Cassazione Penale, Sez. 4, 16 luglio 2019, n. 30984 - Infortunio mortale in un cantiere Enel a causa della caduta di un tubo montante del ponteggio


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 12/03/2019

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza del Tribunale di Civitavecchia dell'8 novembre 2012 D.A., in qualità di datore di lavoro nella ditta MCP s.r.l. appaltatrice delle opere commissionate dall'ENEL di montaggio tubazioni polverino 3° gruppo, P.G., in qualità di datore di lavoro della ditta CEMIT s.r.l. e D.D., operaio con mansioni di caposquadra della ditta MCP s.r.l., unitamente a T.S., capocantiere della ditta MCP s.r.l. e a D.C., in qualità di capo-cantiere della ditta CEMIT s.r.l., erano condannati in relazione al reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2 cod. pen. perché, nelle qualità sopra indicate e D.D., quale autore materiale della condotta, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, nonché nella violazione di specifiche disposizioni di legge, cagionavano la morte di C.M., per insufficienza respiratoria in soggetto con grave trauma cranico, in quanto colpito al capo da un tubo montante della lunghezza di mt. 1.80 precipitato da un piano a quota 67.800 della caldaia 3° gruppo nel cantiere ENEL.
In particolare, cagionavano l'evento ciascuno rispettivamente con le seguenti condotte:
- D.D., addetto al montaggio di uno dei due ponteggi realizzati a quota 67.800, accatastando il tubo montante sopra descritto senza le necessarie precauzioni e, in particolare, appoggiandolo al parapetto senza dispositivi di bloccaggio, ne cagionava la caduta fino a quota 0 nel punto ove si trovava a passare C.M.;
- T.S., preposto alla responsabilità ed al controllo della fase lavorativa specifica relativa al montaggio e allo smontaggio dei ponteggi realizzati a quota 67.800, da cui proveniva il tubo precipitato a quota 0 che investiva C.M., non avendo dato disposizioni di sicurezza, ossia non curando che la zona di lavoro, prossima al perimetro esterno della struttura, fosse perimetrata con apposita recinzione per impedire la caduta di materiali dall'alto, non segnalando al CE incaricato dall'ENEL la situazione di rischio della lavorazione, perché fosse vietato il transito nella viabilità 25, non impedendo ai lavoratori di deporre il materiale in luoghi diversi da quelli a ciò deputati e non vigilando sul rispetto delle norme di sicurezza relative allo smontaggio dei ponteggi e non impedendo l'appoggio diretto dei materiali sui parapetti;
- D.A., in violazione dell'art. 9, comma 1, D. Lvo n. 494 del 1996, per non avere adottato, nel corso dei lavori di montaggio e smontaggio di due ponteggi a quota 67.800, da cui proveniva il tubo precipitato a quota 0 che investiva C.M., le prescrizioni conformi all'allegato IV sez. II stessa legge, omettendo di disporre che i materiali e le attrezzature derivanti dallo smontaggio fossero riposti in condizioni di sicurezza in modo da evitarne il ribaltamento oltre il parapetto della torre e/o di verificare il rispetto di tale prescrizione da parte dei lavoratori; in violazione dell'art. 16 D.P.R. n. 164 del 1956 per non avere adottato, nel corso dei medesimi lavori, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di cose, non segnalando al CE il montaggio e lo smontaggio del ponteggio alle coordinate K3-K4 (G1-G2) e quindi la necessità di impedire il transito per la viabilità 25, omissioni in conseguenza delle quali il tubo montante sopra descritto precipitava andando a colpire C.M.;
- D.C. - preposto alla responsabilità ed al controllo della fase lavorativa specifica sul collettore a quota 67.800, disponendo e comunque seguendo l'effettuazione di lavori mediante i ponteggi realizzati dalla MCP alle coordinate K3- K4 (G I-G2), e autorizzando lo smontaggio del ponteggio dopo l'ultimazione dei lavori senza avere adottato, nel corso dei medesimi lavori, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di cose, non curando che la zona di lavoro, prossima al limite esterno della struttura, fosse perimetrata con apposita recinzione, per impedire la caduta di materiali dall'alto, non segnalando al CE incaricato dall'ENEL la situazione di rischio della lavorazione, perché fosse impedito il transito nella viabilità 25;
- P.G. in violazione dell'art. 11 D.P.R. n. 547 del 1955 per non avere, in considerazione delle caratteristiche delle lavorazioni eseguite a quota 67,800, che comportavano l'utilizzo e il successivo smontaggio di due ponteggi in una zona perimetrale, con rischio di caduta di cose dall'alto, impedito l'accesso o comunque segnalato la necessità di impedire l'accesso alla zona di viabilità 25, posta perpendicolarmente al luogo di montaggio e di smontaggio ponteggi, al fine di evitare il transito di lavoratori esposti al pericolo di caduta di materiali dall'alto; per non avere disposto e apprestato idonee difese con mezzi tecnici o comunque misure o cautele adeguate contro la caduta dall'alto di materiali, in dipendenza dell'attività lavorativa sopra descritta, lungo le vie di passaggio della torre caldaia del III gruppo, omissione in conseguenza della quale il tubo sopra descritto, precipitando su una via di passaggio dei lavoratori, colpiva al capo C.M., cagionandone la morte;
- con l'aggravante di aver commesso il fatto in violazione delle norme sulla prevenzione del lavoro.
La vicenda criminosa si svolgeva in data 17 ottobre 2007 presso il cantiere sito in Civitavecchia, località Torre Valdaliga, dove era in corso la costruzione della centrale dell'Enel. C.M., dipendente di una delle ditte che ivi prestavano la loro opera, mentre percorreva la viabilità 25, era colpito da un tubo di metallo lungo m. 1,76, del diametro di cm. 4,8 cm e del peso di Kg. 7,50 (sottoposto a sequestro), precipitato dalla struttura dove era in corso la realizzazione della caldaia n. 3 e, in conseguenza del violento urto, riportava lesioni mortali e stramazzava al suolo.
