Gli approfondimenti di Olympus

Rassegne di dottrina e giurisprudenza sui soggetti della sicurezza


a cura di

Avv. Natalia Paci

Professore a contratto di Diritto della Sicurezza del Lavoro

Università di Urbino “Carlo Bo”




IL MEDICO COMPETENTE





Sommario: 1. Definizioni. 2. Principali norme di riferimento. 3. La nomina del medico competente. 4. Titoli e requisiti del medico competente. 5. Il soggetto autorizzato a effettuare i controlli sanitari sul lavoratore tra Statuto dei lavoratori e normativa di sicurezza. 6. (Segue) La questione delle visite mediche preassuntive. 7. Obblighi del medico competente e partecipazione alla riunione periodica. 8. Funzioni e attività del medico competente. 9. Il giudizio del medico competente ed i provvedimenti in caso di inidoneità alla mansione specifica. 10. Contenuti della cartella sanitaria. 11. Responsabilità e sanzioni per il medico competente. 12. La responsabilità del medico competente nella giurisprudenza. Casistica. 13. Incompatibilità. 14. Rapporti tra Servizio sanitario nazionale e medico competente. 15. Riferimenti bibliografici.



  1. Definizioni

La definizione di medico competente è contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. h) del decreto 81/2008 che così recita: “medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all'art. 38 (vedi infra § 4, n.d.r.), che collabora, secondo quanto previsto dall'art. 29, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti previsti dal presente decreto[1]. In altri termini il legislatore, richiedendo che la figura del medico competente sia individuata sulla base di specifici titoli e requisiti e che lo stesso abbia anche una comprovata esperienza professionale, ha inteso evidentemente individuare la figura di un medico di qualificata professionalità, in grado di diventare il collaboratore del datore di lavoro e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (così Cassazione penale, sez. III, 2 luglio 2008, u.p. 21 maggio 2008, n. 26539, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 162 e 233). Compito del medico competente, in altri termini, non è soltanto quello di procedere alle visite obbligatorie nell'interesse del lavoratore, ma anche quello di essere il consulente del datore di lavoro in materia sanitaria, di esserne l'alter ego in questa materia, con funzioni, quindi, di consiglio e stimolo, con un importante ruolo attivo nell'identificazione dei rimedi (Cassazione penale, sez. IV, 6 febbraio 2001, n. 5037, u.p. 30 marzo 2000, in Mass. giur. Lav., 2002, 72, nota di Giovagnoli; altresì in Ragiusan 2002, 215-6, 156).

Il medico competente costituisce quindi una figura di assoluta centralità nel sistema di protezione dei lavoratori ed è chiamato a svolgere funzioni in stretta connessione con gli altri soggetti della sicurezza[2], in primis il datore di lavoro e il servizio di prevenzione e protezione, senza avere però un ruolo meramente accessorio o ausiliario in quanto deve operare in modo autonomo, imparziale e con una propria personale responsabilità[3].

Il decreto 81 non si limita alla definizione di medico competente ma definisce anche:

1. la sorveglianza sanitaria come “l'insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all'ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa” (art. 2, comma 1, lett. m)

2. il concetto di prevenzione come “il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno” (art. 2, comma 1, lett. n);

3. il concetto di salute, cioè lo “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità” (art. 2, comma 1, lett. o).

Con il richiamo ai concetti di particolarità del lavoro, esperienza e tecnica, contenuti nell'art. 2087 c.c., il legislatore del 2008 ha inteso ribadire l'importanza del principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile[4], ovvero del dovere di aggiornamento continuo agli standard di sicurezza richiesti dalla innovazione scientifica e tecnologica, cioè “tenendo conto, nella individuazione dei rimedi, anche di quelli dettati dal progresso della tecnica” (Cassazione penale, sez. IV, 6 febbraio 2001, u.p. 30 marzo 2000, n. 5037, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 163). In altri termini “il modello astratto di responsabile della direzione sanitaria si sintonizza con la ricerca scientifica, anche mondiale, del settore, oltre che con la ricerca della comunità scientifica della realtà produttiva italiana” (ancora: Cassazione penale, sez. IV, 6 febbraio 2001, u.p. 30 marzo 2000, n. 5037, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 163).

Tornando alle citate definizioni, possiamo concludere che al legislatore preme dare una nozione quanto più ampia di salute e sicurezza dei lavoratori, estesa cioè oltre la mera prevenzione di stati patologici, come la malattia, ma comprendente l'auspicabile benessere completo dei lavoratori, riconoscendo loro, in altri termini, il diritto a lavorare in condizioni di felicità, quindi ad un ambiente di lavoro, oltre che sano e sicuro in senso stretto, in generale accogliente, sereno e rassicurante.

  1. Principali norme di riferimento

Il principale testo normativo di riferimento è ora il decreto legislativo n. 81/2008 (così come modificato dal recente decreto legislativo n. 106/2009), che riforma la sorveglianza sanitaria in attuazione dell'art. 1, comma 2, lett. t), della legge delega n. 123/2007. La legge delega, infatti, prevede l'adeguamento della sorveglianza sanitaria “alle differenti modalità organizzative del lavoro, ai particolari tipi di lavorazioni ed esposizioni, nonché ai criteri ed alle linee guida scientifici più avanzati, anche con riferimento al prevedibile momento di insorgenza della malattia”.

A parte le definizioni di medico competente, di sorveglianza sanitaria, di prevenzione e di salute, contenute con le altre definizioni all'art. 2 del decreto 81 (art. 2, comma 1, rispettivamente lett. h, m, n, o), gli obblighi del medico competente sono definiti dall'art. 25 del decreto 81/2008, mentre tutta la sezione V del Capo III del Titolo I del decreto 81 è dedicata alla sorveglianza sanitaria ed in particolare: l'art. 38 si occupa dei titoli e requisiti che il medico competente deve possedere, l'art. 39 delle regole di svolgimento dell'attività del medico competente, l'art. 40 delle comunicazioni che il medico competente deve trasmettere al servizio sanitario nazionale, l'art. 41 specifica le regole della sorveglianza sanitaria (oggetto, periodicità, esito, ricorso), l'art. 42 dei provvedimenti di inidoneità alla mansione specifica. L'art. 58, infine, contenuto nella sezione I del Capo IV del titolo I del decreto 81, dedicata alle disposizioni penali, disciplina le sanzioni previste specificamente per il medico competente.

  1. La nomina del medico competente

Il datore di lavoro deve nominare il medico competente e tale obbligo, al contrario della designazione del responsabile del servizio prevenzione e protezione, è delegabile dal datore di lavoro. Inoltre non è prevista, come per il Rspp, la previa consultazione con il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, né l'obbligo di comunicarne il nominativo all'organo di vigilanza competente. Tali differenze di disciplina sono probabilmente giustificate dal fatto che i titoli ed i requisiti del medico competente sono espressamente e dettagliatamente previsti dalla legge e quindi non si ritiene necessario un ulteriore controllo di garanzia[5].

Il medico competente, inoltre, al contrario del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e del responsabile del servizio prevenzione e protezione, non costituisce una figura necessaria in ogni azienda: l'art. 18, comma 1, lett. a) del d. lgs. 81/2008, infatti, così come il previgente art. 4, comma 4, lett. c, del d. lgs. 626/1994, attribuisce al datore di lavoro e ai dirigenti l'obbligo di “nominare il medico competente per l'effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo”. Tale norma è stata interpretata nel senso che “la presenza del medico competente nell'azienda (e conseguentemente la sua partecipazione alla valutazione dei rischi) sia obbligatoria solo nei casi in cui sussista l'obbligo della sorveglianza sanitaria” (Cassazione penale, sez. III, 2 luglio 2008, n. 26539, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 106) e, quindi, solo nelle aziende che eseguono lavorazioni a rischio, come, ad esempio, le lavorazioni che comportano esposizione dei lavoratori a piombo, amianto o rumore; le lavorazioni che comportano la movimentazione manuale dei carichi, con rischio di lesioni lombosacrali; che comportano l'uso di videoterminali; che espongono i lavoratori ad agenti cancerogeni o mutageni; ovvero ad agenti chimici o ad agenti biologici (Cassazione penale, sez. III, 21 gennaio 2005, n. 1728, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 107).

L'esatta individuazione delle lavorazioni potenzialmente nocive è stata originariamente contenuta in una tabella allegata al d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303[6], negli anni ampliata con successivi interventi normativi[7].

Peraltro, la sorveglianza sanitaria è necessaria, oltre che nelle ipotesi previste dalle norme di legge attualmente vigenti, anche nelle altre ipotesi che discenderanno da nuove disposizioni di legge[8]. Inoltre, si è ritenuto che, in base al principio della completezza della valutazione del rischio[9], la sorveglianza sanitaria possa essere necessaria anche in assenza di un espresso obbligo di legge, ogni qual volta dall'attività di valutazione dei rischi sia emerso un rischio tecnopatico rilevante[10] (come, ad esempio, in caso di disturbi muscolo scheletrici, privi di apposito riferimento normativo[11]). Si è infatti sostenuto che la valutazione dei rischi svolga una funzione di integrazione e sussidiarietà ai fini dell'obbligo della sorveglianza sanitaria che va oltre le ipotesi espressamente previste dalla normativa[12], e comprende tutti i casi in cui, nonostante l'adozione di tutte le misure tecnicamente fattibili e nonostante il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, permangono ancora, a causa della pericolosità insita nell'attività produttiva, una quota di rischio significativa, il c.d. rischio residuo o ineliminabile[13]. Vi è anche chi si è spinto a ritenere la necessità del medico competente anche in tutti i casi in cui la sua presenza possa costituire un mezzo efficace per tutelare la salute dei lavoratori[14].

