Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 settembre 2020, n. 18659 - Sinistro stradale mortale mentre, al termine di un permesso ottenuto per motivi personali, tornava da casa sul luogo di lavoro. Nessuna interruzione del nesso causale
I giudici della Cassazione censurano il ragionamento fatto in Appello secondo cui "la fruizione di un permesso di lavoro per motivi personali interrompe ex se il nesso rispetto all’attività lavorativa, con conseguente non indennizzabilità dell’evento infortunistico verificatosi nel percorso normale per rientrare al lavoro». Al contrario, afferma la Suprema Corte, "il permesso costituisce una fattispecie di sospensione dell’attività lavorativa nell’interesse del lavoratore che ontologicamente non è differente dalle pause o dai riposi, differenziandosi da questi ultimi soltanto per il suo carattere occasionale ed eventuale a fronte del connotato di periodicità e prevedibilità che è tipico degli altri, e non può logicamente sostenersi che il lavoratore che si allontani dall’azienda e/o vi faccia ritorno in relazione alla necessità di fruire del riposo giornaliero non sia tutelato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro" Ricorda la Corte che "la nozione di rischio elettivo rilevante al fine di escludere l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere va circoscritta al caso in cui il lavoratore, in base a ragioni o ad impulsi personali, abbia compiuto una scelta arbitraria che abbia creato e comportato la necessità di affrontare una situazione diversa da quella inerente al cosiddetto ‘percorso normale’ tra casa e lavoro".
Presidente Manna - Relatore Cavallaro
Fatto
che, con sentenza depositata il 13.11.2013, la Corte d'appello di Venezia, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di Lo. Ve., in proprio e n.q. di legale rappresentante delle figlie minori Iv. e Ni. Mo., volta ad ottenere le prestazioni per i superstiti quale vedova e, unitamente alle figlie, erede di Fa. Mo., deceduto a causa di un sinistro stradale mentre, al termine di un permesso ottenuto per motivi personali, tornava da casa sul luogo di lavoro;
che avverso tale pronuncia Lo. Ve., in proprio e nella spiegata qualità, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, poi ulteriormente illustrati con memoria;
che l'INAIL ha resistito con controricorso;
Diritto
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 3., T.U. n. 1124/1965, come modificato dall'art. 12, D.Lgs. n. 38/2000, per avere la Corte di merito ritenuto che la fruizione di un permesso per motivi personali escludesse il nesso di causalità tra l'infortunio e l'attività lavorativa, ancorché nel caso di specie il permesso fosse stato richiesto e ottenuto per esigenze familiari;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte territoriale considerato che, nel caso di specie, l'infortunio si era verificato nel tragitto necessario per ritornare sul luogo di lavoro;
che i motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell'intima connessione delle censure svolte;
che, al riguardo, va ricordato che l'art. 2, comma 3., T.U. n. 1124/1965, nel testo applicabile ratione temporis risultante dalla modifica apportata dall'art. 12, D.Lgs. n. 38/2000, prevede, per quanto qui rileva, che «salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro», precisando che «l'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti» e che «l'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato», mentre «restano [...] esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni», nonché quelli avvenuti nell'ipotesi che il conducente sia «sprovvisto della prescritta abilitazione di guida»;
che, interpretando l'anzidetta disposizione, questa Corte ha avuto modo di chiarire che essa amplia la tutela assicurativa a qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa al luogo di lavoro, escludendo qualsiasi rilevanza all'entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto e tutelando piuttosto il rischio generico (connesso al compimento del cd. percorso normale tra abitazione e luogo di lavoro) cui soggiace qualsiasi persona che lavori, restando per conseguenza confinato il cd. rischio elettivo a tutto ciò che sia dovuto piuttosto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella legata al cd. percorso normale, ponendo così in essere una condotta interruttiva di ogni nesso tra lavoro-rischio ed evento (così Cass. n. 7313 del 2016, in motivazione);
che, alla stregua dell'anzidetta interpretazione, può concludersi nel senso che la sussistenza di un rapporto finalistico tra il cd. percorso normale e l'attività lavorativa è sufficiente a garantire la tutela antinfortunistica;
che, ciò posto, non può condividersi l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la fruizione di un permesso di lavoro per motivi personali interromperebbe ex se il nesso rispetto all'attività lavorativa, con conseguente non indennizzabilità dell'evento infortunistico verificatosi nel percorso normale per rientrare al lavoro, atteso che il permesso costituisce una fattispecie di sospensione dell'attività lavorativa nell'interesse del lavoratore che ontologicamente non è differente dalle pause o dai riposi, differenziandosi da questi ultimi soltanto per il suo carattere occasionale ed eventuale a fronte del connotato di periodicità e prevedibilità che è tipico degli altri, e non potendo logicamente sostenersi che il lavoratore che si allontani dall'azienda e/o vi faccia ritorno in relazione alla necessità di fruire del riposo giornaliero non sia tutelato «durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro», giusta la lettera dell'art. 2, comma 3., T.U. n. 1124/1965, cit.;
che contrari argomenti non possono desumersi da Cass. n. 2642 del 2012, cit. nella sentenza impugnata, atteso che, in tale fattispecie, questa Corte si è limitata a ritenere immune dal vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. (nel testo precedente alla novella di cui all'art. 54, d.l. n. 83/2012, conv. con L. n. 134/2012) l'accertamento condotto nella sentenza colà impugnata circa l'elettività del rischio assunto dal lavoratore infortunato, senza tuttavia enunciare alcun principio di diritto di portata precettiva differente da quello successivamente ribadito da Cass. n. 7313 del 2016, cit., secondo cui, a seguito della modifica dell'art. 2, comma 3, T.U. n. 1124/1965, la nozione di rischio elettivo rilevante al fine di escludere l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere va circoscritta al caso in cui il lavoratore, in base a ragioni o ad impulsi personali, abbia compiuto una scelta arbitraria che abbia creato e comportato la necessità di affrontare una situazione diversa da quella inerente al cd. percorso normale tra casa e lavoro; che, non essendosi la Corte territoriale attenuta ai suesposti principi di diritto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, che provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, che provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.