- Mobbing
Responsabilità del direttore generale di una azienda municipalizzata per lo smaltimento dei rifiuti per maltrattamenti, abuso di ufficio, lesiorni personali, violenza privata, e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
Il Pm chiedeva l'applicazione della misura interdittiva temporanea all'esercizio dell'attività di direttore generale della ASM e di presidente di aziende private, municipalizzate o a capitale misto, richiesta già rigettata dal g.i.p. il 10.6.2008, individuando un rilevante dato di novità accreditante la fondatezza delle accuse mosse all'indagato in una informativa integrativa della ASL del 7.7.2008 (nuove audizioni dei lavoratori oggetto di mobbing). Il g.i.p. del Tribunale di Terni con ordinanza in data 25.9.2008 respingeva anche la nuova richiesta di misura interdittiva. Il Pm proponeva appello contro l'ordinanza reiettiva del g.i.p.
Il Tribunale distrettuale di Perugia, quale giudice dell'appello cautelare, con l'ordinanza in data 10.11.2008, richiamata in epigrafe, ha accolto l'impugnazione del p.m. ed ha applicato a O.M. la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare per mesi due l'attività di direttore generale e di presidente di aziende private, municipalizzate o a capitale misto.
Contro la descritta ordinanza del giudice di appello cautelare, ricorre in Cassazione l'imputato - Rigetto.
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGINIO Adolfo - Presidente -
Dott. MILO Nicola - Consigliere -
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere -
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere -
Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
O.M., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza emessa ex art. 310 c.p.p., in data 10/11/2008 dal Tribunale di Perugia;
esaminati gli atti, il ricorso e il provvedimento impugnato;
udita in Camera di consiglio la relazione del consigliere Dott. Giacomo Paoloni;
udito il Pubblico Ministero in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. DI CASOLA Carlo, che concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. DELL'ANNO PAOLO, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
1.- Nel quadro di articolate indagini su estese manifestazioni di mobbing in ambiente lavorativo verificatesi presso l'A.S.M. SpA di (OMISSIS), azienda municipalizzata per lo smaltimento dei rifiuti urbani, scandite da molteplici attività dei vertici aziendali volte a conseguire l'acquiescenza dei lavoratori (in particolare presso il termovalorizzatore) alle carenze degli impianti di sicurezza e di prevenzione di infortuni, sottoponendo gli stessi lavoratori a ripetuti provvedimenti di dequalificazione, di depotenziamento dei rispettivi ruoli e a minacce di sanzioni disciplinari ingiustificate, il procedente pubblico ministero presso il Tribunale di Terni contestava a O.M., direttore generale della ASM, reati continuati di maltrattamenti, abuso di ufficio, lesioni personali, violenza privata e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
Con atto del 9.9.2008 lo stesso Pubblico Ministero rinnovava la richiesta ex art. 290 c.p.p., di applicazione nei confronti dell' O. della misura cautelare dell'interdizione temporanea dall'esercizio dell'attività di direttore generale della ASM e di presidente di aziende private, municipalizzate o a capitale misto, richiesta già rigettata dal g.i.p. il 10.6.2008, individuando un rilevante dato di novità accreditante la fondatezza delle accuse mosse all'indagato in una informativa integrativa della ASL del 7.7.2008 (nuove audizioni dei lavoratori oggetto di mobbing).
Il g.i.p. del Tribunale di Terni con ordinanza in data 25.9.2008 respingeva anche la nuova richiesta di misura interdittiva, osservando che - impregiudicata una eventuale completa verifica dibattimentale delle accuse mosse all' O. e ai molti altri coindagati - le emergenze delle indagini non delineavano la sussistenza dei presupposti per l'adozione della sollecitata misura interdittiva, la vicenda continuando a lambire non secondari aspetti di mera rilevanza civilistica o giuslavoristica sovrapposti, spesso in contesti di ardua differenziazione, a quelli ritenuti dotati di rilevanza penale.
Il Pubblico Ministero proponeva appello contro l'ordinanza reiettiva del g.i.p., ripercorrendo le risultanze delle indagini preliminari e censurando le conclusioni del g.i.p. elusive della tutela penale richiesta dai fatti verificati in seno alla gestione aziendale del personale della ASM SpA, aggravati dalla ripetitività dei contegni antigiuridici dell' O., rimasto a ricoprire la carica di direttore generale pur dopo l'avvio dell'inchiesta penale.
Il Tribunale in limine ha respinto le eccezioni preliminari formulate in rito dalla difesa dell'indagato in tema di presunto giudicato cautelare (in riferimento al primo provvedimento del g.i.p. di rigetto della richiesta cautelare non impugnato dal P.M.) e di tardività dell'appello del P.M..
Nel merito i giudici di appello hanno ritenuto la posizione dell' O. raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in ordine agli ascritti reati di maltrattamenti, lesioni personali e violenza privata (il reato di cui all'art. 323 c.p., non consentendo, per pena edittale, l'applicazione di misure cautelari) sulla base dei molteplici elementi probatori raccolti in corso di indagine e della loro univoca rilevanza penale, ulteriore e diversa (oltre che con essi non confliggente) rispetto ai concorrenti profili di natura civilistica avvolgenti l'intera vicende (misure disciplinari adottate nei confronti dei lavoratori dell'ASM, ricorsi proposti dai lavoratori davanti al giudice del lavoro, ecc.).