Il datore di lavoro, oltre a nominare il medico competente ha anche il dovere di richiedere allo stesso l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico (art. 18, comma 1, lett. g). L'art. 13 del d. lgs. n. 106/2009 ha poi specificato altresì l'obbligo del datore di lavoro di “inviare i lavoratori alla visita medica, entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria” e di “comunicare tempestivamente al medico competente la cessazione del rapporto di lavoro”. D'altro canto i lavoratori non si possono rifiutare, senza giustificato motivo, di sottoporsi ai controlli sanitari, pena l'irrogazione di sanzioni disciplinari e penali. Pertanto, se da un lato il datore di lavoro ha l'obbligo di esigere l'osservanza da parte del medico competente dei suoi obblighi (Cass. Pen., 30 marzo 2005, in ISL, 2005, 405), dall'altro dall'attività del medico competente scaturiscono obblighi anche per gli altri soggetti come i lavoratori e, soprattutto, il datore di lavoro (cfr. Cass. Pen. 16 dicembre 2004, in DPL, 2005, p. 117, per un caso di responsabilità di un Sindaco che non aveva messo a disposizione dei lavoratori i vaccini prescritti dal medico competente).

Lo stesso articolo 13 del d. lgs. n. 106/2009 evidenzia, inoltre, la possibilità di esclusiva responsabilità in capo ai collaboratori del datore di lavoro, tra cui il medico competente, aggiungendo, all'art. 18, il comma 3 bis dal seguente tenore: “Il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 19, 20, 22, 23, 24 e 25, ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”. Con tale norma si è anche tradotto in norma un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza secondo cui il datore di lavoro resta responsabile, oltre che per inadempimento dei propri obblighi e, quindi, iure proprio, anche per omessa vigilanza nei confronti dei propri collaboratori e quindi per culpa in vigilando o in eligendo.

Il legislatore vuole garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro e a tal fine prescrive che gli obblighi di prevenzione e protezione gravanti sul datore di lavoro siano assolti, per determinate lavorazioni a rischio, con la collaborazione professionalmente qualificata di un medico aziendale, il quale dovrà accertare in via preventiva e periodica lo stato di salute dei lavoratori, istituire e aggiornare le cartelle sanitarie e di rischio per ogni lavoratore, visitare periodicamente gli ambienti di lavoro insieme al responsabile del servizio prevenzione e protezione etc. Il medico è quindi incaricato stabilmente dal datore di lavoro sulla base di un rapporto fiduciario e può essere o dipendente di una struttura esterna, pubblica o privata convenzionata, oppure libero professionista ovvero dipendente del datore di lavoro. In particolare il medico competente può essere:

1) un dipendente o collaboratore di una struttura esterna all'azienda, sia pubblica che privata (ivi comprese quelle costituite su iniziativa delle organizzazioni sindacali datoriali), convenzionata con l'imprenditore;

2) un libero professionista;

3) un dipendente del datore di lavoro.

Non ha pertanto trovato accoglimento la proposta di ritornare alla garanzia del medico della struttura pubblica, almeno per particolari fattori di rischio[15]. Quindi il medico competente può essere anche un privato, ma deve essere comunque in posizione di autonomia rispetto al datore di lavoro (Cass. Penale, sez. IV, 6 febbraio 2001, u.p. 30 marzo 2000, n. 5037, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 234). Lo stesso decreto 81 specifica che “il datore di lavoro deve assicurare al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti, garantendone l'autonomia, a prescindere che si tratti o meno di suo dipendente” (art. 39, comma 4, decreto 81). D'altronde già da prima del d. lgs. 626/1994 si riteneva possibile lo svolgimento da parte di medici privati dell'attività di sorveglianza sanitaria in azienda: “L'art. 68 d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303 che obbliga l'imprenditore a far sottoporre a visita medica i propri dipendenti, non prescrive l'assistenza di un'autorità sanitaria, ma si riferisce ad "un medico competente” - anche privato - vale a dire ad un professionista, che sia idoneo a svolgere le funzioni sanitarie richieste per prevenire le malattie professionali” (Cassazione penale, sez. IV, 1 giugno 1978, in Cass. Pen. 1980, 238; e in Riv. Pen. 1979, 533), sebbene l'art. 3, comma 1, lett. c, del d. lgs. 277/1991 avesse successivamente precisato che il medico competente dovesse essere “ove possibile dipendente del Servizio sanitario nazionale”, evidentemente con l'intento di privilegiare una figura terza rispetto agli interessi dell'azienda, come garanzia di imparzialità di giudizio ed effettiva autonomia rispetto al volere imprenditoriale. (Sul dibattito tra medico competente della struttura pubblica o privato, vedi infra § 5).

  1. Titoli e requisiti del medico competente

L'art. 38 del decreto 81 prevede che per svolgere le funzioni di medico competente sia necessario possedere uno dei seguenti titoli o requisiti[16]:

a) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica;

b) docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro;

c) autorizzazione di cui all'art. 55, d. lgs. 277/1991 (secondo cui lo svolgimento dell'attività di medico competente poteva essere autorizzato dall'assessore regionale alla sanità territorialmente competente, anche in mancanza del corrispondente titolo di specializzazione, purché l'interessato - comunque laureato in medicina e chirurgia – dimostrasse, con dettagliata documentazione, di possedere una specifica esperienza professionale di medico del lavoro, maturata per almeno un quadriennio alla data di entrata in vigore del decreto stesso, cioè l'11 settembre 1987);

d) specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale.

L'art. 24 del recente d.lgs. 106/2009 ha aggiunto la lett. d bis secondo cui, con esclusivo riferimento solo al ruolo dei sanitari delle Forze armate (compresa l’Arma dei carabinieri), della Polizia di Stato e della Guardia di finanza, basta lo svolgimento di attività di medico nel settore del lavoro per almeno quattro anni.

I titoli elencati non sono, tuttavia, del tutto equivalenti in quanto i medici specializzati in igiene e medicina preventiva o in medicina legale (lett. d) sono tenuti a frequentare appositi percorsi formativi universitari da definire con apposito decreto del Ministero dell'Università e la ricerca di concerto con il Ministero della salute. Però gli stessi soggetti (di cui alla lett. d) che alla data di entrata in vigore del decreto 81 già svolgevano attività di medico competente da almeno un anno negli ultimi tre anni, sono abilitati a svolgere le medesime funzioni. A tal fine sono tenuti a produrre alla Regione attestazione del datore di lavoro comprovante l'espletamento di tale attività.

Una prima novità da rilevare è che in seguito al decreto 81 non costituiscono più titolo abilitativo alcune specializzazioni – quali quelle in tossicologia industriale, igiene industriale, fisiologia ed igiene del lavoro, clinica del lavoro, nonché medicina delle assicurazioni - che prima invece consentivano lo svolgimento della funzione di medico competente e che per questo erano state sollevate delle critiche[17]. Inoltre, scompare la clausola aperta per cui con decreto del Ministero della Sanità, di concerto con il Ministero dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica, potevano essere individuate ulteriori specializzazioni valide[18].

Il solo titolo abilitativo inoltre ora non basta più: infatti, il decreto 81, in attuazione della delega (art. 1, comma 2, lett. g, L. 123/2007), oltre a ridefinire titoli e requisiti del medico competente, richiede anche la partecipazione al programma di educazione continua in medicina ai sensi del d. lgs. 229/1999 ed introduce l'iscrizione all'elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero della salute. I crediti previsti dal programma triennale dovranno essere conseguiti per una misura non inferiore al 70% del totale nella disciplina medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro. In sostanza, il medico competente dovrà tenersi costantemente aggiornato e formato.

Altra novità di rilievo, sempre all'insegna del maggior rigore e trasparenza nella specificazione della competenza e professionalità del medico, è l’istituzione, per la prima volta, dell’elenco dei medici competenti presso il Ministero della Salute.

  1. Il soggetto autorizzato a effettuare i controlli sanitari sul lavoratore tra Statuto dei lavoratori e normativa di sicurezza.

Sulla spinosa questione dell'individuazione del soggetto competente a svolgere il controllo sanitario del lavoratore - e quindi sul suo dover essere un medico della struttura pubblica, come previsto dal Statuto dei lavoratori, o anche il medico aziendale - si è interrogata e divisa su posizioni contrastanti sia la dottrina che la giurisprudenza, nel corso dell'evoluzione normativa in materia[19]. Occorre però premettere che in materia di rapporti tra normativa di sicurezza e art. 5 dello Statuto dei lavoratori, sono in realtà due le questioni controverse: oltre a quella relativa al soggetto competente ad effettuare le visite, c’è anche quella riguardante, invece, il momento in cui è possibile effettuarle e cioè in relazione all’ammissibilità delle c.d. visite preassuntive ad opera del medico competente (su cui vedi infra § 6).

