Cassazione Penale, Sez. 4, 06 ottobre 2020, n. 27582 - Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (caporalato)


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 16/09/2020
 

Fatto




1.Il Tribunale per il riesame di Reggio Calabria, adito ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., il 14 febbraio - 24 marzo 2020 ha confermato l'ordinanza con cui il G.i.p. del Tribunale di Palmi il 20 dicembre 2019 ha applicato a G.S., indagato per il reato di "caporalato" (art. 603-bis cod. pen.: intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), fatti commessi nei mesi di ottobre-novembre 2018, gli arresti domiciliari (in origine), in seguito sostituiti con la misura cautelare dell'obbligo di dimora.

2.A G.S. si contesta al capo n. 32 dell'editto di avere, quale datore di lavoro - presidente della cooperativa agricola "Cannitello" di Taurianova, assunto ed impiegato manodopera attraverso l'intermediazione di S.B., in particolare sottoponendo sette lavoratori extracomunitari a condizioni di sfruttamento in relazione alla retribuzione inferiore a quanto prescritto dai contratti collettivi nazionali o territoriali applicabili e comunque sproporzionato per difetto (ossia in concreto trenta euro a giornata lavorativa), alle condizioni di lavoro (i braccianti non avevano seguito nessun corso di formazione per la sicurezza e non erano muniti di alcun mezzo di protezione), agli orari di lavoro (lavorando otto ore al giorno, anziché sei e trenta, senza alcun riconoscimento aggiuntivo) ed alle ferie (spesso non godendo del riposo settimanale), approfittando del loro stato di bisogno connesso alla situazione di assoluta indigenza (vivendo i lavoratori nella tendopoli di San Ferdinando ed essendo totalmente subordinati rispetto al "caporale" S.B.).

