CNF Consiglio Nazionale Forense Commissione Diritto del Lavoro
Adozione di protocolli di sicurezza negli studi legali in periodo di emergenza sanitaria da COVID-19
-Scheda di approfondimento (22 maggio 2020)¹ -
Il Decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, prevede (artt. 1 e 2) che, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, possano essere adottate, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, una o più misure volte a contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, tra le quali, per quanto in questa sede interessa, rilevano:
- la limitazione o sospensione di altre attività d'impresa o professionali, anche ove comportanti l'esercizio di pubbliche funzioni, nonché di lavoro autonomo, con possibilità di esclusione dei servizi di pubblica necessità previa assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non sia possibile rispettare la distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio come principale misura di contenimento, con adozione di adeguati strumenti di protezione individuale (art. 1, comma 2, lettera z).
- la previsione che le attività consentite si svolgano previa assunzione da parte del titolare o del gestore di misure idonee a evitare assembramenti di persone, con obbligo di predisporre le condizioni per garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio; per i servizi di pubblica necessità, laddove non sia possibile rispettare tale distanza interpersonale, previsione di protocolli di sicurezza anti-contagio, con adozione di strumenti di protezione individuale (art. 1, comma 2, lettera gg).
Sulla base di tali disposizioni è stato, in seguito, emanato, tra gli altri, il DPCM 26 aprile 2020 (GU n.108 del 27-4-2020) recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale nel periodo 4-17 maggio 2020.
Tale DPCM stabilisce, in ordine alle attività professionali, quanto segue: “...si raccomanda che: ... c) siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale; d) siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali” (art. 1, comma 1, lettera ii).
Il DPCM prevede, invece, in relazione alle imprese, quanto segue: “Le imprese le cui attività non sono sospese rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e
le parti sociali di cui all'allegato 6, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all'allegato 7, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all'allegato 8. La mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza” (art. 2, comma 6).
Un differente trattamento tra imprese e professionisti appare, inoltre, confermato sia dalla rubrica (“Misure di contenimento del contagio per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali") dell'art. 2 del DPCM da ultimo citato sia da quanto previsto dal comma 1 del medesimo art. 2 che, prima di indicare gli obblighi per le “imprese" supra indicati, dispone che “...resta altresì fermo quanto previsto dall'art.
I del presente decreto per le attività commerciali e i servizi professionali".
Mentre, dunque, per le imprese è previsto l'obbligo di rispettare il protocollo condiviso sottoscritto il 24 aprile 2020, per i servizi professionali il DPCM si limita a raccomandare l'adozione di "protocolli di sicurezza anti-contagio" senza prescrivere che essi siano conformi a protocolli generali già esistenti.
Alla luce delle sopra esposte considerazioni è possibile, quindi, affermare che i professionisti possano adottare protocolli anti-contagio ad hoc, anche in forma semplificata e non necessariamente corrispondente al protocollo condiviso del 24 aprile 2020.
Quanto sopra comporta, inoltre, che il mancato rispetto, da parte dei professionisti, delle (o di tutte le) previsioni del protocollo condiviso sottoscritto il 24 aprile 2020 non potrà essere sanzionato ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, del Decreto legge 25 marzo 2020, n. 19².
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Le disposizioni contenute nei provvedimenti da ultimo adottati dal Governo (Decreto legge 16 maggio 2020, n. 33³ e Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 maggio 2020⁴) si pongono, per quanto qui interessa, in stretta linea di continuità con i precedenti atti sopra esaminati.
Il Decreto legge 33/2020 prevede, in particolare, che:
- Le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale. Le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, con provvedimenti emanati ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 o del comma 16 (art. 1, comma 14).
- Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza (art. 1, comma 15).
- Salvo che il fatto costituisca reato diverso da quello di cui all'articolo 650 del codice penale⁵, le violazioni delle disposizioni del presente decreto, ovvero dei decreti e delle ordinanze emanati in attuazione del presente decreto, sono punite con la sanzione amministrativa di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (art. 2, comma 1).
