T.A.R. Lombardia, Sez. 3, 13 gennaio 2021, n. 97 - Mobbing in ambito militare. Giurisdizione


 

 

Pubblicato il 13/01/2021
N. 00097/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00226/2015 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 226 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gemma Simolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso lo studio dell’avv. Fabio Romanenghi in Milano, Corso di Porta Vittoria 28;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Milano, via Freguglia, 1;

per l'accertamento,

quanto al ricorso introduttivo,

del mobbing asseritamente attuato nei confronti del ricorrente,

e per la conseguente condanna

dell’Amministrazione al risarcimento di tutti i danni dal medesimo asseritamente subiti a causa del predetto mobbing;

e con motivi aggiunti depositati il 26.1.2017,

per l’annullamento:

- del decreto n. 2274/N del Direttore della Divisione 5" - II Reparto della Direzione generale della Previdenza militare e della Leva, emesso in data 27 settembre 2016 e notificato al ricorrente in data 4 novembre 2016 a mezzo della Legione Carabinieri della Regione Lombardia (doc. n. 21), con cui è stato riconosciuto che l'infermità "Disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso misti in attuale compenso clinico, SDR da stress occupazionale" non è dipendente da causa di servizio;

- del parere espresso dal Comitato di verifica per le cause di servizio del Ministero dell'Economia e della Finanze 14549/2014 nell'adunanza n. 198/2014 del 25/6/2014, comunicato al ricorrente unitamente al decreto di cui sopra (doc. n. 22);

- di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. Oscar Marongiu nell'udienza smaltimento del giorno 16 giugno 2020, svoltasi in modalità da remoto, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FattoDiritto



1. Il ricorrente, premesso di essere stato Ufficiale medico dell’Esercito italiano dal 1991 al 2013, allorché, in seguito al giudizio di permanente non idoneità al servizio militare incondizionato in modo assoluto espresso dalla Prima Commissione Medico Ospedaliera di Milano (C.M.O.), in data 15.11.2013, veniva dichiarato cessato dal servizio permanente effettivo e collocato in congedo assoluto per infermità, ai sensi dell’art. 929 del d.lgs. n. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare), ha chiesto l’accertamento del mobbing a suo dire subìto all’interno dell’Esercito e la condanna del Ministero della Difesa al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali che ne sarebbero derivati.

Secondo la prospettazione attorea l’interessato, negli ultimi anni di servizio, si sarebbe trovato a subire gravi condotte mobbizzanti da parte di un gruppo di ufficiali dell’Esercito, che lo avrebbero portato ad ammalarsi gravemente e infine a perdere il posto di lavoro quale Ufficiale medico, in conseguenza del provvedimento medico-legale di riforma basato su un complesso di patologie, tra cui, in particolare, l’accertato “Disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso misti in allegato disturbo di personalità NAS. SDR da stress occupazionale”. Il mobbing sarebbe stato attuato mediante più azioni collegate e concordate alle spalle del militare da un gruppo di Ufficiali dell’Esercito e finalizzate al suo screditamento personale e professionale, nonché al suo allontanamento dalla Scuola militare “Teuliè” di Milano, dove da anni egli prestava servizio come Ufficiale medico addetto all’infermeria speciale: ciò, alla fine, avrebbe anche determinato l’estromissione del ricorrente dall’Esercito a causa dei gravi disagi psico-fisici riportati. L’esistenza di una strategia dolosa sarebbe dimostrata da prove documentali, desumibili, in particolare, dagli atti dell’inchiesta sommaria condotta dall’Ufficiale inquirente, Gen. -OMISSIS-, nominato dal Comandante per la Formazione, Gen. -OMISSIS-.

Si è costituito in giudizio il Ministero intimato, chiedendo la reiezione del ricorso.

