Tribunale di Bari, Sez. Lav., 22 settembre 2020, n. 2595 - Tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa da lavoro (cd. tempo tuta) del collaboratore professionale sanitario
FattoDiritto
Con ricorso ritualmente depositato in data 14.1.2019 la parte ricorrente in epigrafe indicata conveniva in giudizio la ASL BARI per sentir accogliere le conclusioni rassegnate nell'atto Introduttivo del giudizio. Non si costituiva in giudizio la ASL Bari, rimanendo contumace. All'odierna udienza, rientrata in servizio dopo aver fruito del periodo di interdizione obbligatoria dal lavoro per maternità ai sensi degli art. 16 co. 1 lett. a) e e), d.lgs. 151/2001, nonché di un periodo di congedo parentale ai sensi dell'art. 32, d.lgs. n. 151/2001, successivamente alla definizione dell'abnorme numero di controversie ricevute in carico dal Giudicante sin dall'immissione in servizio aventi Iscrizione a ruolo di gran lunga più risalente rispetto alla presente (nell'ordine di svariate migliaia) tra cui quelle provenienti alle ex preture circondariali risalenti ai primi anni '90 nonché tutte quelle iscrittwe presso la Sezione, Lavoro di codesto Tribunale a partire dall'anno 2000 assegnate a questo Giudice, nonché ancora tutte le procedure urgenti anche ex art.1, commi 47 e ss. l. n. 92/2012 assegnate a questo Giudice a seguito del trasferimento dal precedenti titolari ad albi uffici - dott.sse Omissis e dott. Omissis -, la causa, ritenuta matura per la decisione, veniva decisa.
Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.
Orbene, la parte ricorrente deduce di essere dipendente della Asl convenuta e di prestare servizio presso Il Reparto di Oftalmologia dell'Ospedale di ... con qualifica di collaboratore professionale sanitario - infermiere. Allega di svolgere la propria attività lavorativa con articolazione su tre turni; di essere tenuta a giungere sul posto di lavoro quindici minuti prima dell'orario stabilito per l'inizio del turno per recarsi nello spogliatoio, effettuare le operazioni di vestizione (divisa, camice, casacca, pantaloni, copricapo, calzature antiscivolo e dispositivi di protezione necessari) per poi raggiungere il reparto al fine di prendere le consegne dai colleghi del turno precedente.
Deduce altresì che dopo la fine del turno di servizio, dopo aver effettuato presso il reparto le operazioni di passaggio di consegna ai colleghi del turno successivo, era tenuta a recarsi presso lo spogliatoio dove effettuava le operazioni di svestizione della divisa che veniva riposta in tali locali, unitamente agli altri dispositivi forniti dall'azienda.
Chiede, pertanto, dichiararsi che per il periodo di causa - 1.1.2013/30.4.2017- il tempo impiegato per le operazioni compiute sul luogo di lavoro di vestizione/svestizione, pari a 15 minuti prima dell'inizio di ogni turno e a ulteriori 15 minuti dopo la fine di ogni turno, costituiscono tempo di lavoro e, per l'effetto, condannarsi la Asl Ba al pagamento delle differenze retributive maturate pari a euro 5.187,28 lordi, in ragione del tempo sopra indicato per un totale di n. 410 ore e 30 minuti ore maturate per il tempo vestizione/svestizione.
Orbene, la questione sottoposta all'attenzione del Giudicante concerne, in linea generale, il diritto alla retribuzione del tempo Impiegato per Indossare e, dismettere la divisa da lavoro, cd. tempo tuta.
E' opportuno preliminarmente ricordare il noto e consolidato orientamento delle Suprema Corte nella materia in oggetto secondo cui le attività di vestizione/svestizione attengono a comportamenti integrativi della obbligazione principale e funzionali al corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria. Trattasi di attività che non sono svolte nell'Interesse dell'Azienda ma dell'igiene pubblica e, come tali, esse devono ritenersi implicitamente autorizzate da parte dell'Azienda stessa. In particolare, per il lavoro all'interno, delle strutture sanitarie, anche nel silenzio della contrattazione collettiva integrativa, il tempo di vestizione e svestizione dà diritto alla retribuzione, essendo tale obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene riguardanti sia la gestione dei servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto (v. Cass. 11 febbraio 2019, n. 3901; Cass. 24 maggio 2018, n. 12935; Cass. 22 novembre 2017, n. 27799).