1. Il motivo concernente la supposta inammissibilità (e/o tardività) dell'appello del P.M. contro l'ordinanza del g.i.p. reiettiva della richiesta cautelare per la preclusione derivante dal c.d. giudicato cautelare (per essere stata già respinta la richiesta cautelare del P.M. con un precedente provvedimento del g.i.p. non impugnato) è destituito di fondamento. Con corretto ragionamento, infatti, l'ordinanza impugnata ha evidenziato come legittimamente il procedente P.M. abbia fondato la seconda nuova richiesta di applicazione della misura interdittiva su nuovi elementi di prova sopravvenuti e atti a surrogare il paradigma indiziario ricomposto nei confronti dell' O. (informativa ASL del (OMISSIS); informazioni testimoniali rese da C.L. al P.M. il (OMISSIS); referto INAIL (OMISSIS) con cui si riconosce al lavoratore della ASM persona offesa G. una malattia professionale ritenuta ascrivibile a fatti di mobbing).
In vero la formazione del giudicato cautelare, in applicazione del generale principio del ne bis in idem, ha una sua ragion d'essere - con effetti preclusivi endoprocessuali di istanze o impugnazioni per i medesimi fatti - unicamente a fronte della prospettazione di una stessa situazione anteriormente valutata ovvero di questioni già decise. Nessuna preclusione può operare quando, come nel caso relativo all'indagato O., l'istante o impugnante rappresenti la sopravvenuta acquisizione di elementi indiziari nuovi o integrativi di quelli già disponibili, i quali - mutando i referenti dell'anteriore situazione fattuale - giustificano la rinnovata analisi e valutazione della regiudicanda cautelare (cfr.: Cass. Sez. 1^, 19.1.2007 n. 15906, Petta, m. 236278; Cass. Sez. 2^, 26.6.2008 n. 34607, Pavan, m. 240703).
Non è revocabile in dubbio che il termine di massima durata delle indagini preliminari prorogate, alla scadenza del quale divengono inutilizzabili gli atti di indagine posteriori, decorre non dalla prima iscrizione dell'indagato nel registro delle notizie di reato, ma dalla iscrizione progressiva - in caso di pluralità di reati via via accertati - dello specifico titolo del reato o dei reati per i quali si procede ad un determinato incombente processuale ovvero si richiede l'adozione di una determinato provvedimento giudiziario (v.: Cass. S.U., 21.6.2000 n. 16, Tammaro, m. 216248; Cass. Sez. 1^, 10.1.2006 n. 5484, PM in proc. Genovese, m. 235100).
Il Tribunale ha affrontato sia il tema della legittimità o non dei procedimenti disciplinari riconducibili all'indagato, di cui ha rimarcato l'inconferenza valutativa con il conforto della giurisprudenza di questa Corte regolatrice (l'ordinanza richiama la decisione Cass. Sez. 6^, 8.3.2006 n. 31413, Riva, secondo cui la condotta vessatoria integrante mobbing non è esclusa dalla formale legittimità delle iniziative disciplinari assunte nei confronti dei dipendenti mobbizzati), sia la lineare riconducibilità sostanziale e non solo formale (in virtù della sua carica aziendale) all' O. dei contegni prevaricatori attuati nei confronti di numerosi dipendenti (non a caso il Tribunale ha menzionato l'episodio della "nuova" aggressione verbale attuata nei confronti del dipendente C. dall'indagato, pur già edotto delle indagini in corso nei suoi confronti). In tale contesto il rilievo concernente il mancato esame della consulenza tecnica del prof. B. non solo è incongruo sul piano formale (non delineandosi un obbligo di specifica risposta da parte del Tribunale non essendo l' O. la parte appellante) ma è altresì sostanzialmente del tutto infondato. Il Tribunale ha offerto, infatti, una indiretta risposta ai rilievi formali del consulente sulla formazione dei collegi di valutazione della significatività medico - diagnostica degli episodi di mobbing, per il semplice motivo che la solidità del quadro indiziario è stata apprezzata in particolar modo in base alle dichiarazioni dei singoli lavoratori ASM raggiunti da comportamenti di mobbing (richiami, censure, procedimenti disciplinari, mansioni ridotte, ecc.). Agli argomenti di valutazione delle complessive risultanze probatorie, poi ed in ultima analisi, il ricorrente contrappone una propria personale (e intuibilmente riduttiva) rilettura in punto di fatto di tali risultanze, delle quali invoca una improponibile (censure in punto di fatto non consentite) rivisitazione in questa sede di legittimità.
In base al combinato disposto dell'art. 585 c.p.p., comma 4, (in rel. artt. 311 e 611 c.p.p.) e art. 167 disp. att. c.p.p., la prospettazione di motivi "nuovi" è consentita nei limiti in cui siffatti motivi riguardino capi o punti della decisione impugnata già oggetto di censura nell'originario atto d'impugnazione ai sensi dell'art. 581 c.p.p., (cfr., ex pluribus: Cass. Sez. 5^, 22.9.2005 n. 45725, Capacchione, m. 233210: "i motivi nuovi a sostegno dell'impugnazione, previsti nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare art. 311 c.p.p., comma 4, devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame ai sensi dell'art. 581 c.p.p., lett. a").
Le ulteriori censure ("nuove") esposte con la memoria difensiva depositata il 12.3.2008, deducenti il travisamento della prova in relazione a tutti i profili dell'analisi decisoria del Tribunale di Perugia, sono anch'esse indeducibili per le ragioni già esposte, siccome incentrate su una non consentita ricostruzione e reinterpretazione alternativa di meri elementi fattuali correlati ai diacronici sviluppi delle condotte oggetto di indagine penale, logicamente apprezzati nella motivazione dell'ordinanza impugnata alla stregua di una corretta applicazione dei criteri di valutazione della prova e, per ciò stesso, non ripercorribili o revisionabili in questa sede di legittimità.
Al rigetto dell'impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, demandandosi alla cancelleria le comunicazioni di rito connesse alla esecutività del provvedimento cautelare impugnato.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 reg. esec. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2009