Responsabilità, nell'ambito di un appalto affidato da un ente autonomo, del progettista dell'opera commissionata nonchè direttore dei lavori per infortunio occorso a tre lavoratori dipendenti della ditta appaltatrice dei lavori - La condotta omissiva contestata all'Ing. S. si sostanziava nel duplice rimprovero che, egli, nella qualità di progettista, avesse eseguito il progetto relativo all'opera commissionata senza prima procedere ad accertamenti geognostici e, per tale via, omesso di valutare la situazione di rischio, per la sicurezza dei lavoratori, correlata alla natura instabile del terreno interessato dallo scavo, nonchè nel rimprovero che egli, nella qualità di direttore dei lavori, avesse omesso di vigilare in ordine all'attuazione del piano di sicurezza previsto nel contratto di appalto, alla corretta esecuzione delle opere provvisionali e di sostegno delle pareti dello scavo, necessarie per la sicurezza dei lavoratori (Il datore di lavoro delle vittime aveva patteggiato la pena) - Sussiste.
Ricorre in Cassazione - Respinto
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La Corte afferma che: "Il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6, che concerne gli obblighi dei progettisti, recita testualmente al comma 1:
"I progettisti dei luoghi o posti di lavoro e degli impianti rispettano i principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute al momento delle scelte progettuali e tecniche".
Appare corretto, pertanto, quanto è affermato nella impugnata sentenza e, precisamente, che era a carico del progettista, Ing. S., la predisposizione di una relazione geologica o geotecnica di dettaglio con riferimento alla zona di esecuzione dei lavori, che è da considerarsi "luogo o posto di lavoro" secondo la richiamata disposizione di legge.
Non può, quindi, lo S. invocare a suo favore la presunta inerzia del V., dell'imprenditore cioè che doveva eseguire i lavori di scavo, incombendo, in ogni caso, sull'imputato un preciso obbligo giuridico e, in proposito, è corretto il pertinente richiamo che i giudici di secondo grado fanno non solo della norma di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 16, ma anche della disposizione di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6: la prima dispone che il progetto sia accompagnato da una relazione geologica, geotecnica, idrologica e sismica, desunta da apposita campagna di sondaggi sull'area interessata; la seconda disposizione, come sopra riferito, impone ai progettisti il rispetto, già al momento delle scelte progettuali inerenti i luoghi o posti di lavoro, dei principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori."
"L'omissione di tale attività è correttamente stata ritenuta in rapporto di causalità con la morte dei tre operai".
Non può, quindi, lo S. invocare a suo favore la presunta inerzia del V., dell'imprenditore cioè che doveva eseguire i lavori di scavo, incombendo, in ogni caso, sull'imputato un preciso obbligo giuridico e, in proposito, è corretto il pertinente richiamo che i giudici di secondo grado fanno non solo della norma di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 16, ma anche della disposizione di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6: la prima dispone che il progetto sia accompagnato da una relazione geologica, geotecnica, idrologica e sismica, desunta da apposita campagna di sondaggi sull'area interessata; la seconda disposizione, come sopra riferito, impone ai progettisti il rispetto, già al momento delle scelte progettuali inerenti i luoghi o posti di lavoro, dei principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori."
"L'omissione di tale attività è correttamente stata ritenuta in rapporto di causalità con la morte dei tre operai".
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da: Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
1) S.A., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 09/06/2004 CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. LICARI CARLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALATI Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore Avv.to RELLA Luigi, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
FattoDiritto
Il (OMISSIS) nel corso dei lavori di realizzazione di un collettore fognario fra i centri di (OMISSIS), il crollo di una parete dello scavo provocò la morte di tre operai ( L.A., F.S. e D.P.A.) che ivi lavoravano alle dipendenze della ditta V.T., appaltatrice dei lavori, eseguiti per conto dell'Ente autonomo acquedotto pugliese (E.A.A.P.), su progetto dell'Ing. S.A., il quale prestava lavoro presso quell'Ente e rivestiva, per l'occasione, anche l'incarico di direttore dei lavori.
Alla stregua della ricostruzione fatta dai giudici di merito sulla dinamica e sulle cause dell'infortunio mortale, non essendo stata mossa in proposito alcuna contestazione di rilievo, può considerarsi certo che il terreno interessato dallo scavo era disomogeneo, con un angolo di attrito così basso da farlo stimare dal perito di ufficio come un terreno dalla "instabilità assoluta", il quale, non essendo stato puntellato, nell'area oggetto del distacco, da alcuna armatura di sostegno, non poteva non crollare.