I testi V.M., G.E. e B.M. osservavano impotenti la persona offesa nel momento in cui era colpita, in quanto si trovavano proprio sulla viabilità 25. Il tubo metallico era caduto dal ponteggio 8M8 dalla sovrastante quota 67,800 di detta torre. Nell'immediatezza dei fatti l'ispettore del lavoro C. ed il geom. S.M., responsabile della sicurezza per la società 3C s.r.l., individuavano il luogo dal quale il tubo in questione era caduto. Saliti a detta quota, rinvenivano un ponteggio in fase di smontaggio posto a circa m. 1,5 dal bordo esterno della caldaia, e verificavano che i tubi che lo formavano erano del medesimo tipo di quello che aveva colpito C.M..
S.A., tale T. e D.D., operai della MCP, ditta preposta al montaggio ed allo smontaggio dei ponteggi, confermavano che il tubo era precipitato dalla quota 67,800, mentre era intento allo smontaggio con lo stesso D.D., altro operaio della MCP. S.A. dichiarava che il giorno in questione si trovava alla quota 67,800 unitamente ai predetti, a T.L. e a tale T. su disposizione dal capocantiere G.G.; precisava che il ponteggio era utilizzato per montare e fissare un grosso tubo della caldaia, operazione affidata agli operai della Cemit, da lui osservati mentre lavoravano, ma che al momento in cui giungeva sul posto unitamente ai predetti colleghi per svolgere il lavoro suindicato non erano più presenti. I testi A. C.o e S.M., recatisi, poco dopo l'incidente, unitamente all'ing. P.R. ed all'ispettore C., a quota 67.800 della caldaia osservavano D.D. mentre spiegava ai presenti che il tubo smontato dal ponteggio era stato appoggiato verticalmente al parapetto, ma che era scivolato e si era infilato in un pertugio della grandezza di circa 15 cm., dal quale era precipitato colpendo C.M..
L'accertamento svolto dall'ing. E., consulente della difesa di P.G. e di D.C., che sulla base di ricostruzione un'analisi matematica della vicenda contestava la ricostruzione dei fatti operata dai testi escussi, non poteva inficiare i significativi elementi probatori acquisiti. Il consulente escludeva l'ipotesi di uno scivolamento del tubo sulla superficie grigliata del pavimento della caldaia, affermando, sulla base della simulazione effettuata, in ragione delle caratteristiche di esso e della natura della superficie di appoggio; inoltre, contestava che la caduta del tubo potesse essersi verificata con le modalità emerse dall'istruttoria, necessitando il medesimo per cadere alla distanza di circa 7-8 metri dal filo della caldaia di una velocità iniziale di gran lunga superiore rispetto a quella che avrebbe avuto se fosse rotolato da posizione ferma e poi caduto infilandosi nell'asola presente nella balaustra della torre. Le risultanze dell'analisi condotta da E. non erano condivise dell'organo giudicante, in quanto - alla luce dei dati processuali - il tubo, che colpiva C.M. e che il predetto stava smontando apparteneva sicuramente al ponteggio. Il consulente contestava la validità alla ricostruzione dei fatti fondata sulle testimonianze di S.A., di A. e S.M., ritenute attendibili dal Tribunale. Le sue conclusioni potevano semplicemente indurre a ritenere il tubo in questione caduto dalla quota 67,800 della torre con modalità diverse rispetto a quelle descritte, ad esempio allorché si trovava posizionato in altro loco o ancor prima che D.D. lo avesse appoggiato in terra, ipotesi che spiegherebbe la velocità di caduta. L'impossibilità, secondo il consulente, di uno scivolamento del tubo mentre si trovava in terra ed infilato nel pertugio presente nella balaustra non poteva escludere la circostanza certa che il montante determinante la morte fosse quello" manovrato" dal prevenuto. Secondo il Tribunale, non poteva escludersi che, stante la condizione di shock nella quale si trovava, il prevenuto avesse riferito, anche inconsapevolmente, in modo impreciso la dinamica dell'incidente, non individuando il luogo esatto di appoggio del tubo o se questo gli fosse sfuggito di mano precedentemente. Sicuramente non posizionava il tubo in questione e quelli smontati in precedenza nelle apposite rastrelliere o gabbie, per cui non rilevava sotto il profilo dell'esistenza del nesso eziologico dove lo avesse riposto o se gli fosse sfuggito di mano, apparendo incontrovertibile il dato della sua caduta durante le operazioni di smontaggio del ponteggio.
Dal verbale della riunione di coordinamento tenutasi il 1 ottobre 2007 (immedia-tamente precedente rispetto all'episodio de quo) si evinceva che il montaggio e lo smontaggio del ponteggio in questione non erano stati programmati per il 17 ottobre. Pertanto, non erano state approntate le cautele necessarie e la vicenda si svolgeva alla ridotta distanza di circa m. 1,5 dal filo esterno della struttura.
S.M. riferiva quanto segue: di essere salito intorno alle ore 9.00 - 9.30 sulla sommità della caldaia per effettuare un giro di perlustrazione; di essere giunto al piano 67,800; di aver ivi constatato la presenza di operai intenti a smontare un grande ponteggio sul lato interno della caldaia e altri a montare i supporti dei collari di una grossa tubazione; di aver notato un ponteggio, posto a circa m. 2 dal bordo della caldaia; di aver deciso di scattare delle fotografie (cfr. foto 413 delle ore 10,44), avendo notato una condotta non corretta seguita dagli operai della Cemit per salire sul medesimo, segnalando di essersi recato ai piani sottostanti, per verificare eventuali interferenze con la lavorazione osservata. Dopo l'incidente, era nuovamente salito a quota 67,800 e in tale seconda occasione non aveva visto il ponteggio fotografato la mattina, ma un altro ponteggio già in fase di smontaggio, posizionato rispetto a questi più a monte, seppure alla stessa distanza rispetto al filo esterno della torre. S.M. giustificava ampiamente le proprie affermazioni, esaminando le fotografie nn. 413 e 416, segnalando come i ponteggi ivi rispettivamente ritratti non fossero sovrapponibili e come il secondo in fase di smontaggio era stato necessariamente realizzato nella stessa mattina del 17 ottobre dopo che egli aveva effettuato il proprio giro di controllo, non avendolo scorto in occasione del suo primo sopralluogo. Le affermazioni di S.M. trovavano riscontro nella documentazione fotografica e nelle dichiarazioni di S.A. che riferiva di essersi recato con D.D. e altri colleghi alla quota m. 67,800 della torre a seguito delle disposizioni poco prima impartitegli da Giocondo Gerardo, per procedere allo smontaggio del ponteggio sul quale aveva in precedenza notato gli operai della Cemit dediti a fissare una grossa tubazione.
