Corte d'Appello Milano, 08 gennaio 2001 - Caduta dalla scala. Rigetto della domanda dell'infortunato per mancanza di particolari sulla dinamica dell'evento



 

Fatto


R.C. conveniva in giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Milano Tecnim s.r.l. chiedendo che, in riforma della sentenza n. 29/99 del Tribunale di Milano di Lodi fosse accertato che il datore di lavoro era responsabile dell'infortunio subito il 10/9/93 e fosse condannata la società a pagare in suo favore i danni patrimoniali non patrimoniali e biologici nella misura che risulterà in corso di causa o che appare equa [ ].

Aveva ritenuto il primo giudice, dopo avere sentito i testi, che l'infortunio era da attribuire ad un fatto accidentale determinato da un comportamento del lavoratore non prevedibile, saltato a terra dalla scala con appoggio sui calcagni, e che il datore avesse adottato le misure di sicurezza idonee ad evitare gli infortuni.

L'appellante lamentava che il pretore non avesse considerato che aveva perso l'equilibrio sulla scala dove operava e che la cintura agganciata non gli avrebbe evitato l'infortunio, perché avrebbe trascinato nella caduta anche la scala. Osservava che, in base al d.p.r. n. 547/55 e al d.p.r. n. 164/56 art. 10, normativa specifica per l'attività di costruzioni, manutenzioni e demolizioni, la cintura doveva essere collegata con bretelle a fune di trattenuta e la scala doveva essere assicurata o essere trattenuta dal piede; che nessuna sorveglianza era stata disposta per evitare l'infortunio da parte del capocantiere M..

Si costituiva la società e chiedeva il rigetto dell'appello rilevando che non era stata dimostrata la sua responsabilità per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro.

All'udienza del 9/11/00 la Corte decideva la causa sulle conclusioni precisate dalle parti come in epigrafe.
 

Diritto


La sentenza appellata merita conferma.

E' bene premettere, ribadendo principi pacifici (v. Cass. n. 4782/97; n. 6388/98) che si configura una responsabilità del datore di lavoro quando l'infortunio subito dal lavoratore sia in qualche modo riconducibile all'assetto organizzativo del lavoro non rispettoso delle norme antinfortunistiche, assetto conosciuto o colpevolmente ignorato dal datore di lavoro.

La responsabilità non sussiste per il solo fatto che l'infortunio è avvenuto nello svolgimento del rapporto di lavoro; il lavoratore deve in concreto dimostrare da un lato come si è verificato l'infortunio, dall'altro che fosse possibile evitarlo con l'adozione di quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica si presentavano come necessarie per tutelare la integrità fisica delle persone. Mentre nel giudizio nei confronti dell'Inail l'infortunato deve solo dimostrare l'occasione di lavoro, nel giudizio nei confronti del datore di lavoro il lavoratore deve dimostrare che lo stesso ha avuto una specifica e diretta responsabilità nel causare l'infortunio.

Nel caso di specie il lavoratore riferiva di essersi infortunato cadendo da una scala, avendo perso l'equilibrio, ma non deduce particolari sulla dinamica di tale evento; il quale può essere avvenuto perché la scala era difettosa, perché non era stata posizionata ed aperta secondo le regole o le istruzioni, perché non era adatta al lavoro da svolgere, ma anche ad es. per essere stato colto il lavoratore da un malore, per avere fatto un movimento inconsulto o un salto per scendere velocemente, etc. Anche in appello egli si limita a fare supposizioni senza indicare i particolari della vicenda, tenendo conto in particolare che dall'istruttoria è emerso (v. dep. B.) che cadde in piedi.

Risulta dalle deposizioni dei testi che il lavoratore aveva indossato guanti scarpe antinfortunistiche ed era stato fornito di cintura di sicurezza dal superiore (v. dichiarazioni R.C. e dep. M.); il che esclude, trattandosi di persona non alle prime armi nel mestiere, che, una volta reso edotto delle misure, dovesse essere controllato continuativamente. Non è stato neppure dedotto in ricorso, che la caduta sia stata causata dallo sbandamento o oscillazione della scala per il mancato ancoraggio al suolo della scala (violazione dell'art. 19 d.p.r. n. 547/55 e dell'art. 8 d.p.r. n. 164/56) o da eventuale omissione di altre misure di sicurezza. La dotazione delle bretelle collegate a fune di trattenuta (art. 10 d.p.r. 164/56) non è prevista per i lavori a metri 3,50 di altezza dal suolo, ma per lavori specifici più pericolosi; il lavoratore aveva dedotto di lavorare a 5 mt. di altezza.

Le spese di lite seguono la soccombenza; si liquidano in L. 2.500.000 di cui L. 120.000 per spese e L. 800.000 per diritti.

 

P.Q.M.


conferma la sentenza appellata,

condanna l'appellante a pagare le spese di appello liquidate in L. 2.500.000.