Nel quadro normativo preesistente all'emanazione del d. lgs. 626/1994, infatti, l'art. 33 d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303 affidava ad un “medico competente” l'effettuazione delle visite mediche preventive e periodiche per l'accertamento dello stato di salute dei lavoratori addetti a particolari lavorazioni potenzialmente nocive. Ma, in assenza di una definizione della figura del medico competente, si lasciava alla discrezionalità del datore di lavoro la sua individuazione. Poi, con l'intervento dello Statuto dei lavoratori, come noto, all'art. 5 si è vietato il ricorso al c.d. medico di fabbrica e si è demandato alle strutture pubbliche il controllo sull'idoneità fisica dei lavoratori (la successiva legge 833/1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, ha attribuito alle unità sanitarie locali la competenza in materia di igiene del lavoro, precedentemente assegnata all'ispettorato del lavoro). In seguito a questi interventi normativi si è proceduto ad una distinzione tra accertamenti sanitari obbligatori, cui il datore di lavoro è tenuto a tutela della salute del lavoratore, di competenza del medico competente (anche aziendale) e quelli invece disposti discrezionalmente dal datore di lavoro (prevalentemente a tutela dei suoi interessi) demandati ai medici delle strutture pubbliche[20].

Tale interpretazione è stata anche confermata dalla giurisprudenza secondo cui “è legittima l'effettuazione delle visite mediche periodiche e degli altri accertamenti integrativi prescritti dall'art. 33 del d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303 da parte del sanitario di fiducia del datore di lavoro. L'art. 33 non è in contrasto con l'art. 5 dello St.lav., in quanto le due norme hanno finalità ben distinte e disciplinano situazioni tra loro diverse: la prima è diretta alla tutela della salute dei lavoratori e, per tale motivo, prescrive per il datore di lavoro l'obbligo di sottoporre i dipendenti esposti all'azione di sostanze tossiche o infettanti alla visita di un medico competente, sia prima della ammissione al lavoro sia successivamente; l'art. 5 legge n. 300 del 1970, invece, mira alla tutela non della salute, bensì della dignità dei lavoratori, ed ha riguardo solo ai controlli facoltativi che il datore di lavoro può disporre per verificare le infermità del lavoratore o la sua idoneità fisica, controlli dei quali prevede espressamente la modalità di effettuazione” (Pretura Roma, 13 maggio 1987, in Dir. lav. 1987, II, 373, con nota). E ancora: “L'art. 68 d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303 che obbliga l'imprenditore a far sottoporre a visita medica i propri dipendenti, non prescrive l'assistenza di un'autorità sanitaria, ma si riferisce ad "un medico competente" - anche privato - vale a dire ad un professionista, che sia idoneo a svolgere le funzioni sanitarie richieste per prevenire le malattie professionali” (Cassazione penale, sez. IV, 1 giugno 1978, in Cass. Pen. 1980, 238; e in Riv. pen. 1979, 533).

Con il d. lgs. 15 agosto 1991 n. 277, di attuazione di cinque direttive comunitarie, è stata finalmente individuata sia la nozione che le attribuzioni del medico competente e si è affermato, all'art. 3, che lo stesso deve essere “ove possibile” dipendente dal servizio sanitario nazionale: conseguentemente il datore di lavoro poteva ricorrere a medici privati solo quando non fosse possibile altrimenti.

Il d. lgs. 626/1994, invece, ribalta tale impostazione: infatti, ai sensi dell'art. 17, comma 5, il medico competente può essere indifferentemente dipendente da una struttura esterna pubblica o privata, un libero professionista o un dipendente delle stesso imprenditore. Novità che ha suscitato notevoli perplessità in dottrina[21] facendo addirittura parlare di implicita abrogazione dell'art. 5 dello Statuto, benché a tale dubbio sia stata data risposta negativa[22] ribadendo la diversa funzione e quindi ambito di applicazione delle due norme. Tale impostazione è stata confermata dal decreto 81/2008 ed è stata confermata dalla giurisprudenza più recente.

In giurisprudenza, infatti, è stata rilevato un diverso ambito di applicazione delle due normative: “l'art. 5 l. n. 300 del 1970 che, con riferimento alla disciplina del potere di controllo del datore di lavoro nei confronti del lavoratore assente per malattia, impone l'obbligo di operare gli accertamenti esclusivamente attraverso medici del servizio pubblico, ha portata generale e si estende quindi a tutte le aziende, mentre la disciplina di cui al d.lgs. n. 626 del 1994, in tema di obbligo di nomina del medico competente e di attuazione della sorveglianza sanitaria, è limitata, in virtù di espresso disposto normativo, alle sole aziende nelle quali si eseguono lavorazioni a rischio” (Cass. Pen., sez. III, 21 gennaio 2005, u.p. 9 dicembre 2004, n. 1728, in Cass. Pen., 2005, 11, 3481, nota di De Falco). Con la stessa sentenza si precisa che: “Il controllo sulla salute del lavoratore deve essere imparziale. Il divieto di accertamenti sanitari privati sulle assenze del dipendente per malattia o infortunio comporta, infatti, che le "ispezioni" possono essere fatte solo dai medici del S.s.n. e non dal medico aziendale. E ciò vale anche nelle aziende per le quali è "obbligatoria la sorveglianza sanitaria ed è stato nominato a tal fine un medico competente", pena la responsabilità del datore di lavoro per violazione dall'art. 5 dello statuto dei lavoratori”.

Quindi la giurisprudenza ha giustamente sottolineato la diversa funzione delle due norme, consentendo le visite ad opera del medico privato solo per l’espletamento della sorveglianza sanitaria obbligatoria e vietando, invece, le visite sulle assenze per malattia del lavoratore (ovviamente per malattia generica, non collegabile al rischio lavorativo) che devono essere obbligatoriamente svolte, a tutela della dignità del lavoratore, dal medico della struttura pubblica.

Occorre però evidenziare che il recente d. lgs. 106/2009 ha introdotto la possibilità di visita medica, ad opera medico competente anche aziendale, “precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore a sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione” (art. 41, comma 2, lett. e-ter, d. lgs. 81/2008, come modificato dal d. lgs. 106/2009). Con tale novità, il decreto 106 sembra introdurre la possibilità di visita medica ad opera del medico competente privato o aziendale anche per in merito alle assenze per malattia, riproponendo tutte le insidie che il divieto ex art. 5 Statuto del lavoratori, così come interpretato dalla giurisprudenza, voleva scongiurare: il rischio che tale norma, introdotta con la legittima funzione di aumentare il monitoraggio della salute dei lavoratori soprattutto in presenza di patologie particolarmente invalidanti o per un periodo superiore alla norma, possa invece trasformarsi in una indiretta ed illegittima intimidazione nei confronti dei lavoratori che si assentano per malattia per un periodo lungo. Infatti, come vedremo infra al § 9, non si deve trascurare il fatto che, sebbene come extrema ratio, alla visita del medico competente può seguire anche, in caso di giudizio di inidoneità alla mansione specifica, il licenziamento del lavoratore.

  1. (Segue) La questione delle visite mediche preassuntive

Una delle questioni maggiormente discusse in merito all'attività del medico competente è quella della possibilità o meno che lo stesso svolga visite preassuntive, in considerazione del presunto contrasto con il divieto di cui all'art. 5 dello Statuto dei lavoratori (su cui vedi più approfonditamente supra § 5)[23]. Infatti l'art. 16 d. lgs. 626/1994 aveva introdotto la possibilità di accertamento di controlli sanitari da parte del medico aziendale e consentiva un'indagine anche sull'idoneità del lavoratore “alla mansione specifica” - mentre prima era consentito al datore di lavoro solo un controllo generico in quanto un controllo specifico dell'idoneità fisica del lavoratore alla mansione affidatagli poteva essere chiesto solo dal lavoratore (secondo l'ampia argomentazione della Cass. 20 maggio 1994, n. 4948, in www.deaprofessionale.it) – e rendendo problematica l'interpretazione della nuova possibilità di visite “preventive”, in particolare sulla loro estensibilità o meno alle visite preassuntive.

La giurisprudenza, in particolare, si è divisa in due orientamenti contrapposti. Il primo ritiene che per evitare un controllo surrettizio da parte del datore di lavoro diretto a discriminare alcune categorie di lavoratori, anche nelle ipotesi di visite preassuntive non sia consentito procedere se non attraverso le strutture pubbliche (Cass. 27 gennaio 1999, in RIDL, 2000, II, p. 67, con nota di Bellavista, Cass. 3 marzo 1998, in ISL, 1998, p. 193). Al contrario, il secondo orientamento, sulla scorta del riferimento letterale al termine “lavoratore” contenuto nell'art. 5 dello Statuto, si ritiene il divieto applicabile solo dopo l'avvenuta assunzione[24], ammettendo pertanto visite preassuntive da parte del medico “di fabbrica” o del medico competente (Cass. 8 gennaio 1998, in RIDL, 1998, II, p. 280, con nota di Pera). In dottrina si è affermato che essendo la visita preassuntiva funzionale all'accertamento dell'assenza di controindicazioni per la particolarità del lavoro a cui i dipendenti sarebbero destinati, la logica vuole che ove si verta in ipotesi di obbligo di sorveglianza sanitaria le visite preassuntive dovranno essere svolte dal medico competente, mentre ove tale obbligo non sussista esse dovranno rimanere prerogativa del servizio pubblico[25]. Tale interpretazione è stata poi accolta anche dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 11/2001.

La giurisprudenza di legittimità più recente (Cassazione civile, sez. lav., 19 novembre 2008, n. 27480, in Giust. civ. Mass. 2008, 11, 1646) ha affermato che “l'accertamento sanitario previsto dall'art. 16, comma 2, lett. a, d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626, disposto dal datore di lavoro a mezzo del medico competente e diretto a constatare l'assenza di controindicazioni allo svolgimento del lavoro cui il lavoratore è destinato, ai fini della valutazione della sua idoneità ad una mansione specifica, può essere effettuato anche prima dell'assunzione del prestatore medesimo, dovendosi escludere che l'indagine medica debba coincidere con l'inizio del rapporto di lavoro” (in senso conforme cfr. Cass. 2 dicembre 2005 n. 26328).