La condotta omissiva contestata all'Ing. S. dall'accusa e ritenuta, nonostante le obiezioni della difesa, provata dai giudici di merito, si sostanziava nel duplice rimprovero che egli, nella qualità di progettista, avesse eseguito il progetto relativo all'opera commissionata senza prima procedere ad accertamenti geognostici e, per tale via, omesso di valutare la situazione di rischio, per la sicurezza dei lavoratori, correlata alla natura instabile del terreno interessato dallo scavo, alla profondità (m.6,80) e alla larghezza (m. 1) del medesimo ed alla verticalità delle relative pareti; nonchè nel rimprovero che egli, nella qualità di direttore dei lavori, avesse omesso di vigilare in ordine all'attuazione del piano di sicurezza previsto nel contratto di appalto, alla corretta esecuzione delle opere provvisionali e di sostegno delle pareti dello scavo, necessarie per la sicurezza dei lavoratori.
Entrambi detti profili di colpa, secondo il convincimento dei giudici di merito, avevano causalmente contribuito alla produzione dell'evento mortale, in una alla condotta attiva addebitata all'imprenditore V., il quale, separatamente giudicato, ha scelto di definire in primo grado la sua posizione di imputato patteggiando la pena.
Con sentenza del 9/6/2004, la Corte di Appello di Lecce, ha parzialmente riformato quella di condanna per il delitto di omicidio colposo plurimo emessa dal Tribunale della stessa città nei confronti dell'imputato, unico appellante, S.A., procedendo solo alla riduzione della pena inflittagli ad anno 1, mesi 6 di reclusione e, nel resto, confermando l'affermazione della di lui responsabilità, sulla scorta della conclusiva considerazione, in risposta alle doglianze proposte dal nominato appellante, che qualora fossero state fatte le dovute indagini circa la natura del terreno oggetto dello scavo, così da rilevarne la scarsissima forza di coesione e qualora, in conseguenza di ciò, si fossero approntate le dovute misure precauzionali, l'infortunio mortale non si sarebbe verificato.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del difensore, l'imputato, deducendo erronea applicazione della legge penale e illogicità manifesta della motivazione, in primo luogo, per la ragione che i giudici di secondo grado avevano mancato di tenere nel debito conto la tesi difensiva, secondo la quale il progetto dello S., in quanto integrato dai dati geologici acquisiti nel corso di analoghi lavori, era comunque conforme al dettato del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6, garantendo quel livello minimo di sicurezza che era stato erroneamente addebitato anche a lui e non già, in via esclusiva, all'imprenditore V., cui spettava l'elaborazione del piano di sicurezza; in secondo luogo, per la ragione che non appariva corretta la decisione di confermare il giudizio di colpevolezza a carico dello S. nella spiegata qualità di direttore dei lavori appaltati alla ditta V., dal momento che, sotto il profilo causale, la produzione dell'evento mortale era legata esclusivamente alla condotta negligente ed imprudente del titolare di detta ditta, avendo costui iniziato i lavori di scavo senza predisporre ed attuare alcuna misura di sicurezza e, per di più, omesso di darne la previa informazione al direttore dei lavori, così impedendo che quest'ultimo si attivasse per esplicare il proprio compito di vigilanza ed, eventualmente, per impedire l'inizio o la prosecuzione dei lavori; in terzo luogo, per la ragione che il diniego di valutare le attenuanti generiche già concesse con criterio di prevalenza rispetto alle aggravanti contestate mal si conciliava con l'incensuratezza di esso imputato, provocando ingiustificatamente la riduzione della pena in misura modesta e, comunque, non consona ai criteri di cui all'art. 133 c.p..
I motivi di ricorso, proposti nell'interesse dello S., sono destituiti di fondamento.
Il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6, che concerne gli obblighi dei progettisti, recita testualmente al comma 1: "I progettisti dei luoghi o posti di lavoro e degli impianti rispettano i principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute al momento delle scelte progettuali e tecniche". Appare corretto, pertanto, quanto è affermato nella impugnata sentenza e, precisamente, che era a carico del progettista, Ing. S., la predisposizione di una relazione geologica o geotecnica di dettaglio con riferimento alla zona di esecuzione dei lavori, che è da considerarsi "luogo o posto di lavoro" secondo la richiamata disposizione di legge.
Non può, quindi, lo S. invocare a suo favore la presunta inerzia del V., dell'imprenditore cioè che doveva eseguire i lavori di scavo, incombendo, in ogni caso, sull'imputato un preciso obbligo giuridico e, in proposito, è corretto il pertinente richiamo che i giudici di secondo grado fanno non solo della norma di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 16, ma anche della disposizione di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6: la prima dispone che il progetto sia accompagnato da una relazione geologica, geotecnica, idrologica e sismica, desunta da apposita campagna di sondaggi sull'area interessata; la seconda disposizione, come sopra riferito, impone ai progettisti il rispetto, già al momento delle scelte progettuali inerenti i luoghi o posti di lavoro, dei principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori.