L'imputato D.A., rappresentante legale della MCP, confermava tale ricostruzione della vicenda, sostenendo che la realizzazione e lo smontaggio del ponteggio del quale faceva parte il tubo precipitato su C.M. non erano stati programmati per il 17 ottobre, non essendovene menzione nel verbale della riunione di coordinamento per la sicurezza dell'11 ottobre; tali attività erano state realizzate in via estemporanea, in ragione delle esigenze della Cemit. Alcuni ponteggi, quindi, erano stati realizzati a quota 67,800 della torre senza preventivo avviso al coordinatore per la sicurezza o alla riunione dell'11 ottobre, impedendo in tal modo al preposto di valutare la sussistenza di rischi connessi allo svolgimento di tali attività e di apprestare le cautele necessarie, mediante la previsione di apposite prescrizioni. La comunicazione tempestiva al coordinatore esecutivo, durante l'apposita riunione, o anche successivamente, ma in tempo utile ad apprestare i dovuti accorgimenti atti ad evitare il pericolo di caduta di oggetti dall'alto, avrebbe consentito di delimitare l’area interessata con una recinzione e la preclusione al passaggio della viabilità 25, cautele che avrebbero sicuramente scongiurato la morte di C.M., poiché questi non avrebbe in tal caso avuto la possibilità di transitare al di sotto della torre.
Come si evince dal tenore del richiamato verbale, la viabilità 25 non era preclusa in maniera assoluta al transito, che era consentito agli operai della Cemit (tra i quali C.M.) e delle ditte facenti parte dell'associazione temporanea di imprese di cui quest'ultima era capoarea. Le esigenze della Cemit di effettuare lavori in zona prossima al filo esterno della torre e di realizzare il ponteggio strumentale a tale attività dovevano essere prontamente comunicate da quest'ultima e dalla MCP, ditta interessata alla realizzazione del ponteggio e al coordinatore esecutivo al fine di verificare la situazione con particolare riguardo al pericolo di caduta di oggetti dall'alto. In caso di montaggio e smontaggio di un ponteggio, il rischio di caduta di oggetti grava sul datore di lavoro dell'impresa che vi provvede, per cui occorre l'apposita comunicazione al coordinatore esecutivo, al fine di consentire allo stesso di valutare l'interferenza di questa con altre lavorazioni e di predisporre le necessarie precauzioni e ciò proprio in relazione, nel caso in specie, alla circostanza che il ponteggio in questione insisteva in un area così a confine con il filo esterno della torre da presentare una seria interferenza con le eventuali lavorazioni e soprattutto col transito del personale delle ditte appaltatrici che avveniva a quota 0 lungo la sottostante viabilità 25.
A causa alla mancata comunicazione da parte della Cemit e della MCP delle lavorazioni de quibus non era stata adottata nessuna misura organizzativa durante la riunione o successivamente. L'obbligo di comunicazione gravante sulla MCP era conosciuto dalla Cemit, società partecipante alla riunione di coordinamento dell'll ottobre, la quale avrebbe dovuto utilizzare il ponteggio montato e smontato in maniera estemporanea, destinataria quale capo area dell'associazione temporanea di imprese dedite alla realizzazione della terza caldaia, delle prescrizioni di carattere generale stabilite dal coordinatore esecutivo per il corretto funzionamento del cantiere.
La Cemit aveva sollecitato il montaggio del ponteggio de quo, in relazione alla propria esigenza di procedere con la lavorazione, nonostante la consapevolezza della mancata comunicazione della realizzazione di esso alla citata riunione per la sicurezza e l'esigenza di collocare il ponteggio in posizione assai prossima al filo esterno della caldaia col rischio di determinare la caduta di oggetti dall’alto e non invece, come i due oggetto di comunicazione, a m. 8,5 dal confine esterno.
Le omissioni di D.A. e di T.S., rispettivamente legale rappresentante e capocantiere della MCP, determinavano l'incidente mortale occorso al C.M.. Analoga responsabilità gravava anche su P.G. e D.C., nelle loro rispettive qualità di legale rappresentante e di capocantiere della Cemit. Questi ultimi rispondono, come i primi, per non aver impedito l'accesso o comunque segnalato tale esigenza al coordinatore esecutivo della viabilità 25 nonostante le caratteristiche delle lavorazioni eseguite a quota 67,800, al fine di salvaguardare i lavoratori dall'evidente pericolo di caduta di oggetti. P.G. e D.C. erano responsabili per la sola mancata attuazione dei presidi antinfortunistici, non potendo gravare su di loro gli obblighi di impartire le istruzioni e di sorvegliare il corretto svolgimento da parte del personale della MCP dell’attività di montaggio e smontaggio del ponteggio in questione e di verificare il collocamento delle attrezzature negli appositi contenitori.
2. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, eccetto il trattamento sanzionatorio nei confronti di D.A..
La Corte territoriale ha ritenuto irrilevante stabilire se il tubo fosse scivolato sulla superficie grigliata del pavimento della caldaia o se avesse iniziato la caduta originaria con un impulso autonomo ulteriore rispetto alla mera forza di gravità. Era indubbio il nesso di causalità tra la condotta di D.D. e l'evento mortale. La possibilità da parte di D.D. di far scivolare un tubo o farlo cadere da mano non costituiva un fatto assolutamente imprevedibile ed eccezionale.
D.A. non contestava la circostanza che sul ponteggio lavorassero operai dipendenti della sua ditta e difficilmente avrebbe potuto contestarlo, in quanto D. era suo dipendente. L'asserzione di D.A. circa la funzionalità del ponteggio alle esigenze della Cemit trovava riscontro nelle dichiarazioni di S.A., che riferiva di essersi recato su disposizione di Giocondo Gerardo alla quota 67 della torre per procedere allo smontaggio del ponteggio dove in precedenza avevano lavorato operai della Cemit. Quella mattina, peraltro, il geom. S.M. aveva scattato foto alla quota 67,800 ad operai della Cemit. Ulteriori conferme derivavano dalle dichiarazioni del teste D., dipendente della MCP, e di S. della Cemit.
3. D.A., D.C. e P.G., a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
4. D.A. (4 motivi di ricorso):
4.1. Violazione degli artt. 589, comma secondo, 40, comma secondo, cod. pen., 2, 18, comma 3-bis, e 19 D. Lgs. n. 81 del 2008, e vizio di motivazione in riferimento alla posizione di garanzia quale datore di lavoro.