Anche nel caso di invalidi avviati obbligatoriamente per la Corte di Cassazione (Cass, sez. lav., 3 ottobre 2006, n. 21302, in Giust. civ. Mass. 2006, 10) l'accertamento dell'idoneità dell'invalido alla mansione specifica può avvenire prima dell'assunzione: “in tema di collocamento obbligatorio, il datore di lavoro, ai sensi degli art. 16 e 17 del d.lgs. n. 626 del 1994, è titolare del potere/dovere di chiedere al medico competente alla sorveglianza sanitaria in azienda gli accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro al quale sia destinato l'invalido avviato obbligatoriamente, nonché del diritto di rifiutare l'assunzione in caso di esito negativo dell'accertamento, salvo il ricorso dell'invalido al collegio medico previsto dall'art. 20 legge n. 482 del 1968” (nel senso che l’accertamento della idoneità dell’invalido può essere effettuato anche prima dell’assunzione dello stesso, cfr. Cass. 2 dicembre 2005 n. 26238, in Foro it. 2006, I, 2845).

Il decreto 81, prevedendo espressamente (all’art. 41, comma 3, lett. a) il divieto di visite in fase preassuntiva (sebbene si trattasse di un divieto non sanzionato), sembrava aver risolto la lunga querelle[26] sulla loro ammissibilità ad opera del medico competente. Ma il successivo decreto 106 ha poi abrogato la norma (la lett. a dell’art. 41, comma 3), optando invece per l’ammissibilità delle visite mediche preventive “in fase preassuntiva” (introdotta dalla lett. e-bis dell’art. 41, comma 2) inserendo espressamente tale visita tra quelle di pertinenza del medico competente e altresì precisando (con l’inserimento del comma 2-bis all’art. 41) che le visite mediche preventive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta del datore di lavoro, sia dal medico competente che dai dipartimenti di prevenzione delle ASL.

  1. Obblighi del medico competente e partecipazione alla riunione periodica

I compiti del medico competente sono definiti dalla legge e sono comunque finalizzati alla prevenzione e protezione dei lavoratori esposti allo specifico rischio lavorativo: pertanto non sono estensibili ad altri settori. L'art. 25 del decreto 81 elenca gli obblighi del medico competente:

a) collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all'attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Collabora inoltre alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di «promozione della salute», secondo i principi della responsabilità sociale;

b) programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41 attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati;

c) istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico;

d) consegna al datore di lavoro, alla cessazione dell'incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo del 30 giugno 2003, n. 196, e con salvaguardia del segreto professionale;

e) consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio, e gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima; l’originale della cartella sanitaria e di rischio va conservata, nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, da parte del datore di lavoro, per almeno dieci anni, salvo il diverso termine previsto da altre disposizioni del presente;

( f) invia all'ISPESL, esclusivamente per via telematica, le cartelle sanitarie e di rischio nei casi previsti dal presente decreto legislativo, alla cessazione del rapporto di lavoro, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Il lavoratore interessato può chiedere copia delle predette cartelle all'ISPESL anche attraverso il proprio medico di medicina generale ) (lettera soppressa dal decreto legislativo 106/2009);

g) fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta l'esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

h) informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria;

i) comunica per iscritto, in occasione delle riunioni periodiche, di cui all'articolo 35, al datore di lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori;

l) visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all'anno o a cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi; la indicazione di una periodicità diversa dall'annuale deve essere comunicata al datore di lavoro ai fini della sua annotazione nel documento di valutazione dei rischi;

m) partecipa alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria;

n) comunica, mediante autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti di cui all'articolo 38 al Ministero della salute entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

Tra le nuove funzioni introdotte dal decreto 81, vi è innanzitutto il dovere di collaborazione con il datore di lavoro e il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi (lett. a). Si è osservato che in realtà tale certamente positiva novità ha in un certo senso deluso le aspettative[27]: infatti, si auspicava, anche in base a quanto suggerito dalla Commissione parlamentare di inchiesta (relazione pubblicata con delibera del 20 marzo 2008), l'affidamento unicamente al medico competente del compito di valutare i rischi per la salute e la sicurezza presenti nel luogo di lavoro[28]. Si è criticato quindi il fatto che il ruolo del medico competente, sebbene rafforzato, resti ancora non abbastanza valorizzato rispetto alla sua importanza.

Ulteriore novità è quella del sostegno all’attuazione di programmai volontari di promozione della salute, in linea con l'attenzione riservata dal legislatore del 2008 alla responsabilità sociale delle imprese (lett. a).

Non meno importante è, come visto (vedi supra § 1) il richiamo all'obbligo del medico competente di tenere in considerazione, nell'effettuazione e programmazione della sorveglianza sanitaria, degli indirizzi scientifici più avanzati (art. 25, lett. b).

La previsione che la cartella sanitaria venga custodita, sotto la propria responsabilità, dal medico competente risolve, infine, un problema che in precedenza aveva visto condannare, sia in sede civile che addirittura penale, il medico competente per aver conservato la cartella sanitaria nel proprio studio medico (luogo di effettuazione della visita), invece che presso l'azienda, nonostante che questa fosse la prassi abituale e anche la soluzione più logica da un punto di vista pratico. Sebbene la Cassazione penale (Cass. Pen. n. 4386/2000) avesse più di recente reso non sanzionabile penalmente tale comportamento, era comunque opportuno un intervento espresso in tal senso del legislatore[29].

Altra novità è che il medico competente deve visitare l'ambiente di lavoro almeno una volta l'anno (contro le due volte l'anno previste dal D. Lgs. 626/1994), però ora può stabilire una cadenza diversa (quindi anche più frequente) in base alle esigenze emerse in sede di valutazione dei rischi.

Sono invece rimasti invariati gli obblighi di collaborazione, di formazione e informazione.

Ultima novità del decreto 81, in merito ai compiti del medico competente, è l’introduzione dell'obbligo di trasmettere ai servizi territoriali del servizio sanitario nazionale (e poi da questo trasmessi all'ISPESL) tutti i dati in forma aggregata relativi alla sorveglianza sanitaria evidenziando le differenze di genere (art. 40). Tale novità è stata salutata positivamente dalla dottrina[30] per il suo evidente fine di costituire un “sistema integrato per la prevenzione” con il necessario rafforzamento dei rapporti tra medici competenti e servizio sanitario nazionale e altre istituzioni.

Sebbene poi, il successivo decreto 106 abbia inspiegabilmente abrogato la lettera f) dell'art. 25 che introduceva l'obbligo del medico competente di inviare all'ISPESL le cartelle sanitarie e di rischio alla cessazione del rapporto di lavoro (ovviamente nel rispetto delle disposizioni sulla privacy di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196).

In conclusione, dall’elenco degli obblighi del medico competente emerge come lo stesso non debba limitarsi ad eseguire gli accertamenti obbligatori e prescrivere eventuali esami specialistici ma, secondo il principio della sicurezza partecipata - che implica un approccio multidisciplinare e integrato[31] - deve mantenere contatti continui con tutti gli altri soggetti della sicurezza, in particolare con il datore di lavoro e il servizio prevenzione e protezione e con il consenso e la collaborazione dei lavoratori e del loro rappresentante[32].

Un momento di incontro e confronto tra tutti i soggetti della sicurezza si realizza senz’altro nell’ambito della riunione periodica, di cui all’art. 35 del decreto 81, che, nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori[33], deve essere indetta almeno una volta all'anno dal datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi. La partecipazione del medico competente alla riunione periodica, insieme al datore di lavoro, al responsabile del servizio prevenzione e protezione e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, è importante in quanto nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all'esame dei partecipanti: a) il documento di valutazione dei rischi; b) l'andamento degli infortuni e delle malattie professionali e della sorveglianza sanitaria; c) i criteri di scelta, le caratteristiche tecniche e l'efficacia dei dispositivi di protezione individuale; d) i programmi di informazione e formazione dei dirigenti, dei preposti e dei lavoratori ai fini della sicurezza e della protezione della loro salute. Inoltre, nel corso della riunione possono essere individuati i codici di comportamento e le buone prassi per prevenire i rischi di infortuni e di malattie professionali, oltre agli obiettivi di miglioramento della sicurezza complessiva sulla base delle linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro. La riunione periodica deve essere indetta altresì in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l'introduzione di nuove tecnologie che hanno riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori. In occasione della riunione il medico competente comunica per iscritto al datore di lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi e ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori. Della riunione, infine, deve essere redatto un verbale che resta a disposizione dei partecipanti per la sua consultazione.

  1. Funzioni e attività del medico competente

L'art. 39 del decreto 81 si occupa dell'attività del medico competente che deve essere “svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH)”. Tale precisazione, che non era presente in nessun testo previgente, vuole sancire chiaramente, a garanzia della professionalità di chi è chiamato a svolgere un ruolo così delicato per la salute dei lavoratori, che l'attività del medico competente rientri pienamente nella disciplina della medicina del lavoro[34].

Il medico competente svolge funzioni di sorveglianza sanitaria e in particolare (art. 41, comma 2):

a) visita medica preventiva di valutazione della idoneità alla mansione specifica;

b) visite mediche periodiche di controllo dello stato di salute dei lavoratori (di norma una all'anno, ma il medico competente o l'organo di vigilanza può aumentarle in funzione della valutazione del rischio);

c) visita medica su richiesta del lavoratore, se correlata al rischio;

d) visita medica per cambio di mansione;

e) visita medica alla cessazione del rapporto nei casi previsti dalla normativa.

