Cassazione Penale, Sez. 4, 04 ottobre 2019, n. 40812 - Barriere architettoniche negli edifici privati. Caduta della socia di un circolo nelle scale interne prive di pedata antisdrucciolevole


 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 04/07/2019

 

 

 

Fatto

 

1. Il Tribunale di Venezia ha confermato la sentenza con cui il Giudice di pace di Venezia, dichiarato F.DB. responsabile del reato di cui agli artt. 40 cpv. e 590, cod. pen., lo ha condannato alla pena di euro 600 di multa oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, , liquidato nella somma di euro 6.122,59, oltre alla rifusione delle spese di costituzione della stessa.
2. Al F.DB., in qualità di socio accomandatario della società ARGO s.a.s. di F.DB. Filippo & C., proprietaria dell'immobile sito in Mestre, viale Garibaldi 24, ove, all'epoca dei fatti, era ubicato il circolo denominato "L'incontro", è contestato di aver cagionato per colpa a C.N. lesioni personali consistite in "trauma contusivo emitorace destro con fratture multiple delle coste di destra", con prognosi di giorni 30. La colpa è consistita nell'aver omesso di dotare i gradini delle scale dell'immobile summenzionato di pedata antisdrucciolevole, ai sensi della L. n. 13/1989, idonea ad impedire che la C.N., socia del predetto circolo, nel scendere le scale interne per recarsi verso l'uscita, scivolasse a terra, procurandosi le menzionate lesioni (in Mestre il 06/11/2011).
3. L'imputato, a mezzo del difensore, ricorre avverso la prefata sentenza sollevando quattro motivi. Con il primo, deduce la violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza: diversamente da quanto si legge nel capo di imputazione, che si riferisce alla mancata dotazione dei gradini dell'immobile di pedata antisdrucciolevole, le sentenze di merito si sono soffermate su altri elementi: la mancata applicazione di materiale antiscivolo, le modalità di funzionamento dell'illuminazione, la presenza del corrimano solo sul lato esterno della scala. Elementi, questi, emersi soltanto nel corso dell'istruttoria dibattimentale ed assunti a profili di colpa generica. Il ricorrente ricorda come il primo Giudice abbia attribuito alla persona offesa, per la mancata utilizzazione del corrimano esistente, un concorso di colpa pari al 30%. Detta corresponsabilità costituisce, in realtà, la causa determinante dell'evento, perché l'uso del corrimano avrebbe scongiurato la caduta della donna. Con il secondo motivo, si lamenta l'apparenza e la contraddittorietà della motivazione, nonché il travisamento del fatto. Si è data per certo che la pedata fosse di per sé scivolosa, così da pretendere l'applicazione di strumenti antiscivolo additivi, senza che vi fosse alcun riscontro probatorio al riguardo; allo stesso modo si è data per scontata la vetustà della scala, circostanza, anch'essa, del tutto indimostrata. Le sentenze di merito travisano poi il fatto quando affermano che non vi erano evidenze che la C.N. avesse impegnato la scala senza accendere la luce. Con il terzo motivo ci si duole della violazione dell'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., laddove, a fronte di due possibili e verosimili prospettive dello svolgimento dei fatti, il Tribunale non sia pervenuto ad un'assoluzione ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. Con il quarto motivo, infine, si eccepisce violazione dell'art. 125, comma 3, cod. di rito, per motivazione omessa ed apparente, per travisamento del fatto. La sentenza ha risolto sbrigativamente l'accertamento del danno sulla base di una perizia medico-legale svolta a sette anni dal fatto.
4. In data 21/06/2019, il difensore dell'imputato depositava in cancelleria motivi aggiunti; seguivano controdeduzioni della parte civile, depositate il 03/07/2019.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è meritevole di accoglimento per le considerazioni che seguiranno.
2. Quanto al primo motivo di censura, concernente l'asserita violazione del principio di correlazione tra accusa e difesa, ne va rilevata l'infondatezza. Per giurisprudenza consolidata (ex multis, Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, GALDINO DE LIMA ROZANGELA C/ CASTELLANO STEFANO, Rv. 274500; Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo ed altro, Rv. 232423) non sussiste violazione del principio di correlazione allorquando l'imputato è stato posto in concreto in condizione di difendersi su circostanze poi valorizzate in sentenza.
Occorre, invero, ricordare che in tema di correlazione tra accusa e sentenza, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (artt. 516-522 cod. proc. pen.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicché non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato. In altri termini, poiché la nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi. Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, peraltro, hanno da tempo chiarito quali siano le condizioni che determinano il mutamento del fatto, e quindi la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Al riguardo, si è osservato che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, tale da realizzare un'incertezza sull'oggetto della imputazione da cui scaturisce un reale pregiudizio dei diritti della difesa. E si è pure chiarito che l'indagine volta ad accertare l'eventuale sussistenza della violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e, mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e sentenza, giacché, vertendosi in materia di garanzie della difesa, la violazione, è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (cfr. Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, Di Francesco, Rv. 205619).
