Cassazione Civile, Sez. 3, 15 gennaio 2020, n. 516 - Crollo durante la ristrutturazione. Ruoli e responsabilità della società conduttrice e dei locatori


 

Presidente: ARMANO ULIANA Relatore: CRICENTI GIUSEPPE Data pubblicazione: 15/01/2020

 

Fatto

 


I ricorrenti sono proprietari di un immobile condotto in locazione da una società, di cui alcuni di loro sono anche soci, e che, avendo per l'appunto la disponibilità dell'immobile, ha commissionato lavori di ristrutturazione ad un'impresa edile.
A seguito di tali lavori è in parte crollata la volta dell'immobile rendendo inagibile l'appartamento sottostante, i cui proprietari sono stati costretti ad allontanarsi a causa ed a seguito di un'ordinanza urgente emessa dal sindaco della città di Venaria.
I proprietari dell'immobile sottostante, sia in proprio, che quali rappresentanti legali della figlia minore, hanno agito in giudizio contro i comproprietari dell'appartamento sovrastante, la società conduttrice di tale appartamento, l'impresa che ha eseguito i lavori, ed il tecnico direttore dei medesimi.
Il Tribunale in primo grado ha riconosciuto i soli danni patrimoniali, negando invece quelli non patrimoniali, ed ha condannato altresì la Allianz assicurazioni a tenere indenne i convenuti del suddetto risarcimento.
La corte di appello ha confermato la decisione del primo grado, salvo mutamenti nell'ammontare del danno.
Avverso tale decisione propongono due ricorsi separati, da un lato, la società conduttrice, e dall'altro i comproprietari dell'immobile oggetto di ristrutturazione, la prima con cinque ed i secondi con dieci motivi di ricorso.
V'è costituzione dei danneggiati con controricorso.
 

 

Diritto

 


