione, deve ritenersi eseguito personalmente dall'imputato medesimo se questi ne abbia avuto conoscenza ed abbia dimostrato la volontà di farlo proprio e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese (Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018, Tupini e altri, Rv. 273587; Sez. 4, n. 23663 del 24/01/2013, Segatto, Rv. 256194).
Al requisito della integralità deve aggiungersi l'ulteriore indefettibile requisito della tempestività del risarcimento del danno, il quale, ai sensi dell'art. 62 n. 6 cod. pen., deve intervenire prima del giudizio, cioè in una fase antecedente alle formalità di apertura del dibattimento di primo grado [si veda exmultis Sez. 4, n. 1528 del 17/12/2009 Ud. (dep. 14/01/2010 ) Rv. 246303 - 01, così massimata: "Il risarcimento che dà luogo alla circostanza attenuante dell'integrale risarcimento del danno deve intervenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado"]. Non rileva, pertanto, che successivamente alla proposizione dell'appello siano intervenute ulteriori integrazioni delle somme inizialmente corrisposte, come si legge nel ricorso.
3. Il ricorrente R.A., amministratore delegato della Società alle cui dipendenze lavorava il deceduto, oltre a invocare l'annullamento della sentenza impugnata per essere insoddisfacente la motivazione addotta dalla Corte territoriale con riferimento al diniego dell'attenuante del risarcimento del danno, propone ulteriori questioni che attengono al profilo della responsabilità.
Quanto al primo profilo, valgono per il R.A. le medesime argomentazioni svolte nel paragrafo che precede, in ordine alla infondatezza del motivo di impugnazione riguardante il diniego dell'attenuante del risarcimento del danno.
Le censure che attengono alla responsabilità del ricorrente risultano genericamente formulate. La difesa si limita ad affermare che il ricorrente era da reputarsi estraneo ai fatti perché egli non aveva mai rivestito alcuna posizione di garanzia, non avendo titolo in materia antinfortunistica nell'ambito della società e non essendosi mai concretamente occupato del cantiere in cui era avvenuto l'infortunio.
L'assunto è infondato. Con motivazione coerente e logica la Corte d'appello, unitamente al Giudice di primo grado - le cui conformi argomentazioni si saldano in un unico corpo motivazionale - ha correttamente posto in evidenza che il ricorrente era amministratore delegato delia R. s.r.l. e che, in assenza di una formale delega in materia antinfortunistica, egli era contitolare, insieme a R.E., di poteri decisionali e di spesa all'Interno dell'azienda. Da tali circostanze deve farsi discendere, in capo a R.A., la titolarità di una posizione di garanzia che non poteva essere esclusa per il sol fatto che egli non si fosse mai interessato del cantiere di Montano Lucino.
Tale inquadramento è conforme ai principi espressi in sede di legittimità, in base ai quali, nelle società di capitale, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega validamente conferita della posizione di garanzia (così Sez. 4, n. 49402 del 13/11/2013, Rv. 257673 - 01 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la condanna per omicidio colposo dell'amministratore delegato di società da cui dipendeva il lavoratore deceduto per infortunio sul lavoro; conformi: Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007 Rv. 238958; Sez. 3, n. 12370 del 09/03/2005 Rv. 231076).
Ne discende la possibilità della coesistenza, all'Interno della medesima impresa, di più figure aventi tutte la qualifica di datore di lavoro, su cui incombe, allo stesso modo, l'onere di valutare i rischi per la sicurezza, di individuare le necessarie misure di prevenzione e di controllare l'esatto adempimento degli obblighi di sicurezza.
Si è quindi data, in sentenza, corretta attuazione all'orientamento pressoché unitario della giurisprudenza di legittimità che individua un "cumulo delle responsabilità" in capo ai rappresentanti della componente datoriale delle società di capitali, il cui limite di estrinsecazione può essere ravvisato solo ove esista una delega esplicita o implicita della posizione di garanzia che, in questo caso, risulta del tutto assente.
4. Parimenti da rigettare, è il ricorso proposto da C.M. il quale risulta privo di argomentazioni significative ai fini di una diversa soluzione giuridica del caso. Le censure proposte sono incentrate sulla osservazione che la responsabilità dell'infortunio è da ascriversi alla stessa condotta imprudente del lavoratore il quale era distratto alla guida e non indossava i dispositivi di sicurezza presenti sul mezzo. Quanto alla funzione di garanzia, si legge nei ricorso, che il C.M. sapeva che il G.S.A. fosse un guidatore esperto del mezzo, avendolo condotto più volte.
Ebbene, come ha chiarito la Corte di merito, il C.M., nella sua qualità di preposto, aveva precisi compiti dì vigilanza sull'esecuzione dei lavori che ha totalmente omesso di esercitare, non istruendo il lavoratore sul comportamento da tenere alla guida del rullo in quel tratto di strada particolarmente pericoloso e non assicurandosi che indossasse le cinture di sicurezza.