Il conseguente DPCM 17 maggio 2020 contiene una specifica disposizione relativa alle attività professionali che riproduce testualmente le previsioni, supra commentate, di cui all'art. 1, comma 1, lettera ii, del DPCM del 26 aprile 2020: “In ordine alle attività professionali si raccomanda che:... c) siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale; d) siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali” (art. 1, comma 1, lettera ll).
Con riguardo alle (sole) “attività produttive industriali e commerciali” il DPCM del 17 maggio conferma le previsioni del DPCM del 26 aprile, stabilendo che esse ...rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali di cui all'allegato 12, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all'allegato 13, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all'allegato 14” (art. 2, comma 1).
Le “Linee guida per la riapertura delle attività economiche e produttive della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 16 maggio 2020", allegato n. 17 del DPCM del 17 maggio 2020, contengono, inoltre, una scheda tecnica applicabile allo specifico “settore degli uffici, pubblici e privati, degli studi professionali e dei servizi amministrativi che prevedono accesso del pubblico”.
In tale scheda tecnica vengono fornite le seguenti indicazioni:
- Predisporre una adeguata informazione sulle misure di prevenzione.
- Potrà essere rilevata la temperatura corporea, impedendo l'accesso in caso di temperatura > 37,5 °C.
- Promuovere il contatto con i clienti, laddove possibile, tramite modalità di collegamento a distanza e soluzioni innovative tecnologiche.
- Favorire l'accesso dei clienti solo tramite prenotazione, consentendo la presenza contemporanea di un numero limitato di clienti in base alla capienza del locale (vd. punto successivo).
- Riorganizzare gli spazi, per quanto possibile in ragione delle condizioni logistiche e strutturali, per assicurare il mantenimento di almeno 1 metro di separazione sia tra le singole postazioni di lavoro, sia tra i clienti (ed eventuali accompagnatori) in attesa. Dove questo non può essere garantito dovrà essere utilizzata la mascherina a protezione delle vie aeree.
- L'area di lavoro, laddove possibile, può essere delimitata da barriere fisiche adeguate a prevenire il contagio tramite droplet.
- Nelle aree di attesa, mettere a disposizione soluzioni idro-alcoliche per l'igiene delle mani dei clienti, con la raccomandazione di procedere ad una frequente igiene delle mani soprattutto dopo il contatto con riviste e materiale informativo.
- L'attività di front office per gli uffici ad alto afflusso di clienti esterni può essere svolta esclusivamente nelle postazioni dedicate e dotate di vetri o pareti di protezione.
- L'operatore deve procedere ad una frequente igiene delle mani con soluzioni idro-alcoliche (prima e dopo ogni servizio reso al cliente).
- Per le riunioni (con utenti interni o esterni) vengono prioritariamente favorite le modalità a distanza; in alternativa, dovrà essere garantito il rispetto del mantenimento della distanza interpersonale di almeno 1 metro e, in caso sia prevista una durata prolungata, anche l'uso della mascherina.
- Assicurare una adeguata pulizia delle superfici di lavoro prima di servire un nuovo cliente e una adeguata disinfezione delle attrezzature.
- Favorire il ricambio d'aria negli ambienti interni ed escludere totalmente, per gli impianti di condizionamento, la funzione di ricircolo dell'aria.
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I provvedimenti regionali, emanati ai sensi dell'art. 1, comma 16, del Decreto legge n. 33/2020, richiamano, inoltre, espressamente le predette Linee Guida.
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L'esame delle recenti disposizioni emanate dal Governo rafforza, quindi, da un lato, l'interpretazione, sopra illustrata, secondo la quale l'obbligo di rispetto del protocollo condiviso del 24 aprile 2020 concerne unicamente le imprese e induce, dall'altro, a ritenere che, per quanto riguarda le attività professionali, debba farsi riferimento, per il periodo di efficacia del DPCM del 17 maggio 2020 (18 maggio 2020-14 giugno 2020)⁶, alle “indicazioni” di cui alla scheda tecnica contenuta nelle “Linee guida per la riapertura delle attività economiche e produttive della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 16 maggio 2020”.
