Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 novembre 2019, n. 30417 - Disturbo post traumatico da stress cronico


 

 

Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: BOGHETICH ELENA Data pubblicazione: 21/11/2019

 

Fatto

 


1. Con sentenza n. 365 depositata il 28.4.2017 la Corte di appello di Torino - confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede - ha respinto la domanda proposta da G.L. nei confronti del datore di lavoro Acciai Speciali Terni s.p.a. per il risarcimento del danno (consistente in un disturbo post traumatico da stress cronico) conseguente all'Infortunio subito durante il turno notturno del 5.12.2007 allorquando, trasferendosi dal reparto detto "linea 1" ove svolgeva l'attività lavorativa al diverso reparto "linea 5", prestava soccorso ad alcuni colleghi investiti da un improvviso incendio e gravemente ustionati, respingendo altresì la domanda formulata nei confronti dell'Inail per la costituzione di una rendita vitalizia o per la liquidazione di altra prestazione previdenziale, anche in via di equità.
2. La Corte distrettuale, per quel che interessa, ha rilevato che il lavoratore aveva sottaciuto, nel proprio atto di costituzione, l'intervenuta stipulazione, in sede sindacale, in data 7.5.2008, di una transazione con il datore di lavoro avente ad oggetto la corresponsione di una somma a titolo altresì di risarcimento dei danni presenti e futuri per l'infortunio avvenuto in azienda; che l'oggetto di detta transazione non poteva ritenersi indeterminato o indeterminabile in quanto la sussistenza, sin dal dicembre 2007-gennaio 2008, della patologia lamentata dal G.L. era stata allegata dallo stesso ricorrente nell'atto introduttivo del giudizio ed emergeva dai documenti prodotti dallo stesso in giudizio, né dunque la patologia poteva ritenersi del tutto imprevedibile alla data di stipulazione della transazione, così come statuito dalla consolidata giurisprudenza ai fini della risarcibilità di eventuali danni sopravvenuti; che, infine, non ricorrevano i requisiti, previsti dall'art. 2 del T.U. n. 1124 del 1965 per configurare l'evento quale infortunio sul lavoro, essendo emerso un mero rapporto di coincidenza temporale e spaziale tra l'attività prestata dal G.L. e l'infortunio subito dai suoi colleghi e, in ogni caso, era ampiamente spirato il termine di prescrizione triennale dettato dall'art. 112 T.U. n. 1124 del 1965 per conseguire le prestazioni a carico dell'Inail, dovendosi individuare il dies a quo al gennaio 2008 (data di diagnosi, da parte del Centro di salute mentale di Torino, della patologia d'ansia reattiva e da stress e di prescrizione della terapia).
3. Avverso la detta sentenza G.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria. La società Acciai Speciali Terni s.p.a. e l'Inail resistono con controricorso, depositando - altresì la società - memoria ex art. 378 cod.pro.civ.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 1346 e 1418 cod.civ. nonché nullità della sentenza e vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato un fatto decisivo costituito dalla sopravvenienza, nel 2013, di un quadro clinico nuovo rispetto alla sintomatologia lamentata nel 2008 dal G.L. (così come documentato tramite consulenza medica legale di parte prodotta negli atti processuali), con conseguente nullità della transazione stipulata tra le parti in quanto avente oggetto indeterminato e indeterminabile, nullità rilevabile d'ufficio ex art. 1421 cod.civ.
2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia violazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965 nonché nullità della sentenza e vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto insussistenti i requisiti previsti dal T.U. Inail per configurare un infortunio sul lavoro nonostante il ricorso introduttivo del giudizio avesse evidenziato, al capo 4, che il G.L. si trovava vicino al luogo dell'incendio al momento della sua propagazione, nel corso dello svolgimento delle sue mansioni, gli fossero giunte le richieste di aiuto degli operai dello stabilimento APL, valendo, ciò, a integrare pienamente un collegamento funzionale tra l'incidente e la prestazione lavorativa del ricorrente e, pertanto, l'insorgenza di un diritto all'erogazione di una prestazione previdenziale.
3. Il primo motivo del ricorso è inammissibile.
Deve, in primo luogo, rimarcarsi che in tema di ricorso per cessazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l’altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex alus: Cass. nn. 7394 e 16698 del 2010).
Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un'erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ., che - nella versione ratione temporis applicabile - lo circoscrive all'omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al "minimo costituzionale" il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell'apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.
