Cassazione Penale, Sez. 3, 22 dicembre 2020, n. 36929 - Mascherine e marcatura CE


 

 

Pres. Liberati – est. Gentili
 

 

Fatto




Il Tribunale di Vicenza ha, solo in parte, confermato il provvedimento con il quale in data 28 marzo 2020 era stato convalidato dal Pm presso lo stesso ufficio giudiziario il sequestro probatorio eseguito il precedente 26 marzo 2020 dalla Guardia di Finanza avente ad oggetto una serie di documenti contabili rinvenuti presso la sede della Amelia Srl, di un rotolo di tessuto in cotone e di una matrice utilizzata dalla medesima società per la produzione di mascherine filtranti protettive generiche.

Il Tribunale - dato atto che dalle indagini eseguite dai militi della Guardia di Finanza era risultato che la Amelia Srl, produttrice delle mascherine in questione, le aveva immesse sul mercato, utilizzando la piattaforma Amazon, con un ricarico pari al 350%, ed altresì rilevato che a carico del titolare della predetta impresa, C.A. , era stato provvisoriamente ipotizzato dalla pubblica accusa il reato di cui all’art. 501-bis c.p. - ha osservato, quanto alla fondatezza o meno della impugnazione presentata dal C. con riferimento alla censura concernente la mancata dimostrazione della funzione probatoria svolta da quanto era stato posto in sequestro, che la sussistenza della finalità probatoria del compendio sequestrato, qualora sia di immediata percezione la diretta connessione tra il vincolo di temporanea indisponibilità del bene sequestrato ed il corretto sviluppo dell’attività investigativa, può essere oggetto di una motivazione anche sorretta da formulazioni di tipo sintetico.

Quanto alla sussistenza del fumus delicti, il Tribunale ha rilevato che, premessa la necessaria ricorrenza della sola astratta configurabilità del reato ipotizzato, nel caso in esame sussistevano gli elementi per ritenere utile, onde verificare l’ipotesi accusatoria, l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire altri elementi probatori, non diversamente accertabili in assenza della sottrazione all’indagato dei beni in questione.

Il Tribunale, peraltro, pur osservato che, alla luce della recente legislazione emergenziale finalizzata al contenimento del contagio da Covid-19, le mascherine protettive del tipo di quelle oggetto di produzione da parte della impresa gestita dall’indagato, dovevano essere ritenute equiparabili a prodotti di prima necessità, in quanto obbligatoriamente da indossare in una serie di abituali circostanze, onde potere compiere atti della vita ordinaria, ha, tuttavia, rilevato che, non comportando le indagini riguardanti il reato in provvisoria contestazione alcuna verifica in merito alla rispondenza a previsioni normative sia della materia prima necessaria per la realizzazione delle mascherine protettive sia della metodica attraverso la quale, tramite l’uso del macchinario sequestrato, le medesime erano state realizzate.

Sulla base di tale rilievo ha ritenuto di accogliere sul punto la istanza di riesame e disporre, limitatamente al rotolo di cotone ed alla matrice delle mascherine, l’annullamento, limitatamente a questi, del provvedimento di convalida del sequestro, disponendo la parziale restituzione del compendio agli aventi diritto, confermando, il provvedimento oggetto di riesame, quanto alle sole scritture contabili.

Avverso il provvedimento emesso dal Tribunale berico ha interposto ricorso per cassazione la difesa del C. , lamentando che la ordinanza non abbia fornito alcun elemento in relazione alla funzione probatoria di quanto conservato in sequestro.

In via gradata la predetta difesa ha contestato, lamentando la erronea applicazione della normativa sostanziale, la astratta configurabilità del reato in provvisoria contestazione, sia in relazione alla riconducibilità delle mascherine protettive in questione alla categoria del 'beni di prima necessità', sia in relazione alla sussistenza del 'rischio di rarefazione o rincaro del mercato interno', sia infine in merito alla configurabilità di un 'manovra speculativa' nella condotta dal ricorrente posta in essere.


 

Diritto

 


Il ricorso è fondato nei termini che saranno qui di seguito precisati.

Con riferimento al primo motivo di censura, avente ad oggetto la dedotta mancanza di motivazione ovvero la apparenza di essa in relazione alla effettiva destinazione ad una finalità probatoria della documentazione contabile oggetto di sequestro, deve, in via preliminare, osservarsi che, sebbene l’art. 325 c.p.p., comma 1, disponga nel senso che il ricorso per cassazione avente ad oggetto i provvedimenti cautelari reali possa essere proposto articolando censure esclusivamente riguardanti il vizio di violazione di legge, tuttavia la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha affermato che in tale categoria possono essere annoverati sia gli errores in iudicando che quelli in procedendo che tutte le ipotesi in cui sia ravvisabile un vizio della motivazione così radicale da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice nell’emettere il provvedimento impugnato (per tutte: Corte di cassazione, Sezione II penale, 20 aprile 2017, n. 18951).