Si deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto distinguere tra l'area di rischio ascritta alla sfera di governo di D.A. e quella ricondotta al governo di T.S.. T.S., infatti, assumeva il ruolo di garante della sicurezza sul lavoro in riferimento alle attività del cantiere, di dirigere gli operai, di attuare le direttive ricevute e di controllarne l'esecuzione, con responsabilità ricadente sul soggetto nominato anche in assenza di delega formale del datore di lavoro.
L'evento era eziologicamente ricollegabile ad un'omissione dei suoi sottoposti. Solo un controllo costante ed ininterrotto attuato mediante la presenza in cantiere - che però non era dovuta - ai fini del monitoraggio delle lavorazioni e della verifica dell'ottemperanza alle prescrizioni antinfortunistiche da parte dei lavoratori e degli altri obbligati avrebbe potuto impedire il montaggio e lo smontaggio di un ponteggio estemporaneo con impiego di attività per circa 20 - 30 minuti. Impropriamente la responsabilità del datore di lavoro era stata riconnessa all'assenza di delega, mentre il perimetro dell'originaria sfera di responsabilità del preposto non necessitava di deleghe per essere operante, ma derivava dall'investitura formale (come nel caso di specie) o dall'esercizio di un potere di fatto ex art. 299 T.U. n. 81 del 2008.
4.2. Vizio di motivazione ex artt. 40, comma secondo, 41, comma terzo e 589, comma secondo, cod. pen., per travisamento della prova in relazione all'affermazione della responsabilità omissiva impropria per mancata comunicazione al coordinatore in fase di esecuzione del montaggio e dello smontaggio del ponteggio alla quota 67.800.
Si osserva che, nel medesimo contesto spazio-temporale dell'incidente, alla quota 0 incombeva un alto rischio inferenziale costituito dalla gru in azione per sostenere un grosso collettore, la cui saldatura alla struttura della caldaia aveva reso necessaria la realizzazione del ponteggio estemporaneo. Il convincimento che la gru fosse ferma derivava da un travisamento delle dichiarazioni rese dall'ing. G. (vedi allegato), il quale precisava che la gru doveva essere fermata, perché, conoscendo il transito delle persone, avrebbe dovuto mettere in sicurezza il carico, senza sollevarlo e mettendolo a terra. Dalle fotografie allegate poteva apprezzarsi il collettore imbragato e sostenuto a mezz'aria soltanto dalla forza meccanica della gru, tenuto conto che l'elemento sollevato da quota 0 all'altezza di m. 68,70 del peso di diversi quintali, alle ore 12.26, cioè un momento successivo all'incidente, non era stato connesso alla struttura della caldaia. La gru era ancora in azione durante la fase di smontaggio dell'opera provvisionale con potenziale rischio di caduta di gravi dall'alto.
4.3. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 40, comma secondo, 589, comma secondo, cod. pen., 9, commi 1 e 22, D. Lvo n. 494 del 1996 per travisamento della prova in riferimento all'affermazione della responsabilità per non aver previsto il collocamento dei materiali in condizioni di sicurezza, in modo da evitarne il ribaltamento oltre il parapetto della torre e/o fatto osservare tali disposizioni ai propri dipendenti (questione rilevante ai fini dell'esclusione dell'aggravante contestata).
Si deduce che i giudici di merito hanno travisato la prova documentale e confuso il fascicolo fotografico realizzato dagli ispettori dell'ASL con quello dei Carabinieri di Civitavecchia, tanto da non poter apprezzare e verificare i richiami operati dalla difesa alla numerazione delle singole fotografie. Dalle immagini risultavano visibili solo il ponteggio estemporaneo, il collettore imbragato e sostenuto in altezza dalla gru e le pedane di grigliato, non appartenenti al materiale in uso alla MCP. Il posizionamento dei grigliati in modo non conforme alle norme di sicurezza non era ascrivibile alla MCP ma all'impresa committente Enel, che li utilizzava per realizzare il piano di calpestio di tutti i livelli della caldaia di Torre Valdaliga; il travisamento derivava dalla mancata lettura delle dichiarazioni rese sul punto dal teste C., secondo il quale i grigliati non appartenevano ai ponteggi ma occorrevano per fare il piano di calpestio (v. pag. 20 dell'allegato al ricorso).
4.4. Vizio di motivazione in riferimento agli artt. 40, comma secondo, 589 cod. pen. e 16 L. n. 164 del 1956 per travisamento della prova in riferimento all'affermazione di responsabilità per la mancata adozione nel corso dei lavori di adeguate impalcature o ponteggi, opere provvisionali o altre precauzioni atte ad eliminare il pericolo di caduta di oggetti dall'alto (questione rilevante ai fini dell'esclusione dell'aggravante contestata).
Si deduce che la Corte di appello ha travisato la prova testimoniale fondata sulle dichiarazioni del teste del P.M. C. Egidio, confondendo il fatto sotteso al reato contravvenzionale, afferente le modalità di realizzazione del ponteggio, al vizio strut-turale della caldaia relativo alla discontinuità ascrivibile al perimetro di responsabilità dell'Enel; le sue parole, infatti, erano riferite alla struttura della torre e non al ponteggio estemporaneo.
D.C. (quattro motivi di ricorso) 
5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione circa l'abnormità della condotta del coimputato D.D..
Si rileva che se il tubo fosse stato autonomamente spinto da D.D. - ipotesi alternativa formulata dalla Corte di merito - la vicenda non poteva essere qualificata come mera negligenza e fatto accidentale rientrante nell'adempimento ordinario di mansioni di montaggio. La tesi dei giudici di merito non si conciliava con le dimensioni e il peso del tubo, caratteristiche oggettive risultanti dagli atti processuali. Il compor-tamento del lavoratore assumeva rilevanza interruttiva del nesso di causalità fra la condotta del garante e l'evento lesivo mortale non perché eccezionale ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo assunto dal garante. Nella sentenza impugnata, peraltro, non sono state distinte le aree di rischio governate dagli imputati.
5.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento delle dichiarazioni del teste S.A..