Con motivi aggiunti il ricorrente ha poi impugnato gli atti indicati in epigrafe, tra cui, in particolare, il decreto direttoriale di diniego del riconoscimento di dipendenza da causa di servizio dell’infermità “Disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso misti in attuale compenso clinico, SDR da stress occupazionale” e il parere del Comitato di verifica per le cause di servizio, in base al quale il diniego ministeriale è stato adottato, deducendone l’illegittimità sulla base dei seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 per difetto e/o carenza di motivazione; eccesso di potere per difetto di attività istruttoria; violazione dell’art. 6 della l. n. 241/1990 e degli artt. 5 e 7 del d.P.R. n. 461/2001; eccesso di potere per falsa ed errata rappresentazione della realtà, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, manifesta illogicità e irragionevolezza: sia il provvedimento del Direttore di Divisione del Ministero della Difesa, che ha denegato il riconoscimento della causa di servizio, sia il parere negativo del Comitato incardinato presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, al quale il primo si riferisce per la relativa motivazione, sarebbero privi di una vera motivazione; il giudizio espresso dal Comitato si sarebbe basato, infatti, su accertamenti e documenti menzionati in una seduta della C.M.O. di Milano (del 9.1.2013) superati da accertamenti e documenti posti a fondamento di un giudizio successivo della medesima Commissione (del 15.11.2013), a seguito del quale il ricorrente è stato ritenuto inidoneo in maniera assoluta al servizio militare, venendo riformato; gli organi preposti alla verifica della causa di servizio avrebbero potuto e dovuto acquisire d’ufficio l’ultimo verbale della C.M.O., unitamente agli accertamenti diagnostici interni ed esterni effettuati, nonché il fascicolo del dipendente presso il Ministero della Difesa, riportante i numerosi ricorsi esperiti dal militare tra cui, da ultimo, quello volto all’accertamento del mobbing; il giudizio negativo sulla causa di servizio sarebbe stato espresso su una situazione clinica non più attuale, come si evince anzitutto dal riferimento (non più pertinente) all’asserito compenso clinico del disturbo dell’adattamento, che sussisteva all’epoca della seduta del 9.1.2013 della Commissione, ma non più all’epoca della seduta del 15.11.2013, ad esito della quale, anzi, si fa riferimento ad una fase di recrudescenza della patologia, tanto che proprio il disturbo dell’adattamento (che, a dire del ricorrente, sarebbe stato erroneamente e contestabilmente associato ad un disturbo di personalità) avrebbe avuto un ruolo determinante nel giudizio di non idoneità assoluta al servizio militare;

2) violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990: l’Amministrazione della Difesa, prima di concludere il procedimento avviato su istanza del ricorrente, avrebbe dovuto comunicargli il c.d. preavviso di rigetto ai sensi dell'art. 10-bis della l. n. 241/1990; il ricorrente sarebbe stato totalmente privato del “diritto” di presentare per iscritto osservazioni e documenti - come prevede l’art. 10-bis - che avrebbero potuto consentirgli di fornire ulteriori prove della dipendenza della patologia da causa di servizio ed aspirare così ad una conclusione favorevole del procedimento.

Con memoria depositata il 4.4.2019 il Ministero si è difeso anche sui motivi aggiunti e ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in favore del giudice ordinario, con riguardo al ricorso introduttivo per danni da mobbing.

In data 24.2.2020 il ricorrente ha depositato istanza istruttoria (con cui ha chiesto, tra l’altro, l’ammissione della prova testimoniale in forma scritta, in relazione ad alcuni fatti esposti nel ricorso introduttivo, e lo svolgimento di una CTU medico-legale per l’accertamento di eziologia, natura e gravità delle patologie che hanno determinato la collocazione del ricorrente in congedo permanente assoluto per infermità) e con successiva memoria ha ribadito le proprie difese.

In vista dell’udienza il Ministero ha depositato apposite note.

All’udienza del giorno 16 giugno 2020 (ruolo smaltimento) la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Ministero con riguardo al ricorso introduttivo.

2.1. Sul punto, nessun dubbio sussiste in ordine alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, trattandosi di controversia attinente al pubblico impiego di personale non contrattualizzato, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 133 comma 1, lett. i), c.p.a. e all’art. 3 del d.lgs. n. 165/2001. In tale ipotesi la giurisdizione si estende anche alla cognizione delle azioni inerenti il risarcimento del danno derivante dal cosiddetto mobbing, a condizione che l’azione proposta possa qualificarsi in termini di responsabilità contrattuale per violazione dell’obbligo di garanzia imposto dall’art. 2087 c.c. (C.d.S., Sez. VI, n. 3584/2012) nel caso di comportamenti vessatori adottati nell’esercizio del potere di supremazia gerarchica posto a regolazione dello svolgimento del rapporto di lavoro (C.d.S., Sez. IV, n. 5371/2015) e da ricondurre specificamente al rapporto di servizio.