In una tale fattispecie, infatti, il vizio della motivazione ha delle caratteristiche di tale radicalità che la stessa risulta essere dal punto di vista sostanziale del tutto mancante, sicché il provvedimento giurisdizionale si pone in contrasto con la stessa previsione legislativa contenuta nell’art. 125 c.p.p., comma 3, il quale prescrive, a pena di nullità, che tutti i provvedimenti giurisdizionali aventi carattere decisorio siano corredati da un’idonea motivazione.

Nell’occasione, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, però il provvedimento impugnato risulta essere stato indubbiamente motivato relativamente all’utilizzabilità a fini probatori della documentazione contabile in sequestro attraverso il richiamo degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in punto di adeguatezza delle ragioni che possono giustificare la adozione del sequestro probatorio.

Sotto il descritto profilo il ricorso è, pertanto, del tutto inammissibile in quanto non ci si trova sicuramente di fronte ad un provvedimento corredato da una motivazione solamente apparente.

Si osserva, peraltro, che, a dispetto di quanto ritenuto da parte della ricorrente difesa, l’orientamento giurisprudenziale cui i giudici del merito si sono legittimamente ricondotti, non risulta essere minoritario, posto che, seppure sia indiscutibile che, anche nel caso in cui l’oggetto del sequestro probatorio sia costituito dallo stesso corpo del reato, il provvedimento con il quale il soggetto che aveva la disponibilità del bene ne viene privato deve essere sorretto da un’idonea motivazione (così, infatti, oltre a Corte di cassazione Sezioni unite penali, 27 luglio 2018, n. 36072, si veda anche: Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 marzo 2017, n. 11935), è stato, tuttavia ritenuto da questa Corte, con affermazione del tutto condivisibile e cui si ritiene, pertanto, opportuno dare ulteriore continuità, che l’onere motivazionale in ordine all’esistenza del presupposto della finalità perseguita in concreto, per l’accertamento dei fatti, può essere anche congruamente soddisfatto attraverso il ricorso ad una formula sintetica nel caso in cui la funzione probatoria del corpo del reato, ovvero della cosa ad esso pertinente, sia connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, cioè di immediata evidenza desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono (Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 gennaio 2017, n. 1145).

Nel caso in esame, considerata la natura del reato in provvisoria contestazione, afferente alla realizzazione ad opera di soggetti esercenti imprese di carattere produttivo di particolari manovre speculative nell’ambito del mercato interno riguardante determinate categorie di merci, appare evidente - sì da giustificare un certa sintesi argomentativa della ordinanza impugnata sul punto - la ontologica ed immanente attitudine probatoria delle scritture contabili riferite al soggetto in questione, essendo le stesse, per loro natura, destinate a documentare - quindi a fornirne la prova - il flusso di entrate ed uscite da quello cagionato nell’esercizio della sua attività e le caratteristiche economico-finanziarie delle operazioni commerciali da lui stesso realizzate.

Passando, invece, al secondo motivo di impugnazione, afferente alla ritenuta insussistenza del fumus delicti, ritiene il Collegio che/ questo sia fondato.

Al riguardo, si osserva che il reato in provvisoria contestazione, ha una articolata struttura ed una relativamente recente storia, oltre che una assai episodica applicazione.

Esso, infatti, è stato delineato in sede di novellazione codicistica a seguito della entrata in vigore del D.L. n. 704 del 1976, convertito con modificazioni con L. n. 787 del 1976; la sua introduzione era chiaramente finalizzata, in un’epoca segnata da gravi crisi economiche per lo più legate alle tensioni internazionali riguardanti il mercato degli idrocarburi, ad impedire che siffatte tensioni economiche, non oggetto di un facile controllo da parte dei Governi locali dei Paesi, come il nostro, importatori delle indicate materie prime, potessero essere prese a spunto, ampliandone ingiustificatamente la portata in ambito nazionale, per la realizzazione nel mercato interno di manovre esclusivamente speculative su merci di largo consumo.

Si tratta, in primo luogo, di un 'reato proprio'; infatti, pur a dispetto della possibile attribuzione della condotta delittuosa a 'chiunque', così come indicato nel testo normativo, questa, per come successivamente specificato nella stessa norma precettiva, deve essere stata posta in essere da un soggetto che abbia operato 'nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale' (così art. 501- bis c.p., comma 1, con espressione richiamata anche al successivo comma 2).

Un siffatto costrutto linguistico, attraverso l’uso del sostantivo 'esercizio' (espressione questa che nel suo significato richiama una condotta di tipo sistematico o, comunque, metodicamente ripetuta), appare riferirsi non allo svolgimento del tutto occasionale ed estemporaneo dell’attività in discorso ma al fatto che questa sia praticata da parte di chi ad essa sia addetto con una certa stabile continuità.