L'art. 26 del d. lgs. 106/2009 ha aggiunto le seguenti ipotesi:

e-bis) visita medica preventiva in fase preassuntiva;

e-ter) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.

Sono invece vietate le visite mediche (art. 41, comma 3) per verificare lo stato di gravidanza e nelle altre ipotesi previste dalla legge.

Le visite mediche preventive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta del datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di prevenzione delle ASL. La scelta dei dipartimenti di prevenzione non è incompatibile con le disposizioni dell’articolo 39, comma 3.

Le visite mediche preventive, periodiche e di cambio mansione, nei casi previsti dall'ordinamento, sono altresì finalizzate all'accertamento di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Entro il 31 dicembre 2009, con accordo in Conferenza Stato-regioni, adottato previa consultazione delle parti sociali, vengono rivisitate le condizioni e le modalità per l’accertamento della tossicodipendenza e della alcol dipendenza.

Il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto (su cui vedi infra § 9) dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro.

E' previsto altresì che il medico competente possa avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro, che ne sopporta gli oneri (art. 39, comma 5, decreto 81). Infine, un'altra novità introdotta dal decreto 81 è che il datore di lavoro, per le aziende con più unità produttive o per gruppi di imprese o quando la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, può nominare più medici competenti, individuando tra essi un coordinatore (art. 39, comma 6, decreto 81).

Ma compito del medico competente non è soltanto quello di procedere alle visite obbligatorie nell'interesse del lavoratore, ma anche quello di essere il consulente del datore di lavoro/dirigente in materia sanitaria, di esserne l'alter ego in questa materia, con funzioni, quindi, di consiglio e stimolo (così Cassazione penale, sez. IV, 6 febbraio 2001, u.p. 30 marzo 2000, n. 5037, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 163). La Cassazione penale ha specificato che il ruolo del medico competente non si deve ridurre al mero adempimento delle visite periodiche ma deve anche avere un ruolo attivo nell'identificazione dei rimedi. In particolare ha affermato che “il medico competente ad effettuare le visite mediche periodiche sui lavoratori addetti alle lavorazioni industriali che espongono all'azione di sostanze tossiche o infettanti o che risultano comunque nocive, è tenuto non solo ad effettuare le predette visite in relazione ai rischi individuati dal datore di lavoro e in posizione meramente esecutiva, ma altresì a coadiuvare attivamente il datore di lavoro nella individuazione dei rimedi, anche dettati dal progresso della tecnica, da adottare contro le dette sostanze, così assumendo una autonoma posizione di garanzia in materia sanitaria” (Cassazione penale, sez. IV, 6 febbraio 2001, n. 5037, u.p. 30 marzo 2000, in Mass. Giur. Lav., 2002, 72, nota di Giovagnoli altresì in Ragiusan 2002, 215-6, 156). In altri termini “il modello astratto di responsabile della direzione sanitaria si sintonizza con la ricerca scientifica, anche mondiale, del settore, oltre che con la ricerca della comunità scientifica della realtà produttiva italiana” (ancora: Cassazione penale, sez. IV, 6 febbraio 2001, u.p. 30 marzo 2000, n. 5037, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 163). La Cassazione ha precisato che se da una parte il medico competente “è scelto e pagato dal datore di lavoro, perché deve coadiuvare quest'ultimo nell'esercizio dei suoi obblighi prevenzionali, dall'altra egli deve svolgere il suo servizio professionale solo nell'interesse della salute e della sicurezza dei lavoratori, tanto che incorre in sanzioni penali in caso di inosservanza” (Cassazione penale, sez. III, 21 gennaio 2005, u.p. 9 dicembre 2004, n. 1728, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 163-164).

E' quindi importante che il medico competente decida imparzialmente ed in autonomia e proprio per questo si saluta positivamente l'inciso, introdotto ex novo dal decreto 81, che specifica: “il datore di lavoro assicura al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti garantendone l'autonomia” (art. 39, comma 4)[35].

  1. Il giudizio del medico competente ed i provvedimenti in caso di inidoneità alla mansione specifica

Terminata la visita il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro. In particolare il medico potrà esprimere uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:

a) idoneità;

b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;

c) inidoneità temporanea, con precisazione di limiti temporali di validità;

d) inidoneità permanente.

Si è osservato che l'idoneità è da correlare “alla mansione specifica” e quindi non, più in generale, al posto di lavoro: non si tratta, in altri termini, di generica visita di idoneità, ma di accurato accertamento delle condizioni del lavoratore in connessione con le sue mansioni specifiche e ciò presuppone da parte del medico competente una conoscenza dell'ambiente di lavoro[36].

Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio (art. 25, comma 1, lett. c) secondo i requisiti minimi di cui all'Allegato 3A e predisposta su formato cartaceo o informatico ex art. 54, decreto 81.

Importante novità del decreto 81/2008 è che all'art. 42 prevede espressamente che il datore di lavoro, qualora le indicazioni del medico competente prevedano un'inidoneità alla mansione specifica, adibisca il lavoratore, ove possibile, ad altra mansione equivalente, superiore o inferiore compatibile con il suo stato di salute[37], con diritto alla conservazione della retribuzione corrispondente alle mansioni precedenti. Infatti l’articolo 42 del decreto 81 (come modificato dall’art. 27 del decreto 106/2009) prevede che “Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”. Il decreto 106/2009, nel modificare il citato articolo ha stralciato il riferimento, contenuto nel decreto 81/2008, sia al mantenimento “della qualifica originaria” (oltre alla conservazione del medesimo trattamento retributivo), sia all’applicazione dell’art. 2013 c.c. in caso di adibizione a mansioni equivalenti o superiori, eliminando mere ridondanze dal testo previgente, senza comportare modifiche di contenuto sul piano sostanziale. L’art. 2013 c.c., infatti, può non essere applicato solo in presenza di un’esplicita deroga in tal senso, come espressamente previsto, infatti, per l’ipotesi di adibizione a mansioni inferiori. Quest’ultima, invece, costituisce una novità importante in quanto il d. lgs. 626/1994, non prevedendo espressamente la possibilità di deroga al divieto di demansionamento ex art. 2103 c.c., poneva il problema della possibilità di adibire il lavoratore divenuto inidoneo a mansioni inferiori[38]. La giurisprudenza aveva già risolto la questione osservando giustamente che - costituendo l'inidoneità sopravvenuta allo svolgimento delle mansioni giustificato motivo oggettivo di licenziamento (Cass. 18 marzo 1995, n. 3174, in DPL, 1995, p. 2247) - non ci sono ragioni per ritenere nullo l'eventuale accordo tra datore di lavoro e lavoratore rivolto ad evitare il licenziamento attraverso l'adibizione di quest'ultimo a mansioni diverse, sia pure inferiori (Cass. 4 maggio 1987, n. 4142, in MGL, 1987, p. 355). La giurisprudenza ha inoltre riconosciuto, con un orientamento divenuto consolidato, il diritto del lavoratore divenuto inidoneo per patologia lavoro-correlata di pretendere dal datore di lavoro una collocazione lavorativa idonea a salvaguardare la sua salute nel rispetto dell'organizzazione aziendale (Cass. SU, 7 agosto 1998, n. 7755, in LG, 1999, p. 429, con nota di Mannaccio; Cass. 13 dicembre 2000, n. 15688, in MGL, 2001, p. 328, con nota di Rondo; Cass. 2 agosto 2001, n. 10754, in MGL, 2002, p. 161, con nota di Rosin). Sul punto è poi intervenuta anche la l. 68/1999 che, sebbene solo per il caso di inidoneità intervenuta per infortunio sul lavoro o malattia professionale, ha previsto, all'art. 4, comma 1, che l'infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento quando i lavoratori possano essere addetti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza di queste, anche inferiori a quelle da ultimo svolte[39]. Da qui si è ritenuto che il corrispondente obbligo del datore di lavoro di ricercare nella propria azienda una collocazione adeguata al lavoratore divenuto inidoneo e solo ove tale ricerca si stata correttamente svolta senza esito, sia possibile ricorrere all'extrema ratio del licenziamento del lavoratore[40]. Era comunque opportuno un esplicito chiarimento in tal senso del legislatore.

Qualora il lavoratore venga adibito a mansioni equivalenti o superiori si deve senz’altro ritenere operante, nonostante il citato stralcio operato in merito dal decreto 106/2009, l'art. 2103 c.c. e quindi la definitività della promozione dopo tre mesi di svolgimento di mansioni superiori, salvo sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto e salva la disciplina speciale per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni (ex art. 52 D. lgs. 165/2001).

L’art. 41, comma 9, prevede che avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all'organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso[41].

La giurisprudenza ha affermato che “l'accertamento della inidoneità fisica del lavoratore da parte del medico competente ai sensi dell'art. 17 d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626 non deve essere impugnato, a pena della sua incontestabilità, dinanzi all'organo di sorveglianza. Pertanto, il lavoratore, licenziato dal datore di lavoro a seguito dell'accertamento di inidoneità da parte del medico, può in ogni caso impugnare il licenziamento contestando l'accertamento ed al giudice del lavoro è rimesso il sindacato sulla correttezza del giudizio espresso, anche disponendo consulenza tecnica d'ufficio (nella specie il tribunale ha anche affermato che non è conforme a buona fede e correttezza il comportamento del datore di lavoro che ha licenziato il lavoratore immediatamente dopo l'accertamento di inidoneità senza attendere che trascorresse il termine per impugnare il giudizio dinanzi all'organo di vigilanza)” (Corte appello Bari, 15 luglio 2003, in Gius. 2004, 268).

