Cassazione Penale, Sez. 4, 16 marzo 2020, n. 10161 - Infortunio nel reparto cucina dell'ospedale con una macchina affettatrice priva di protezione. Mancanza di idonei dispositivi di protezione e di formazione


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: FERRANTI DONATELLA Data Udienza: 25/02/2020

 

Fatto

 

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Brescia , confermava la pronuncia dei Tribunale di Bergamo del 28.09.2017, che aveva condannato A.F., legale rappresentante della SIARC s.r.l. alla pena di 1800,00 euro di multa per il reato di cui agli artt. 590 comma 1,2,4 e 583 comma 1 n.l cod.pen., in relazione agli artt. 37 comma 1, 71 comma 1 d.lvo n.81/2008 e all'art. 2017 cod.civ.. Fatto commesso in San Giovanni Bianco l'11.04.2012
1.1 L'imputazione riguarda l'avere, in qualità di quale datore di lavoro, cagionato per colpa, a C.D., lavoratrice presso il reparto cucina del presidio ospedaliero San Giovanni Bianoc, lesioni personali gravi, in particolare ferita lacero contusa 2 dito mano destra dalla quale derivava una malattia di durata pari a 112 giorni. Si contesta la condotta colposa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e violazione delle norme di prevenzione e in particolare di aver consentito di utilizzare di una macchina affettatrice per la carne priva dei dispositivi di protezione nella zona sottostante la lama da taglio per aver omesso di effettuare un'adeguata formazione della lavoratrice in relazione all'utilizzo e alla fase di pulizia della macchina affettatrice medesima la quale presentava grave rischio di lesioni per contatto con parti taglienti e aver omesso di fornire idonei dispositivi di protezione quali guanti di maglia di ferro.
E' stato accertato che la C.D., all'inizio del turno di lavoro, si era dedicata alla pulizia di una nuova affettatrice che era stata portata nelle cucine; che la SIARC era subentrata dal 1 aprile nell'appalto del servizio cucine dell'ospedale San Giovanni Bianco e conseguentemente vi era stato il passaggio delle maestranze; la lavoratrice, come sua abitudine aveva indossato un guanto di gomma antitaglio, aveva tolto il carter dalla lama e raggiunto con la mano la vaschetta sottostante per pulirla ma si era tagliata in quanto la lama in quel punto era priva di coprifilo, di cui invece erano dotate tutte le altre affettatrici già in dotazione del reparto cucine.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata a mezzo del difensore, deducendo i seguenti motivi:
I) violazione di legge penale in quanto la Corte di appello non ha valorizzato le testimonianze del Direttore e della cuoca responsabile della cucina secondo cui l'affettatrice nuova, data in dotazione, era provvista di coprifilo e comunque a fronte di una prova incerta sul punto non ha tratto le dovute conseguenze in merito all'affermazione di responsabilità penale al di là di ogni ragionevole dubbio.
II) violazione di legge e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al comportamento imprudente della lavoratrice che avrebbe dovuto verificare prima di iniziare la pulizia la presenza del coprifilo e non ha indossato il guanto di maglia di ferro che pure era a sua disposizione. Tale condotta imprudente è tale da escludere il nesso di causa tra la condotta scritta all'imputata e l'evento.
III) violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione quanto alla sussistenza della colpa da parte del datore di lavoro che aveva nominato un direttore di mensa e una responsabile della cucina, che ricoprivano pertanto la funzione di preposti del datore di lavoro e la cui presenza doveva esonerare il datore di lavoro da qualsiasi responsabilità per eventuali infortuni alle lavoratrici, proprio in conseguenza al mancato utilizzo dei dispositivi di protezione.
IV) violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato per i motivi di seguito indicati.
2. Quanto al primo motivo va premesso che in ogni caso, il vizio di travisamento della prova, qualora i giudici delle due fasi di merito siano pervenuti a decisione conforme, come nel caso di specie, può essere dedotto solo nel caso in cui il dato probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 26921701; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep.2014, Nicoli, Rv. 25843201), ovvero qualora entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forme di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili (ossia in assenza di alcun discrezionale apprezzamento di merito), il riscontro della persistente infedeltà delle motivazioni dettate in entrambe le decisioni di merito (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 25683701).
E inoltre è deducibile ex art. 606 c.p.p., il "travisamento della prova" ( cfr. Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014 Ud. (dep. 03/02/2014 ) Rv. 258774 - 01), quale si realizza nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tale ipotesi, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano o meno (Sez. 5 n.39048 del 25.09.2007 Rv. 238215). Infine, e per concludere, va ribadito che il vizio della prova travisata, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace soltanto quando l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del "devolutimi" in caso di cosiddetto "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. lAn. 24667 del 15.06.2007 Rv. 237207).
Situazioni queste non rilevabili nella motivazione della sentenza oggi impugnata.
2.1. La Corte distrettuale correttamente ha ritenuto che incombevano sul datore di lavoro gli obblighi di acquisire una adeguata consapevolezza della situazione e dello svolgimento usuale delle lavorazioni in azienda e di adottare le misure organizzative e mezzi necessari e idonei perché le predette lavorazioni venissero eseguite secondo le modalità di sicurezza. La colpa dell'imputata è stata, pertanto, correttamente individuata nell'aver messo a disposizione della dipendente un'attrezzatura, l'affettatrice per la carne, priva delle basilari condizioni di sicurezza in particolare del coprifilo che lascia scoperta la parte della lama che viene a contatto con l'alimento mentre protegge il resto della circonferenza proprio contro l'accidentale contatto delle lame con le mani del lavoratore, soprattutto durante le operazioni di pulizia.