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Su un piano differente e ulteriore si collocano, invece, gli obblighi di prevenzione previsti per i datori di lavoro, nei confronti dei dipendenti e soggetti assimilati, dalla normativa in materia di salute e sicurezza (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81⁷ e, in generale, art. 2087 c.c.⁸), obblighi che gravano anche sui titolari di attività professionali⁹ (più o meno complesse a seconda dell'organizzazione dello studio).
Nei confronti dei legali datori di lavoro (a cui devono assimilarsi le ipotesi di associazione tra professionisti e di società di professionisti, anche senza dipendenti) trovano, infatti, applicazione tutte le disposizioni generali e specifiche previste dalla normativa vigente in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Per i legali datori di lavoro si apre, altresì, il tema delle possibili conseguenze civili e penali a seguito di contagio di un dipendente, soprattutto in relazione alla disposizione (art. 42 del Decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, conv. nella legge 24 aprile 2020, n. 27) che equipara il contagio da COVID-19 all'infortunio¹°.
È nota la querelle sul punto, tanto che da più parti è stata richiesta l'adozione di uno scudo penale ad hoc in favore dei datori di lavoro, una delle cui condizioni di applicabilità sarebbe proprio il rispetto dei protocolli di sicurezza¹¹.
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In linea generale, poi, i professionisti senza dipendenti sono, comunque, tenuti a rispettare ed attuare le prescrizioni anti-contagio disposte dalle autorità sanitarie o altri organi.
Ad esempio: Indicazioni ad interim dell'Istituto Superiore di Sanità per la prevenzione negli ambienti indoor - Rapporto 5/2020 del 21.4.2020; tale documento espressamente individua come destinatari "i cittadini, i lavoratori, i datori di lavoro, i Servizi di Protezione e Prevenzione (SPP), i gestori degli immobili, e le autorità sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale (Dipartimento di Prevenzione), impegnati ognuno per il loro ruolo, nell'adozione e nel rispetto delle nuove procedure di prevenzione e protezione previste nella fase 2 per rispondere alle esigenze di salvaguardia della salute del personale e della collettività nel contesto attuale”); circolari del Ministero della Salute; prescrizioni di autorità sanitarie internazionali.
Pertanto, lo studio legale, anche di piccole dimensioni, dovrà porre necessariamente in essere una serie di cautele e prescrizioni atte a prevenire i contagi, che non coincidono soltanto con le misure valide per la generalità dei cittadini.
Infatti, anche i professionisti senza dipendenti o altri soggetti assimilati (ad esempio i praticanti¹²) dovranno rispettare e far rispettare le misure di sicurezza con riferimento a clienti, fornitori e terzi in generale.
Tali misure dovranno ulteriormente essere verificate qualora vi siano contratti di appalto o d'opera (ad esempio pulizie, manutenzioni, etc.), nell'ambito dei quali il titolare dello studio sarà chiamato anche a vigilare sull'operato di terzi (nel principio della cooperazione di cui all'art. 26 del D.Lgs. 81/2008).
Il rispetto delle “indicazioni” contenute nell'apposita scheda tecnica delle “Linee guida per la riapertura delle attività economiche e produttive della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 16 maggio 2020” comporterà la necessità di fornire idonee informative (a dipendenti e/o a terzi) nonché informative sull'eventuale trattamento dei dati personali.
In base a dette “indicazioni”, inoltre, non vi è un obbligo, se non in casi particolari, di misurazione della temperatura, ma saranno sufficienti le dichiarazioni del soggetto interessato, ad esempio attraverso un questionario o semplici domande poste prima dell'accesso.
