Responsabilità del datore di lavoro di una spa per infortunio occorso a lavoratore intento ad operare con un macchinario elettrico - A causa di un malfunzionamento della macchina dovuto ad usura, il lavoratore era solito inserire un braccio per sbloccare la macchina stessa ma quel giorno, l'improvviso riattivarsi della macchina, ne determinava lo stritolamento - Sussiste.
La Corte afferma che:
"E' noto, in proposito, che poichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile."
E conclude:
"il consapevole malfunzionamento del macchinario e l'aver consentito che si intervenisse sulla stessa anche in assenza di sistemi di protezione, consente di ritenere legittimo il giudizio di sussistenza dell'addebito, argomentato dai giudici di merito proprio su di una superficialità comportamentale del titolare della posizione di garanzia che avrebbe come conseguenza imposta o quella di mettere fuori servizio la macchina o procedere alla sua definitiva riparazione, munendola di tutti i dispositivi di sicurezza richiesti dalla normativa antinfortunistica."
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente -
Dott. MARINI Lionello - Consigliere -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente -
Dott. MARINI Lionello - Consigliere -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da: V.G., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 26/05/2008 CORTE APPELLO di SALERNO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. D'ISA CLAUDIO;
Udito il Procuratore Generale, nella persona del dott. Angelo Di Popolo che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Il difensore dell'imputato, avv. Pecoraro Rocco chiede l'accoglimento del ricorso.
Fatto
In data 26.05.2008 la Corte d'Appello di Salerno ha confermato la sentenza del giudice monocratico di Nocera Inferiore, in data 7.07.2005, con cui V.G., ritenuto responsabile del delitto di lesioni colpose per violazione delle norme antinfortunistiche, è stato condannato alla pena di un anno di reclusione oltre spese.
In sintesi il fatto.
In data (OMISSIS), M.R., dipendente della ditta Vetroplastica Villani spa, era intento a lavorare con un macchinario elettrico, una pressa meccanica per la realizzazione di cestini di plastica avente un meccanismo costituito da due stampi, l'uno convesso e l'altro concavo, tra i quali veniva iniettato il materiale plastico poi forgiato dalla pressione esercitata dai due calchi:
l'operaio attivava il macchinario dall'esterno, separato dal cuore del meccanismo idraulico dei due stampi da uno sportello di protezione.
A causa di malfunzionamento il macchinario era solito arrestarsi e pertanto l'operaio azionava un dispositivo di blocco, apriva lo sportello di accesso agli organi mobili ed introduceva il braccio sinistro all'interno tentando di estrarre il cestino bloccato tra gli stampi; l'improvviso riavviarsi del macchinario determinava lo stritolamento del braccio del M..
Gli ispettori del lavoro, che hanno eseguito il sopralluogo subito dopo l'incidente, hanno affermato in dibattimento che il meccanismo non funzionava correttamente a causa dell'usura e quindi dell'imperfetta tenuta dell'apparato di sicurezza che, anche alla luce della mancanza del sistema di blocco elettrico, rendeva estremamente pericolosa ogni manovra manuale sugli organi interni, resa necessaria dal normale ciclo di produzione.
Dunque, sulla base di tale dato oggettivo e della provata consapevolezza (come riferito dalla p.o. e da altri operai) da parte del datore di lavoro, V.G., titolare dell'azienda, del cattivo malfunzionamento del macchinario e della manovra che veniva esercitata dagli operai per riavviarla, il giudice di primo grado ha basato il convincimento di colpevolezza dell'imputato.
La Corte d'Appello ha fatto proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, ed, in riferimento al motivo d'appello secondo cui l'operazione di riavviamento della macchina era demandata ad uno specifico operaio autorizzato ad intervenire, rilevava che la circostanza che a provvedere sia stato il M. non è idonea ad escludere la responsabilità del V., se si considera che l'infortunio si è verificato non per un errore commesso dal M., nel suo tentativo di rimuovere l'ostacolo che impediva il funzionamento della macchina, bensì nel malfunzionamento anche dell'unico dispositivo di sicurezza presente e, ovviamente, nella mancanza degli altri e più efficaci apparecchi.
Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, denunciando erronea applicazione della legge penale e vizio motivazionale.