Si osserva che la Corte territoriale non ha dimostrato la spettanza della competenza della lavorazione dalla quale sarebbe derivato l'evento morte alla Cemit in qualità di mandataria e l'esecuzione della incombenza da parte di Cemit. Dalla lettura delle testimonianze non si comprendeva a quale lavorazione fosse funzionale il ponteggio non autorizzato, del cui smontaggio si occupava D.D., autore materiale della condotta. I giudici di merito hanno attribuito tali lavorazioni alla Cemit in base alle dichiarazioni di D.A. - sicuramente interessato ad onerare l'altra società coinvolta - e di S.A.. Quest'ultimo era contraddetto da S.M., il quale non poteva dire nulla circa le presunte attività della Cemit relative al ponteggio smontato da D.D. e dalla sua squadra. S.A. riferiva di attività di operai Cemit svoltesi in un orario in cui sicuramente era assente in detta zona del cantiere. Dalla risposta di S.M. si comprendeva che l'operaio impegnatosi ad adeguare i ponteggi era riconducibile alla MCP. S.M. precisava di non aver verificato l'identità degli operai trovati nel corso del primo sopralluogo delle ore 10.30 circa. Le dichiarazioni di S.A. sull'orario di inizio dello smontaggio erano pacificamente contraddette da dati documentali e dalle dichiarazioni di S.M.. La riconducibilità del piccolo ponteggio alla Cemit non trovava conferme ed era frutto di supposizioni o illazioni fallaci.
5.3. Violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova in ordine alle dichiarazioni dei testi di difesa ed ai reperti fotografici.
Si rileva che la Corte territoriale erroneamente ha attribuito valenza generalizzata alle dichiarazioni dei testi P. e C., i quali non fornivano indicazioni relativamente alla lavorazione specifica; la MCP realizzava ponteggi e la Cemit lavorava al collettore, ma non era dimostrata la funzionalità del singolo ponteggio ad una specifica attività della Cemit. I testi di difesa Sasso, Liceo e Spagnolo riferivano di aver eseguito il serraggio dei tiranti del collettore RH1-RH2 il 16 ottobre, circostanza confermata dal teste del P.M. C.. Né il trabattello incriminato poteva servire alle lavorazioni della Cemit, tenuto della sua posizione evincitele dalle fotografie: il ponteggio non era posto in direzione né dei tirfort né delle parti sulle quali la Cemit era già intervenuta al fine di serrare il collettore. I giudici di merito, nonostante l'assenza di dubbi sulla circostanza della richiesta di montaggio e di smontaggio da parte del preposto MCP Giocondo, riconoscevano l'esistenza di un obbligo di comunicazione in capo alla Cemit, disattendendo vari elementi istruttori (vedi testimonianze di P. e D.A.). La Cemit non aveva obblighi di intervento o di comunicazione.
5.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 52 bis, 133 cod. pen., in relazione alla pena irrogata.
Si osserva che non era stata valutata l'incidenza dell'avvenuto risarcimento del danno alle persone offese, circostanza determinante un'evidente contraddittorietà nella dosimetria della pena. Inoltre mancava una valutazione specifica nel trattamento sanzionatorio rispondente alle diverse posizioni di garanzia rivestite e all'area di rischio gestita da ciascun soggetto.
P.G. (4 motivi di impugnazione)
6.1. Vizio di motivazione in ordine alla riconducibilità del ponteggio alle lavorazioni della Cemit e travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni rese dai testi S.M., S.A., P., D. e S. in merito alla funzionalità del ponteggio rispetto alle lavorazioni della Cemit.
Si rileva che nella zona del fatto esistevano due ponteggi, circostanza che ingenerava confusioni. S.M. riferiva della presenza di alcuni operai, da lui non identificati, su un primo ponteggio, che però era estraneo all'incidente. Egli, dopo l'incidente, notava un secondo ponteggio - quello dal quale era caduto il tubo - tuttavia non presente in occasione del suo primo accesso sul posto. S.A. sovrapponeva la descrizione di due diverse attività, pacificamente avvenute in frangenti diversi e fra loro insuscettibili di ingenerare confusione: i lavori svolti sul primo ponteggio sul quale avrebbero operato i dipendenti della Cemit e quelli finalizzati allo smontaggio del secondo ponteggio, certamente avvenuti in tarda mattinata. Egli, peraltro, esponeva che, alle ore 10.00, su un ponteggio avevano lavorato gli operai della Cemit e che il secondo ponteggio compariva pacificamente in epoca successiva, per poi essere smontato alle ore 12.00 circa. Il ponteggio "incriminato", quindi, non era stato allestito su richiesta della Cemit. Ciò emergeva anche dalle testimonianze neutre sul punto di S., P., D. e C.. Né potevano essere valorizzate le dichiarazioni del coimputato D.A., peraltro assente il giorno del fatto, mancando riscontri esterni alle sue propalazioni.
6.2. Vizio di motivazione in relazione alla configurabilità di una posizione di garanzia e alla designazione di un preposto. 
Si deduce che P.G. era imputato in qualità di datore di lavoro nella ditta Cemit, sebbene pacificamente non rivestisse tale qualità nei confronti del lavoratore responsabile della caduta accidentale del tubo di metallo.
La Cemit e la MCP appartenevano ad una ATI: dalla posizione di società mandataria dell'associazione temporanea di imprese non discendeva automaticamente la responsabilità del suo datore di lavoro per le attività svolte dagli altri componenti della medesima, conservando le singole partecipanti la loro autonomìa. Anche a voler am-mettere l'utilizzazione del ponteggio da parte della Cemit, ciò non comportava una gestione del rischio né un dovere di coordinamento. La regola cautelare asseritamente violata non mirava a prevenire un rischio interferenziale, bensì la sola caduta di oggetti dall'alto, indipendentemente dalle altre lavorazioni, in relazione alle quali in ogni caso era stato positivamente smentito un rischio di tal genere. Alla gestione di tale rischio era preposto il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione. Il titolo di responsabilità poteva solo essere circoscritto alla verifica dell'idoneità tecnico - professionale dell'impresa, cui quel lavoro era affidato. Una posizione di garanzia sarebbe stata configurabile solo in caso di ingerenza nel lavoro svolto da altri.
Il pericolo di caduta dall'alto sorgeva in tempi successivi alla valutazione dei rischi e di esso P.G. rimaneva incolpevolmente all'oscuro, anche per la repentinità e per l'estemporaneità della lavorazione. La posizione di garanzia non poteva estendersi fino a richiedere la continua presenza sul luogo del datore di lavoro - amministratore di società di capitali in ogni breve lavorazione eseguita dai dipendenti.