La generica indagine geognostica, predisposta in precedenza per altri luoghi dalla altra ditta, l'"ital-impianti", non può ritenersi abbia esaurito l'obbligo del progettista, tenuto conto che lo S., ai sensi della richiamata L. n. 109 del 1994, art. 16, avrebbe dovuto effettuare una relazione geologica e geotecnica con riferimento preciso all'area interessata, la quale, proprio per la composizione estremamente instabile del terreno (di natura sabbiosa e con valori di coesione estremamente bassi, come evidenziato dal perito di ufficio e riportato in sentenza) richiedeva, invece, una particolare indagine geologica di dettaglio, che è stata omessa da parte del progettista, odierno ricorrente.
L'omissione di tale attività è correttamente stata ritenuta in rapporto di causalità con la morte dei tre operai, in quanto, già al momento delle scelte progettuali, è mancato un progetto che, con riferimento specifico alla zona di terreno interessata dai lavori di scavo, rispettasse il livello minimo di sicurezza dei lavoratori, addetti alla realizzazione dei lavori medesimi.
Non v'è chi non veda una condizione di alto rischio in uno scavo di quasi sette metri di profondità, largo un metro, con pareti verticali su un terreno di natura sabbiosa, senza adeguate protezioni laterali di sostegno.
Nella sentenza impugnata è posto in particolare risalto il dato tecnico, inconfutabilmente accertato, che quello scavo (che avrebbe dovuto, per rispettare le esigenze di sicurezza, essere largo non meno di 16-18 metri) così come effettuato, era destinato a crollare, come in effetti avvenne, seppellendo cinque operai, dei quali solo due riuscirono miracolosamente a salvarsi.
Sul punto relativo all'informazione allo S. dell'inizio dei lavori, la sentenza è puntuale nel confutare la tesi difensiva intesa a dimostrare come nessuna comunicazione, neanche di tipo verbale, sarebbe stata fatta dal titolare della ditta appaltatrice.
La confutazione di detta tesi e, per tale via, l'affermazione che il direttore dei lavori, sebbene fosse a conoscenza dell'inizio dei lavori di scavo, ha per colpa omesso di effettuare la doverosa vigilanza sull'andamento degli stessi, sono approdi di un ineccepibile iter logico-argomentativo dei giudici, che trova in sentenza ampio spazio.
Infatti, la premessa dell'avvenuta informazione allo S. dell'inizio dei lavori è dimostrata in sentenza facendo riferimento non soltanto alle dichiarazioni dell'imprenditore V., ma anche ai riscontri esterni a tali dichiarazioni, quali la prova documentale delle missive inviate dalla ditta appaltatrice ai comuni interessati dai lavori di scavo.
Inoltre, non è priva di logica la deduzione tratta dalla frequenza degli incontri (quasi quotidiani) tra lo S. ed il V., come da quest'ultimo dichiarati, quella cioè che le conversazioni tra i due non potevano non avere ad oggetto anche i lavori eseguiti dall'imprenditore per conto dell'ente appaltante, in favore del quale prestava, come si è precisato, la sua opera professionale lo S..
Risulta, pertanto, persuasivamente motivata nella sentenza impugnata anche la conclusione finale di quell'iter logico-argomentativo seguito dai giudici di appello, quella cioè dell'omissione da parte del direttore dei lavori del dovere di vigilanza, essendo pacifico come lo S., nella spiegata qualità, abbia anche omesso di richiedere all'imprenditore la preventiva redazione del piano di sicurezza e, quindi, l'adozione delle misure di prevenzione idonee ad impedire eventuali crolli delle pareti dello scavo e, in caso di inerzia del V., di disporre, quale ultima alternativa, il blocco dell'inizio dei lavori o, quantomeno, la prosecuzione degli stessi nell'interesse della sicurezza dei lavoratori.
Quanto all'ultimo motivo di ricorso, la motivazione sulla pena ha assolto il suo compito, richiamandosi i giudici di merito congruamente ai criteri indicati dall'art. 133 c.p..
In conclusione, tutte le questioni ora sollevate in ricorso dalla difesa sono già state nella impugnata sentenza singolarmente esaminate e risolte con argomentazioni valide sul piano logico e giuridico, dal momento che i principi giuridici sopra richiamati sono stati applicati dai giudici di merito correttamente e con rigorosa ponderazione.
Al rigetto del ricorso segue, a mente dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non può, quindi, lo S. invocare a suo favore la presunta inerzia del V., dell'imprenditore cioè che doveva eseguire i lavori di scavo, incombendo, in ogni caso, sull'imputato un preciso obbligo giuridico e, in proposito, è corretto il pertinente richiamo che i giudici di secondo grado fanno non solo della norma di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 16, ma anche della disposizione di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6: la prima dispone che il progetto sia accompagnato da una relazione geologica, geotecnica, idrologica e sismica, desunta da apposita campagna di sondaggi sull'area interessata; la seconda disposizione, come sopra riferito, impone ai progettisti il rispetto, già al momento delle scelte progettuali inerenti i luoghi o posti di lavoro, dei principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori.