Si è, pertanto, di fronte ad un 'reato proprio' in quanto lo stesso potrà essere commesso solo da chi rivesta, dal punto di vista operativo, la qualifica soggettiva di esercente, nell’accezione dianzi delimitata, un’attività produttiva ovvero commerciale avente oggetto determinati beni o servizi.

Questo con riferimento al profilo dell’agente; riguardo alla condotta deve osservarsi che essa può presentarsi sotto due forme, rispettivamente disciplinate, pur con identità di sanzione, nel primo e nel comma 2 dell’articolo di codice in questione.

Essa, infatti, può consistere, secondo la previsione di cui al comma 1 della disposizione in esame, nella realizzazione di manovre speculative ovvero nell’occultamento, accaparramento od incetta di materia prime, generi alimentari di largo consumo o di prodotti di prima necessità, in modo atto a determinarne la rarefazione o il rincaro sul mercato interno, oppure, e questa è la previsione contenuta nell’art. 501-bis c.p., comma 2, nella condotta di chi, consapevole della esistenza delle condizioni di rarefazione o di rincaro sul mercato interno dei prodotti di cui sopra, ne sottragga all’utilizzazione o al consumo rilevanti quantità.

Mentre la prima fattispecie parrebbe riconducibile ad una ipotesi di reato di pericolo, sebbene di pericolo concreto, in quanto la locuzione 'atta a determinare...' evidenzia chiaramente la mera attitudine di una determinata condotta alla produzione di un effetto, ma non impone anche, ai fini della integrazione del reato, che questo si sia realizzato, la seconda individua una fattispecie di pura condotta in quanto, presupposta la situazione di 'crisi del mercato', il reato è perfezionato sulla base della semplice sottrazione, all’utilizzazione od al consumo di rilevanti quantità di un determinato prodotto, in relazione al quale si era manifestata rarefazione o rincaro sul mercato.

Mentre i concetti di occultamento, accaparramento ed incetta, corrispondendo a fenomeni naturalistici sono facilmente indentificabili nella condotta di chi, avendoli prodotti, sottragga, tenendoli nascosti e negandone la disponibilità, in via primaria al mercato determinati beni, ovvero li accumuli, acquisendoli presso altri soggetti, in misura ampiamente superiore ai propri bisogni imprenditoriali, senza riversarli sul mercato, più complessa è l’attribuzione di significato alle parole 'compie manovre speculative', dovendosi comunque, in prima approssimazione, ritenere che l’espressione valga a descrivere la condotta di chi intenda - peraltro attraverso il compimento di azioni per lo più riconducibili, appunto, all’occultamento, l’accaparramento o l’incetta - conseguire un guadagno parassitario attraverso lo stravolgimento consapevole e voluto del bilanciamento fra la domanda e l’offerta di un bene avente le caratteristiche descritte dalla norma incriminatrice, onde renderne così artatamente più elevato il prezzo di cessione.

Ai fini della integrazione del reato le merci debbono avere la natura o di materie prime (e ciò è logico ove si rifletta sulla descritta genesi della norma) ovvero di generi alimentari di largo consumo (beni questi che, per lunga tradizione storica, in caso di crisi, sono i primi in relazione ai quali si dubita del corretto funzionamento del mercato; basti, al proposito, rileggere le prime pagine del Capitolo XII de 'I promessi sposi' laddove si rileva come, in caso di penuria di disponibilità, i generi alimentari siano immediatamente soggetti a tensioni economiche) o i 'prodotti di prima necessità', dovendosi per tali intendere quelle merci, di vario genere, la cui disponibilità è indispensabile per lo svolgimento di una vita libera e dignitosa.

Sul punto la assai numericamente contenuta giurisprudenza di questa Corte ha chiarito, se mai ce ne fosse stato bisogno, che le categorie di merci dianzi elencate sono tutte riferibili a beni mobili, dovendosi, pertanto escludere dal fuoco della norma in questione le eventuali manovre speculative aventi ad oggetto beni immobili quali edifici o terreni (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 26 maggio 1979, n. 2030, ord.)

Come si accennava, quanto alla ricorrenza della fattispecie di cui al comma 1, l’evento da cui dipende l’esistenza del reato è identificabile nella possibile rarefazione o rincaro sul mercato interno delle merci oggetto della condotta dell’agente; è evidente che il rincaro o la rarefazione debbono assumere della forme, per intensità e durata, di assoluta eccezionalità, posto che, diversamente, qualunque momentanea penuria di merci, essendo questa fisiologicamente idonea a comportare, per la stessa dinamica del punto di equilibrio fra la domanda e l’offerta, un aumento deì prezzi del genere in questione, potrebbe costituire il limite per la contestazione del reato in questione.