Tali affermazioni, come chiarito dalla Suprema Corte, non si pongono in contrasto con il principio di cui a Cass. 7 giugno 2012, n. 9215, secondo cui, nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l'abbigliamento di servizio ('tempo-tuta') costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l'attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell'obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo.
Infatti, il più recente orientamento rappresenta uno sviluppo del precedente Indirizzo (del tutto In linea con il principio) ed una integrazione della relativa ricostruzione, ponendo l'accento sulla funzione assegnata all'abbigliamento, nel senso che l'eterodirezione può derivare dall'esplicita disciplina d'Impresa ma anche risultare implicitamente dalla natura degli indumenti quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell'abbigliamento - o dalla specifica funzione che devono assolvere e cosi dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto (si vedano anche Cass. 28 marzo 2018, n. 7738 e Casa. 26 gennaio 2016, n. 1352).
L'orientamento della giurisprudenza di legittìmità, dunque, pur con definizioni non sempre coincidenti. essendosi fatto riferimento, in alcuni casi al concetto di 'eterodirezione implicita.', in altri all'obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, discendente dall'Interesse all'Igiene pubblica, in altri ancora all'esistenza di 'autorizzazione implicita', è saldamente ancorato al riconoscimento dell'attività di vestizione/svestizione degli Infermieri come rientrante nell'orario di lavoro e da retribuire autonomamente, qualora sia stata effettuata prima dell'inizio e dopo la fine del turno.
Tale soluzione, del resto, è stata ritenuta in linea con la giurisprudenza comunitaria in tema di orario di lavoro di cui alla direttiva n. 2003/88/CE (Corte di Giustizia UE del 10 settembre 2015 In C-266/14; v. anche Cass. n. 1352/2016).
Invero, su tale ultimo punto. Casa. n. 1352/2016 cit ha specificato che "La soluzione è coerente con la previsione contenuta nel D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 1, comma 2 lett. a) , (che recepisce le Direttive 93/104 e 00/34 CE, concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), secondo la quale per orario di lavoro si Intende "qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni", con definizione sovrapponibile a quella ripetuta nella successiva Direttiva 2003/88/CE, art. 2 n. 1) che, per la sua genericità, impone e consente le specificazioni che già erano state fomite già nel vigore della regola fissata dall'art. 3 del R.D.L. 5 marzo 1923 n. 692, art. 3. I criteri sopra enucleati riecheggiano nella stessa giurisprudenza comunitaria. Il fattore determinante che qualifica l'orario dì lavoro è stato in genere ritenuto dalla Corte UE il fatto che il lavoratore sia costretto ad essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi e disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno (v., In tal senso, sentenze Dallas e a., C-14/04, punto 48, nonché ordinanze Voref, C- 437105, punto 28, e Grigore.,, C-258/10, punto 63). Pertanto, affinché un lavoratore possa essere considerato a disposizione del proprio datore di lavoro, egli deve essere posto in una situazione nella quale è obbligate, giuridicamente ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro e ad esercitare la propria attività per il medesimo. Di recente la Corta UE ha sottoposto ad ulteriore verifica tali criteri nella sentenza rese il 10 settembre 2015 nella causa C 266/14, Federacion de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras (CC.OO.), occupandosi del tempo impiegato dai tecnici dipendenti di una società spagnola che effettuano l'Installazione e la manutenzione degli Impianti di sicurezza nelle abitazioni e nei locali industriali e commerciali siti nella zona territoriale di loro competenza, senza un luogo di lavoro fisso.... Ha affermato che il tempo di spostamento Impiegato da tali lavoratori per raggiungere dal proprio domicilio i luoghi in cui si trovano il primo e l'ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro costituisce orario di lavoro ai sensi della Direttiva 2003/88/CE, in quanto sussistono nel caso i tre elementi costitutivi della nozione di "orario di lavoro" enucleati dall'articolo 2, punto 1, della Direttiva 2003/88. Quanto al