Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 settembre 2020, n. 18658 - Rendita da infortunio mortale ai superstiti. Requisito della vivenza a carico


 

Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 08/09/2020
 

Fatto

che, con sentenza depositata il 29.5.2014, la Corte d'appello di Reggio Calabria, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di A.M. e F.C. volta a conseguire la rendita quali superstiti del figlio e fratello convivente G.C., deceduto a seguito di infortunio sul lavoro;
che avverso tale pronuncia A.M. e F.C. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
che l'INAIL ha resistito con controricorso;
 

Diritto


che, con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 85 e 106, T.U. n. 1124/1965, 12 prel. c.c., 1362 ss. c.c. e 143 e 147 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che, ai fini della sussistenza del requisito della vivenza a carico del de cuius, dovesse tenersi conto dell'esistenza, all'interno dello stesso nucleo familiare di soggetti che (come, nella specie, il coniuge della ricorrente M. e genitore del ricorrente F.C.: cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) posseggano redditi di importo superiore rispetto alle necessità della propria materiale sussistenza e che, avuto riguardo agli obblighi di solidarietà familiare di cui agli artt. 143 e 147 c.c., siano idonei a garantire la sussistenza degli altri componenti del nucleo familiare medesimo, nonché per avere assimilato, ai fini del computo del reddito del nucleo familiare, la disponibilità dell'abitazione familiare a titolo gratuito alla proprietà di essa;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 85 e 106, T.U. n. 1124/1965, 2697 c.c. e 115, 116 e 437 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che non fosse stata in specie raggiunta la prova della vivenza a carico del de cuius, senza attivarsi d'ufficio al fine di colmare eventuali deficienze probatorie e senza far ricorso alle presunzioni;
che il primo motivo è infondato nella parte in cui si duole che i giudici di merito abbiano considerato rilevante, ai fini della sussistenza del requisito della vivenza a carico del de cuius, il reddito del coniuge della ricorrente M. e genitore del ricorrente F.C., essendosi ormai consolidato il principio di diritto secondo cui il diritto alla rendita per infortunio sul lavoro in favore dei familiari superstiti, ex art. 85, T.U. n. 1124/1965, presuppone, ai sensi del successivo art. 106, la cosiddetta "vivenza a carico", la quale sussiste ove costoro si trovino senza sufficienti mezzi di sussistenza autonoma ed al loro mantenimento abbia concorso in modo efficiente il lavoratore defunto, dovendosi a tal fine considerare anche il reddito del coniuge dell'ascendente che domanda la prestazione previdenziale, giacché, anche ove non sia operante il regime di comunione legale, comunque sussiste l'obbligo di assistenza materiale tra coniugi posto dall'art. 143 c.c. e quello di assistenza per i figli di cui al successivo art. 147 c.c. (così Cass. nn. 3069 del 2002, 1999 del 2005, 24517 del 2014, 30288 del 2018);
che risulta pertanto ormai superato l'orientamento invocato nel ricorso per cassazione, secondo cui, essendo il diritto alla rendita previsto con riferimento a ciascuno dei superstiti dell'infortunato, occorrerebbe valutare distintamente la posizione di ciascuno dei superstiti, indipendentemente dalla sussistenza di contributi o aiuti familiari, di talché il possesso di autonomi mezzi di sussistenza da parte di uno di loro non precluderebbe che il diritto alla rendita possa essere riconosciuto all'altro, ove privo di sufficienti ed autonomi mezzi di sussistenza (così Cass. n. 15914 del 2005, sulla scorta di Cass. n. 9465 del 1993), essendosi chiarito, al riguardo, che il riferimento ai "mezzi di sussistenza" di cui all'art. 106, T.U. n. 1124/1965, richiamando i "mezzi necessari per vivere" di cui all'art. 38,
comma 1°, Cast., piuttosto che i "mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore" di cui al successivo comma 2°, inscrive la prestazione per cui è causa nel modello di solidarietà collettiva garantita ai "cittadini" (così, specificamente, Cass. n. 24517 del 2014), rispetto al quale ben possono rilevare le condizioni reddituali dell'intero nucleo familiare di appartenenza, trattandosi di prestazioni la cui spettanza e misura prescindono dall'esistenza di un pregresso rapporto contributivo (così già Cass. n. 11745 del 1997, sulla scorta di Corte cast. n. 127 del 1997);
che, nel resto, il primo motivo è, al pari del secondo, inammissibile, risolvendosi in una richiesta di riesame del giudizio di fatto sulla scorta del quale i giudici territoriali hanno ritenuto la domanda priva di prova circa la sussistenza del requisito de quo, né potendosi censurare in questa sede di legittimità il mancato uso del potere istruttorio d'ufficio del giudice di merito (Cass. n. 4375 del 2010) o l'opportunità della scelta di fare o meno ricorso a presunzioni (Cass. nn. 8023 del 2009, 101 del 2015);
che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
 

P. Q. M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 6.2.2020.