Con riferimento al concetto di 'mercato interno', come è stato segnalato dalla giurisprudenza di questa Corte, con affermazione che, per quanto piuttosto datata (ma, peraltro, mai contrastata, quanto meno in sede di legittimità), appare ancora perfettamente conforme al dettato ed allo spirito della norma in esame, questo, sebbene non debba essere inteso come tale da esaurire l’intero mercato nazionale, deve tuttavia intendersi evocabile solamente ove di tratti di fenomeni atti a implicare - stante le dimensioni dell’impresa interessata dalla manovra speculativa, la notevole quantità delle merci oggetto di essa e la probabile influenza che la manovra potrebbe avere sui comportamenti di altri operatori del mercato - il coinvolgimento nel meccanismo di ingiustificato aumento dei prezzi non di una fetta solamente marginale del mercato, avente, pertanto, una rilevanza solo microeconomica, ma di una, se non generalizzata, significativa parte di esso.

La diffusa influenza del fenomeno sull’andamento dei prezzi, in particolare su quelli al consumo, deve essere, infatti, tale da comportare un serio pericolo per la situazione economica generale, tale cioè da determinare i suoi effetti non esclusivamente su di un ambito meramente locale di mercato, ma su una zona sufficientemente ampia del territorio nazionale sì da integrare un situazione di pericolo e di possibile nocumento per la economia pubblica generale (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 27 ottobre 1989, n. 14534; nello stesso senso, in precedenza, anche Corte di cassazione, Sezione VI penale, 18 marzo 1983, n. 2385).

Considerati i dati che precedono, i quali costituiscono il perimetro entro il quale deve essere inscritta la riconducibilità della fattispecie in provvisoria contestazione al C. ai fini della rinvenibilità nella sua condotta delle caratteristiche proprie del fumus commissi delicti, si osserva che indubbia è la attribuibilità all’indagato della qualifica soggettiva necessaria ai fini della integrazione del reato; questi, avvalendosi della Amelia Srl, svolge, infatti, un’attività sicuramente di carattere imprenditoriale avente, verosimilmente unitamente ad altre finalità, anche lo scopo di produrre le mascherine filtranti di cui alla provvisoria imputazione.

Parimenti indubbia è la circostanza che siffatti prodotti, il cui uso è, per effetto delle molteplici normative, di diversa fonte e rango, di carattere emergenziale legate alle manovre di contenimento della diffusione del contagio da Covid-19, necessario per lo svolgimento di taluni atti elementari della vita di relazione (si parla infatti, a titolo di esempio, dello svolgimento delle attività lavorative al di fuori di ambienti frequentati dal solo soggetto lavoratore, che, in casi non marginali, non possono essere compiute senza avere indossato la mascherina oppure delle attività strumentali alla acquisizione presso i pubblici esercizi del cibo per alimentarsi degli abiti, per vestirsi e così via o, infine, della utilizzazione dei mezzi pubblici di trasporto), siano ascrivibili alla categoria dei prodotti di prima necessità, cioè di quei prodotti che sono necessari per lo svolgimento degli atti elementari della vita.

Appare, invece, assai arduo convenire con il Tribunale palladiano nella individuazione nella condotta del C. - plausibilmente considerata speculativa in sede di riesame, atteso che l’applicazione di un ricarico del 350% sul prezzo di vendita di un prodotto, peraltro in occasione di una situazione in cui la estrema ampiezza della domanda è originata da una obbiettiva necessità di procacciamento del prodotto in questione, non può essere considerata altrimenti che il frutto di una speculazione commerciale del requisito della attitudine a determinare un generalizzato rincaro dei prezzi tale da incidere sul mercato interno.

Invero la modestia della struttura imprenditoriale a disposizione del C. , dimostrata dalla esiguità delle scorte presso di lui sequestrate e dalla unicità del macchinario da lui utilizzato nella catena produttiva, rende del tutto improbabile la possibilità che, attraverso la sua condotta, fosse consentito incidere sul mercato in maniera tale da determinare un generale rincaro dei prezzi della mascherine protettive; tanto meno ciò potrebbe verificarsi in una ambito territoriale (il mercato interno) avente quelle caratteristiche di ampiezza che il senso della norma in ipotesi violata presuppone.

Invero, sebbene l’espressione mercato interno non deve essere intesa quale sinonimo di mercato nazionale, tuttavia neanche è pensabile che, al fine di integrare il reato di cui trattasi, tenuto conto che il bene da esso tutelato è l’ordine economico nazionale, sia sufficiente incidere sui prezzi praticati in un ambito di mercato solo di vicinato.

Alla luce dei rilievi che precedono l’ordinanza impugnata deve essere, in conclusione, annullata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Vicenza, in diversa composizione personale.


 

P.Q.M.
 



Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Vicenza competente ai sensi dell’art. 324 c.p.p., comma 5.