Ora, secondo la prospettazione del ricorrente le condotte dell’Amministrazione che avrebbero determinato il danno asseritamente subito sarebbero proprio riconducibili al rapporto di servizio.

Deve dunque affermarsi la giurisdizione di questo Tribunale.

3. Nel merito, il ricorso introduttivo è infondato e i motivi aggiunti sono fondati.

Al riguardo, il Collegio osserva quanto segue.

3.1. Muovendo dal ricorso introduttivo, occorre premettere che, secondo la costante giurisprudenza in materia (ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, n. 12/2012; Sez. VI, n. 5419/2014; T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, n. 2973/2012) l’elemento oggettivo della fattispecie del mobbing è integrato da ripetuti soprusi (che, se posti in essere dai superiori danno luogo al c.d. mobbing verticale, mentre se posti in essere dai colleghi originano il c.d. mobbing orizzontale); detti comportamenti possono anche essere formalmente legittimi e assumono connotazione illecita allorquando abbiano l’unico scopo di danneggiare il lavoratore nel suo ruolo e nella sua funzione lavorativa, così da determinarne l’isolamento (fisico, morale e psicologico) all’interno del contesto lavorativo.

La giurisprudenza afferma, inoltre, che l’elemento psicologico del mobbing è integrato dal dolo generico o dal dolo specifico di danneggiare psicologicamente la personalità del lavoratore.

Pertanto, ai fini della configurabilità di una condotta lesiva cui sia riconducibile un danno da emarginazione lavorativa o mobbing, è rilevante, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell’ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell’ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di isolare il lavoratore); detta strategia ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza, con la conseguenza che la ricorrenza di un’ipotesi di condotta mobbizzante deve essere esclusa allorquando la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze addotte ed accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare singulatim elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.

É evidente che la fattispecie così descritta postula il riscontro di un elemento psicologico della condotta non semplicemente colposo, ma doloso, sia pur nella forma del dolo generico. In altri termini, in caso di denunziato mobbing si può ritenere sussistente l’illecito solo se si accerti che l’unica ragione della condotta è consistita nel procurare un danno al lavoratore, mentre bisogna escluderlo in caso contrario, indipendentemente dall’eventuale prevedibilità e ricorrenza in concreto di simili effetti.

Una tale ricostruzione della fattispecie, se permette per un verso di rinvenire nel mobbing un’ulteriore manifestazione del divieto di agire intenzionalmente a danno altrui, che costituisce canone generale del nostro ordinamento giuridico, consente per altro verso di escludere dall’area del mobbing tutte quelle vicende in cui fra datore di lavoro e lavoratore o fra lavoratori si registrino posizioni divergenti o perfino conflittuali, connesse, tuttavia, alla fisiologia del rapporto di lavoro.

In sostanza, per integrare il mobbing, è necessaria una pluralità di elementi e in primo luogo una pluralità di comportamenti persecutori, che possono essere illeciti o anche leciti se considerati come a sé stanti, ma comunque posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente, in guisa tale da manifestare un intento vessatorio; sono poi richiesti un evento lesivo della salute e della personalità del dipendente e un nesso eziologico tra la condotta dell’offensore e il pregiudizio alla integrità psico-fisica; è richiesta, infine, la dimostrazione dell’elemento soggettivo.

In ordine poi alla distribuzione dell’onere probatorio la controversia risarcitoria che origina da mobbing va ricondotta nell’alveo della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., venendo in rilievo la violazione dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., il quale impone al datore di lavoro l’adozione delle misure che “secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” (cfr. Cass. civ., Sez. lav, n. 12445/2006; Cass. civ., S.U., n. 8438/2004); in questo quadro l’onere della prova fra il prestatore (asseritamente) danneggiato e il datore di lavoro deve essere ripartito, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale, sul lavoratore quanto alla condotta illecita e al nesso causale tra questa e il danno patito, mentre incombe sul datore di lavoro, in base al principio di inversione dell’onus probandi di cui al richiamato art. 1218 c.c., il solo onere di provare l’assenza di una colpa a sé riferibile (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, n. 2973/2012, cit.; id., n. 1230/2001).