Sempre in merito all'accertamento dell'inidoneità fisica del lavoratore la Suprema Corte ha affermato l’obbligo del medico competente di “informare per iscritto il datore di lavoro ed il lavoratore qualora esprima un giudizio sulla inidoneità parziale o temporanea o totale del lavoratore, esclusivamente quando questo giudizio sia formalmente espresso a seguito degli accertamenti sanitari preventivi e periodici di cui all'art. 16, comma 2, e non gli impone affatto (ed anzi semmai gli vieta) di comunicare al datore di lavoro anche le diagnosi ed i rilievi effettuati nelle ben differenti e distinte visite mediche effettuate a richiesta del lavoratore quando tale richiesta sia correlata ai rischi professionali” (Cassazione penale, sez. I, 1 agosto 2001, n. 33751, in Dir. e prat. del lavoro 2002, 503).

  1. Contenuti della cartella sanitaria

Come visto (vedi supra § 7) il medico competente, ai sensi dell’art. 25 decreto 81/2008, istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria. Tale cartella deve essere conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico. Inoltre, il medico competente deve consegnare al datore di lavoro, alla cessazione dell'incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo del 30 giugno 2003, n. 196, e con salvaguardia del segreto professionale, e al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio, fornendogli le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima.

In merito ai contenuti della cartella sanitaria, la giurisprudenza penale ha specificato che la stessa “deve contenere i rischi specifici ai quali sono esposti i lavoratori e deve essere completa, in quanto deve fornire all'interessato una documentazione sanitaria esaustiva che attesti i rischi lavorativi ai quali è stato esposto, al fine di poterne controllare le possibili ricadute negative anche sul lungo termine; né tale contenuto può essere superato dalla esistenza della relazione sulla valutazione dei rischi, in quanto a differenza di quest'ultima la cartella può essere sempre richiesta dal dipendente e, comunque, gli viene consegnata al momento della risoluzione del rapporto lavorativo” (Cassazione penale, sez. III, 18 novembre 2003, n. 2117, in Cass. Pen. 2005, 3, 942) .

La stessa Cassazione penale precisa altresì che l'inadempimento di tale obbligo è sanzionato con l’arresto fino a due mesi o l’ammenda da 300 a 1.200 euro (art. 58, comma 1, lett. b).

Tutti i dati in possesso del medico competente devono essere conservati e trattati nel rispetto delle norme in materia di tutela della privacy[42], pertanto non possono essere diffusi dal medico dati idonei a rivelare lo stato di salute del lavoratore, salvo i casi in cui tale diffusione sia necessaria per finalità di prevenzione, accertamento o repressione di reati o per esigenza di tutela di terzi[43]. Proprio a tutela di terzi è stata ritenuto possibile sottoporre il lavoratore, anche senza il suo consenso, all'accertamento della assenza di sieropositività ove tale accertamento si “condizione per l'espletamento di attività che comportino rischi per i terzi”[44].

  1. Responsabilità e sanzioni per il medico competente

Il medico competente è una figura anche con una personale e importante responsabilità, visto che, al contrario del responsabile del servizio prevenzione e protezione, è penalmente sanzionato per la violazione della normativa prevenzionale (ora con l'art. 58 del decreto 81/2008, ma già prima con l'art. 92 del decreto 626/1994 e prima ancora con l'art. 53 del decreto 277/1991). Il medico competente quindi non può essere considerato un mero collaboratore del datore di lavoro: egli è invece chiamato a svolgere un ruolo autonomo e distinto dal datore di lavoro, con obblighi propri, sanzionati penalmente, sia nei confronti dell'azienda, sia nei confronti della collettività[45].

Il rifiuto immotivato del medico competente nei confronti della richiesta del lavoratore integra la colpa specifica qualora da tale rifiuto o dal ritardo sia derivato un danno al lavoratore[46]. Inoltre si è affermato che nei casi di errata diagnosi o di errato giudizio di idoneità, qualora dal suo operato sia derivato un danno al lavoratore, la colpa del medico competente deve essere valutata con maggiore severità e rigore rispetto a quella del medico generico, stante la sua qualifica di specialista[47].

Le sanzioni per il medico competente sono previste dall'art. 58 del decreto 81/2008 che, così come modificato dall'articolo 35 del decreto 106/2009 che ha notevolmente diminuito l'ammontare delle ammende, prevede che il medico competente è punito:

a) con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da 200 a euro 800 per la violazione dell’articolo 25, comma 1, lettere d) ed e), primo periodo (che prevede l’obbligo di consegna al datore di lavoro, alla cessazione dell'incarico, e al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, della documentazione sanitaria in suo possesso);

b) con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda da 300 a 1.200 euro per la violazione dell’articolo 25, comma 1, lettere b), c) e g) (che prevedono l’obbligo di programmazione ed effettuazione della sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41; di istituzione, aggiornamento e custodia di una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; di fornire informazioni ai lavoratori, e ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta l'esposizione a tali agenti);

c) con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da 400 a 1.600 euro per la violazione dell’articolo 25, comma 1, lettere a), con riferimento alla valutazione dei rischi (che prevede l’obbligo di collaborazione con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi), e l) (che prevede l’obbligo di visita degli ambienti di lavoro almeno una volta all'anno o alla cadenza diversa stabilita in base alla valutazione dei rischi);

d) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 600 a 2.000 euro per la violazione dell’articolo 25, comma 1, lettere h) e i) (che prevede l’obbligo di informazione a ciascun lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41 e relativa consegna di copia della documentazione sanitaria; la comunicazione per iscritto, in occasione delle riunioni periodiche, al datore di lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, dei risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata);

e) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro per le violazione degli articoli 40, comma 1 (cioè l’obbligo di trasmettere, entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria) e 41, commi 3, 5 e 6-bis (cioè l’obbligo di allegare gli esiti della visita medica alla cartella sanitaria e di rischio di cui all'articolo 25, comma 1, lettera c), secondo i requisiti minimi contenuti nell'Allegato 3A e predisposta, su formato cartaceo o informatizzato, secondo quanto previsto dall'articolo 53; e l’obbligo di esprimere il proprio giudizio per iscritto dandone copia al lavoratore e al datore di lavoro).

Infine, è importante evidenziare che, oltre alle appena menzionate sanzioni penali corrispondenti alla violazione degli obblighi previsti specificamente in capo al medico competente, quest'ultimo può essere chiamato a rispondere anche per tutte una serie di altre ipotesi di reato descritte dal codice penale, come ad esempio quella di omissione di referto all'autorità giudiziaria (art. 365 c.p.), in caso di malattia professionale o infortunio penalmente rilevante, o quella di omicidio colposo (artt. 589 e 599 c.p.) ove l'evento sia collegato causalmente ad una condotta colposa del medico competente[48].


  1. La responsabilità del medico competente nella giurisprudenza. Casistica


Responsabilità per omessa sorveglianza sanitaria

La Cassazione (Cassazione penale. Sez. IV, 9 luglio 2007, u.p. 9 maggio 2007, n. 26439, in Guariniello R., Il Testo Unico Sicurezza sul lavoro, commentario con la giurisprudenza, Iposa, 2008, 241) si è occupata di un caso di decesso per carcinoma di un vigile del fuoco esposto a fumi e altri agenti irritanti, con imputato del delitto di omicidio colposo il medico competente, accusato di non aver disposto le necessarie visite obbligatorie di controllo della salute del lavoratore. In sentenza il giudice ha assolto il medico competente, applicando il principio delle Sezioni Unite (Cassazione S.U., 10 luglio 2002, n. 30328) secondo cui “deve ritenersi esclusa la penale responsabilità dell'agente allorquando risulti accertato che l'evento si sarebbe ugualmente verificato anche ove l'agente stesso avesse posto in essere la condotta doverosa, oppure nel caso in cui non si raggiunga la prova dell'efficienza del comportamento corretto a scongiurare l'evento”. In altri termini la Corte ha escluso la responsabilità del medico in quanto non era stata acquisita la prova affidabile che la condotta ipotizzata come doverosa (lo svolgimento di periodiche visite mediche) – ed invece omessa secondo l'ipotesi accusatoria – avesse costituito la condizione necessaria dell'evento dannoso secondo il criterio dell'alto grado di credibilità razionale (in tema di assoluzione del medico competente vedi: Cassazione penale, sez. III, 28 gennaio 2008, u.p. 4 ottobre 2007, n. 4064).

In ogni caso la giurisprudenza di merito (Tribunale di Arezzo, 3 ottobre 2008), ha ritenuto che “la responsabilità del medico per omessa sorveglianza sanitaria viene in rilievo solo dopo che il datore di lavoro ha puntualmente informato il medico competente in ordine all'inserimento nell'attività lavorativa dei soggetti che devono essere sottoposti a visita”.



Responsabilità per lo svolgimento di accertamenti sanitari vietati

La giurisprudenza si è pronunciata nel senso della responsabilità del medico competente per la sottoposizione di lavoratori ad accertamenti sanitari vietati dalla legge, come quello per l'accertamento dello stato di gravidanza (Cass. 8 gennaio 1998, in CP, 1999, p. 861, con nota di Baldi), o non necessari per la mansione specifica, come nel caso di test tossicologici o di verifica della sieropositività al virus HIV, ove non necessari (Cass. 30 luglio 1997; Cass. 27 gennaio 1999).