primo, secondo il quale il lavoratore deve essere nell'esercizio delle sue attività o delle sue funzioni, la Corte ha ritenuto che i lavoratori che si trovano in tale situazione stiano esercitando le loro attività o le loro funzioni durante l'intera durata di tali spostamenti, in quanto essi costituiscono lo strumento necessario per l'esecuzione delle loro prestazioni tecniche nel luogo in cui si trovano tali clienti. Quanto al secondo, secondo il quale il lavoratore deve essere a disposizione del datore di lavoro durante tale periodo, ha rilevato che i lavoratori durante i tragitti sono sottoposti alle istruzioni del loro datore di lavoro, che può cambiare l'ordine dei clienti oppure annullare o aggiungere un appuntamento, sicché essi non hanno la possibilità di disporre liberamente del loro tempo e di dedicarsi ai loro interessi. Quanto al terzo, secondo il quale nel periodo preso in considerazione il dipendente dev'essere al lavoro, ha rilevato che gli spostamenti sono intrinseci alla qualità di lavoratore che non ha un luogo di lavoro fisso od abituale. La soluzione adottata dalla Corte UE conferma quindi l'impostazione assunta da questa Corte ... l'eterodeterminazione del tempo e del luogo ove indossare la divisa o gli indumenti necessari per la prestazione lavorativa, che fa rientrare il tempo necessario per la vestizione e svestizione nell'ambito del tempo di lavoro, può derivare dall'esplicita disciplina d'Impresa, o risultare Implicitamente dalla natura degli indumenti da indossare o dalla specifica funzione che essi devono assolvere nello svolgimento della prestazione. Possono quindi determinare un obbligo di Indossare la divisa sul luogo di lavoro ragioni d'igiene imposte dalla prestazione da svolgere ed anche la qualità degli indumenti, quando essi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili nell'abbigliamento secondo un criterio di normalità sociale, sicché non si possa ragionevolmente Ipotizzare che siano indossati al di fuori del luogo di lavoro".
Dunque, lo si ribadisce, come condivisibilmente osservato dalla Corte di legittimìtà, l'attività di vestizione e di svestizione della divisa di lavoro deve essere quindi retribuita sia nel caso in cui sfa eterodiretta dal datore di lavoro (cha, appunto, disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione della stessa) sia nel caso in cui, in ragione della tipologia di attività esercitata, l'obbligo di vestire e svestire la divisa risulti Imposto da esigenze di Igiene e sicurezza pubblica sicché il relativo uso deve ritenersi implicitamente autorizzato da parte del datore.
Ebbene, tali essendo gli approdi giurisprudenziali in materia, nel caso di specie, va rilevato come la ASL non abbia mal emanato disposizioni di servizio relative alla questione in oggetto; solo con regolamento aziendale del 28.4.2017, si conveniva, che "li tempo necessario per il passaggio delle consegne e la vestizioìne, di norma 15 minuti in entrata e in uscita, sarà considerato come orario di servizio". E' inoltre intervenuto il nuovo CCNL 2016-2018 che, disciplinando la questione del tempo tuta, prevede all'art. 27 che quando le operazioni di vestizione e svestizione debbano avvenire all'interno della sede di lavoro, l'orario di lavoro riconosciuto comprende fino a 10 minuti complessivi destinati a tale attività, tra entrata e uscita, purché risultanti dalle timbrature effettuate.
Ora, non sfugge al Giudicante che codesto Tribunale ha emanato sentenze di rigetto in materia; tuttavia In tali casi non si prospettava la consueta problematica esposta nelle controversie sui tempo tuta - invece oggetto del caso di specie -, ovvero la mancata inclusione nell'orario di lavoro del tempo necessario a indossare e dismettere la divisa rispettivamente prima e dopo la timbratura. Ma quelle questioni riguardavano la retribuzione dall'orario eccedente quello contrattuale.
Nelle fattispecie dedotta all'attenzione del Giudicante, invece, come sopra accennato, si chiede che, per il periodo dedotto in causa, il tempo impiegato per te operazioni compiute sul luogo di lavoro di vestizione/svestizione, pari a 15 minuti prima dell'inizio di ogni turno e a ulteriori 15 minuti dopo la fine di ogni turno, sia considerate, tempo di lavoro; pertanto, si ritiene possano essere applicati i principi sopra richiamati, enunciati dalla Suprema Corte.