E' d'uopo rammentare che il "preposto", come recita l'art. 2 T.U. in materia di sicurezza sul lavoro, è "la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa".
Si tratta «di una delle tre figure cui, secondo la nostra legislazione antinfortunistica e secondo la giurisprudenza formatasi al riguardo, competono, nell'ambito dell'impresa, specifiche posizioni di garanzia autonomamente previste. Il preposto, come il datore di lavoro e il dirigente, è individuato direttamente dalla legge e dalia giurisprudenza come soggetto cui competono poteri originari e specifici, differenziati tra loro e collegati alle funzioni a essi demandati, la cui inosservanza comporta la diretta responsabilità del soggetto "iure proprio". Si deve cioè precisare che il preposto non è chiamato a rispondere in quanto delegato dal datore di lavora, ma bensì a titolo diretto e personale per l'inosservanza di obblighi che allo stesso, come già si è detto, direttamente fanno capo» (così Sez. 4, n. 1502 del 1/12/2009, dep. 14/1/2010 n.m.)
Prima della emanazione del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 che, all’art. 2, fornisce una precisa definizione di "preposto", ut supra, l'individuazione dei caratteri tipici di tale figura e dei suoi compiti sono stati elaborati dalla giurisprudenza di legittimità che ha fatto riferimento al quadro normativo dell'epoca (d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, poi ripreso dal d.P.R. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4 bis) che indicava il preposto come colui che "sovrintende" alle attività dei lavoratori da lui dipendenti nell'ambito delle proprie attribuzioni e competenze.
Con pronunce assai risalenti nel tempo ma che esprimono principi sempre validi ed attuali, si è in primo luogo affermato (Sez. 4, del 21/12/1995 n. 3483, Rv 204972) che preposto è colui che, nel suo settore, prende decisioni e sovrintende al lavoro eseguito da altri, pur potendo, ove occorra, contribuire alla realizzazione dello stesso, in tal modo individuando la caratteristica essenziale nell'attribuzione al medesimo di poteri, sia pur limitati, di sovraordinazione e controllo di altri lavoratori. Si è poi chiarito (Sez. 4, n. 48 del 14.1.1970 Rv 113999) che nella concreta attribuzione di tale qualifica deve farsi riferimento al criterio della effettività, atteso che "La qualifica e le responsabilità del preposto non competono soltanto ai soggetti fomiti di titoli professionali o di formali investiture, ma a chiunque si trovi in una posizione di supremazia sia pure embrionale, tale cioè da porlo in condizione di dirigere l'attività lavorativa di altri operai soggetti ai suoi ordini" (da ultimo, sul principio dell'effettività, si veda Sez. 4, n. 50037 del 10/10/2017, Rv. 271327 - 01). Si è quindi specificato che grava sul preposto uno specifico dovere di sorveglianza e controllo dell’attività svolta dagli altri lavoratori ed un precipuo dovere di segnalare al datore di lavoro eventuali pericoli o carenze nei sistemi di protezione.
Nel caso di specie i Giudici di merito hanno correttamente individuato i profili di responsabilità emergenti a carico del ricorrente - il quale non ha mai contestato la sua qualifica di preposto - in base ad una precisa applicazione dei principi sopra richiamati: il C.M. si è totalmente sottratto ai suoi obblighi di vigilanza e controllo nei confronti del lavoratore con riferimento all'attività che stava svolgendo.
Quanto alla lamentata imprudenza e negligenza del lavoratore, è solo il caso di aggiungere che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Ciò in quanto, tali disposizioni, secondo orientamento conforme delia giurisprudenza di questa Corte, sono dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli (così, ex multis Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015 Rv. 263497; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Rv. 232421).
5. Per quanto riguarda la posizione di B.M. si osserva quanto segue.
Il ricorrente, come già detto in precedenza, rivestiva la qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori.
La pronuncia di appello ha correttamente delineato i compiti spettanti al ricorrente e le violazioni in cui egli è incorso nell'espletamento della funzione che era stato chiamato a svolgere, relativamente al caso verificatosi.
Il giudizio di responsabilità si è incentrato sulla evidenza di un difetto di verifica da parte del B.M. della conformità delle procedure di lavoro e della organizzazione di esso rispetto al piano di sicurezza: la possibilità che il pesante automezzo, con il quale doveva operare il dipendente, potesse ribaltarsi, pur essendo stato previsto nel piano di sicurezza, non fu accompagnato dalla indicazione di precise modalità operative che avrebbero permesso di fronteggiare tale pericolo, specie in prossimità della scarpata.
E' d'uopo rilevare che "In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori svolti in un cantiere edile è titolare di una posizione di garanzia - che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica - in quanto gli spettano compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e
coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS" (così ex multis Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017, Rv. 271026 - 01).