6.3. Vizio di motivazione in ordine alla condotta osservata dal lavoratore.
Si sostiene che l'elaborato tecnico della difesa, svolgendo un'analisi matematica della parabola effettuata dal tubo di metallo in caduta, aveva concluso in termini di incompatibilità tra il moto del tubo e la caduta accidentale dello stesso per effetto del rotolamento. Ritenendosi verosimile che il tubo potesse anche non essere scivolato e magari caduto per una spinta più forte, sarebbe stato necessario accertare le cause effettive della caduta. Non poteva essere attribuita la responsabilità al titolare di una posizione di garanzia rispetto ad una condotta del lavoratore della quale non si era verificata la coerenza con le mansioni.
6.4. Vizio di motivazione in relazione alla mancata formulazione di un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante. Si rileva che l'apparato decisionale non valutava l'integrale risarcimento del danno in favore delle persone offese, addirittura avvenuto in epoca antecedente all'instaurazione del giudizio, irragionevolmente applicando a tutti gli imputati una pena identica, omettendo di valutare le singole ed articolate posizioni soggettive. 
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono infondati.
Le posizioni dei tre imputati vanno trattate in base ad un ordine determinato da ragioni logiche ed in via unitaria, in ragione dei caratteri di identità o di analogia riscontrabili tra alcuni motivi dei distinti ricorsi presentati.
2. Il primo motivo di ricorso, con cui D.C. deduce che la vicenda sarebbe ascrivibile alla responsabilità esclusiva di D.D., a titolo di dolo e che il suo comportamento sarebbe risultato eccentrico rispetto al rischio che il chiamante è chiamato a governare, è infondato. Identiche conclusioni vanno tratte in relazione al terzo motivo del ricorso proposto da P.G., che parimenti ipotizza una responsabilità dolosa di D.D..
In linea generale va osservato che i limiti che presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla motivazione si riflettono anche sul controllo in ordine alla valutazione della prova, poiché, diversamente, anziché verificare la correttezza del percorso decisionale dei giudici di merito, alla Corte di Cassazione sarebbe riservato un compito di rivoluzione delle acquisizioni probatorie, sostituendo, in ipotesi, all'apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza impugnata, una nuova e alternativa valutazione delle risultanze processuali che ineluttabilmente sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio. Di qui il consolidato insegnamento (Sez. 5 n. 44914 del 06/10/2009, Basile, Rv. 245103; Sez. 6 n. 10951 del 10/03/2006, Rv 2337908) in forza del quale, alla luce dei precisi confini che circoscrivono, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il controllo del vizio di motivazione, la Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi, sulla base del testo del provvedimento impugnato, a valutare se la giustificazione propugnata sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Non è, dunque, sindacabile in sede di legittimità, se la motivazione rispetta i canoni della coerenza della logica, la valutazione del giudice di merito al quale spetta il giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, circa i contrasti dichiarativi o la scelta tra diverse versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 2 n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519; Sez. 5 n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623).
I vizi di motivazione evidenziati in ricorso si risolvono, quindi, in richieste, al giudice di legittimità, di effettuare una nuova valutazione del risultato della prova e di sostituirla a quella effettuata dal giudice di merito, valutazione, quest'ultima, che invece si sottrae al sindacato di legittimità, se condotta nel rispetto dei canoni della logica e della completezza. 
Ciò è riscontrabile nel caso di specie, avendo reso la Corte di appello una plausibile argomentazione, a giustificazione della propria decisione, tanto in ordine alla ricostruzione dei fatti, sulla base degli elementi provenienti dalla prova dichiarativa e da quella documentale, correttamente esaminati e sinergicamente valutati con giudizio che, non palesando vistose incongruenze e manifeste fratture logiche, si sottrae alle censure di legittimità, atteso che la mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il dovere di motivazione della sentenza, infatti, è adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessari l'analisi approfondita e l'esame dettagliato delle predette ed è sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105; Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 2006, Mirabilia, Rv 233187).
Del resto, questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa; sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643; Sez. 2, n. 29434 del 19/05/2004, Candiano, Rv. 229220). 
Tanto premesso sui principi espressi da questa Corte in materia, va rilevato che i giudici di merito hanno formulato il giudizio di responsabilità dei ricorrenti sulla base dei dati acquisiti nel contraddittorio dibattimentale, e sinergicamente vagliati. Conseguentemente, la motivazione esposta per giustificare il convincimento non è validamente censurabile in questa sede in quanto sviluppata con intrinseca coerenza, senza fratture logiche e in linea con gli insegnamenti di questo consesso nomofilattico.
L'ipotesi della responsabilità dolosa di D.D. risulta di carattere meramente congetturale.
Inoltre, la condotta di quest'ultimo di aver impropriamente lasciato scivolare dalle mani - o di aver appoggiato male - il tubo poi caduto sulla vittima non può essere ritenuta abnorme, in misura tale da interrompere il nesso di causalità.
In ordine alla prevedibilità delle circostanze che hanno determinato l'evento lesivo del lavoratore, i giudici dì merito, affermando la non eccentricità e la non imprevedibilità del comportamento del lavoratore, hanno evidenziato come l'operazione intrapresa dall'infortunato costituisse un ordinario accadimento fortuito, verificabile in caso di attività di montaggio e smontaggio di un ponteggio, trattandosi di condotta negligente, seppur anomala, era preventivamente controllabile e intuibile in anticipo.
L'assunto del giudice d'appello è corretto e conforme al principio più volte affermato dalla Corte di legittimità in materia di infortuni sul lavoro, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222); nello stesso senso, si è affermato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603).
Pertanto, in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro re-sponsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un compor-tamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386).
A ciò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di tutela approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Tali disposizioni, infatti, sono dirette a difendere il lavoratore anche da incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli (Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Meda, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497).
Orbene, risulta evidente, dai principi richiamati, non è possibile inquadrare nell'ambito delle condotte connotate da abnormità ed esorbitanza, il comportamento tenuto dal lavoratore, non essendosi realizzato in un ambito avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto, come evidenziato in maniera appropriata dalla Corte territoriale.
