- Cantiere Temporaneo e Mobile
- Committente
Un operaio intento a lavori di edificazione di una cappella funeraria per conto di due anziane signore era precipitato al suolo da una impalcatura, riportando lesioni che lo avevano tratto a morte.
Fu condannato per omicidio colposo, il nipote delle due signore "quale responsabile del cantiere nonchè promotore dell'attività edilizia finalizzata alla costruzione di due cappelle cimiteriali...", per colpa consistita in particolare nel non aver adottato "su tutti i lati della costruzione adeguate impalcature o ponteggi atti ad eliminare i pericoli di caduta di persone e/o cose...".
Ricorso in Cassazione - Rigetto.
La Corte afferma che "non illogicamente la sentenza impugnata ha ritenuto che tale imputato assolvesse alle mansioni di "direttore dei lavori di fatto...", ricordando che egli (e non assume, evidentemente, alcun decisivo rilievo la circostanza della sua qualifica professionale, "geometra" o "perito industriale capotecnico"), "portatore di un interesse legato alla richiesta delle anziane zie, dopo essersi interessato per il reperimento della manodopera, andava in concreto a controllare lo stato di avanzamento delle opere, provvedeva al pagamento degli operai talvolta addirittura con propri assegni, veniva considerato dagli stessi operai il direttore dei lavori...". "
E ancora: "correttamente lo stesso primo giudice ha rilevato che "diventa del tutto irrilevante che non fosse il formale direttore dei lavori, se solo si consideri che la responsabilità per l'omessa adozione delle cautele antinfortunistiche incombe su chi dirige in concreto i lavori, indipendentemente da ogni posizione o qualifica formale", e perciò "egli era tenuto a vigilare sul rispetto delle norme antinfortunistiche, che sono state però del tutto violate...".
D'altronde, quand'anche si volesse ritenere che il ricorrente abbia agito solo quale longa manus delle committenti anziane zie (come egli sembra prospettare), su di lui, quale committente di fatto, pure incombevano gli obblighi di cui al combinato disposto del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 6, art. 4, comma 1, e art. 5, comma 1, lett. a)*.
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCALI Piero - Presidente -
Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere -
Dott. MARZANO Francesco - rel. Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
1) M.F., n. in (OMISSIS);
2) T.M., n. in (OMISSIS);
3) Tr.Ma., n. in (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro in data 27.2.2006;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Francesco Marzano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. IANNELLI Mario, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di T.M. e Tr.Ma. perchè estinto il reato per prescrizione;
e per il rigetto del ricorso di M.F.;
Osserva:
1.0. Il 27 febbraio 2006 la Corte di Appello di Catanzaro confermava la sentenza in data 7 dicembre 2004 del Tribunale di Paola, con la quale M.F., riconosciutegli le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, era stato condannato a pena ritenuta di giustizia, nonchè al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, per imputazione di cui all'art. 589 c.p., comma 2, D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, artt. 16 e 24; e T.M. e Tr.Ma., riconosciute anche a loro le attenuanti generiche, erano stati condannati a pene ritenute di giustizia per imputazione di cui all'art. 378 c.p..
Al M. era stato contestato "quale responsabile del cantiere nonchè promotore dell'attività edilizia finalizzata alla costruzione di due cappelle cimiteriali...", di aver cagionato la morte del predetto lavoratore per colpa, in particolare non provvedendo ad adottare "su tutti i lati della costruzione adeguate impalcature o ponteggi atti ad eliminare i pericoli di caduta di persone e/o cose...".
Ai due T. si era contestato di avere, dopo il sinistro, fornito "dichiarazioni contrarie alla realtà ed idonee ad intralciare, ostacolare e ritardare le investigazioni tese all'identificazione del responsabile del cantiere presso cui il T.A.... lavorava".