E' stato inoltre accertato che la lavoratrice era esperta nelle operazioni di pulizia ma che tutte le attrezzature con cui normalmente aveva avuto a che fare erano dotate di coprifilo; non aveva il guanto di maglia in quanto nessuno l'aveva informata che il presidio in questione era stato data in dotazione dalla nuova società appaltatrice ma era stato riposto in un cassetto della cucina.
2.2. La ricostruzione dei fatti, ripercorsa in maniera logica e coerente dalla Corte territoriale, ha accertato la violazione di una normativa specifica antinfortunistica nonché l'omessa informazione e formazione del lavoratore in ordine ai rischi connessi alle mansioni svolte. E' evidente, pertanto, come valorizzato da entrambi i Giudici di merito, che si trattava di compiti non delegabili di valutazione del rischio facenti capo al datore di lavoro.
2.3. Infondato è anche il secondo rilievo che contesta il giudizio di non abnormità del comportamento del lavoratore.
La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione dei principi formulati a tale riguardo dal giudice di legittimità. Nell'ampia serie di pronunce possono rammentarsi quelle che insegnano non essere idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013 - dep. 19/02/2014, Rovaldi, Rv. 259313); e quella secondo la quale, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 27/03/2017, Gerosa e altri, Rv. 269603).
Nel caso che occupa è fuor di dubbio che il sinistro si sia verificato mentre la lavoratrice svolgeva i compiti che le erano stati assegnati; l'imprudenza o la negligenza nell'operazione effettuata rappresenta proprio la concretizzazione del rischio che le regole di prevenzione, riferibili alla formazione, all'informazione e alla messa a disposizione di strutture e attrezzature idonee, vogliono evitare.
Se non vi fossero state le citate carenze organizzative riconducibili al datore di lavoro e ai suoi preposti, vi fosse stata la messa a disposizione di attrezzature idonee l'infortunio non si sarebbe presumibilmente verificato.
Il giudizio controfattuale, formulato in questi termini dai Giudici di merito, non presenta alcuna manifesta illogicità siccome scaturente e dedotto dalle risultanze di causa correttamente evidenziate, mentre le deduzioni difensive tendono a prospettare elementi possibilisti di diversa valutazione dei fatti, incapaci di inficiare quella conclusione (fol. 6,7,8).
2.4. Il terzo motivo è infondato per le ragioni già espresse al paragrafo 2.1. e 2.2.
Invero è stato più volte affermato da questa Corte che il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Sul punto ebbero modo di intervenire anche le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un, n. 6168 dei 21/05/1988 Ud. - dep. 21/04/1989 - Rv. 181121) enunciando il principio secondo cui al fine di escludere la responsabilità per reati colposi dei soggetti obbligati D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, ex art. 4 a garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza. Nè, con riferimento alla concreta fattispecie, rileva la presenza di un eventuale altri soggetti gravati da obbligo di garanzia, con il ruolo di preposti, indicati in sede di ricorso nel Direttore di mensa per conto della Siarc o nella capo cuoca: come condivisibilmente già ritenuto da questa Corte, se più sono i titolari della posizione di garanzia ovvero dell'obbligo di impedire l'evento, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della suddetta posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione.( Sez. 4 n. 24372 del 09/04/2019 Ud. (dep. 31/05/2019 ) Rv. 276292 - 02; Sez. 4, n. 6507 del 11/01/2018 Ud. (dep. 09/02/2018 ) Rv. 272464 - 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 Ud. (dep. 16/05/2012 ) Rv. 253850 - 01). Ma vi è di più, non risulta fornita alcuna sicura e concreta prova circa l'affidamento a tali soggetti di tale specifico ruolo né circa i relativi poteri effettivi. In tema di infortuni sul lavoro, in ipotesi di delega di funzioni spettanti al datore di lavoro, è necessario verificare in concreto che il delegato abbia effettivi poteri di decisione e di spesa in ordine alla messa in sicurezza dell'ambiente di lavoro: e ciò anche indipendentemente dal contenuto formale della nomina" (così, "ex plurimis", Sez. 4, n. 40939 del 05/12/2002, rv. 223296): non è dato comprendere da quali atti del processo sarebbero desumibili simili poteri di fatto attribuiti in delega al Direttore di mensa o alla capo cuoca. Ed ancora, va altresì sottolineato - e trattasi di considerazione decisiva e tranciante - che era stato ovviamente il datore di lavoro, a mettere a disposizione della lavoratrice, la nuova affettatrice priva di coprifilo, con evidente pericolosità dell'attrezzo.
2.5. Il quarto motivo, relativo alla mancata concessione attenuanti generiche è manifestamente infondato trattandosi di un beneficio rimesso alla valutazione del giudice di merito rientrando nelle sue prerogative, sulla base degli elementi di giudizio offerti dall'art. 133 cod. pen., commisurare l'entità della pena alla effettiva gravità del reato commesso, onde rendere efficace sia la funzione dissuasiva di essa che la sua finalità riabilitativa; sul punto la Corte territoriale ha congruamente motivato ritenendo che il profili della incensuratezza e del grado di colpa sono stati già tenuti presenti nella individuazione della multa anziché nella pena detentiva e non vi sono ulteriori elementi per giustificare la concessione dell'attenuante ai fini di riduzione della sanzione inflitta, ciò in relazione alla gravità della conseguenze lesive patite dalla lavoratrice a causa della comportamento illecito della datrice di lavoro. .
3.In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25.02.2020