Cassazione Penale, Sez. 4, 14 novembre 2019, n. 46217 - Morte del lavoratore per folgorazione durante la tinteggiatura della facciata. Responsabilità del datore di lavoro


 

Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: FERRANTI DONATELLA Data Udienza: 05/11/2019

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la sentenza di condanna del Tribunale di Taranto, resa in data 17.10.2015, nei confronti di F.G., in relazione al reato di omicidio colposo indicato in rubrica; lo condannava alla pena di anni due e mesi tre di reclusione (pena sospesa e non menzione), oltre al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, assegnando però una provvisionale, provvisoriamente esecutiva, di euro 40.000,00.
1.1. La contestazione riguardava l'aver omesso nella qualità di datore di lavoro, per colpa da imprudenza negligenza e imperizia e violazione delle norme relative alla sicurezza sui luoghi di lavoro, in violazione degli artt. 15, 17 28 e 117 D.lvo 81/2008 di valutare, in un apposito documento, i rischi e di posizionare ostacoli rigidi che impedissero il ravvicinamento delle parti elettriche attive, violando il divieto di esecuzione di lavori elettrici in vicinanza di linee elettriche con parti attive a distanza inferiore a quelle di cui ai limiti della tabella 1 dell'all. IX, non sufficientemente protette da ostacoli rigidi e cautele idonee ovvero disattivate, nonché per aver omesso un'adeguata formazione e informazione dei lavoratori circa i rischi connessi.
1.2. La Corte di merito confermava la ricostruzione della dinamica dei fatti e l'affermazione di responsabilità penale argomentata dal primo giudice. In particolare risultava accertato che la mattina del 19 luglio 2008, appena iniziato il turno di lavoro S.A., dipendente della F.G. srl, amministrata dall'imputato, riportava un grave infortunio cui seguiva la morte per arresto circolatorio da folgorazione mentre si trovava ad operare nell'area aziendale della Turinvest s.r.l. di Massafra e in specie, munito di asta telescopica metallica con rullo, svolgeva lavori di pitturazione della parte alta della facciata del capannone industriale e, dopo essere salito sul cestello semimovente montato su un autocarro, mezzo presente nell'area da giorni e già utilizzato dagli operai della F.G., si avvicinava alla facciata da tinteggiare prossima alla linea elettrica, posta a ridosso della parete del fabbricato; durante i lavori avveniva un contatto tra detta linea elettrica e l'asta manovrata dallo S.A. il quale veniva percorso da una violentissima scarica elettrica da 20 KW, che lo folgorava attraversandolo dalla mano destra sino al piede destro. Era risultato accertato che nessuna cautela era stata adottata per scongiurare il rischio che i lavoratori intenti alla tinteggiatura del capannone potessero venire a contatto diretto o indiretto con essa, non era stata concordata con l'Enel la disattivazione temporanea, non era stata disposta la schermatura con ostacoli rigidi nè con materiali privi di conducibilità elettrica della linea né erano state impartite ai lavoratori adeguate informazioni in ordine ai rischi derivanti dall'avvicinamento oltre i limiti, prescritti dalla normativa antinfortunistica, alla linea elettrica. Il F.G. aveva prescelto e dotato il cantiere di attrezzature inidonee a garantire la sicurezza, in particolare di una impalcatura realizzata in materiale con conducibilità che poteva esser utilizzata in aderenza alla parete su cui andavano ad operare i lavoratori e che pertanto avrebbe comportato un pericolosissimo avvicinamento degli operai e degli strumenti in dotazione alla linea elettrica; vi era inoltre una piattaforma auto sollevante, montata su un autocarro, lasciata nella disponibilità dei dipendenti che comportava il rischio di avvicinamento alla linea elettrica oltre i limiti di sicurezza, il Collegio escludeva, che la condotta del lavoratore potesse essere qualificata come abnorme.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il F.G., a mezzo del difensore.
I) Con il primo motivo l'esponente denuncia la violazione di legge.
Osserva che dalle dichiarazioni spontanee acquisite al dibattimento risultava che aveva dato precise indicazioni di procedere alla pitturazione della sola parte bassa del capannone; tale programma lavorativo se rispettato non avrebbe comportato alcun rischio operativo in quanto i lavoratori sarebbero stati a debita distanza dalle linee elettriche; a ciò serviva la dotazione di rulli dotati di asta telescopica. S.A. era operaio sufficientemente esperto e svolgeva la mansione di preposto di fatto quindi poteva eseguire il lavoro e doveva allo stesso tempo sorvegliare l'operato dell'altro operaio, garantendo il corretto svolgimento dell'attività lavorativa.
II) Con il secondo motivo deduce violazione dell'alt. 62 bis cod.pen. in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il F.G. ha precedenti penali modesti e datati nel tempo e la Corte d'Appello ha immotivatamente non concesso le attenuanti prevalenti alle aggravanti con conseguente mancato adeguamento delle pena base e concessione della sospensione condizionale.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è inammissibile.
Giova ricordare che questa Suprema Corte ha chiarito che il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni 
processuali" (tra le altre Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).
Deve poi considerarsi che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo, si perviene considerando che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, l'art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di Cassazione una diversa "lettura" dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all'art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei limiti posti all'ambito di cognizione della Corte di Cassazione. Ebbene, si deve in questa sede ribadire l'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, Rv. 233464).