Ne discende, quindi, che poiché elemento costitutivo del mobbing è l’esistenza di un disegno persecutorio tale da piegare alle sue finalità i singoli atti cui viene riferito (C.d.S., Sez. VI, n. 3648/2011), tale elemento, in quanto costitutivo della condotta illecita, deve essere provato dal dipendente.

3.1.1. Venendo alla vicenda oggetto di causa, secondo la ricostruzione di parte ricorrente, in estrema sintesi, il mobbing sarebbe stato perpetrato ai suoi danni, ad opera di una pluralità di ufficiali, tramite l’esercizio di poteri di supremazia gerarchica e di comando, che si sarebbero concretamente attuati, in particolare, attraverso il trasferimento d’ufficio dell’interessato (con le attività ad esso preparatorie), le ispezioni di ufficiali psicologi disposte dal Comando dell’Accademia militare di Modena in “complotto” con il Comando della Scuola militare “Teuliè”, la diramazione di ordini ad altri ufficiali al fine di controllare il comportamento del militare nel luogo di lavoro, la violazione del contraddittorio con l’interessato e il mancato conferimento dello stesso con il Capo di Stato maggiore della Difesa e con il Ministro della Difesa, la sistemazione del ricorrente in locali inadeguati e indecorosi adibiti ad ambulatorio medico, il suo demansionamento (con assegnazione di mansioni infermieristiche e di attività di ispezione negli alloggi degli allievi), la gestione delle sue licenze, la modifica dei giudizi nelle sue schede valutative, la designazione del ricorrente per una missione estera in Afghanistan.

3.1.2. Orbene, l’articolata ricostruzione dei fatti esposta dal ricorrente, nonostante la copiosa documentazione offerta a supporto della stessa, non è sufficiente, ad avviso del Collegio, a dimostrare la sussistenza, nella vicenda in esame, dell’elemento oggettivo del mobbing, integrato – come visto sopra - dai ripetuti soprusi aventi l’unico scopo di danneggiare il lavoratore nel suo ruolo e nella sua funzione lavorativa, così da determinarne l’isolamento fisico, morale e psicologico all’interno del contesto lavorativo, né l’elemento soggettivo del mobbing, rinvenibile nella strategia unitaria persecutoria, ovverosia nel carattere unitariamente persecutorio e discriminante, nei confronti del singolo, del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.

Al riguardo, è sufficiente osservare che:

- il ricorrente nel 2011 è stato dapprima trasferito per incompatibilità ambientale dalla Scuola militare “Teulié”, cui era assegnato, al 1° reggimento t. di Milano, su proposta del Comandante della formazione cui apparteneva, a causa del senso di sfiducia che allievi e allieve della Scuola nutrivano nei suoi confronti e che avrebbe potuto influire negativamente sull’immagine dell’istituto; successivamente lo Stato Maggiore dell’Esercito, condividendo il giudizio di inopportunità del trasferimento ad un reparto operativo, espresso dal ricorrente, ha trasferito d’autorità l’interessato al 3° CERIMANT di Milano; il trasferimento per incompatibilità ambientale, tenuto conto del contesto in cui è avvenuto, non può ritenersi scaturito da finalità pregiudizievoli ai danni del ricorrente ma, al contrario, risulta giustificato dalla necessità di ripristinare il corretto e sereno funzionamento dell’organizzazione, a tutela del prestigio, dell’autorevolezza, della credibilità e dell’efficienza dell’Amministrazione;

- dalle relazioni redatte, in data 25.10.2010 e 12.7.2011, dagli ufficiali psicologi inviati dal Comando dell’Accademia militare di Modena presso il Comando della Scuola militare “Teuliè” emerge che la visita è stata occasionata, tra l’altro, dalla necessità di verificare i disagi espressi da alcune allieve in relazione ad alcune criticità nei rapporti con il ricorrente; ciò, all’evidenza, non può ritenersi sufficiente a dimostrare l’esistenza di un disegno persecutorio ai danni dell’interessato; né, contrariamente a quanto preteso dal ricorrente, poteva ritenersi sussistente in capo all’Amministrazione alcun obbligo di informare il medesimo dell’esistenza delle relazioni in questione, venendo in rilievo attività svolte a favore degli allievi, mirate a conoscere il loro grado di benessere, attraverso colloqui di gruppo, e non dirette al ricorrente; non vi è agli atti di causa, inoltre, alcun riscontro documentale circa il fatto che nel corso delle visite degli ufficiali psicologi siano stati somministrati agli allievi dei questionari sull’operato del ricorrente, che a detta di quest’ultimo sarebbero stati successivamente distrutti così da precluderne l’esame da parte sua, essendo ben più plausibile, invece, che tali questionari fossero semplicemente finalizzati a valutare il grado di soddisfacimento degli allievi al termine del triennio formativo;