Ugualmente, in molti casi non sarà necessario procedere ad una completa sanificazione dei locali (nel senso indicato dalla circolare Min. salute 5443/2020), ma sarà sufficiente una pulizia e una igienizzazione di piani e di strumenti di lavoro.
Come detto, sarà cura del titolare dello studio adeguare le misure anti-contagio al proprio caso concreto¹³, ma non sarà possibile prescindere dalla documentazione delle attività effettuate, anche al fine di poter attivare una concreta difesa in caso di contestazioni.
Delicato è, infine, il tema della condivisione dei locali con altri colleghi, in assenza di rapporti associativi o societari. Anche in tal caso è indispensabile adottare misure coordinate e condivise (che dovrebbero tra l'altro formare oggetto di un accordo tra gli interessati), perché comunque potrebbero configurarsi compresenze o interferenze tra vari soggetti.
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In conclusione, il sistema di prevenzione da adottare deve essere adeguato alla struttura del singolo studio e può anche essere predisposto in forma semplificata.
La redazione di un protocollo e la dimostrazione di averlo osservato (oltre che diffuso), faciliterà, in ogni caso, la dimostrazione del rispetto delle indicazioni contenute nelle “Linee guida per la riapertura delle attività economiche e produttive della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 16 maggio 2020” e, in generale, dell'osservanza delle disposizioni vigenti in materia di prevenzione del rischio da COVID-19.
10 Si evidenzia, al riguardo, come la qualificazione dell'evento contagio quale infortunio sul lavoro determina anche l'operatività di quanto disposto dagli artt.10 e 11 del TU 1124/1965 ovvero del possibile esercizio dell'azione di regresso, da parte dell'Inail, nei confronti del datore di lavoro. In relazione a tale profilo, va segnalata la circolare n. 22 del 20 maggio 2020 emanata dallo stesso Inail, nella quale si legge, in merito, quanto segue: “L’attivazione dell’azione di regresso ... presuppone, come è noto, la configurabilità del reato perseguibile d'ufficio a carico del datore di lavoro o di altra persona del cui operato egli sia tenuto a rispondere a norma del codice civile. Pertanto, così come il giudizio di ragionevole probabilità in tema di nesso causale, che presiede al riconoscimento delle prestazioni assicurative in caso di contagio da malattie infettive, non è utilizzabile in sede penale o civile, l'attivazione dell'azione di regresso da parte dell'Istituto
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¹ I contenuti della scheda di approfondimento devono intendersi riferiti al quadro vigente alla data supra indicata, tenuto conto dell'attuale, copiosa produzione normativa.
² Art. 4, commi 1 e 2, D.L. n. 19/2020: “1. Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all'articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 2, comma 1, ovvero dell'articolo 3, è punito con la sanzione amminis
³ Decreto legge 16 maggio 2020, n. 33 recante “Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”.
⁴ DPCM 17 maggio 2020 recante “Disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”.
⁵ Sulla individuazione di alcune ipotesi di reato, ai sensi del D.Lgs. 81/2008, si vedano le indicazioni operative fornite il 12 maggio 2020 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo.
⁶ Il DPCM del 17 maggio 2020 dispone, all'art. 11, comma 1, che “Le disposizioni del presente decreto si applicano dalla data del 18 maggio 2020 in sostituzione di quelle del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 aprile 2020 e sono efficaci fino al 14 giugno 2020".