La generica indagine geognostica, predisposta in precedenza per altri luoghi dalla altra ditta, l'"ital-impianti", non può ritenersi abbia esaurito l'obbligo del progettista, tenuto conto che lo S., ai sensi della richiamata L. n. 109 del 1994, art. 16, avrebbe dovuto effettuare una relazione geologica e geotecnica con riferimento preciso all'area interessata, la quale, proprio per la composizione estremamente instabile del terreno (di natura sabbiosa e con valori di coesione estremamente bassi, come evidenziato dal perito di ufficio e riportato in sentenza) richiedeva, invece, una particolare indagine geologica di dettaglio, che è stata omessa da parte del progettista, odierno ricorrente.
L'omissione di tale attività è correttamente stata ritenuta in rapporto di causalità con la morte dei tre operai, in quanto, già al momento delle scelte progettuali, è mancato un progetto che, con riferimento specifico alla zona di terreno interessata dai lavori di scavo, rispettasse il livello minimo di sicurezza dei lavoratori, addetti alla realizzazione dei lavori medesimi.
Non v'è chi non veda una condizione di alto rischio in uno scavo di quasi sette metri di profondità, largo un metro, con pareti verticali su un terreno di natura sabbiosa, senza adeguate protezioni laterali di sostegno.
Nella sentenza impugnata è posto in particolare risalto il dato tecnico, inconfutabilmente accertato, che quello scavo (che avrebbe dovuto, per rispettare le esigenze di sicurezza, essere largo non meno di 16-18 metri) così come effettuato, era destinato a crollare, come in effetti avvenne, seppellendo cinque operai, dei quali solo due riuscirono miracolosamente a salvarsi.
Sul punto relativo all'informazione allo S. dell'inizio dei lavori, la sentenza è puntuale nel confutare la tesi difensiva intesa a dimostrare come nessuna comunicazione, neanche di tipo verbale, sarebbe stata fatta dal titolare della ditta appaltatrice.
La confutazione di detta tesi e, per tale via, l'affermazione che il direttore dei lavori, sebbene fosse a conoscenza dell'inizio dei lavori di scavo, ha per colpa omesso di effettuare la doverosa vigilanza sull'andamento degli stessi, sono approdi di un ineccepibile iter logico-argomentativo dei giudici, che trova in sentenza ampio spazio.
Infatti, la premessa dell'avvenuta informazione allo S. dell'inizio dei lavori è dimostrata in sentenza facendo riferimento non soltanto alle dichiarazioni dell'imprenditore V., ma anche ai riscontri esterni a tali dichiarazioni, quali la prova documentale delle missive inviate dalla ditta appaltatrice ai comuni interessati dai lavori di scavo.
Inoltre, non è priva di logica la deduzione tratta dalla frequenza degli incontri (quasi quotidiani) tra lo S. ed il V., come da quest'ultimo dichiarati, quella cioè che le conversazioni tra i due non potevano non avere ad oggetto anche i lavori eseguiti dall'imprenditore per conto dell'ente appaltante, in favore del quale prestava, come si è precisato, la sua opera professionale lo S..
Risulta, pertanto, persuasivamente motivata nella sentenza impugnata anche la conclusione finale di quell'iter logico-argomentativo seguito dai giudici di appello, quella cioè dell'omissione da parte del direttore dei lavori del dovere di vigilanza, essendo pacifico come lo S., nella spiegata qualità, abbia anche omesso di richiedere all'imprenditore la preventiva redazione del piano di sicurezza e, quindi, l'adozione delle misure di prevenzione idonee ad impedire eventuali crolli delle pareti dello scavo e, in caso di inerzia del V., di disporre, quale ultima alternativa, il blocco dell'inizio dei lavori o, quantomeno, la prosecuzione degli stessi nell'interesse della sicurezza dei lavoratori.
Quanto all'ultimo motivo di ricorso, la motivazione sulla pena ha assolto il suo compito, richiamandosi i giudici di merito congruamente ai criteri indicati dall'art. 133 c.p..
In conclusione, tutte le questioni ora sollevate in ricorso dalla difesa sono già state nella impugnata sentenza singolarmente esaminate e risolte con argomentazioni valide sul piano logico e giuridico, dal momento che i principi giuridici sopra richiamati sono stati applicati dai giudici di merito correttamente e con rigorosa ponderazione.
Al rigetto del ricorso segue, a mente dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Così deciso in Roma, nella Udienza pubblica, il 6 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2009