1. - La ratio della sentenza impugnata è nella responsabilità dell'impresa e del direttore dei lavori ai sensi dell'articolo 2043 c.c., sulla base di una CTU che ha individuato nell'omesso rafforzamento delle strutture , prima dell'esecuzione dei lavori, la causa del crollo; dei proprietari ai sensi degli articoli 1576 e 1577 del codice civile, in quanto avrebbero, come ricavabile da indici presuntivi, autorizzato i lavori causa del danno a terzi; del committente nel non avere nominato il responsabile dell'esecuzione dei lavori, che, se presente, avrebbe indicato la necessità di rafforzare prima di intervenire sulle strutture.
2. - Ricorrono sia i comproprietari dell'appartamento che la società conduttrice. 
Il primo motivo del ricorso di quest'ultima riguarda la sua esclusiva posizione, mentre gli altri quattro motivi sono identici a quelli illustrati dai comproprietari. Con la conseguenza che, fatto esame a parte di quel primo motivo, gli altri possono avere comune considerazione.
2.1.- Il primo motivo fatto valere dalla società lamenta violazione degli articoli 99, 106, 183 e 269 c.p.c.
Gli attori hanno citato in giudizio i soli comproprietari dell'immobile da cui è derivato il danno. Sono stati questi ultimi a chiamare in causa la società committente, loro conduttrice.
Gli attori non hanno espressamente esteso la domanda alla terza chiamata, la quale dunque eccepisce l'inammissibilità delle domande poi successivamente svolte dagli attori nei suoi confronti.
Ma il motivo è infondato.
Diversamente dall'ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell'attore (caso, questo, in cui la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario), nell'ipotesi della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo (Cass. 5400/ 2013; Cass. 23213/ 2015).
La corte di merito ha correttamente inteso la chiamata in causa della società come chiamata del terzo responsabile, e non come chiamata in garanzia, in quanto i comproprietari (e ciò si ricava agevolmente anche dalle difese svolte in questa sede) attribuiscono esclusivamente alla società conduttrice le condotte (aver commissionato i lavori ecc.) fonte del danno lamentato dagli attori.
3. - Quanto agli altri motivi, i primi cinque del ricorso dei comproprietari sono esclusivamente riferibili alla loro posizione, e mirano a smentire la tesi fatta propria dalla corte di appello secondo cui gli stessi comproprietari sarebbero responsabili del danno al pari della società conduttrice dell'immobile.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto ruotano sulla stessa questione e sono infondati. 
Va ribadito che la corte di appello ha ritenuto responsabili anche i comproprietari, interpretando come riferibili alla fattispecie concreta gli articoli 1576 e 1577 c.c., di cui i ricorrenti denunciano una interpretazione errata.
La corte di merito ha fatto applicazione di una regola giurisprudenziale secondo cui il proprietario e locatore di un immobile, che ha autorizzato il conduttore ad eseguire opere di ristrutturazione del bene, a quest'ultimo altrimenti vietate in base alla disciplina legale della locazione, è legittimato e obbligato, ai sensi degli artt. 1576, 832 e 2043 cod. civ., ad ingerirsi e a sorvegliare l'attività autorizzata o, comunque, consentita, allo scopo di evitare che da essa possa derivarne un ingiusto danno ai terzi, dovendo altrimenti rispondere in solido con il conduttore, ai sensi dell'art. 2055 cod. civ. (Cass. 9193/ 1995).
La corte di merito ha poi ritenuto che i comproprietari avessero autorizzato i lavori o vi avessero acconsentito sulla base di indici presuntivi, come la circostanza che si trattava di lavori di entità notevole, la circostanza che alcuni comproprietari erano anche soci della committente formale, che non hanno mai chiesto conto alla società dei danni che ha causato con il crollo, che hanno indicato le loro mail personali nella denuncia di inizio attività, e che l'amministrazione che ha autorizzato i lavori ha risposto a loro personalmente e non alla società, che infine lo stesso direttore dei lavori, nella Dia, ha indicato i proprietari come committenti.
I ricorrenti ritengono che questi elementi non siano affatto significativi della partecipazione dei comproprietari alla realizzazione dei lavori.
L'uso che il giudice di merito faccia degli elementi presuntivi è di certo censurabile in sede di legittimità, nel senso che il giudice di merito è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida 
prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi (Cass. 9059/ 2018).
Nella fattispecie il giudice di merito ha dato rilievo indiziante a fatti che sia singolarmente che complessivamente considerati rivestono quel carattere, sia la circostanza di essere (alcuni di loro) soci della committente, sia la circostanza di non aver agito nei confronti della società per i danni causati, azione logicamente prevedibile nel caso i lavori non fossero stai autorizzati, sia infine i rapporti diretti con l'amministrazione e la conferma di tali rapporti fatta dal direttore lavori.
In sostanza, l'esame complessivo degli elementi indiziari conferma un'ingerenza dei comproprietari nella esecuzione dei lavori, e comunque la conoscenza del fatto che la conduttrice iniziava lavori di particolare rilievo, che richiedevano l'autorizzazione del locatore.
L'esame complessivo di questi elementi ha portato la corte di merito a ritenere, ed è valutazione quindi logicamente non censurabile (altra essendo la prospettiva di fatto) che i comproprietari avessero acconsentito ai lavori e che dunque devono, giusta la regola sopra richiamata, ritenersi responsabili del danno.
Del tutto irrilevante è poi la circostanza, fatta valere con il quarto motivo, secondo cui le fatture sono state emesse dalla società, in quanto non coglie la ratio della decisione, la quale ritiene i locatori responsabili del danno per la loro ingerenza e non già per avere formalmente affidato l'incarico e formalmente corrisposto il compenso, per cui la circostanza che sia stata la società conduttrice a fatturare non incide sul coinvolgimento dei locatori nell'appalto, ad altro titolo. I motivi dal sesto al nono invece sono comuni anche alla società conduttrice e lamentano violazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, in tema di sicurezza nei lavori edilizi.
Anche per tali motivi non è colta la ratio della decisione.
Quest'ultima argomenta nel senso che la committente formale, ossia la società conduttrice, avrebbe dovuto nominare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, che è figura preposta a garantire la sicurezza e ad evitare che derivino danni; mentre i locatori rispondono del danno ex articoli 1576 e 1577 quali soggetti che, in base alla suddetta interpretazione dell'articolo 1576 c.c., avevano l'obbligo di ingerirsi per impedire danni.
Infine, l'ultimo motivo lamenta erronea decisione sulle spese.
Secondo i ricorrenti le spese sono state poste integralmente a loro carico, pur essendo stata rigetta la domanda della figlia, e pur essendo stata accolta quella degli attori in misura inferiore a quanto richiesto inizialmente.
In sostanza, i ricorrenti lamentano che vi fosse una soccombenza reciproca non valutata dai giudici di merito. In realtà la soccombenza reciproca presuppone domande contrapposte, oppure un'unica domanda articolata in più capi autonomi, di cui solo alcuni accolti e gli altri rigettati.
E' vero che una regola giurisprudenziale considera soccombenza altresì raccoglimento di una domanda in misura minore rispetto alla richiesta, ma è altresì vero che, nel caso presente risulta che gli attori hanno in corso di causa ridimensionato la loro richiesta, e comunque quella stessa giurisprudenza (Cass. 3438/ 2016) avverte che, per potersi parlare di reciproca soccombenza è necessario che la richiesta quantitativamente inadeguata (rispetto a quella poi accolta) abbia costretto la controparte ad una spesa superiore per oneri processuali di quella che avrebbe sostenuta se la domanda fosse stata contenuta nel giusto.
Il ricorso va pertanto respinto.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna al pagamento delle spese di lite, nella misura di 4200,00 euro, oltre 200,00 di spese generali, dando atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato. Roma 12 settembre 2019