Nella concreta fattispecie, il Collegio rileva che, come peraltro afferma lo stesso ricorrente, la questione dell'illuminazione era già emersa nel corso dell'Istruttoria dibattimentale con conseguente possibilità per la difesa di esercitare in concreto i suoi diritti.
Mette conto poi sottolineare che, per quel che riguarda in particolare l'illuminazione e l'esistenza di un corrimano su un solo lato, la parte lesa era pienamente a conoscenza di tali circostanze perché da tempo frequentatrice del circolo e non può quindi parlarsi di insidia; né vi è alcuna prova circa la sussistenza di un nesso causale al riguardo, tenuto conto del mancato utilizzo del corrimano da parte della C.N., alla stessa addebitato a titolo di concorso di colpa, e delle modalità della caduta da ricollegarsi, secondo l'imputazione, alle condizioni dei gradini della scala di cui ci si occuperà di seguito.
3. Ciò posto, si osserva che al F.DB., nella qualità di socio accomandatario della società proprietaria dell'immobile in cui si è verificato l'incidente occorso a C.N., è stata imputata la colpa specifica di aver omesso di dotare i gradini delle scale di pedata antisdrucciolo, ai sensi della legge 9 gennaio 1989, n. 13, idonea ad impedire che la predetta, nel scenderli per recarsi verso l'uscita, scivolasse a terra, procurandosi le lesioni più sopra richiamate.
Orbene, il Giudice di appello non ha dato conto, in motivazione, dell'accertamento o meno di una condotta concretamente colposa, dotata di un ruolo eziologico nella spiegazione dell'illecito. L'addebito di colpa va ricordato non può essere fondato solo sulla posizione di garanzia. Nei delitti colposi di evento, in particolare, non è sufficiente un accertamento della violazione della norma cautelare preposta alla prevenzione di un determinato danno, con l'automatica imputazione dell'evento dannoso all'agente che abbia agito in violazione di una norma cautelare, dovendo il giudice, altresi, accertare, sulla base di indici di rimproverabilità ed evitabilità, che una condotta appropriata avrebbe evitato l'evento, atteso che non è razionale pretendere un comportamento comunque inidoneo ad evitare il risultato antigiuridico. È il tema della causalità della colpa, con cui entrambe le sentenze di merito non si misurano affatto. Nel caso di specie, il Tribunale, sulla base di asserzioni del tutto apodittiche (l'inesistenza di un corrimano, l'inadeguatezza del sistema di illuminazione), non solo sfornite di dimostrazione ma smentite dalle stesse risultanze istruttorie, ha ritenuto sussistente la responsabilità penale dell'imputato in forza della semplice posizione di garanzia da questi rivestita in quanto proprietario dell'immobile in cui si è verificato il fatto lesivo. La titolarità di una posizione di garanzia, tuttavia, non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte di questi di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (la cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco e altro, Rv. 273568; Sez. 4, n. 24462 del 6/5/2015, Ruocco, Rv. 264128; Sez. 4, n. 5404 del 8/1/2015, Corso e altri, Rv. 262033).
Va poi aggiunto che la sentenza impugnata, come quella di primo grado, non si è posta in alcun modo il problema dell’accertamento di eventuali fattori causali alternativi non riconducibili alla condotta dell'imputato. Deve, invece, ricordarsi che, nell’accertamento della responsabilità penale nei reati colposi commessi con azioni od omissioni, assume particolare importanza che l’accertamento della causalità sia volto ad ottenere non soltanto la conferma dell’ipotesi formulata, ma anche la conferma o meno dell’esistenza di fattori causali alternativi che possano costituire elementi di smentita delle ricostruzioni ipotizzate (Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, cit.). Ciò in quanto l’impossibilità di escludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, i fattori causali alternativi non consente di ritenere processualmente certo il rapporto di causalità.
Si palesa, pertanto, un chiaro deficit motivazionale in relazione alla prova sulla causalità.
4. Passando all'esame del profilo di colpa specifica contestato all'imputato, il Collegio ne rileva l'insussistenza. Invero, la citata legge n. 13/1989 ("Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati") e il correlativo D.M. n. 236/1989 ("Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche") non trovano affatto applicazione nel caso di specie. Le norme contenute nella prima si applicano - come dispone l'art. 1, comma 1 - ai progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici ovvero alla ristrutturazione di interi edifici. Il citato decreto ministeriale ha ad oggetto: gli edifici privati di nuova costruzione, residenziali e non, ivi compresi quelli di edilizia residenziale convenzionata; gli edifici di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata, di nuova costruzione; la ristrutturazione degli edifici privati, di cui ai precedenti punti, anche se preesistenti all'entrata in vigore dell'anzidetto decreto; gli spazi esterni di pertinenza degli edifici di cui si è sinora detto.
Risulta dalla stessa sentenza impugnata che l'edificio di cui si tratta risale agli anni sessanta e che mai fu oggetto di ristrutturazione consistente, di talché esso non era soggetto alla normativa testé ricordata perché già esistente al momento dell'entrata in vigore della stessa.
Viene dunque meno la colpa specifica ascritta al ricorrente.
5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso il 4 luglio 2019