Infortunio sul lavoro – preposto – caposquadra – compiti e responsabilità – condizioni – conseguenze.
“Il D. Lgs. n. 626/1994, così come modificato dal D. Lgs. n. 242/1996, non fornisce una espressa definizione della figura dei preposti, la cui nozione, tuttavia, si ricava dall’art. 4 bis che riprende il concetto contenuto nell’art. 4 dei DPR n. 547/1955 e n. 303/1956, definendoli come i soggetti che sovrintendono all’espletamento delle attività soggette alla normativa prevenzionistica. Non spetta, perciò, al preposto adottare misure di prevenzione, ma fare applicare quelle predisposte da altri intervenendo con le proprie direttive ad impartire le cautele da osservare.
Posto che con il termine ‘sovrintendere’ si indica l’attività rivolta alla vigilanza sul lavoro dei dipendenti per garantire che esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza, il caposquadra va inquadrato nella figura del preposto perché rientra nei suoi compiti dirigere e sorvegliare il lavoro dei componenti la squadra.
Non può sfuggire, pertanto, alle sue responsabilità il soggetto che avendo il potere di ordinare un tipo di lavoro non controlli che questo sia compiuto secondo le norme antinfortunistiche; in caso contrario verrebbe meno un anello della catena organizzativa, essendo impossibile per chi non si trovi sul posto di lavoro effettuare tale controllo che costituisce una delle attività più importanti tra quelle dirette ad evitare gli infortuni”.
(Massima a cura della Redazione di Olympus)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTISTI Marian - Presidente -
Dott. CAMPANATO Grazia - Consigliere -
Dott. IACOPINO Silvan - Consigliere -
Dott. COLOMBO Gherar - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patriz - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) B.S. N. IL (omissis);
avverso SENTENZA del 04/06/2004 CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. Campanato Graziana;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Iannelli Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto e Diritto
B.S., imputato del reato di lesioni colpose e di violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. f) e art. 90, comma 2, lett. b) per non avere controllato in qualità di capo squadra che il sottoposto A.G., intento a segare pezzi di legno utilizzasse l'apposito attrezzo spingi pezzo cagionando allo stesso una lesione personale grave costituita dalla perdita del secondo dito della mano destra con diminuzione permanente della capacità prensoria, (fatto risalente al 12 luglio 1999) veniva condannato, con la concessione delle attenuanti generiche la pena di sei mesi di reclusione.
Avverso la suindicata sentenza il B. proponeva appello chiedendo l'assoluzione dal reato, deducendo di non avere avuto la qualità di preposto, ma solo di capo squadra, senza alcun potere di controllo sull' A.; in subordine chiedeva la concessione dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p. e la riduzione della pena.
La Corte d'Appello di Napoli dichiarava estinta per prescrizione la contravvenzione; confermava la dichiarazione di responsabilità e, ritenuta la prevalenza delle concesse attenuanti generiche, determinava la pena in Euro 400,00 di multa, confermando nel resto.
Il B. avverso detta sentenza datata 4.6.04 ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo inosservanza o erronea applicazione della normativa antinfortunistica di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994 come modificato dal D.Lgs. n. 242 del 1996, in quanto la norma citata riguarderebbe il datore di lavoro e non più il dirigente o il preposto.
Con il secondo motivo deduce anche manifesta illogicità della motivazione, in quanto a suo dire la corte avrebbe fatto confusione tra le qualifiche attribuitegli, equiparando la figura dell'assistente a quella del preposto ed a quella del caposquadra:
mentre l'assistente di cantiere, munito di procura, può essere assimilato al preposto, tale non potrebbe essere considerato il caposquadra, "operaio fra operai, senza obbligo di vigilanza sull'osservanza delle norme di sicurezza". Assumeva, in linea di fatto, che nel cantiere di piazza Cavour a Napoli, dove avvenne l'incidente, vi erano al lavoro decine di operai, tutti minatori specializzati e di lunga esperienza, con due capisquadra e probabilmente un vero assistente che sorvegliava le operazioni in sotterraneo, per cui esso ricorrente non aveva compiti di vigilanza, nè avrebbe potuto in concreto sorvegliare in ogni istante i suoi compagni di lavoro.
Con il terzo motivo il B. contesta che l' A. abbia fatto parte del suo gruppo, ricordando come lo stesso abbia dichiarato all'Ispettorato del Lavoro ed in una successiva dichiarazione di avere ricevuto l'ordine di ricavare dei cunei da un'asse di legno da parte del caposquadra N.N. e solo in dibattimento abbia riferito che tale ordine gli era stato impartito dal B..
Con il quarto motivo lamenta la mancata applicazione della chiesta attenuante di cui all'art. 114 c.p., considerato che lo stesso A. era stato imputato e condannato dal tribunale per non avere fatto uso dello spingi pezzo.
Sulla base dei detti motivi chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata con ogni statuizione conseguente.