Invero, nel caso di specie, in applicazione dei suindicati principi, sulla scorta delle allegazioni e della documentazione prodotta, può ritenersi accreditato al giudizio che la parte, ricorrente (come tutto il personale dipendente) dovesse necessariamente tenere indosso la divisa fornita dalla convenuta per tutta la durata del turno di lavoro (dal primo all'ultimo minuto) nonché indossare e dismettere la divisa di lavoro negli stessi ambienti dell'Azienda Sanitaria convenuta. E' evidente, infatti, che il personale doveva necessariamente indossare e dismettere la divisa di lavoro negli stessi ambienti della convenuta per intuibili ragioni di Igiene. Infine, è di palmare evidenza che tali operazioni dovevano essere eseguite, prima dell'entrata e dopo l'uscita dai relativi reparti, rispettivamente, prima e dopo l'inizio e la fine dei corrispondenti turni di lavoro. Del resto, se, in ipotesi, il dipendente timbrasse allo stesso orario in cui inizia il turno, Inizierebbe in ritardo a prestare servizio in quanto dovrebbe indossare gli abiti da lavoro sottraendo tale tempo alle mansioni da svolgere; lo stesso avverrebbe se iniziasse la svestizione prima che sia iniziato il turno e che vi sia stato il cambio di consegne con il collega subentrante.
Ne deriva che l'eterodirezione delle predette operazioni di vestizione/svestizione da parte del datore di lavoro emerge in via implicita, atteso che, da un lato, gli indumenti di lavoro forniti dalla parte datoriale (in ragione alla loro specifica funzione imposta dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene in relazione alle mansioni espletate) non potevano essere indossati all'esterno dell'ambito lavorativo e, dall'altro, le operazioni di vestizione/svestizione (e corrispondenti operazioni di consegna) dovevano essere eseguite necessariamente prima dell'inizio e dopo la fine del turno lavorativo, in quanto era obbligatorio indossare per l'intera durata del turno di lavoro i predetti indumenti lavorativi.
Di conseguenza, l'atto di vestizione ha costituito lavoro effettivo e comporta il riconoscimento del diritto a retribuzione.
In altri termini, le predette operazioni di vestizione/svestizione (e le operazioni di eventuale consegna), anche se correlate alla fase preparatoria, non erano lasciate alla libertà della parte ricorrente, in quanto, in difetto della divisa indossata per l'Intera durata del turno di lavoro, il datore di lavoro avrebbe potuto rifiutare la prestazione lavorativa. Quindi, il tempo impiegato per l'esecuzione di tali operazioni deve ritenersi strettamente funzionale all'esecuzione della prestazione lavorativa della ricorrente ed integra un'attività costituente corretto adempimento di un obbligo nascente dal rapporto di lavoro.
Si rimarca, inoltre, che è di comune evidenza che l'attività di vestizione e svestizione è effettuata dalla parte ricorrente non soltanto nell'interesse dell'Azienda, ma dell'igiene pubblica, ed è imposta dalle superiori esigenze di sicurezza ed Igiene.
Come ribadito dalla Suprema Corte con sentenza n. 8627/2020 "l'accento sulla funzione assegnata all'abbigliamento, nel senso che la eterodirezione può derivare dall'esplicita disciplina di impresa, ma anche risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, quando gli stessi stano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell'abbigliamento. o dalla specifica funzione che devono assolvere".
Pertanto, emerge evidente l'obbligo imposto, lo si ripete, dalle superiori esigenze di sicurezza ed Igiene attinenti alla gestione del servizio pubblico ed alla stessa incolmità del personale addetto.
A supporto, delle argomentazioni sinora esposte, invero , non può sottacersi l'ulteriore Implicita conferma della tesi qui propugnata derivante da quanto accaduto in tempi recentissimi, durante l'emergenza epidemiologica da COVID- 19, in cui le operazioni vestizione e svestizione del personale infermieristico e sanitario hanno assunto un rilievo primario In termini di tutela della salute pubblica e dell'incolumità dei pazienti e dello stesso personale.
In altre parole, lo si ribadisce, l'attività di vestizione attiene certamente a comportamenti integrativi dell'obbligazione principale ed è funzionale al corretto espletamento del doveri di diligenza preparatoria, ma costituisce, tuttavia, attività svolta non solo nell'interesse della ASL, ma dell'igiene e sicurezza pubblica.
A ciò aggiungasi che dai cartellini marcatempo prodotti si può evincere, innanzitutto, che l'Istante, nel periodo per cui è causa, ha marcato sistematicamente l'ingresso col proprio badge alcuni minuti prima dell'inizio del turno contrattualmente previsto nonché alcuni minuti dopo la fine del turno contrattualmente previsto.