- la circostanza che il Col. -OMISSIS-, Comandante della Scuola militare “Teulié”, abbia diramato ordini ad altri ufficiali al fine di controllare il comportamento del ricorrente (come emerge dalla relazione in data 27.12.2011, trasmessa all’ufficiale inquirente, sub doc. 20 di parte ricorrente) si inscrive nell’ambito di una normale attività istruttoria svolta dall’ufficio in relazione alla segnalata situazione di disagio di alcune allieve, e per tale ragione non può ritenersi originata da intenti vessatori;

- la questione relativa al mancato conferimento del ricorrente con il Capo di Stato maggiore della Difesa e con il Ministro della Difesa è stata già esaminata da questo Tribunale che, con la sentenza n. 2580 del 14.11.2018 ha rilevato che “l’ammissione al colloquio di cui all’art. 735 del d.P.R. n. 90 del 2010 costituisce provvedimento ampiamente discrezionale, che non richiede puntuale e specifica motivazione, ben potendo fondarsi su motivi di semplice opportunità (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, parere n. 1727/2008 del 27 gennaio 2009)” e che “nel caso concreto l’Amministrazione ha adeguatamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di non poter accogliere l’istanza formulata dal ricorrente rilevando, in sostanza, che le problematiche esposte dal ricorrente stesso esulano dalle competenze del Ministro”; anche in questo caso, quindi, deve escludersi qualsiasi intento persecutorio ai danni del ricorrente da parte degli organi che si sono occupati delle istanze;

- la sistemazione del ricorrente in locali destinati ad ambulatorio medico inadeguati è stata adottata, come emerge dalle stesse allegazioni di parte ricorrente, come soluzione provvisoria e straordinaria, in attesa della conclusione dei lavori di ristrutturazione dei locali destinati a tale impiego: ciò consente di escludere, anche sotto questo profilo, intenti persecutori dell’Amministrazione nei confronti dell’interessato;

- lo svolgimento di mansioni non propriamente riconducibili al livello professionale del ricorrente può trovare giustificazione nella situazione di carenza d’organico in cui operava l’interessato; peraltro, la circostanza che il ricorrente sia stato comandato a svolgere ispezioni notturne negli alloggi degli allievi è verosimilmente riconducibile, come dedotto dalla difesa erariale, ad una prassi piuttosto consueta negli istituti militari di istruzione, piuttosto che ad un disegno unitariamente persecutorio e discriminante;

- la mancata fruizione delle licenze da parte del ricorrente è attribuibile a ragioni organizzative e di servizio, come evidenziato dallo stesso interessato nella nota in data 16.3.2010, da lui mandata al Capo Ufficio logistico della Scuola (v. doc. 8 del ricorrente); peraltro, la contestata licenza imposta d’autorità al ricorrente alla fine del 2010 può trovare spiegazione in relazione all’esigenza di smorzare le criticità emerse in quel periodo nei rapporti con alcune allieve (come peraltro prospettato dallo stesso ricorrente), senza che da ciò possa evincersi, tuttavia, alcun intento persecutorio dell’Amministrazione, trattandosi semmai di accorgimento finalizzato a garantire il buon funzionamento delle attività della scuola;

- la vicenda relativa alla scheda valutativa n. 62, annullata e rinnovata due volte, senza che fosse modificato il giudizio del secondo revisore (Col. -OMISSIS-), è stata già oggetto di impugnazione dinanzi a questo Tribunale, che ha respinto il ricorso con la già citata sentenza n. 2580/2018: alla luce della ricostruzione operata da tale pronuncia nemmeno questi episodi risultano riconducibili ad un disegno persecutorio; né si rinvengono riscontri documentali idonei a mettere in collegamento il giudizio del revisore e le sopra richiamate relazioni redatte dagli ufficiali psicologi;