3. Il secondo e il terzo motivo del ricorso di D.C., con cui l'imputato rileva che non risulta dimostrata la competenza della Cemit in ordine alla lavorazione dalla quale derivava l'evento letale anche in conseguenza del travisamento delle prove di vari testi, sono infondati. Analoghe conclusioni vanno tratte in relazione al primo motivo del ricorso presentato da P.G., con cui il medesimo propone nel medesime censure.
Come convenientemente rilevato dalla Corte di merito, la Cemit, società partecipante alla riunione di coordinamento dell' 11 ottobre 2007, doveva utilizzare il ponteggio montato e smontato in maniera estemporanea ed era destinataria quale capo area dell'associazione temporanea di imprese dedite alla realizzazione della terza caldaia, delle prescrizioni di carattere generale stabilite dal coordinatore esecutivo per il corretto funzionamento del cantiere e il ponteggio le occorreva, per completare il lavoro di serraggio del collettore posto a quota 67,800, come logicamente dimostrato dalla posizione del medesimo e dalla circostanza che la MCP era preposta proprio all’attività di montaggio e smontaggio dei ponteggi su indicazione della Cemit in relazione alle lavorazioni che questa avrebbe dovuto intraprendere. La stessa Cemit aveva sollecitato il montaggio del ponteggio de quo.
Per tali ragioni, la Cemit aveva assunto l'obbligo - perdurante fino all'ultimazione dei lavori - di garantire tutte le opere di protezione e le cautele a tutela non solo degli operai, ma altresì dei terzi e delle proprietà pubbliche e private. La Cemit, quale società operante nel settore edile ed assuntore di fatto - in collaborazione con altri - delle opere suddette, aveva le competenze tecniche e pratiche per rendersi conto dell'inidoneità delle cautele apprestate e ne aveva altresì curato l'esecuzione; la tesi difensiva va disattesa, in quanto la regola cautelare violata di omesso avviso delle opere intraprese e del rischio di caduta dall'alto non è rivolta al solo datore di lavoro, ma investe tutti coloro i quali, nel corso delle opere di montaggio e smontaggio, abbiano assunto la posizione di garanti (Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016, Di Maggio, non massimata sul punto; Sez. 4, n. 1878 del 21/12/2017, dep. 2018, Bruno, non massimata; Sez. 4, n. 16346 del 19/12/2007, dep. 2008, Caramia, Rv. 239578).
Il vizio di travisamento della prova prospettato dal ricorrente si risolve principalmente in una diversa interpretazione del contenuto delle testimonianze rese. Al riguardo, tuttavia, va osservato che il ricorso per Cassazione che deduca il travisamento (e non soltanto l'erronea interpretazione) di una prova decisiva, ovvero l'omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, impone di verificare l'eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l'esistenza della decisiva difformità (Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087).
La Corte territoriale ha altresì chiarito che non poteva essere posta in dubbio l'attendibilità del teste S.A., solo in quanto dipendente da altra impresa, in quanto l'interesse e la concreta ingerenza della Cemit nelle attività relative al ponteggio in questione trovavano conferma in plurime risultanze processuali, tra le quali vari dati documentali - fotografie scattate dal geom. S.M. e contenuto della riunione di coor-dinamento dell'11 ottobre 2007 - e in ulteriori deposizioni quali quelle rese dal medesimo geom. S.M., da D., dipendente della MCP, e da S., dipendente della Cemit.
Nella sentenza impugnata sono state esaminate in modo esauriente tutte le dichiarazioni testimoniali, utilizzate ai fini della decisione, ed è stato spiegato in dettaglio le ragioni per le quali esse sono state ritenute attendibili.
La Corte territoriale, quindi, ha fatto corretto uso dei principi espressi dalla giuri-sprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, non essendo necessari elementi di riscontro esterni, il giudice deve limitarsi a verificare l’intrinseca attendibilità della testimonianza - avuto riguardo alla logicità, coerenza ed analiticità della deposizione nonché all’assenza di contraddizioni con altre deposizioni testimoniali o con elementi accertati con i caratteri della certezza - sulla base della presunzione che, fino a prova contraria, il teste, ove sia in posizione di terzietà rispetto alle parti, riferisce di solito fatti obiettivamente veri (principio di affidabilità) e mente solo in presenza di un sufficiente interesse a farlo (principio di normalità), specialmente nel caso in cui dalla veridicità del dichiarato possano scaturire conseguenze pregiudizievoli per sé o per altri (principio di responsabilità) (Sez. 6, n. 3041 del 03/10/2017, dep. 2018, Giro, Rv. 272152).
4. Il primo motivo del ricorso presentato da D.A., con cui l'imputato si duole dell'omessa distinzione delle aree di rischio rispetto a quella ricondotta al governo di T.S., è infondato. Analoghe conclusioni devono essere formulate in riferimento al secondo motivo di ricorso, con cui P.G. deduce la tesi dell'assenza di una propria posizione di garanzia.
I giudici di merito hanno chiarito che D.A. e P.G. si trovavano in posizione apicale nell'ambito della propria società ed era destinatario, in ragione del potere di supremazia e di direzione nell'organizzazione del lavoro, delle disposizioni in materia di prevenzione ed infortuni, o aventi la posizione di preposti al concreto svolgimento delle funzioni di direzione del cantiere (T.S. e C.) e, quindi, una posizione di primazia rispetto agli altri lavoratori atta da un canto a consentire loro di impartire ordini, istruzioni e direttive e dall'altro a far assumere ai medesimi una correlata posizione di garanzia. Hanno altresì precisato che D.A., soggetto in posizione apicale nella propria impresa, non impartiva le opportune disposizioni affinché le operazioni di montaggio o di smontaggio di un ponteggio avvenissero con le dovute cautele e fossero preventivamente comunicate al CE e non conferiva delega formale per la sicurezza né dimostrava l'affidamento di un incarico verbale a T.S. o a G. per la sicurezza.
Il ricorrente, quindi, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata relativamente all'inesistenza di una delega ed alla mancanza di disposizioni impartite ai propri sottoposti. E' opportuno sul punto richiamare il noto principio espresso da questa Corte, secondo cui, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in una impresa strutturata come persona giuridica, il destinatario delle normativa antinfortunistica è il suo legale rappresentante, essendo la persona fisica per mezzo della quale l'ente collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive e sulla quale ricade l'onere di dimostrare che dalla sua qualifica non discende anche quella di datore di lavoro (Sez. 3, n. 2580 del 21/11/2018, dep. 2019, Slabu, Rv. 274748); la responsabilità penale del predetto, ad eccezione delle ipotesi di valida delega, deriva dalla sua qualità di preposto alla gestione societaria ed è indipendente dallo svolgimento, o meno, di mansioni tecniche (Sez. 3, n. 17426 del 10/03/2016, Tornassi, Rv. 267026).