Dai cartellini di presenza e dalle buste paga, inoltre, emerge, che tali minuti aggiuntivi rispetto a quelli del turno di servizio non sono mai stati pagati alla parte ricorrente, né compensati con eventuali debiti orari, né fruiti sotto forma di riposi compensativi, atteso che la ASL BA ha sempre corrisposto la retribuzione per i turni di servizio contrattualmente previsti, e non già i minuti di effettiva presenza in servizio come risultanti dalla timbrature. A tal proposito si evidenzia che - come risulta documentalmente - i cartellini di presenza, sulle cui base vengono elaborate le buste paga, riportano quale "orario reso" solo quello relativo al turno di servizio, e non l'orario effettivo risultante delle timbrature.
Deve pertanto ritenersi per il periodo di causa il tempo impiegato dalla parte ricorrente per le operazioni compiute sul luogo di lavoro di vestizione/svestizione, pari a 15 minuti prima dell'inizio di ogni turno e a ulteriori 15 minuti dopo la fine di ogni turno, costituiscono tempo di lavoro.
In ordine al quantum della pretesa, si ritiene corretto il criterio adottato dalla difesa di parte ricorrente relativo alla quantificazione del tempo impiegato per tali operazioni: 15 minuti per la vestizione e 15 minuti per la svestizione, per il numero totale di ore indicate in ricorso.
Al riguardo, può farsi applicazione, in via equitativa, delle disposizioni contrattuali contenute nell'art. 27, comma 11, del CCNL del 21/05/2018 relativo al personale del comparto Sanità, che prevedono: "Nei casi in cui gli operatori del ruolo sanitario e quelli appartenenti a profili del ruolo tecnico addetti all'assistenza, debbano indossare apposite divise per lo svolgimento della prestazione e le operazioni di vestizione e svestizione, per ragioni di igiene e sicurezza, debbano avvenire all'interno della sede di lavoro, l'orario di lavoro riconosciuto ricomprende fino a 10 minuti complessivi destinati a tali attività, tra entrata e uscita, purché risultanti dalle timbrature effettuate, fatti salvi gli accordi di miglior favore in essere. Nelle unità operative che garantiscono la continuità assistenziale sulle 24 ore, ove sia necessario un passaggio di consegne, agli operatori sanitari sono riconosciuti fino ad un massimo di 15 minuti complessivi tra vestizione, svestizione e passaggi di consegne, purché risultanti dalle timbrature effettuate, fatti salvi gli accordi di miglìor favore in essere".
Inoltre, come accordo di maggior favore è possibile applicare, sempre in via equitativa, la Delibera Asl datata 14/12/2017 , nella parte in cui la ASL ha fissato nella misura di 15 minuti in entrata e in uscita il tempo occorrente per le operazioni di vestizione e svestizione, facendolo rientrare nell'orario di lavoro.
Ne deriva che, nel caso di specie i conteggi di parte attrice vanno accreditati al presente giudizio in relazione alla quantificazione della pretesa.
Il ricorso, pertanto, va accolto; l'accoglimento della domanda principale preclude l'esame di quella formulata in via subordinata.
Le considerazioni sin qui svolte sono dirimenti ed assorbono ulteriori questioni n fatto o in diritto, ovvero eccezioni, eventualmente contestate tra le parti.
La spese di lite, liquidate in dispositivo ai sensi del DM 66/2014, in considerazione delle natura della causa (in materia di lavoro), del valore e delle fasi in cui si è articolata l'attivita difensiva espletata nel presente giudizio (quindi senza fase Istruttoria), seguono la soccombenza. Deve tenersi conto di valori prossimi ai minimi previsti dal d.m. cit., tenuto conto della sovrapponibilità delle questioni trattate, comuni ad altri giudizi i cui ricorrenti sono difesi dal medesimo avvocato.
Tali sono i motivi della presente decisione.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, così provvede:
• condanna la parte convenuta, al pagamento, in favore della parte ricorrente, della complessiva somma lorda di euro 6.187,28, per I titoli di cui al ricorso, oltre accessori come per legge;
•Condanna la parte resistente al pagamento, in favore della parte ricorrente, delle spese di lite che liquida in complessivi euro 1.100,00, oltre accessori di legge e di tariffa e distrae in favore del procuratore antistatario.
Bari, 22.9.2020
Depositata in Cancelleria il 22/09/2020