1.1 Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca con il primo motivo sostanzialmente una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con riguardo alla ricostruzione della dinamica del fatto ed alla affermazione di penale responsabilità. Sul punto, la Corte territoriale ha sviluppato un percorso motivazionale immune da aporie di ordine logico e saldamente ancorato all'acquisito compendio probatorio, evidenziando inoltre che l'assoluta mancanza di sistemi di sicurezza (fol da 9 a 14 sentenza di primo grado e fol 3 e 4 sentenza impugnata), contribuì quale concausa determinante al verificarsi dell'evento.
Muovendo da tali rilievi, la Corte territoriale ha quindi escluso il carattere abnorme della condotta posta in essere dal lavoratore. Segnatamente, si è chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; che, nella materia che occupa, deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili - come avvenuto nel caso di specie - della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. 2000, Rv. 215686). E la Suprema Corte ha chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, Rv. 236109). Tanto più che nel caso di specie la Corte territoriale ha evidenziato che lo S.A. era un operaio addetto alle lavorazioni che erano in corso di realizzazione; che non vi è alcun prova che le direttive date fossero quelle di procedere solo alla pitturazione bassa del capannone né che fosse un preposto di fatto. Anzi dalle risultanze istruttorie e dai rilievi fotografici risulta che i lavori di tinteggiatura delle altre facciate erano terminate e la residua porzione da pitturare era proprio la fascia sovrastante la finestratura orizzontale della facciata prospettica del capannone verso la Via Appia, adiacente la linea elettrica, e che, quella mattina, L. e S.A. si erano recati sul posto di lavoro per continuare i lavori eseguiti e già iniziati nei giorni precedenti ( fol 14 sentenza di primo grado ), utilizzando una piattaforma posizionata a distanza ravvicinatissima dalla linea elettrica, tanto da consentire il contatto diretto tra il corpo e i cavi, senza protezioni particolari ma avendo a disposizione un'asta metallica con rullo che, al contatto con il cavo elettrico, era rimasta danneggiata presentando tracce evidenti di fusione del metallo ( fol 4 sentenza di primo grado, teste Ispettorato del lavoro di Taranto).
La decisione gravata, confermativa di quella di primo grado, appare corretta siccome adottata in piena aderenza a quello che, per assunto pacifico, è il contenuto precettivo dell'art. 2087 c.c.. Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2. Ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera. In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c.. In forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto art 40 comma 2 cod.pen.. È in questo quadro normativo che si pone correttamente la sentenza impugnata, laddove ravvisa la colpa, e il conseguente nesso eziologico con l'evento dannoso, del datore di lavoro nel non aver questi previsto una valutazione concreta dei rischi correlati.
1.2 E' manifestamente infondato anche il secondo motivo del ricorso. I Giudici di merito ( fol 6) non hanno concesso le attenuanti generiche sul rilievo che si dovesse tenere conto della specifica condotta posta in essere dalla ricorrente, delle circostanze del caso concreto, dell'intensità della colpa e dei precedenti penali. Del resto, nella determinazione della pena, il Tribunale ha coerentemente irrogato una sanzione di poco superiore al minimo edittale. Va ricordato che le attenuanti generiche, vale a dire circostanze che non sono previste dalla legge e che spetta al giudice di individuare, rendendo la condanna il più possibile adeguata alle specificità della vicenda concreta, furono introdotte con il D.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288 per alleggerire il rigore sanzionatorio del codice Rocco, ritenuto molto severo nella previsione legale dei minimo e dei massimi edittali, senza dover necessariamente incidere sulla modifica dei limiti edittali stessi previsti per le singole fattispecie di reato e, come questa Corte ha già affermato, furono altresì introdotte anche per mitigare la rigidità dell'originario sistema di calcolo della pena nell'ipotesi di concorso di circostanze di specie diversa, e tale funzione, ridotta a seguito della modifica del giudizio di comparazione delle circostanze concorrenti, ha modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice con la fissazione del minimo edittale, allorché questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite; pertanto ove questa situazione non ricorra, perché il giudice valuta la pena da applicare al di sopra del limite, il diniego della prevalenza delle generiche diviene solo un elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione, e non può, quindi, dar luogo ne' a violazione di legge, ne' al corrispondente difetto di motivazione (Sez. 3, n. 369 del 25/01/2000, Rv. 216572; Sez. 3,. 44883 del 18/07/2014, Rv. 260627 - 01).
Questa Corte ha anche affermato che la concessione o meno delle attenuanti generiche si traduce in sostanza in un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, e può ben essere motivato implicitamente attraverso l'esame esplicito di tutti i criteri di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Rv. 227142). Nel caso di specie la motivazione del diniego delle "generiche" è stata invero esplicita e neppure specificamente censurata in ordine a tutti i profili ritenuti ostativi alla sua concessione ma esclusivamente con riferimento alla modestia dei precedenti penali, senza però considerare che la doglianza va a sconfinare in censure fattuali inammissibili anche per la assoluta genericità e aspecificità.
2. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila a favore della Cassa delle Ammende oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili C.A. e S.A. che liquida in complessivi euro tremila oltre accessori come per legge.
Così deciso il 5.11.2019