- la designazione del ricorrente per una missione in territorio afghano quale Medical Officer della Task Force Cetre di Shindand – Isaf (designazione poi comunque ritirata dal comando, in quanto il CERIMANT di Milano aveva fatto osservare che la Prima C.M.O. di Milano aveva giudicato l’interessato non idoneo al servizio militare incondizionato, esonerandolo dall’obbligo di sottoporsi alle prove di efficienza operativa costituenti il presupposto degli impieghi di natura operativa) si spiega in ragione del fatto che il ricorrente aveva in precedenza svolto, in più occasioni, missioni all’estero, e per tale ragione era stato individuato ed è rimasto inserito nell’elenco, sia pure come terzo sostituto; nemmeno questo episodio, quindi, può ritenersi ascrivibile ad un piano persecutorio e, del resto, il ricorrente da tale vicenda non ha subito pregiudizi proprio grazie alla segnalazione del comando di appartenenza.

3.1.3. In definitiva, la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze addotte dal ricorrente (e accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare, singolarmente, elementi di criticità o episodi di conflittualità sul luogo di lavoro, non consente di individuare, secondo un giudizio di ordinaria verosimiglianza, il carattere esorbitante e unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro, necessario ai fini della configurabilità del mobbing. E, in quest’ottica, non possono trovare accoglimento le istanze istruttorie avanzate dal ricorrente, risultando sufficiente, ai fini del decidere, la copiosa documentazione già versata in giudizio.

Le doglianze, pertanto, sono infondate e il ricorso introduttivo deve essere respinto.

3.2. I motivi aggiunti sono manifestamente fondati.

Il gravato parere del Comitato di Verifica per le cause di servizio, e il decreto ministeriale che tale parere ha recepito, sono viziati da un evidente difetto d’istruttoria, come dedotto nel primo motivo di ricorso, in quanto si basano su accertamenti e documenti menzionati nella seduta della C.M.O. di Milano del 9.1.2013, superati da accertamenti e documenti posti a fondamento di un giudizio successivo della medesima Commissione del 15.11.2013 (di cui il parere e il decreto non fanno alcun cenno), a seguito del quale il ricorrente è stato ritenuto inidoneo in maniera assoluta al servizio militare e conseguentemente riformato.

Come dedotto da parte ricorrente, il giudizio negativo sulla causa di servizio, quindi, risulta formulato sulla base di una situazione clinica non più attuale: mentre, infatti, nella seduta del 9.1.2013 della Commissione si fa riferimento al compenso clinico del disturbo dell’adattamento, nella seduta del 15.11.2013 della Commissione si fa riferimento ad una fase di recrudescenza della patologia, tanto che proprio il disturbo dell’adattamento ha avuto un ruolo determinante nel giudizio di non idoneità assoluta al servizio militare (circostanze, queste, allegate da parte ricorrente e non contestate dalla difesa di parte resistente).

In quest’ottica è fondato anche il secondo motivo, con il quale il ricorrente ha contestato la violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990, essendo evidente che qualora l’Amministrazione avesse comunicato il c.d. preavviso di rigetto all’interessato, quest’ultimo avrebbe potuto far presente il difetto istruttorio in questione.

Le censure, pertanto, vanno accolte.

I motivi aggiunti, conseguentemente, devono essere accolti, con il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati e l’obbligo per l’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza del ricorrente, tenendo conto dei rilievi sopra svolti.

3.2.1. In definitiva, il ricorso introduttivo deve essere respinto e i motivi aggiunti vanno accolti, nei sensi e per gli effetti sopra esposti.

Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, stante la parziale reciproca soccombenza.

 

P.Q.M.
 


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposto:

- respinge il ricorso introduttivo;

- accoglie i motivi aggiunti e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2020, svoltasi in modalità da remoto, con l'intervento dei magistrati:

Ugo Di Benedetto, Presidente

Valentina Santina Mameli, Primo Referendario

Oscar Marongiu, Primo Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Oscar Marongiu Ugo Di Benedetto


IL SEGRETARIO