Responsabilità per omessa comunicazione al RLS dei risultati degli accertamenti

La Suprema Corte (Cassazione penale, sez. III, 8 aprile 2009, n. 19099) ha affermato che “l'omessa comunicazione, da parte del medico competente ai rappresentanti per la sicurezza, dei risultati anonimi degli accertamenti clinici e strumentali effettuati sui lavoratori, già integrante il reato di cui all'art. 17, comma primo lett. g), D.Lgs. n. 626 del 1994, costituisce, a seguito del D.Lgs. n. 81 del 2008, mero illecito amministrativo”. In effetti all’art. 58, comma 1, lett. d), del decreto 81 si prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da 600 a 2.000 euro per la violazione dell’articolo 25, comma 1, lettere h) e i), che prevede l’obbligo di informazione a ciascun lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41 e la comunicazione per iscritto, in occasione delle riunioni periodiche, al datore di lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, dei risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata.



Responsabilità per omesso aggiornamento della cartella sanitaria

Il medico competente il quale, istituita per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria la cartella sanitaria e di rischio, abbia omesso di aggiornarla con l'indicazione, tra l'altro, dei rischi lavorativi ambientali specifici ai quali il lavoratore sia stato sottoposto, risponde della contravvenzione di cui agli art. 17, comma 1, lett. d), e 92 d.lg. n. 626 del 1994 (Cassazione penale, sez. III, 18 novembre 2003, n. 2117, in Foro it. 2004, II, 520), ora art. 58, comma1, lett. c.

Si è precisato però che “la prescrizione relativa alla custodia delle cartelle sanitarie dei dipendenti presso il datore di lavoro ha carattere accessorio ed integrativo della prescrizione relativa alla istituzione ed aggiornamento, sotto la responsabilità del medico competente, della cartella sanitaria e di rischio del lavoratore, così che alla violazione della stessa non può ritenersi estesa la sanzione penale di cui all'art. 92 d.lg. n. 626 del 1994”. In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto non integrare il reato de quo la tenuta delle cartelle presso lo studio del responsabile medico dei controlli sanitari (Cassazione penale, sez. III, 15 dicembre 2000, n. 936, in Riv. trim. dir. pen. Economia 2001, 768; e in Cass. Pen. 2002, 1142).


  1. Incompatibilità

Opportunamente il decreto 81 ha introdotto il divieto per i dipendenti di strutture pubbliche assegnati ad uffici che svolgono attività di vigilanza di prestare, ad alcun titolo ed in alcuna parte del territorio nazionale, l'attività di medico competente (art. 39, comma 3, decreto 81). Il principio è evidentemente quello di evitare che controllori e controllati coincidano a detrimento di ogni garanzia di imparzialità. In passato il divieto c'era ma non era specificato il divieto “ad alcun titolo” e “su tutto il territorio nazionale”, anche se la giurisprudenza aveva già dato un'interpretazione restrittiva già della precedente norma.


  1. Rapporti tra Servizio sanitario nazionale e medico competente

Altra novità importante del decreto 81 è quella che prevede, all'art. 40, che il medico competente trasmetta in via telematica ai servizi competenti per territorio le informazioni elaborate, evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria (secondo il modello in allegato 3B). Le Regioni e le province autonome trasmetteranno poi a loro volta le informazioni, aggregate dalle ASL, all'ISPESL.

L'art. 25 del d. lgs. 106/2009 ha aggiunto che entro il 31 dicembre 2009, con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definiti, secondo criteri di semplicità e certezza, i contenuti degli Allegati 3A e 3B e le modalità di trasmissione delle informazioni.


  1. Riferimenti bibliografici

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[1] Sulla figura del medico competente vedi: R. Bortone, La sorveglianza sanitaria, in L. Montuschi, Ambiente, salute e sicurezza, Torino, 1997, 149; P. Soprani, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Milano, 2001, p. 115; P. Tullini, La responsabilità civile del medico competente verso l'azienda, in RIDL, 2002, I, 219.

[2] R. Bortone, La sorveglianza sanitaria, in L. Montuschi, Ambiente, salute e sicurezza, Torino, 1997, 149; P. Soprani, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Milano, 2001, p. 115; P. Tullini, La responsabilità civile del medico competente verso l'azienda, in RIDL, 2002, I, 219; M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Torino, 2002, p. 167, R. Romei, Il campo di applicazione del D. Lgs. n. 626/94 e i soggetti (art. 1, 2, 3), in L. Montuschi, Ambiente, salute e sicurezza, Torino, 1997, p. 59; A. Messineo, Attività del medico competente, in ISL, 1997, inserto n. 4, p. III; L. Prati, Limiti legali all'attività del medico competente, in ISL, 1997, p. 281; L. Fantini, Il medico competente e la sorveglianza sanitaria, in M. Rusciano – G. Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, in F. Carinci (dir.), Diritto del lavoro. Commentario, VIII, Torino, Utet, 2007, p. 338.

[3] P. Tullini, La responsabilità civile del medico competente verso l'azienda, in RIDL, 2002, I, 226; M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Torino, 2002, p. 166.

[4] Il concetto di massima sicurezza tecnologicamente possibile è tuttavia ancora controverso in giurisprudenza in quanto ridimensionato, ad opera di una sentenza della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 312/1996) che ha ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in quanto troppo ampio e generico e quindi in contrasto con l'art. 25, comma 2, Cost. che impone, invece, la determinatezza della legge penale. Da qui il passaggio al concetto di massima sicurezza generalmente praticata che richiede – ai fini dell’applicazione di sanzioni penali – l’aggiornamento agli standard di sicurezza diffusi ed applicati generalmente. Tale ridimensionamento ha suscitato numerose critiche da parte della dottrina che ha giustamente sottolineato che, se da un lato la nuova definizione non garantisce da genericità ed indeterminatezza nell’individuazione dei suddetti standard, dall’altro rischierebbe di disincentivare il miglioramento del livello di sicurezza aziendale, accontentandosi della massima sicurezza disponibile o esistente (col paradosso che, pur in presenza di scoperte o miglioramenti elaborati dalla tecnica, se nessun imprenditore li adotta non diventa mai obbligatorio adottarli). Peraltro, successivamente, sia la Corte di Cassazione che la Corte di Giustizia Europea hanno ribadito l'orientamento precedente basato sul principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile. Ed oggi, l'obbligo di aggiornamento del datore di lavoro è stato ribadito espressamente, come visto, dal D. Lgs 81/2008. Vedi M. Lai, Flessibilità e sicurezza del lavoro, Giappichelli Torino, 2006, p. 82.

[5] M. Lai, Flessibilità e sicurezza del lavoro, Giappichelli Torino, 2006, p. 82.

[6] Sul punto vedi A. Brignone, La sorveglianza sanitaria dopo il d. lgs. n. 626 del 1994, in DPL, 1995, p. 1473 e ss.

[7] Già il d.p.r. n. 303/1956 prevedeva l'obbligo di nominare il medico competente in caso di esposizione a piombo, amianto o all'eccessivo rumore, poi si è esteso l'obbligo anche in caso di esposizione ad amine aromatiche o al cloruro vinil monomero ed altre ipotesi con successivi interventi normativi (d. lgs. 277/1991; d.lgs. 77/1992; d.p.r. n. 962/1982; d. lgs. 626/1994; d. lgs. 66/2000; d. lgs. 25/2002; d. lgs. 187/2005; etc.). In particolare il d. lgs. 626/1994 ha ampliato notevolmente l'obbligo di sorveglianza sanitaria, estendendola alla movimentazione manuale dei carichi (titolo V), all'uso delle attrezzature munite di videoterminali (titolo VI), alla protezione da agenti cancerogeni e mutageni (titolo VII, con le modifiche introdotte dal d. lgs. 66/2000), alla protezione da agenti chimici (titolo VII bis, introdotto dal d. lgs. 25/2002) ed alla protezione da agenti biologici (titolo VIII).

[8] Si è infatti giustamente osservato che la formulazione dell'art. 25 del d. lgs. 626/1994 e, ora del decreto 81, non preclude l'estensibilità alla legislazione di futura emanazione (cfr. P. Soprani, Sicurezza e pevenzione nei luoghi di lavoro, Milano, 2001, p. 23).

[9] M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Torino, 2002, p. 165.

[10] M. Del Nevo, Quando è necessario nominare il medico competente: gli obblighi reali in tema di sorveglianza sanitaria, in ISL, 2001, p. 301; G. Natullo, La nuova normativa sull'ambiente di lavoro, in GDLRI, 1996, p. 665; M. Rusciano – G. Natullo, Prefazione, in M. Rusciano – G. Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, in F. Carinci (dir.), Diritto del lavoro. Commentario, VIII, Torino, Utet, 2007, p. XXIII e ss.; L. Fantini, in M. Rusciano – G. Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, in F. Carinci (dir.), Diritto del lavoro. Commentario, VIII, Torino, Utet, 2007, p. 338; P. Monda, La sorveglianza sanitaria, in Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, (a cura di) L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo, Ipsoa, 2008, p. 287.

[11] M. Lai, Flessibilità e sicurezza del lavoro, Giappichelli Torino, 2006, p. 82. In materia la giurisprudenza ha riconosciuto la responsabilità di datore di lavoro e medico competente per traumi dell'arto superiore da sforzo ripetuito (sindrome da tunnel carpale, nel caso di specie), vedi Cass. Pen. 30 marzo 2005, in ISL, 2005, 405.

[12] M. Del Nevo, Quando è necessario nominare il medico competente: gli obblighi reali in tema di sorveglianza sanitaria, in ISL, 2001, p. 301.

