Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 novembre 2019, n. 30413 - Infortunio e concorso di colpa del lavoratore. Risarcimento del danno


 

 

Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: PONTERIO CARLA Data pubblicazione: 21/11/2019

 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di L'Aquila, con sentenza n. 819 pubblicata il 9.10.14, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, ha respinto l'appello proposto da Cantina Valbiferno Soc. Coop. a.r.l., confermando la pronuncia di primo grado che aveva condannato la predetta società al risarcimento del danno da infortunio sul lavoro subito da F.M..
2. La Corte di merito ha dato atto di come il Tribunale di Larino, con sentenza n. 575 del 2004, aveva condannato la Cantina Valbiferno Soc. Coop. a.r.l. al risarcimento dei danni subiti dal dipendente in conseguenza dell'infortunio occorso il 5.4.2000; la Corte d'appello di Campobasso, con sentenza n. 391 del 2006, aveva parzialmente accolto l'impugnazione della società datoriale e dichiarato il concorso di colpa del dipendente al 50%, riducendo in misura corrispondente il danno liquidato. Con sentenza n. 9167 del 2013 la Corte di Cassazione ha cassato la decisione di secondo grado nella parte in cui aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa dell'infortunato, rinviando alla Corte d'appello di L'Aquila.
3. La sentenza rescindente, uniformandosi a precedenti di legittimità (Cass. n. 5024 del 2002; n. 3213 del 2004; n. 5493 del 2006; n. 9689 del 2009; n. 19494 del 2009; n. 656 del 2011; n. 1994 del 2012), ha cassato la pronuncia di secondo grado "nella parte in cui ha ritenuto il concorso di colpa dell'Infortunato nella determinazione dell'evento", precisando che "una volta esclusa l'ipotesi della condotta abnorme, atipica ed eccezionale del lavoratore, tale da interrompere il nesso di causalità, l'infortunio era da addebitare in via esclusiva al datore di lavoro il cui comportamento - concretizzatosi, come accertato dalla sentenza impugnata, nell'avere adibito il lavoratore ad una operazione pericolosa, con un attrezzo sostanzialmente inidoneo all'uso (tanto che esso non ha retto alla pressione, generando un flusso anomalo di soda che ha colpito il F.M. agli occhi) e per di più non vigilando adeguatamente sull'esecuzione della prestazione e sull'utilizzo degli occhiali protettivi - doveva essere considerato quale unico fattore causale dell'evento dannoso".
4. In ossequio al principio di diritto enunciato nella sentenza n. 9167 del 2013, la Corte d'appello ha affermato l'esclusiva responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio in esame, avendo il predetto omesso di impartire disposizioni in materia di sicurezza, controllarne il rispetto e impedire che l'attività venisse prestata in violazione delle suddette norme.
5. Avverso tale sentenza la Cantina Valbiferno Soc. Coop. a.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso il F.M..
 

 

Diritto

 