⁷ C.d. Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
⁸ Art. 2087 c.c. (Tutela delle condizioni di lavoro): “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
⁹ Ciò a prescindere dal diverso e discusso tema della obbligatorietà dell'integrazione formale del Documento di Valutazione dei Rischi ex art. 28 D. Lgs. n. 81/2008, a seguito del rischio Covid-19, tema sul quale si veda la nota dell'ispettorato Nazionale del Lavoro n. 89 del 2020 nella quale si legge, tra l'altro, quanto segue: “In ragione di quanto esposto e del pilastro normativo come norma di chiusura del sistema prevenzionistico di cui all'art. 2087 c.c. è consigliabile formalizzare l'azione del datore di lavoro con atti che diano conto dell'attenzione posta al problema in termini di misure, comunque adottate ed adottabili dal punto di vista tecnico, organizzativo e procedurale, nonché dei DPI ritenuti necessari, in attuazione delle indicazioni nazionali, regionali e locali delle istituzioni a ciò preposte. Per la tracciabilità delle azioni così messe in campo è opportuno che dette misure, pur non originando dalla classica valutazione del rischio tipica del datore di lavoro, vengano raccolte per costituire un’appendice del DVR a dimostrazione di aver agito al meglio, anche al di là dei precetti specifici del d.lgs. n. 81/2008”
¹° Si evidenzia, al riguardo, come la qualificazione dell'evento contagio quale infortunio sul lavoro determina anche l'operatività di quanto disposto dagli artt.10 e 11 del TU 1124/1965 ovvero del possibile esercizio dell'azione di regresso, da parte dell'Inail, nei confronti del datore di lavoro. In relazione a tale profilo, va segnalata la circolare n. 22 del 20 maggio 2020 emanata dallo stesso Inail, nella quale si legge, in merito, quanto segue: “L’attivazione dell’azione di regresso ... presuppone, come è noto, la configurabilità del reato perseguibile d'ufficio a carico del datore di lavoro o di altra persona del cui operato egli sia tenuto a rispondere a norma del codice civile. Pertanto, così come il giudizio di ragionevole probabilità in tema di nesso causale, che presiede al riconoscimento delle prestazioni assicurative in caso di contagio da malattie infettive, non è utilizzabile in sede penale o civile, l'attivazione dell'azione di regresso da parte dell'Istituto non può basarsi sul semplice riconoscimento dell'infezione da Sars- Cov-2. La Corte di Cassazione a SS.UU. ha affermato che nel reato colposo omissivo improprio, quale è quello ipotizzabile nella fattispecie, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo..." e che “l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio ( Sez. U, n.30328, del 10 luglio 2002-dep 11 settembre 202). L'attivazione dell'azione di regresso presuppone, inoltre, anche l'imputabilità a titolo, quantomeno, di colpa, della condotta causativa del danno. In assenza di una comprovata violazione, da parte del datore di lavoro, pertanto, delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.33, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro”.
¹¹ Anche su tale questione l'Inail si è espresso nella citata circolare n. 22 del 20 maggio 2020, chiarendo quanto segue: “Il riconoscimento dell’origine professionale del contagio, si fonda .. su un giudizio di ragionevole probabilità ed è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio. Non possono, perciò, confondersi i presupposti per l'erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in “occasione di lavoro” che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore), con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative. In questi, infatti, oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell'imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro. Il riconoscimento cioè del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del Pubblico Ministero. Così come neanche in sede civile l'ammissione a tutela assicurativa di un evento di contagio potrebbe rilevare ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l'accertamento della colpa di quest'ultimo nella determinazione dell'evento. La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito che l’articolo 2087 cod. civ. non configura, infatti, un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. Né può desumersi dall’indicata disposizione un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero", quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile, neanche potendosi ragionevolmente pretendere l’adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l’integrità psico-fisica del lavoratore, ciò in quanto, ove applicabile, avrebbe come conseguenza l’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile ed inevitabile [...]; non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto (Cass. n.3282/2020). Pertanto la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all'articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n.33. Il rispetto delle misure di contenimento, se sufficiente a escludere la responsabilità civile del datore di lavoro, non è certo bastevole per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio da Sars-Cov-2, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero. Circostanza questa che ancora una volta porta a sottolineare l’indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario”.
¹² Il praticante è un tirocinante, equiparato al lavoratore ex art. 2, comma 1 lett. a), del D.Lgs. 81/2008.
¹³ Il “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione" pubblicato dall'INAIL il 23 aprile 2020 valuta come “basso” il rischio COVID-19 per le “attività legali”.
Fonte: consiglionazionaleforense.it