3. Ricorre per la cassazione dell'ordinanza l'indagato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a due motivi, con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
3.1. Con il primo motivo, in particolare (pp. 1-7 del ricorso), S.B. lamenta violazione dell'art. 603-bis, cod. pen. ed assenza, carenza, erroneità e contraddittorietà della motivazione rispetto al compendio investigativo ed ai motivi addotti dalla difesa, anche sotto il profilo del travisamento degli indizi quanto alla ritenute esistenza di un accordo tra G.S. e S.B. ed alla ritenuta convergenza delle dichiarazioni delle persone offese.
Si sarebbe trascurato da parte dei giudici di merito, anzitutto, che i controlli sono stati effettuati soltanto in due occasioni, cioè il 3 ed il 12 ottobre 2018, e che all'esito si sarebbe desunto che unicamente il presunto "caporale" S.B. si rapportasse con i lavoratori, e non già il datore di lavoro, mentre difetterebbe la prova di qualsiasi altro incontro: al riguardo «la difesa [ ...] eccepisce l'errore del Collegio nel ritenere esistente la prova di un accordo tra indagato e presunto caporale esclusivamente dalla presenza dello stesso nel sito della cooperativa [nelle due richiamate occasioni], omettendo la valutazione dell'assenza totale di precedenti incontri» (così alla p. 2 del ricorso).
Quanto all'affermazione dei giudici di merito che fosse il presunto "caporale", di fatto, a stipulare i contratti di lavoro con gli extracomunitari e non già l'imprenditore, si osserva che l'Ispettorato del lavoro in entrambe le occasioni, il 3 e il 12 ottobre 2018, non ha elevato nessuna sanzione, attestando per contro la regolarità dell'assunzione dei braccianti agricoli.
I giudici di merito avrebbero, erroneamente ed illegittimamente, neutralizzato la prova che i contratti venivano stipulati davanti a G.S., e non già a S.B., affermando (p. 5 dell'ordinanza), ma solo assertivamente, che «i lavoratori avevano avuto rapporti solo con il caporale».
Peraltro, non sarebbero attendibili le dichiarazioni sulla retribuzione rese dai lavoratori sentiti dalla polizia giudiziaria il 3 ed il 12 ottobre 2018, in quanto essi avevano iniziato a lavorare da troppo poco tempo; anzi, due di essi, come comprovato dagli Ispettori del lavoro, proprio il giorno 12 ottobre 2018 stavano stipulando il contratto.
Inoltre, non sarebbe condivisibile il ragionamento svolto dal Tribunale di Reggio Calabria circa la ritenuta attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, le quali, per consolidato orientamento giurisprudenziale, vanno sottoposte ad attento vaglio di credibilità.
Ancora: l'affermazione dei giudici di merito secondo cui la sottoscrizione da parte del lavoratore del documento in cui si dà atto di avere ricevuto i mezzi di protezione individuale non è idonea a provare l'effettivo utilizzo degli stessi sarebbe un totale travisamento della prova, non avendo l'Ispettorato del lavoro contestato l'assenza di dispositivi di protezione (acronimo: d.p.i.) ed essendo, tra l'altro, la p.g. intervenuta prima dell'inizio della prestazione lavorativa, quando cioè i lavoratori non erano tenuti ad indossare i d.p.i.
Si sottolinea criticamente anche la «strana sovrapponibilità delle dichiarazioni di tutti e sette i lavoratori (che, si aggiunge, non parlano e/o capiscono lì italiano) [...e] l'impossibilità oggettiva dell'ascolto simultaneo di tutti i soggetti, da part sempre dei medesimi verbalizzanti, nel solo arco temporale che va dalle 9.50 alle 10.00 del 12/10/2018» (così alla p. 4 del ricorso); due dei lavoratori, come si è detto, sono stati assunti proprio lo stesso 12 ottobre 2018.
Ancora: «Per tutti i lavoratori vi è prova (pretermessa dal Collegio) del pagamento tracciato con data precisa e successiva al giorno della loro escussione, ed in tal senso appare inventato il dato afferente a trattenute e/o consegna di tasse e trasporto da parte del G.S. a tale B. [ ...] non essendo possibile accertare precisi orari di lavoro sul solo presupposto di s.i. t. oggettivamente incompatibili e smentite» (così alle pp. 4-5 del ricorso).
La inattendibilità di tutte le sommarie informazioni testimoniali si ricaverebbe, peraltro, dall'incipit dei verbali, in cui si legge che i braccianti lavoravano da circa un mese, in netto contrasto con quanto si legge nei contratti di lavoro: sicché, ad avviso del ricorrente, l'inizio dell'attività lavorativa un mese prima del controllo della p.g. sarebbe una circostanza totalmente inventata; e men che meno sarebbe credibile la dichiarazione di - almeno - due lavoratori (su sette) che erano in via di assunzione il 12 ottobre di lavorare anche la domenica, poiché essi ancora non avevano iniziato l'attività subordinata.
Né si potrebbe imputare al ricorrente G.S. di avere sfruttato lavoratori provenienti da situazioni di indigenza e di degrado, «omettendo di rilevare che secondo le stesse [sommarie informazioni delle persone offese], il G.S. non conoscesse da prima i lavoratori e la loro provenienza poiché questi ultimi a detta dell'ordinanza, conoscevano solo il S.B.. Ragionare differentemente equivale ad inventare un infondato binomio extracomunitario = tendopoli. Né è imputabile al ricorrente la condizione di degrado quando non vi è prova della conoscenza diretta di quel sto da parte dell'indagato» (così alla p. 5 del ricorso).
Il ricorrente si lamenta per avere il Tribunale per il riesame liquidato, si ritiene con mere formule di stile, la rilevanza della documentazione offerta dalla difesa quanto alla regolarità dell'assunzione dei lavoratori, documentazione comprensiva delle dichiarazioni rese da C.A., incaricato di accompagnare con un furgone Mercedes i lavoratori per conto di G.S., e dal Ministro di Culto G.M., socio della cooperativa e titolare del terreno su cui si svolgeva la raccolta, circa le corrette condizioni contrattuali degli extracomunitari, il trattamento umano che ricevevano e la generosità del ricorrente, il quale in un'occasione aveva pagato di sua tasca il volo aereo di rientro in Africa ad un operaio, e che era benvoluto dai lavoratori.
2.2.Con il secondo motivo (pp. 7-8 dell'atto di impugnazione) il ricorrente censura violazione dell'art. 274, lett. c), cod. proc. pen., «erronea applicazione e valutazione delle esigenze cautelari con riguardo alla scelta della misura e contrasto di motivazione».
La motivazione in punto di sussistenza ed intensità delle esigenze cautelari sarebbe affidata a mere congetture e a valutazioni di tipo astratto, enfatizzando la pretesa gravità dei fatti, in contrasto, tuttavia, con le circostanze che, come si è già detto, l'indagato non conosceva la provenienza degli operai dalla baraccopoli di San Ferdinando e, quindi, il loro stato di bisogno che i fatti sono, al più, circoscritti ad un breve periodo (1-12 ottobre 2018), che l'indagato non è il proprietario dei terreni, che subito dopo il 12 ottobre 2018 il ricorrente ha provveduto a fornire un conducente della ditta per il trasporto dei lavoratori (come risulta da un'annotazione di polizia giudiziaria del 16 novembre 2018).
Infine, difetterebbe «lo scrutinio del fatto che non possono esistere occasioni prossime fino alla nuova annata agrumaria di ottobre 2020. E' quindi stata omessa la valutazione normativa della misura in atto, tramutando in tal senso la stessa in un i/legittimo anticipo di pena rispetto all'eventuale condanna in astratto applicabile, in caso di rito alternativo, comunque contenuta nei limiti della sospensione condizionale della pena» (così alla p. 8 del ricorso).
Si chiede, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

