Rimozione dell’amianto – Predisposizione del piano di cui all’art. 34 d. lgs. n. 277/1991 – Obbligo di indicare l’esatto quantitativo da asportare – Non sussiste
 
 “Il d. lgs. n. 277 del 1991, art. 34, impone al datore di lavoro che deve effettuare lavori di demolizione o rimozione dell’amianto ovvero di materiali contenenti amianto di predisporre un piano con l’indicazione delle misure necessarie per garantire la sicurezza del lavoro. (…) La sanzione è prevista dal successivo articolo 50. Dal combinato disposto delle due norme emerge che è sanzionata penalmente: l’omessa presentazione del piano, l’omessa adozione delle misure di protezione e favore dei lavoratori o dei terzi, l’omessa trasmissione di copia del piano con le indicazioni prescritte dalla norma all’organo di vigilanza. Da nessuna norma contenuta nel complesso articolo 34 si evince l’obbligo di indicare, oltre alla natura dell’amianto, allorché è contenuto nei materiali di coibentazione, l’esatto quantitativo da asportare e ciò perché tale quantitativo non sempre può essere determinato con precisione allorché si tratta di lavori demolizione, essendo il materiale inquinante incluso ed incorporato nella muratura. D’altra parte l’obbligo di indicare nel piano di lavoro anche l’esatto quantitativo dell’amianto da rimuovere non potrebbe desumersi analogicamente dalla ratio della norma, sia perché un’interpretazione in malam partem in questa materia sarebbe in contrasto con il principio di tassatività della fattispecie, sia perché come già accennato non sempre è possibile indicare l’esatto quantitativo di materiale inquinante da rimuovere, sia infine perché l’adozione delle misure di protezione non dipende dal quantitativo dell’amianto”.

Massima a cura della redazione di Olympus


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITALONE Claudio - Presidente -
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere -
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere -
Dott. PETTI Ciro - Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Difensore di B.S., nato a(OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d'Appello di Trieste dell'11 luglio del 2005;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;

sentito il Procuratore Generale Dott. Guglielmo Passacantando, il quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

letti il ricorso e l'ordinanza denunciata.

Osserva quanto segue:

Fatto

Con sentenza del 15/07/2004, il Tribunale di Pordenone, Sezione Distaccata di San Vito al Tagliamento, riconosceva B.S. responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 34, comma 1, e art. 50, lett. a), per avere, nella sua qualità di legale rappresentante della "S.A.E.M. di Bortolin Silvio & C.", effettuato la rimozione di circa 660 mq. di amianto-cemento utilizzato per la copertura dei magazzini della ditta "Alpe Arredamenti", ubicati in (OMISSIS), senza aver preventivamente presentato il necessario piano di lavoro alla competente azienda sanitaria e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi due di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali, sostituendo la pena detentiva con quella di Euro 2.280,00 di ammenda. Con la medesima sentenza il Tribunale assolveva l'imputato dal reato di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 34, comma 5 e art. 50, lett. a), per avere iniziato i lavori di rimozione della copertura di lastre in amianto-cemento prima che fosse decorso il prescritto termine di gg.
90 dalla presentazione del piano di lavoro e da quello di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 50, comma 1, lett. b), per avere smaltito mq. 660 circa di lastre di amianto-cemento senza essere in possesso della prescritta autorizzazione, rispettivamente perchè il fatto non era più previsto dalla legge come reato e perchè il fatto non sussisteva.
Il primo Giudice fondava l'affermazione di colpevolezza dell'imputato sugli accertamenti compiuti dagli operatori dell' azienda sanitaria, confermati in sede dibattimentale dalla teste Dott.ssa Z. che vi aveva preso parte, dai quali era emerso che la superficie del materiale in amianto-cemento asportata dall'imputato, pari a circa mq. 1088,80, era ampiamente superiore a quella di mq. 427,20 dichiarata nel piano di lavoro presentato all'autorità sanitaria, di conseguenza, per la parte differenziale, le opere di rimozione erano state eseguite senza la preventiva presentazione del relativo piano di lavoro.
Avverso detta sentenza l'imputato, tramite il suo difensore, interponeva rituale impugnazione sulla base di due motivi. Con il primo deduceva la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in rif. agli artt. 423 e 516 c.p.p., sul rilievo che, a fronte della contestazione di aver rimosso mq. 660 di lastre in amianto- cemento "senza aver preventivamente presentato il necessario piano di lavoro alla competente azienda sanitaria", con la decisione impugnata era stata ritenuta la sua responsabilità per un fatto diverso, e cioè per aver egli indicato nel piano di lavoro una quantità di lastre da rimuovere inferiore a quella reale. Con il secondo motivo assumeva che l'obbligo di indicare la quantità dell' amianto da rimuovere, la cui supposta violazione era stata posta a base della sentenza appellata, non era in alcun modo previsto dalla norma incriminatrice e non poteva essere desunto dalla pretesa ratio del sistema normativo, senza con ciò violare il principio di tassatività di cui all'art. 1 c.p..
La Corte Territoriale, con sentenza dell'11 luglio del 2005, in parziale riforma di quella impugnata,dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato a lui ascritto perchè si era estinto per prescrizione.
A fondamento della decisione osservava che il Tribunale aveva riconosciuto la penale responsabilità dell'imputato, non già per avere il medesimo indicato nel piano di lavoro presentato alla competente azienda sanitaria un quantitativo di materiale di amianto- cemento inferiore a quello effettivo, bensì per avere eseguito, come da contestazione, l'asporto di mq. 660 di detto materiale, costituente la differenza tra la quantità effettivamente rimossa e quella segnalata all'autorità, senza che per essa fosse stato presentato il prescritto piano di lavoro e, pertanto, per detta parte in violazione della vigente normativa; che, pertanto, non v'era stata alcuna violazione del principio di correlazione tra fatto imputato e fatto ritenuto in sentenza; che tuttavia , ai sensi degli artt. 157 c.p., comma 1, n. 5 e art. 160 c.p., comma 1 e art. 3 c.p., il termine prescrizionale del reato per il quale l'imputato aveva riportato condanna era interamente decorso alla data del 18 giugno del 2005, tenuto pure conto degli atti interrottivi compiuti e della sospensione di mesi tre e giorni quindici conseguente al rinvio del dibattimento di primo grado disposto all'udienza dibattimentale del 27/01/2004 a richiesta della difesa, secondo l'orientamento espresso da questa Corte con la sentenza del 28/11/2001, Cremonese.
Ricorre per Cassazione l'imputato tramite il difensore sulla base di un unico motivo.