1. Con l'unico motivo di ricorso la Cantina Valbiferno Soc. Coop. a.r.l. ha dedotto violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all'art. 437 c.p.c., in quanto applicabile a norma dell'art. 394 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.); omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.).
2. Ha criticato la sentenza d'appello laddove ha negato il rinnovo della consulenza tecnica d'ufficio perché "impedita dal carattere del giudizio di rinvio come giudizio a istruzione sostanzialmente chiusa"; ha affermato l'applicabilità nel giudizio di rinvio, ai sensi dell'art. 364, primo comma, c.p.c., delle norme dettate per il procedimento dinanzi al giudice a cui è stato rinviato il giudizio, e quindi la possibilità per la Corte di merito di ammettere una nuova consulenza medico legale al fine della riliquidazione del danno da infortunio sul lavoro, demandato alla fase rescissoria.
3. Il ricorso non può trovare accoglimento.
4. La Corte d'appello si è uniformata all'indirizzo consolidato di questa Corte che ha definito il giudizio di rinvio come un processo "chiuso", tendente ad una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, nell'ambito fissato dalla sentenza di legittimità, e nel quale le parti sono obbligate a riproporre la controversia nei medesimi termini e nel medesimo stato d'istruzione anteriore a quest'ultima decisione, senza possibilità di svolgere alcuna nuova attività probatoria o assertiva che non dipenda strettamente dalle statuizioni della sentenza rescindente (Cass. n. 16954 del 2003; n. 23380 del 2004).
5. Tale principio trova deroga nel caso in cui fatti sopravvenuti o la sentenza di cassazione, che abbia prodotto una modificazione della materia del contendere, rendano necessaria una ulteriore attività del genere di quella sopra indicata, sì che quest'ultima, in tale seconda ipotesi, venga a dipendere strettamente dalle statuizioni della Suprema Corte (Cass. n. 9859 del 2006; n. 13719 del 2006; n. 21587 del 2009).
6. In tema di deroghe al carattere chiuso del giudizio di rinvio, si è ulteriormente precisato (Cass. n. 16180 del 2013 ) che “nel caso in cui la sentenza d'appello sia stata annullata per vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l'accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perché ritenuti erroneamente privi di rilievo, sono ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ.".
7. Nel caso in esame, la sentenza che ha cassato con rinvio ha demandato alla Corte d'appello di L'Aquila di provvedere "alla riliquidazione del danno risarcibile, escludendo il concorso di colpa dell'infortunato"; tale pronuncia non rendeva necessari nuovi accertamenti di fatti e, conformemente alla statuizione di rinvio, la Corte d'appello ha proceduto ad una nuova liquidazione del danno già accertato e quantificato dai precedenti giudici in base alla c.t.u. medico legale svolta in primo grado, limitandosi ad escludere l'incidenza connessa al concorso di colpa del lavoratore.
8. E' vero che la chiusura propria del giudizio di rinvio concerne le prove che possono essere richieste dalle parti e non incide sull'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio; si è infatti precisato (Cass. n. 341 del 2009; n. 17686 del 2004) che nel giudizio di rinvio "i limiti all'ammissione delle prove concernono l'attività delle parti e non si estendono ai poteri del giudice, ed in particolare a quelli esercitabili d'ufficio, sicché dovendo riesaminare la causa nel senso indicato dalla sentenza di annullamento, tale giudice, come può avvertire la necessità, secondo le circostanze, di disporre una consulenza tecnica o di rinnovare quella già espletata nei pregressi gradi del giudizio di merito, così può ben preferire, salvo l'obbligo della relativa motivazione, di fondare la decisione su tale primitiva consulenza, laddove la ritenga meglio soddisfacente, anche rispetto a quella eventualmente espletata in sede di rinvio, avendo egli il potere di procedere (nuovamente) all'accertamento del fatto valutando liberamente le prove già raccolte, (cfr. Cass. 341 del 2009; n. 17686 del 2004).
9. Al riguardo, deve tuttavia rilevarsi come in tema di consulenza tecnica d'ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (cfr. Cass. n. 17693 del 2013; n. 22799 del 2017).
10. Di conseguenza la censura di mancato rinnovo, nel corso del giudizio di rinvio, della consulenza medico legale si rivela comunque inammissibile.
11. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
12. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
13. Non ricorrono i presupposti dell'art. 96 c.p.c., la cui applicazione è stata sollecitata dal controricorrente, non potendosi far coincidere la mala fede o la colpa grave della parte soccombente con la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate (cfr. Cass., S.U. n. 9912 del 2018) e non risultando nel caso di specie elementi ulteriori significativi di un abuso dello strumento processuale.
14. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, anche in relazione al giudizio di rinvio.
15. Questa Corte ha statuito (Cass. n. 8912 del 2018) che "Il contributo unificato è dovuto anche nell'ipotesi di riassunzione della causa dinanzi al giudice competente, che postula, ai sensi dell'alt. 9, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, l'iscrizione a ruolo del procedimento, poiché non rientra nelle
fattispecie di esenzione contemplate dall'art. 10 del medesimo decreto, ed in quanto il riferimento, da parte del predetto art. 9, comma 1, "a ciascun grado di giudizio", ricomprende, in conformità alla "ratio" del tributo di coprire i costi del funzionamento di ogni fase processuale, l'iscrizione a ruolo della causa dinanzi ad un giudice diverso da quello inizialmente adito, assumendo peraltro rilevanza l'unicità del procedimento riassunto rispetto a quello originariamente incardinato ai soli fini della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, correlati alla proposizione della domanda giudiziale". Le medesime considerazioni possono ripetersi a proposito della riassunzione del processo a seguito della sentenza di cassazione con rinvio.
16. Non può avere rilievo il fatto che il procedimento in esame sia iniziato in primo grado nel 2001, dovendosi avere riguardo, ai fini dell'alt. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, alla data di inizio del procedimento di impugnazione e, nel caso di specie, del procedimento di riassunzione (ricorso del 3.7.2013).
17. Si è infatti precisato che l'obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato in caso di rigetto integrale della domanda (ovvero di definizione negativa, in rito, del gravame), previsto, per i procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, postula esclusivamente l'avvenuta notifica dell'atto di appello, quale atto che, determinando l'instaurazione del rapporto processuale, dà inizio al procedimento di impugnazione, senza che assuma rilevanza la data di introduzione del giudizio di primo grado (Cass. Ord. n. 6280 del 2015; Ord. n. 22726 del 2018).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 9.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge;
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
Così deciso in Roma il 9.7.2019