L'inserimento in un'unica ATI della MCP e della Cemit è del tutto irrilevante, essendo stato ribadito più volte dalla Corte territoriale il concreto interesse di tale ultima società nei lavori di montaggio e di smontaggio del ponteggio de quo. 
5. Il secondo motivo di ricorso, con cui D.A. rileva che, contestualmente all'incidente, alla quota 0 incombeva un alto rischio inferenziale costituito dalla gru in azione per sostenere un grosso collettore, è basato su censure non proponibili in sede di legittimità.
Al riguardo, con motivazione lineare e coerente, la Corte di appello ha evidenziato che la presenza della gru, che aveva sollevato il collettore, non impediva di chiudere la viabilità o di adottare altre misure per la durata dello smontaggio del ponteggio, anche perché gli operai della Cemit avevano finito di lavorare al collettore, tant'è che S.A. li aveva visti scendere dal ponteggio e che, la gru, pertanto, non doveva essere in movimento, perché il collettore ormai era stato agganciato.
Nell'affermare che la gru in realtà era in movimento, il ricorrente fornisce una rilettura delle medesime fonti di prova, adeguatamente valutate dai giudici di merito. Va rammentato in proposito che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovo e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto il sindacato di legittimità al riguardo va essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché - come nel caso in esame - siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
6. Il terzo e col quarto motivo di ricorso, con cui D.A. censura l'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen., deducendo il vizio di travisamento della prova in relazione alla presunta confusione tra i fascicoli fotografici del procedimento e alle dichiarazioni rese dal teste ispettore del lavoro C. Egidio, sono manifestamente infondati.
Relativamente al primo profilo, deve rilevarsi che le plurime violazioni alla normativa infortunistica derivavano non solo dall'esame della documentazione fotografica, bensì soprattutto dal contenuto delle numerose testimonianze (vedi, in particolare, le dichiarazioni di S. e S.A., con le quali il ricorrente non si confronta). La rilevanza della tematica delle gabbie prospettata dalla difesa era logicamente sminuita dalla Corte di appello, che ha fondato il proprio giudizio sulla sottovalutazione del rischio di caduta di materiale. 
Per quanto attiene al secondo aspetto, C. riferiva di aver notato la presenza sul posto di D.D., di S.A., di T., di G., di T.S. e dell'ing. P. nonché di aver osservato un ponteggio, ormai in fase quasi ultimata di smontaggio, posto a distanza di circa m. 1,50 dal bordo esterno della caldaia. In base alle sue dichiarazioni e all'esame delle fotografie da lui stesso scattate nella circostanza, il ponteggio in questione appariva in fase di smantellamento e tutti i pezzi smontati risultavano accatastati in terra, mentre erano vuote la rastrelliera e le gabbie deputate - secondo la normativa antinfortunistica - a raccogliere i detti elementi. E' riscontrabile quindi la mancata messa in sicurezza del materiale impiegato per le lavorazioni. Non emerge nessun travisamento delle sue dichiarazioni, le quali erano chiaramente riferibili alla realizzazione del ponteggio e non all'attuazione del piano di calpestio.
7. Il quarto motivo di ricorso, con cui D.C. si duole del trattamento san-zionatone in relazione alla mancata valutazione dell'avvenuto risarcimento del danno e alla specifica comparazione tra le singole posizioni, è basato su censure non proponibili in sede di legittimità o manifestamente infondate. Le medesime valutazioni possono trarsi in relazione al quarto motivo del ricorso presentato da P.G., che, evidenziando le medesime circostanze, contesta la mancata formulazione di un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante.
In ordine al primo aspetto va osservato che l'aspetto dell'avvenuto risarcimento del danno non risulta prospettato tra i motivi di appello. Ebbene, non possono essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745).
Relativamente al trattamento sanzionatorio, va osservato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 8085 del 15/11/2013, Masciarelli, non massimata; Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Tale ipotesi non ricorre nella fattispecie, laddove la commisurazione della pena è stata correttamente giustificata in riferimento alla complessiva negativa valutazione della vicenda criminosa. I ricorrenti, peraltro, si limitano solo genericamente a sottolineare l'assenza di una distinzione tra le singole posizioni degli imputati, senza specificare però se e per quali ragioni la sua posizione debba essere considerata di minor rilievo rispetto a quella degli altri. 
Per quanto attiene alla questione relativa al giudizio di bilanciamento, va rilevato che in tema di giudizio di comparazione tra circostanze concorrenti, quando vi sia stata espressa e motivata richiesta degli imputati, il giudice è tenuto a dar conto del proprio giudizio in ordine alla valutazione delle circostanze stesse e, sebbene non sia tenuto anche a formulare una analitica esposizione dei criteri di valutazione, deve tuttavia esporre le proprie argomentazioni ai fini della dimostrazione del corretto uso del potere discrezionale e del fondamento delle sue conclusioni (Sez. 6, n. 6616 del 28/02/1994, Nisi, Rv. 198524). In tema di circostanze del reato, con riferimento alla globalità del giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti ed aggravanti, previsto dall'articolo 69 cod. pen., tale giudizio può ritenersi adeguatamente motivato se il giudice pone in risalto una sola delle circostanze suscettibili di valutazione di prevalenza o di equivalenza rispetto alle altre circostanze, per dimostrare la ragione del proprio convincimento; infatti, il giudice non è tenuto a specificare analiticamente le singole circostanze e ad indicare le rispettive ragioni che lo hanno indotto a formulare il giudizio di comparazione (Sez. 2, n. 9387 del 15/06/2000, Pranteddu, Rv. 216924).
Nella fattispecie, il mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla circostanza aggravante è stato fondato, con motivazione immune da censure, in ragione della gravità del reato commesso e della pluralità delle violazioni alla normativa antinfortunistica.
8. Per le ragioni che precedono, i ricorsi vanno rigettati.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali (art. 616 cod. proc. pen.).
 

 

P. Q. M.
 

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 12 marzo 2019.