[13] C. Amato, Il ruolo del medico competente, in L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, Ipsoa,, 2008, p. 276.

[14] M. Del Nevo, Quando è necessario nominare il medico competente: gli obblighi reali in tema di sorveglianza sanitaria, in ISL, 2001, p. 301; M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Torino, 2002, p. 165; S. Spiridigliozzi – L. Bonaccorso, Rilievi in tema di responsabilità del datore di lavoro, in OGL, 1996, p. 847.

[15] O. Bonardi, Ante litteram. Considerazioni a “caldo” sul disegno di legge delega per l'emanazione di un Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, in RGL, n. 2, suppl. 23, 2007, p. 50.

[16] Sulle problematiche relative ai titoli del medico competente vedi: G. Campurra, La nuova sorveglianza sanitaria, in F. Bacchini (a cura di), Speciale Testo Unico sicurezza del lavoro, 276.

[17] L'allargamento, ad opera della legge n. 1/2002 (art. 1 bis) della possibilità di svolgere funzioni di medico competente anche agli “specializzati in medicina legale e delle assicurazioni” aveva suscitato forti perplessità e rilievi critici, vedi C. Smuraglia, Sicurezza del lavoro e obblighi comunitari. I ritardi dell'Italia nell'adempimento e le vie per uscirne, in RIDL, 2002, I, p. 203, nota 13; M. Lai, Flessibilità e sicurezza del lavoro, Giappichelli Torino, 2006, p. 83; da ultimo C. Amato, Il ruolo del medico competente, in Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, (a cura di) L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo, Ipsoa, 2008, p. 282-283.

[18] C. Amato, Il ruolo del medico competente, in Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, (a cura di) L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo, Ipsoa, 2008, p. 281.

[19] Sul dibattuto ambito di competenza delle visite sull'idoneità del lavoratore tra il divieto ex art. 5 Statuto dei lavoratori (l. 300/1970) e le funzioni del medico competente anche aziendale ex d. lgs. 626/1994, vedi R. Bortone, La sorveglianza sanitaria, in L. Montuschi, Ambiente, salute e sicurezza, Torino, 1997, p. 149 e ss.; F. Stolfa, Diritto della sicurezza nel lavoro, Bari, 2001, 69; P. Monda, La sorveglianza sanitaria, in Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, (a cura di) L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo, Ipsoa, 2008, p.288 e ss.; P. Albi, Commento agli artt. 38-42, in M. Grandi – G. Pera (a cura di), Commentario breve alle leggi sul lavoro, 4a edizione, Cedam Padova, 2009, p. 2834.

[20] Così R. Bortone, La sorveglianza sanitaria, in L. Montuschi, Ambiente, salute e sicurezza, Torino, 1997, p. 150.

[21] Così R. Bortone, La sorveglianza sanitaria, in L. Montuschi, Ambiente, salute e sicurezza, Torino, 1997, p. 151.

[22] M. Franco, La responsabilità del datore e del prestatore di lavoro in materia di sicurezza nel d. lgs. 19 settembre 1994, n. 626, in RIDL, 1996, I, p. 263.

[23] In dottrina vedi L. Fantini, Il medico competente e la sorveglianza sanitaria, in M. Rusciano – G. Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, in F. Carinci (dir.), Diritto del lavoro. Commentario, VIII, Torino, Utet, 2007, p. 343; P. Monda, La sorveglianza sanitaria, in Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, (a cura di) L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo, Ipsoa, 2008, p. 288 e ss.

[24] G. Campurra, La nuova sorveglianza sanitaria, in F. Bacchini (a cura di), Speciale Testo Unico sicurezza del lavoro, 281.

[25] Cosi L. Fantini, Il medico competente e la sorveglianza sanitaria, in M. Rusciano – G. Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, in F. Carinci (dir.), Diritto del lavoro. Commentario, VIII, Torino, Utet, 2007, p. 343; M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Torino, 2002, p. 176.

[26] P. Pascucci, Dopo la legge n. 123 del 2007. Prime osservazioni sul Titoli I del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Quaderni di Olympus, n. 1, Fano, ed. studio @lfa, 2008, p. 136.

[27] Ossicini – Miccio, Valutazione del rischio e sorveglianza sanitaria nel nuovo Testo Unico sulla sicurezza: un'occasione persa, 2008, in www.medicocompetente.it.

[28] C. Amato, Il ruolo del medico competente, in Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, (a cura di) L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo, Ipsoa,, 2008, p. 279.

[29] Così C. Amato, Il ruolo del medico competente, in Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, (a cura di) L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo, Ipsoa, 2008, p. 279.

[30] P. Pascucci, Dopo la legge n. 123 del 2007. Prime osservazioni sul Titoli I del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Quaderni di Olympus, n. 1, Fano, ed. studio @lfa, 2008, p. 136.

[31] M. Lai, Flessibilità e sicurezza del lavoro, Giappichelli Torino, 2006, p. 85.

[32] Sulle funzioni informative, di collaborazione e partecipazione del medico competente si rinvia a: M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Torino, 2002, p. 167.

[33] Nelle unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori è invece facoltà del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza chiedere la convocazione di un'apposita riunione.

[34] C. Amato, Il ruolo del medico competente, in Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, (a cura di) L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo, Ipsoa,, 2008, p. 277.

[35] C. Amato, Il ruolo del medico competente, in Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, (a cura di) L. Zoppoli – P. Pascucci – G. Natullo, Ipsoa, 2008, p. 277.

[36] A. Culotta – M. Di Lecce – G. Costagliola, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 1996, p. 98; P. Soprani, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Milano, 2001, p. 118; M. Lai, Flessibilità e sicurezza del lavoro, Giappichelli Torino, 2006, p. 82.

[37] Sul punto si veda in dottrina: O. Bonardi, Ante litteram. Considerazioni a caldo sul disegno di legge delega per l'emanazione di un Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, RGL, 2007, 2, suppl. 23, 50.

[38] R. Bortone, La sorveglianza sanitaria, in L. Montuschi, Ambiente, salute e sicurezza, Torino, 1997, p. 154.

[39] L'art. 1, comma 7, della legge 68/1999 prevede che i datori di lavoro pubblici e privati siano tenuti a garantire la conservazione del posto di lavoro a quei lavoratori che, non essendo disabili al momento dell'assunzione, abbiano acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale eventuali disabilità . In base all'art. 4, comma 4, della stessa legge, per tali lavoratori l'infortunio o la malattia professionale non costituiscono giustificato motivo di licenziamento qualora essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti o, in mancanza, inferiori: in quest'ultimo caso conservano il diritto al trattamento più favorevole corrispondente alle mansioni di provenienza. Ove, invece, non sia possibile l'assegnazione a mansioni equivalenti o inferiori, i lavoratori sono avviati dai Centri per l'impiego presso altra azienda in attività compatibili con le residue capacità lavorative.

[40] In dottrina: F. Bianchi D'Urso, G. Vidiri, Luci ed ombre sulla nuova disciplina delle assunzioni obbligatorie, in MGL, 2000, p. 734. In giurisprudenza: Trib. Firenze, 4 luglio 2003, in D&L, 2004, p. 170, con nota di Romoli.

[41] Per un approfondimento, cfr. M. Del Nevo, Il giudizio di inidoneità alla mansione, in ISL, 2001, 525; M. Del Nevo, Certificati di idoneità con prescrizioni e reali obblighi del datore di lavoro, in ISL, 2003, p. 257.

[42] G. Campurra, La sorveglianza sanitaria, in ISL, 2002, p. 605.

[43] L. Fantini, Il medico competente e la sorveglianza sanitaria, in M. Rusciano – G. Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, in F. Carinci (dir.), Diritto del lavoro. Commentario, VIII, Torino, Utet, 2007, p. 341.

[44] Corte Cost. 2 giugno 1994, n. 218, in DPL, 1994, p. 1989. In dottrina: R. Guariniello, Gravidanza, sieropositività, e tossicodipendenza: accertamenti sanitari, in ISL, 1998, p. 98; B. Caruso, Le nuove frontiere del diritto del lavoro: Aids e rapporto di lavoro, in RIDL, 1998, I, p. 105.

[45] M. Lai, Flessibilità e sicurezza del lavoro, Giappichelli Torino, 2006, p. 84.

[46] A. Brignone, La sorveglianza sanitaria dopo il d. lgs. n. 626 del 1994, in DPL, 1995, p. 1476; A. Culotta – M. Di Lecce – G. Costagliola, Il nuovo sistema sanzionatorio in materia di sicurezza ed igiene del lavoro e le responsabilità penali in caso di attività date in appalto, in RIDPP, 1996, p. 949.

[47] Sul punto vedi: M. Del Nevo, Colpe e reati del medico competente, in ISL, 2000, p. 117; P. Tullini, La responsabilità civile del medico competente verso l'azienda, p. 226. In giurisprudenza, cfr. Cass. Pen. 13 maggio 2005, in DPL, 2005, p. 1519, per un caso di responsabilità del medico competente in caso di omesse visite preventive.

[48] P. De Matteis, F. Zannol, C. Zanetti, Responsabilità ai raggi x per il medico competente, in ASL, 2002, n. 3, p. 51; M. Del Nevo, Colpe e reati del medico competente, in ISL, 2000, p. 125; G. De Falco, I soggetti coinvolti nell'attuazione della normativa di sicurezza nell'ambito aziendale, in Lepore M. (a cura di), Problemi della sicurezza nei luoghi di lavoro, Cedam Padova, 2003, p. 47.