 

Diritto




1.Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.


2. Le censure svolte dalla difesa in punto di gravità indiziaria sono "parcellizzanti", costruite in fatto e si limitano ad indicare una diversa - e più favorevole all'indagato - interpretazione del materiale istruttorio raccolto.
Va considerato che Sez. 4, n. 49781 del 09/10/2019, Kuts Olena, Rv. 277424 ha di recente - assai condivisibilmente - puntualizzato che «La mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'art. 603-bis cod. pen. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio».
Di tale principio di diritto fa corretta applicazione nel caso di specie il Tribunale di Reggio Calabria, che ha complessivamente e prudentemente soppesato una serie di elementi fattuali (desunti dalle dichiarazioni dei lavoratori, stimate - non illogicamente - attendibili, e da quanto osservato direttamente dalla p.g.) che ha - non incongruamente - ritenuto dimostrativi dello sfruttamento dei lavoratori da parte del "caporale" e, quindi, del datore di lavoro che se ne avvaleva: non solo la durata oraria della prestazione, la retribuzione e la penosa situazione personale ed abitativa degli operai extracomunitari ma anche la decurtazione "obbligatoria" di parte non irrilevante del compenso quale corrispettivo per l'accompagnamento in auto da parte di S.B., la mancanza di dotazioni di sicurezza, il previo mancato svolgimento di corsi di formazione, la mancata fruizione di un giorno di riposo settimanale.
Si tratta di motivazione, nel complesso, congrua e logica, immune da vizi sindacabili in sede di legittimità.

3. Quanto al profilo delle esigenze cautelari, si osserva, in relazione al ravvisato pericolo di recidiva (pp. 6-7), che costituisce condivisibile principio di diritto quello secondo cui «In tema di impugnazione delle misure cautelari personali , il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito» (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884-01; in conformità, Sez. 4, n. 2458 del 2 dicembre 2014, dep. 2015, Castorina, non mass. sul punto, in motivazione; Sez . 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178-01; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997-01).
Dovendosi fare applicazione del richiamato principio, si osserva che l'ordinanza impugnata è, in relazione alla valutazione delle esigenze cautelari (che si rinviene alle pp. 6-7), non soltanto immune da violazione di norme di legge ma non manifestamente illogica nella individuazione dell'an del rischio di recidiva e della intensità della stesso, rischio ritenuto dal Tribunale di Reggio Calabria salvaguardabile con la misura non custodiale in corso di esecuzione.

4. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.




Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/09/2020.