Il Procuratore Generale concludeva chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso propone la questione relativa all'applicazione dei doveri inerenti alla posizione di garanzia rispetto agli infortuni intercorsi nell'ambiente di lavoro che è stata novellata dai citati decreti legislativi per rendere uniforme la normativa italiana risalente alla legge antinfortunistica del 1955 e del 1956 ai principi della normativa europea.
In particolare con le innovazioni apportate al testo del 1994 dal decreto legislativo del 1996 si sono distinte le funzioni e la posizione di garanzia che è propria del datore di lavoro e non è delegabile a terzi dalle funzioni delegabili (art. 1 comma, 4 ter).
In questo modo si sono enucleati degli obblighi così ontologicamente connessi alla funzione propria ed alla qualifica del datore di lavoro da renderli assolutamente insuscettibili di traslazione su altri soggetti, sia pure prescelti ed espressamente delegati dal titolare.
Si tratta dei compiti di valutazione dei rischi connessi all'attività d'impresa di individuazione delle misure di prevenzione e dei mezzi di protezione, di definizione del programma per migliorare i livelli di sicurezza, di fornitura dei dispositivi necessari di protezione individuale, di designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il datore di lavoro non è tenuto ad elaborare personalmente il piano di sicurezza, ma dovrà scegliere gli esperti che lo faranno, fissando i tempi ed i modi delle forme di controllo della loro attività, senza rimettere ad altri l'incarico di assumere questa iniziativa ed una volta ottenuto il piano dovrà reperire le risorse, organizzare le strutture e distribuire i compiti fra i suoi collaboratori per renderlo operante.
Accanto al datore di lavoro sono menzionati dal decreto i dirigenti ed i preposti, dei quali non si da una espressa definizione, per cui tali qualità discendono dalla loro posizione assunta all'interno delle singole aziende o enti.
Venendo a considerare la figura dei preposti perchè il ricorrente, caposquadra, non aveva senz'altro una posizione dirigenziale e contesta di poter essere considerato preposto, la nozione si ricava dall'art. 4 bis che riprende il concetto contenuto dell'art. 4, del D.P.R. n. 547 del 1955 e del D.P.R. n. 303 del 1956, definendoli come i soggetti che sovraintendono all'espletamento delle attività soggette alla normativa prevenzionale.
Con il termine "sovraintendere", secondo il concorde orientamento della dottrina e della giurisprudenza, si indica l'attività rivolta alla vigilanza sul lavoro dei dipendenti per garantire che esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza.
Non spetta al preposto adottare misure di prevenzione, ma fare applicare quelle predisposte da altri, intervenendo con le proprie direttive ad impartire le cautele da osservare Con il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 90 del, così come modificato dal D.Lgs. n. 242 del 1996 è stato ampliato il precetto prevenzionale diretto al preposto, ma perchè possa essere chiamato a risponderne in concreto occorre che utilizzando il criterio guida dell'effettività egli abbia in concreto il potere di intervenire nei compiti precettati, per cui l'area della sua responsabilità viene circoscritta dagli effettivi poteri a lui spettanti, indipendentemente dalle più ampie indicazioni normative.
Nel caso di specie il caposquadra va inquadrato nella figura del preposto perchè rientra nei suoi compiti dirigere e sorvegliare il lavoro dei componenti la squadra.
Al lavoratore era stato ordinato dal caposquadra di trarre dei cunei da un'asse di legno, operazione che necessita dello spingi pezzo onde impedire lesioni alle mani.
Si tratta di una dotazione obbligatoria che va fornita dal datore di lavoro, ma l'imputato non ha sollevato obiezioni circa la possibilità di disporre di tale strumento.
Trattandosi di un'operazione espressamente ordinata dal preposto il controllo della stessa era di sua competenza e se vi fosse stata una qualche difficoltà nel reperimento dello spingi pezzo avrebbe dovuto preoccuparsene o sospendere l'operazione stessa, essendo suo compito quello di fornire ai lavoratori i mezzi di protezione o di farne richiesta al datore di lavoro ed al responsabile del piano di sicurezza, quantomeno nell'ambito delle attività lavorative di sua competenza.
Non può, pertanto sfuggire alle sue responsabilità il soggetto che avendo il potere di ordinare un tipo di lavoro non controlli che questo sia compiuto secondo le norme antinfortunistiche. In caso contrario verrebbe meno un anello della catena organizzativa, essendo impossibile per chi non si trovi sul posto di lavoro effettuare tale controllo che costituisce una delle attività più importanti tra quelle dirette ad evitare gli infortuni.
L'imputato sostiene di non avere avuto nella sua squadra l' A. e che l'ordine di segare in piccoli pezzi l'asse di legno era stato impartito dall'altro capo squadra N., ma la Corte ha motivato in ordine alle prove che conferiscono al B. la qualità di caposquadra e in merito al fatto che fu lo stesso ad impartire l'ordine di tagliare l'asse all' A..
Quanto alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., la corte ha opportunamente motivato in ordine all'esclusione dei presupposti per la concessione con argomento logico condivisibile, perchè fu il mancato controllo, unitamente all'imprudenza del lavoratore ad incidere in modo determinante nella produzione dell'evento lesivo.
Ciò premesso, il ricorso va rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2006