Si argomenta che, se è pur vero che la macchina cui era addetto la p.o. quale operaio della azienda gestita dall'imputato, era soggetta a bloccarsi con frequenza, ciò non legittimava un intervento di ripristino, tanto sconsiderato, da parte del lavoratore che non avrebbe dovuto tentare di riavviare la macchina in special modo in condizioni di possibili ripartenze della stessa. La condotta abnorme del lavoratore, il quale avrebbe violato le disposizioni impartitigli dall'azienda, ed avrebbe tentato di ripristinare la macchina con una operazione alla quale non era delegato, non era autorizzato, e non era qualificato, e addirittura contraria anche alle regole di logica ed esperienza comune, spezzerebbe il nesso causale tra la presunta azione omissiva del titolare dell'azienda e l'infortunio accaduto al lavoratore.
Diritto
I motivi posti a base del ricorso sono manifestamente infondati con la conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Al di là delle censure concernenti la ricostruzione fattuale dell'episodio, qui improponibili, vi è da rilevare che, in materia di normativa antinfortunistica, il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 1, espressamente richiamato dal D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, capo 1 allorquando parla di "lavoratori subordinati e ad essi equiparati" non intende individuare in costoro i beneficiari (tanto meno i soli beneficiari) della normativa de qua, ma ha la finalità di definirne l'ambito di applicazione, ossia di stabilire in via generale quali siano le attività assoggettate all'osservanza di essa, salvo, poi, nel successivo art. 2, escluderne talune in ragione del loro oggetto, perchè disciplinate da appositi provvedimenti.
Pertanto, qualora sia accertato che ad una determinata attività siano addetti lavoratori subordinati o soggetti a questi equiparati, secondo lo stesso D.P.R. n. 547 del 1955, ex art. 3, comma 2, non occorre altro per ritenere obbligato chi esercita, dirige o sovrintende l'attività medesima ad attuare le misure di sicurezza previste dal citato D.P.R. n. 547 del 1955 e D.P.R. n. 164 del 1956.
Ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza, purchè sia ravvisabile il nesso causale, non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato o un soggetto a questi equiparato, ovvero, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale (tra le tante, Cass., Sez. 4, 27 novembre 2002, Bosia).
In questa prospettiva, correttamente l'addebito è stato ritenuto a carico dell'imputato, il quale, nella propria attività imprenditoriale, aveva consentito all'infortunato di utilizzare un macchinario pur in condizione di pacifica irregolarità.
Neppure può legittimamente invocarsi l'abnormità della condotta del lavoratore.
E' noto, in proposito, che poichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile.
Peraltro, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 4, 3 novembre 2004, Volpi; Sez. 4, 14 gennaio 2005, Schifilliti ed altro; Sez. 4, 7 giugno 2005, Pistoiesi).
E' l'ipotesi che qui interessa, ove si ponga attenzione che correttamente il giudicante, con apprezzamento del resto incensurabile in fatto, neppure ha evidenziato una specifica condotta imprudente del lavoratore, che, in ogni caso, anche a volerla ipotizzare, non potrebbe assurgere al rango di causa eccezionale ed imprevedibile, trattandosi di un utilizzo della macchina comunque connesso a quello proprio.
Gli ispettori del lavoro, che hanno eseguito il sopralluogo subito dopo l'incidente, hanno affermato in dibattimento che il meccanismo non funzionava correttamente a causa dell'usura e quindi dell'imperfetta tenuta dell'apparato di sicurezza che, anche alla luce della mancanza del sistema di blocco elettrico, rendeva estremamente pericolosa ogni manovra manuale sugli organi interni, resa necessaria dal normale ciclo di produzione.
Dunque, sulla base di tale dato oggettivo e della provata consapevolezza (come riferito dalla p.o. e da altri operai) da parte del datore di lavoro, V.G., titolare dell'azienda, del cattivo malfunzionamento del macchinario e della manovra che veniva esercitata dagli operai per riavviarla, il giudice di primo grado ha basato il convincimento di colpevolezza dell'imputato.
La Corte d'Appello ha fatto proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, ed, in riferimento al motivo d'appello secondo cui l'operazione di riavviamento della macchina era demandata ad uno specifico operaio autorizzato ad intervenire, rilevava che la circostanza che a provvedere sia stato il M. non è idonea ad escludere la responsabilità del V., se si considera che l'infortunio si è verificato non per un errore commesso dal M., nel suo tentativo di rimuovere l'ostacolo che impediva il funzionamento della macchina, bensì nel malfunzionamento anche dell'unico dispositivo di sicurezza presente e, ovviamente, nella mancanza degli altri e più efficaci apparecchi.
Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, denunciando erronea applicazione della legge penale e vizio motivazionale.
Si argomenta che, se è pur vero che la macchina cui era addetto la p.o. quale operaio della azienda gestita dall'imputato, era soggetta a bloccarsi con frequenza, ciò non legittimava un intervento di ripristino, tanto sconsiderato, da parte del lavoratore che non avrebbe dovuto tentare di riavviare la macchina in special modo in condizioni di possibili ripartenze della stessa. La condotta abnorme del lavoratore, il quale avrebbe violato le disposizioni impartitigli dall'azienda, ed avrebbe tentato di ripristinare la macchina con una operazione alla quale non era delegato, non era autorizzato, e non era qualificato, e addirittura contraria anche alle regole di logica ed esperienza comune, spezzerebbe il nesso causale tra la presunta azione omissiva del titolare dell'azienda e l'infortunio accaduto al lavoratore.
Diritto
I motivi posti a base del ricorso sono manifestamente infondati con la conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Al di là delle censure concernenti la ricostruzione fattuale dell'episodio, qui improponibili, vi è da rilevare che, in materia di normativa antinfortunistica, il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 1, espressamente richiamato dal D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, capo 1 allorquando parla di "lavoratori subordinati e ad essi equiparati" non intende individuare in costoro i beneficiari (tanto meno i soli beneficiari) della normativa de qua, ma ha la finalità di definirne l'ambito di applicazione, ossia di stabilire in via generale quali siano le attività assoggettate all'osservanza di essa, salvo, poi, nel successivo art. 2, escluderne talune in ragione del loro oggetto, perchè disciplinate da appositi provvedimenti.
Pertanto, qualora sia accertato che ad una determinata attività siano addetti lavoratori subordinati o soggetti a questi equiparati, secondo lo stesso D.P.R. n. 547 del 1955, ex art. 3, comma 2, non occorre altro per ritenere obbligato chi esercita, dirige o sovrintende l'attività medesima ad attuare le misure di sicurezza previste dal citato D.P.R. n. 547 del 1955 e D.P.R. n. 164 del 1956.
Ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza, purchè sia ravvisabile il nesso causale, non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato o un soggetto a questi equiparato, ovvero, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale (tra le tante, Cass., Sez. 4, 27 novembre 2002, Bosia).
In questa prospettiva, correttamente l'addebito è stato ritenuto a carico dell'imputato, il quale, nella propria attività imprenditoriale, aveva consentito all'infortunato di utilizzare un macchinario pur in condizione di pacifica irregolarità.
Neppure può legittimamente invocarsi l'abnormità della condotta del lavoratore.
E' noto, in proposito, che poichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile.
Peraltro, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 4, 3 novembre 2004, Volpi; Sez. 4, 14 gennaio 2005, Schifilliti ed altro; Sez. 4, 7 giugno 2005, Pistoiesi).
E' l'ipotesi che qui interessa, ove si ponga attenzione che correttamente il giudicante, con apprezzamento del resto incensurabile in fatto, neppure ha evidenziato una specifica condotta imprudente del lavoratore, che, in ogni caso, anche a volerla ipotizzare, non potrebbe assurgere al rango di causa eccezionale ed imprevedibile, trattandosi di un utilizzo della macchina comunque connesso a quello proprio.
Con la conseguenza che non può qui sostenersi trattarsi di attività abnorme, eccezionale ed imprevedibile ai fini della pretesa interruzione del nesso causale.
Per escludere la responsabilità del titolare di una posizione di garanzia a fronte di un evento ritenuto prevedibile ed evitabile, come l'utilizzo improprio da parte del lavoratore della macchina sfornita di un sistema automatico di protezione in caso di blocco della stessa, potrebbe valere il principio dell'affidamento, alla cui base, come si sa, vi è la considerazione che ogni consociato può confidare che ciascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività che, di volta in volta, viene in questione.
Cosicchè, proprio invocando il principio dell'affidamento, il soggetto titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, (con)titolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento.
Il principio di affidamento non è certamente invocabile sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia (qui, per esempio, del lavoratore, "garantito" dal rispetto della normativa antinfortunistica).
Tale principio, infatti, per assunto pacifico, non è invocabile allorchè l'altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si innesti sull'inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il principio: ossia allorchè l'altrui condotta imprudente abbia la sua causa proprio nel non rispetto delle norme di prudenza, o specifiche o comuni, da parte di chi vorrebbe che quel principio operasse.