Quanto ai due T., rilevavano, a fronte delle censure di tali due appellanti, che il delitto di cui all'art. 378 c.p., è reato di pericolo e che essi "fossero ben consapevoli del reale svolgimento dei fatti ed avessero volutamente mentito alle autorità per evitare che l'infortunio... fosse oggetto di indagini e di accertamenti che potessero portare alla individuazione dei responsabili...".
a) vizi di violazione di legge e di motivazione.
b) vizi di violazione di legge e di motivazione. Richiamate le dichiarazioni rese dai testi L.M. ed C.A., rileva che "il M. non si fosse mai preoccupato di reperire la manodopera necessaria ad effettuare il lavoro, limitandosi, invece, per conto delle anziane zie, soltanto al conferimento del relativo incarico al L. ed al C....";
c) il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 589 c.p., e D.P.R. n. 164, artt. 16 e 24.
a) il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 157 c.p..
Deduce che illegittimamente la Corte territoriale aveva ritenuto non ancora prescritto il reato contestato - richiamando un periodo di sospensione del relativo termine, dall'11 maggio al 7 dicembre 2004 "per impedimenti dei difensori" -, giacchè, premesso che le dichiarazioni incriminate erano state rese il (OMISSIS) e non il (OMISSIS) successivo, come affermato dai giudici del merito, nessun rinvio aveva mai richiesto il proprio difensore, ma "il rinvio, cui fa riferimento la sentenza di 2^ grado, molto probabilmente, anzi certamente, è riferito ad altri difensori...";
b) i vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione all'art. 378 c.p..
c) gli stessi vizi, ancora in relazione all'art. 378 c.p., sotto il profilo che "dagli atti di causa risulta che nelle false dichiarazioni dei medesimi manca del tutto la volontà di aiutare gli imputati dell'omicidio colposo di T.A. e comunque manca la consapevolezza che gli stessi fossero inquisiti per la morte dello stesso T.A....";
d) il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 376 c.p., per non avere i giudici del merito ritenuto applicabile nella specie tale esimente.
3.0. Quanto ai ricorsi di T.M. e Tr.Ma., ai quali è stato contestato il reato di cui all'art. 378 c.p., deve, assorbentemente, rilevarsi che, commesso il fatto in questione il (OMISSIS), si è allo stato perento il termine prescrizionale massimo dei legge (anni sette e mesi sei), pur tenendosi conto dei periodi di sospensione dello stesso dei quali si da atto in sentenza (dall'11 maggio al 7 dicembre 2004).
Non ravvisandosi ipotesi sussumibili nella previsione di cui all'art. 129 c.p.p., comma 2, (per tutto quanto evidenziato nelle sentenze di merito e, quanto al rilievo gravatorio all'uopo prospettato, alla stregua di quanto affermato e chiarito dal Giudice delle leggi nella sentenza 9 - 18 ottobre 2000), la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei loro confronti, perchè estinto il reato per prescrizione.
Invero, non illogicamente la sentenza impugnata ha ritenuto che tale imputato assolvesse alle mansioni di "direttore dei lavori di fatto...", ricordando che egli (e non assume, evidentemente, alcun decisivo rilievo la circostanza della sua qualifica professionale, "geometra" o "perito industriale capotecnico"), "portatore di un interesse legato alla richiesta delle anziane zie, dopo essersi interessato per il reperimento della manodopera, andava in concreto a controllare lo stato di avanzamento delle opere, provvedeva al pagamento degli operai talvolta addirittura con propri assegni, veniva considerato dagli stessi operai il direttore dei lavori...".
D'altronde, quand'anche si volesse ritenere che il ricorrente abbia agito solo quale longa manus delle committenti anziane zie (come egli sembra prospettare), su di lui, quale committente di fatto, pure incombevano gli obblighi di cui al combinato disposto del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 6, art. 4, comma 1, e art. 5, comma 1, lett. a).
L'argomentare dei giudici del merito, dunque, si appalesa congruo ed immune da vizi di illogicità, che, peraltro, la norma vuole dover essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu oculi.
4. Al rigetto di tale ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2009