Diritto

Con l'unico motivo il difensore denuncia la violazione dell'art. 129 c.p.p., comma 2. Sostiene che nella fattispecie risulta evidente l'esistenza di una ragione per pronunciare sentenza assolutoria nel merito. Invero le norme contenute nel D.Lgs. n. 277 del 1991 (e segnatamente  l'art. 34di tale provvedimento) in tema di piano di lavoro finalizzato alla rimozione di materiali contenenti amianto non prescrivono affatto l'obbligo di indicare la quantità del materiale da rimuovere. Per tale ragione l'affermazione, contenuta nella sentenza del Tribunale, recepita dalla Corte, in forza della quale il detto obbligo, ancorchè non previsto, dovrebbe tuttavia ritenersi implicitamente sussistente, attesa la ratio della norma in questione, sarebbe palesemente errata perchè in contrasto con il principio di tassatività stabilito dall'art. 1 cod. pen.. Pertanto l'avere indicato, nel piano di lavoro, la (presumibile) quantità di materiale da rimuovere - ancorchè l'indicazione si fosse dimostrata errata per le ragioni ampiamente spiegate - non costituisce illecito penale, giacchè nessuna norma impone di effettuare tale quantificazione. Conseguentemente la Corte d'Appello avrebbe dovuto assolvere l'imputato anche dal reato ritenuto in sentenza.
Il ricorso è fondato.
Il D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 34, impone al datore di lavoro che deve effettuare lavori di demolizione o rimozione dell'amianto ovvero di materiali contenenti amianto di predisporre un piano con l'indicazione delle misure necessarie per garantire la sicurezza del lavoro. Il piano anzidetto, che deve essere trasmesso in copia all'organo di vigilanza, deve contenere: a) la previsione della rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto prima delle tecniche di demolizione, se opportuno; b) la fornitura ai lavoratori di opportuni mezzi individuali di protezione; c) adeguate misure di protezione e la decontaminazione del personale incaricato dei lavori;
d) adeguate misure per la protezione dei terzi; e) l'adozione, nel caso in cui sia previsto il superamento dei valori limite di cui all' articolo 31, delle misure di cui all' articolo 33. Una copia del piano con l'indicazione della presumibile durata dei lavori, del luogo dove si svolgeranno, delle tecniche lavorative e della natura dell'amianto contenuto nei materiali di coibentazione nel caso di demolizione, deve essere trasmessa all'organo di vigilanza.
La sanzione è prevista dal successivo articolo 50. Dal combinato disposto delle due norme emerge che è sanzionata penalmente:
l'omessa presentazione del piano, l'omessa adozione delle misure di protezione e favore dei lavoratori o dei terzi, l'omessa trasmissione di copia del piano con le indicazioni prescritte dalla norma all'organo di vigilanza. Da nessuna norma contenuta nel complesso  articolo 34  si evince l'obbligo di indicare, oltre alla natura dell'amianto, allorchè è contenuto nei materiali di coibentazione, l'esatto quantitativo da asportare e ciò perchè tale quantitativo non sempre può essere determinato con precisione allorchè si tratta di lavori demolizione, essendo il materiale inquinante incluso ed incorporato nella muratura. D'altra parte l'obbligo di indicare nel piano di lavoro anche l'esatto quantitativo dell'amianto da rimuovere non potrebbe desumersi analogicamente dalla ratio della norma, sia perchè un'interpretazione in malam partem in questa materia sarebbe in contrasto con il principio di tassatività della fattispecie, sia perchè come già accennato non sempre è possibile indicare l'esatto quantitativo di materiale inquinante da rimuovere, sia infine perchè l'adozione delle misure di protezione non dipende dal quantitativo dell'amianto.
Il prevenuto è stato condannato per l'asserita violazione di un obbligo che non è imposto dalla norma e che non può desumersi dalla sua ratio . Anzi dal fatto che il datore di lavoro nella copia del piano da trasmettere all'organo di vigilanza, debba indicare la presumibile durata dei lavori si desume che non può essere indicato con precisione il quantitativo dell'amianto, altrimenti il legislatore, non avrebbe parlato di "presumibile durata dei lavori".
Nella fattispecie l'imputato si era difeso e la sua tesi era stata accredita anche da un teste sostenendo che l'errore nell'indicazione(non obbligatoria) della quantità di eternit da rimuovere era stato determinato dal fatto che gli strati erano due, uno sopra l'altro, con un'intercapedine intermedia, predisposta per evidenti esigenze di coibentazione, circostanza questa che era stata appurata solo al momento della rimozione e che non poteva essere percepita al momento della predisposizione del piano di lavoro.
Alla stregua delle considerazioni svolte l'imputato deve essere assolto dal reato ascrittogli perchè il fatto non sussiste.

P.Q.M.

LA CORTE  Letto l'articolo 620 c.p.p.,
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2006.
Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2006