La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato - sulla base delle allegazioni contenute nel ricorso originario dello stesso lavoratore nonché dei documenti contestualmente prodotti, e conformemente a quanto statuito dal Tribunale - che: "a) il 10.1.2008 al G.L. furono diagnosticati episodi d'ansia, reattivo e stress acuto con l'indicazione di prosecuzione della terapia in atto (doc. 4 di parte ricorrente in primo grado); b) il 22.4.2008, a richiesta dell'appellante, venne rilasciato un certificato del quale si dava atto del fatto che lo stesso era in trattamento presso il dipartimento salute mentale della ASL 2 di Torino in relazione a sintomatologia depressiva reattiva espressa. In relazione a gravi vicissitudini lavorative (doc. 6 fascicolo AST); c) il 7.5.2008 (ossia cinque mesi dopo l'avvio del trattamento terapeutico della sintomatologia depressiva reattiva e da stress acuto correlata all'evento del dicembre 2007) l'appellante accettò di sottoscrivere la transazione e di rinunciare ad ogni richiesta risarcitoria nei confronti di AST; d) nella relazione del CTP di parte ricorrente, datata 20.6.2013, è affermato che la situazione clinica riscontrata nel 2013 era del tutto sovrapponibili a quella dell'aprile 2008, fatta eccezione per il grado di gravità, passato da "moderato" (nell'immediatezza del fatto) a "lieve" (doc. 11 del ricorrente in primo grado, pagine 13 e 18); e) vi è poi la lettera del 13.11.2012, a firma del difensore del ricorrente, ove si legge che "sin dal gennaio 2008" il signor G.L. "è in cura per sintomatologia depressiva reattiva espressa acuto in relazione a gravi vicissitudini lavorative" (doc. 5 del ricorrente in primo grado)". Alla luce tali elementi, la Corte distrettuale ha concluso che il danno alla salute lamentato dal lavoratore si era già manifestato da diversi mesi prima della sottoscrizione della transazione e lo stesso lavoratore era stato informato della patologia che lo affliggeva dagli specialisti della Centro salute mentale che lo avevano in cura, quanto meno dal 22.4.2008.
Le censure fondate sull'archetipo dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ. risultano ulteriormente inammissibili in quanto incorrono nel vizio della pronuncia "doppia conforme". Invero, l’art. 348 ter, quinto comma, cod.proc.civ. prescrive che la disposizione di cui al quarto comma - ossia l'esclusione del n. 5, dal catalogo dei vizi deducibili di cui all'art. 360, primo comma, cod.proc.civ. - si applica, fuori dei casi di cui all'art. 348 bis, secondo comma, lett. a), cod.proc.civ. anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado, con la conseguenza che il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme.
Nel caso di specie, per l'appunto, la Corte ha confermato la statuizione del Tribunale (ampiamente riprodotta nella sentenza di appello) che aveva sottolineato come la situazione clinica riscontrata nel 2013 era del tutto sovrapponibili a quella dell'aprile 2008, fatta eccezione per il grado di gravità passato da "moderato" a "lieve", non potendosi, pertanto, ritenere che ai momento della transazione, il 7.5.2008, il ricorrente fosse inconsapevole del danno alla sua salute psichica prodotto dai tragici eventi del dicembre 2007.
Quando la ricostruzione degli elementi di fatto effettuata dal Tribunale sia stata confermata dalla Corte d'appello, com'è nel caso, il ricorrente in cassazione, per evitare l'inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 2014), ciò che nel caso non è stato fatto.
4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente ha a lungo argomentato sulla erroneità della esclusione della ricorrenza dei requisiti richiesti dall'art. 2  del T.U. n. 1124 del 1965 per integrare un infortunio sul lavoro ma nulla ha dedotto sull'altra ragione del rigetto della domanda di prestazione previdenziale, ritenuta dalla Corte territoriale decisiva, ossia la decorrenza del termine di prescrizione triennale del diritto alle prestazioni assicurative posto dall'art. 112 T.U. n. 1124 (individuando come dies a quo gennaio 2008, quando fu diagnosticata al G.L. la patologia psichiatrica).
Trova quindi applicazione nella fattispecie il principio secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l'esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l'annullamento della decisione anzidetta (cfr, ex plurimis, Cass. n. 9752 del 2017, Cass. n. 12355 del 2010; Cass. n. 13956 del 2005).
5. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite del presente giudizio seguono il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod.proc.civ. e sono liquidate come da dispositivo.
6. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato - se dovuto - , previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, a favore di ciascun controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi nonché in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello - ove dovuto - per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 settembre 2019.