La difesa evidenzia che il B.M. aveva comunicato verbalmente all'impresa - nella persona dell'Ing. C.M. - le precise modalità operative da seguirsi per rendere effettive le previsioni del piano di sicurezza. Tale aspetto, tuttavia, non può rappresentare una causa di esonero di responsabilità dei ricorrente, in quanto è mancata ogni verifica da parte del professionista dell'adeguatezza in concreto del piano di sicurezza elaborato, rispetto alla situazione in cui operava l'impresa.
Il principio dell'affidamento non può certo essere invocato nel caso in esame. La giurisprudenza di legittimità, che pure si è occupata di tale profilo ha avuto modo di precisare che: "Non è invocabile il principio di affidamento nel comportamento altrui, con conseguente esclusione di responsabilità, da parte di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali o avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che colui che gli succede nella posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, in quanto la seconda condotta non si configura come fatto eccezionale sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento (così Sez. 4, n. 35827 del 27/06/2013, Rv. 258124 - 01 in un caso nel quale è stata ritenuta corretta la condanna per omicidio colposo, in relazione ad un infortunio sul lavoro, del coordinatore per la progettazione che aveva predisposto un piano di sicurezza assolutamente generico, e che aveva invocato come esimente la mancanza, di fatto, del coordinatore per l'esecuzione dei lavori).
5.1 Priva di rilievo è l'argomentazione offerta dalla difesa circa la mancata considerazione, da parte dei Giudici di merito, della esistenza di altre condotte censurabili, che hanno contribuito alla causazione dell'evento. Anche con riferimento a tale profilo, non può sostenersi, come vuole lasciare intendere la difesa, che la esistenza di ulteriori conclamate criticità nella organizzazione del lavoro della impresa, possano incidere sulla esclusione della responsabilità del ricorrente.
Deve ricordarsi in proposito che, in tema di obbligo di garanzia e di speculare responsabilità nascente dalla violazione di tale obbligo, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che, nell’ipotesi in cui i titolari della posizione di garanzia siano più di uno, ciascuno di questi è, "per intero", destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (così ex multis Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Rv. 253850 - 01).
Per altro verso, se un determinato evento è la conseguenza di molteplici cause, vige nell'ordinamento il principio della loro equivalenza, normativamente codificato dall'art. 41 cod. pen., che è superato solo attraverso l'intervento di fattori eccezionali (le cause sopravvenute che escludono il rapporto di causalità) e tali non possono essere reputati, nel caso in esame, né le concorrenti violazioni poste in essere dagli altri coimputati, né il comportamento del lavoratore, come si evince dalla lettura della sentenza.
5.2 Sotto il profilo della interruzione del nesso di causalità, come si è detto in precedenza, nessun rilievo può essere attribuito alla condotta del lavoratore, a cui pure si fa riferimento nel ricorso. Anche ove fosse ipotizzato un comportamento negligente ed imprudente del lavoratore, detto comportamento rientrerebbe comunque nella sfera di governabilità del rischio che devono assumersi coloro che sono portatori di una posizione di garanzia, poiché non si è trattato di una condotta eccentrica rispetto alle mansioni che l'operaio era stato chiamato a svolgere.
Tali considerazioni risultano valide anche alla luce delle dichiarazioni del teste K. (richiamate nel ricorso per avvalorare la tesi della eccentricità della condotta serbata dal lavoratore), il quale ha riferito che il collega di lavoro si era avvicinato troppo al ciglio della strada. Ebbene, occorre qui ribadire il principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, in base al quale il sistema prevenzionistico mira a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, per cui il datore di lavoro e chiunque sia destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli o rientri nelle mansioni che gli sono proprie, ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (così ex multis Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Fani, Rv. 232421).
5.3 Parimenti infondata è la doglianza riguardante l'ultimo motivo di ricorso, attinente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di prevalenza rispetto alla contestata aggravante. Sul punto la Corte di merito ha posto l'accento sulla gravità della colpa ravvisata nel comportamento del ricorrente.
Occorre rilevare come il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sia rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere certamente motivato, ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudicante circa l'adeguatezza della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Ciò vale anche per il giudice di appello il quale - pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive - non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gii elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti, essendo sufficiente che dia indicazione di quelli ritenuti rilevanti e di valore decisivo, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di una stretta confutazione (Sez. 3, 27/1/2012, n. 19441, Marozzi). D'altro canto, deve rilevarsi come neppure nel ricorso siano spiegati e dimostrati specifici elementi, riconducibili ai parametri di cui all'articolo 133 c.p., che dovrebbero portare a ritenere gravemente illogica la determinazione della pena adottata dalla Corte d'appello anche con riferimento all'aspetto del bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche.
6. Ai rigetti dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalle parti civili che si liquidano come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché' alla rifusione delie spese di giudizio sostenute dalle parti civili che si liquidano come segue: euro 2500 in favore di Omissis difesa dall'Avvocato Omissis; euro 2500 in favore di Omissis difesa dall'Avvocato Omissis; euro 2500 in favore di G.S.A. difeso dall'Avvocato Omissis; euro 2500 in favore dell'Inail, oltre accessori, come per legge.
In Roma, così deciso il 5 marzo 2019