In altri termini, non può invocarsi legittimamente l'affidamento nel comportamento altrui quando colui che si affida sia (già) in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 4, 6 novembre 2003, Guida; Sez. 4, 29 ottobre 2004, Rizzini ed altri; Sez. 4, 25 gennaio 2005, Barletta ed altri).
In questo caso, infatti, laddove, anche per l'omissione del successore, si produca l'evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire, l'evento stesso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l'evento (ai fini e per gli effetti di quanto disposto, in tema di "interruzione del nesso causale", dall'art. 41 c.p., comma 2) (in termini, di recente, Cassazione, Sezione 4, 26 gennaio 2005, Cloro ed altri).
E in questa prospettiva ermeneutica che vanno apprezzate la correttezza e la logicità della decisione impugnata, il consapevole malfunzionamento del macchinario e l'aver consentito che si intervenisse sulla stessa anche in assenza di sistemi di protezione, consente di ritenere legittimo il giudizio di sussistenza dell'addebito, argomentato dai giudici di merito proprio su di una superficialità comportamentale del titolare della posizione di garanzia che avrebbe come conseguenza imposta o quella di mettere fuori servizio la macchina o procedere alla sua definitiva riparazione, munendola di tutti i dispositivi di sicurezza richiesti dalla normativa antinfortunistica.
Data questa premessa, logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, è il conseguente giudizio di sussistenza della colpa e del nesso causale posto alla base della decisione di condanna, avendo il giudicante fornito una motivazione immune da censure, siccome del resto basata su una considerazione fattuale incontrovertibile.
Trattasi di un giudizio positivo sulla sussistenza della condotta colposa del prevenuto che non si appalesa affatto illogico.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Per escludere la responsabilità del titolare di una posizione di garanzia a fronte di un evento ritenuto prevedibile ed evitabile, come l'utilizzo improprio da parte del lavoratore della macchina sfornita di un sistema automatico di protezione in caso di blocco della stessa, potrebbe valere il principio dell'affidamento, alla cui base, come si sa, vi è la considerazione che ogni consociato può confidare che ciascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività che, di volta in volta, viene in questione.
Cosicchè, proprio invocando il principio dell'affidamento, il soggetto titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, (con)titolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento.
Il principio di affidamento non è certamente invocabile sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia (qui, per esempio, del lavoratore, "garantito" dal rispetto della normativa antinfortunistica).
Tale principio, infatti, per assunto pacifico, non è invocabile allorchè l'altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si innesti sull'inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il principio: ossia allorchè l'altrui condotta imprudente abbia la sua causa proprio nel non rispetto delle norme di prudenza, o specifiche o comuni, da parte di chi vorrebbe che quel principio operasse.
In altri termini, non può invocarsi legittimamente l'affidamento nel comportamento altrui quando colui che si affida sia (già) in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 4, 6 novembre 2003, Guida; Sez. 4, 29 ottobre 2004, Rizzini ed altri; Sez. 4, 25 gennaio 2005, Barletta ed altri).
In questo caso, infatti, laddove, anche per l'omissione del successore, si produca l'evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire, l'evento stesso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l'evento (ai fini e per gli effetti di quanto disposto, in tema di "interruzione del nesso causale", dall'art. 41 c.p., comma 2) (in termini, di recente, Cassazione, Sezione 4, 26 gennaio 2005, Cloro ed altri).
E in questa prospettiva ermeneutica che vanno apprezzate la correttezza e la logicità della decisione impugnata, il consapevole malfunzionamento del macchinario e l'aver consentito che si intervenisse sulla stessa anche in assenza di sistemi di protezione, consente di ritenere legittimo il giudizio di sussistenza dell'addebito, argomentato dai giudici di merito proprio su di una superficialità comportamentale del titolare della posizione di garanzia che avrebbe come conseguenza imposta o quella di mettere fuori servizio la macchina o procedere alla sua definitiva riparazione, munendola di tutti i dispositivi di sicurezza richiesti dalla normativa antinfortunistica.
Data questa premessa, logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, è il conseguente giudizio di sussistenza della colpa e del nesso causale posto alla base della decisione di condanna, avendo il giudicante fornito una motivazione immune da censure, siccome del resto basata su una considerazione fattuale incontrovertibile.
Trattasi di un giudizio positivo sulla sussistenza della condotta colposa del prevenuto che non si appalesa affatto illogico.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2008
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2008