Tribunale di Matera, Sez. lav., 14 settembre 2020, n. 1107 - Protocolli aziendali anti-contagio e consultazione delle parti sociali



 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MATERA
Sezione Lavoro

Il Tribunale di Matera in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Antonia Quartarella, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 27/08/2020, ha pronunciato, ai sensi dell’art. 28 Legge n. 300/1970, il seguente


nella controversia promossa

DECRETO


 

da

FIOM CGIL BASILICATA (c.f.: 96025840768) e UILM UIL BASILICATA (c.f.: 96023400763), in
persona dei rispettivi Segretari Regionali pro tempore, rappresentate e difese dagli avv.ti Raffaele Garofalo (c.f.: GRFRFL81R27A66D) e Rossella Gallucci (c.f.: GLLRSL78B51L738U), con domicilio eletto presso lo studio professionale dell’avv. Ottavio Galtieri, in Ferrandina, Corso Vittorio Emanuele n. 124;
- ricorrenti -
contro
COMER INDUSTRIES COMPONENT SRLU (c.f. e P.Iva: 02349490363), in persona
dell’amministratore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Matteo Nobili (c.f.: NBLMTT71A27H223Z), Francesco Carugno (c.f.: CRGFNC85D30E335W) e Luigi Matrundola (c.f.: MTRLGU84L28H501D), con domicilio eletto presso il proprio stabilimento/unità produttiva di Matera, zona industriale La Martella, I Traversa Enzo Ferrari;
- resistente -

e

CONFINDUSTRIA BASILICATA (c.f. e P.Iva: 96051160768), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanna Salvia (c.f.: SLVGNN3D13G942I), con domicilio eletto presso lo studio professionale di quest’ultima in Potenza, Corso XVIII Agosto 1860 n. 2;
- terzo intervenuto -
 

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI
 

 

FattoDiritto


I. Con ricorso depositato in data 27/07/2020, la FIOM CGIL Basilicata e la UILM UIL Basilicata adivano il Tribunale di Matera perché, accertata la condotta antisindacale della Comer Industries Components srlu nella gestione della CIG Covid19 e delle misure di sicurezza anticontagio da Covid19, fosse ordinato alla predetta società di riaprire o proseguire le trattative, promuovendo la consultazione e la concertazione sulle questioni de quibus ed astenendosi dal porre in essere iniziative unilaterali, con pubblicazione del provvedimento magistratuale su un giornale a tiratura nazionale. All’uopo riferivano che: all’esito delle riunioni tenutesi in data 16/03/2020 tra le RSU, la RSPP, il direttore di stabilimento, il direttore industriale ed il responsabile risorse umane, l’azienda inviava e diffondeva un Protocollo Aziendale (v. all. 22 fascicolo ricorrente) contestato e non condiviso dai sindacati, secondo cui le misure anti-contagio erano insufficienti a garantire la sicurezza dei lavoratori, e comunque non rispettato dalla datrice di lavoro, atteso che non ne era seguita la prevista consegna giornaliera delle mascherine (v. all. 23 fascicolo ricorrente); in seguito all’entrata in vigore del D.L. n. 18/2020, la COMER collocava in CIG Covid19 223 dipendenti per n. 9 settimane, senza procedere all’esame congiunto con le OO.SS., a cui si limitava ad inviare una informativa per il tramite della propria associazione sindacale, Confindustria Basilicata; fatta richiesta formale di esame congiunto da parte del Segretario Regionale della FIOM CGIL, nessun riscontro avveniva da parte della società odierna convenuta; il 26/03/2020 la datrice di lavoro comunicava al Prefetto di Matera la riprese delle attività produttive dei settori di cui all’art. 1 DPCM 22/03/2020, ma in data 02/04/2020 comunicava alle OO.SS., sempre tramite Confindustria, il richiamo di tutti i lavoratori in servizio a decorrere dal successivo 06/04/2020, allegando un protocollo di sicurezza, mai discusso né tantomeno condiviso con la parte sindacale (v. all. 3 fascicolo ricorrente); richiesto l’intervento delle confederazioni sindacali (v. all. 8 fascicolo ricorrente), CGIL, CISL e UIL chiedevano al Prefetto la convocazione del tavolo permanente per verificare e monitorare l’applicazione delle direttive dei DPCM previsti per il contenimento del contagio da Covid19, contestando la legittimità della ripresa delle attività produttive disposta dalla COMER in contrasto con le previsioni del DPCM 22/03/2020 (v. all. 24 fascicolo ricorrente); il 04/04/2020 le Segreterie Confederali Territoriali e le federali regionali proclamavano lo stato di agitazione con astensione dalla prestazione lavorativa per il 06-09/04/2020 (v. all. 6 fascicolo ricorrente); con nota del 07/04/2020, poi, le RSU e le RSL denunciavano all’Ispettorato del lavoro ed alla Prefettura di Matera la mancata costituzione del Comitato di Sicurezza previsto dal decreto del 14/03/2020 e, evidenziata la scadenza dell’accordo di secondo livello, diffidavano l’azienda dal continuare ad utilizzare la precedente turnazione non più corrispondente alle disposizioni della contrattazione collettiva (v. all. 7 fascicolo ricorrente); solo a seguito delle innanzi iniziative sindacali Confindustria comunicava che il 09/04/2020 si sarebbe tenuto un incontro sindacale per discutere il protocollo di sicurezza per contenere il rischio di contagio da Covid19, in effetti avvenuto, all’esito del quale, avendo mostrato la COMER la volontà di riaprire il dialogo sulle misure di sicurezza, le OO.SS. sospendevano lo stato di agitazione proclamato, invitando i lavoratori alla ripresa dell’attività lavorativa; sennonché la datrice di lavoro inviava alla compagine sindacale una sintesi report consultazione telematica nella quale venivano riportate circostanze non corrispondenti al vero (la avvenuta discussione tra le parti del Protocollo anti- contagio, la presunta revoca dello stato di agitazione con chiusura dello sciopero da parte delle OO.SS.) e soprattutto rendeva noto, contrariamente agli accordi verbali intercorsi con le rappresentanze sindacali, che i lavoratori che avevano aderito allo sciopero sarebbero stati considerati come tali quanto alle assenze da lavoro, senza poter accedere alla CIGO Covid19 nei giorni dal 6 al 9 aprile; richiesto un incontro per sanare i conflitti ed evitare l’interruzione delle relazioni sindacali, le RSU chiedevano un nuovo incontro per discutere del protocollo di sicurezza, che si sarebbe tenuto in videoconferenza il 21/04/2020; nel corso di tale incontro le parti manifestavano le proprie opinioni sulle misure da adottare, senza raggiungere alcuna intesa; richieste informazioni, in data 07/05/2020, circa l’aggiornamento del protocollo condiviso alle nuove disposizioni del 24/04/2020 e sollecitato l’invio di una copia, il RSPP si limitava a confermare l’aggiornamento. Lamentavano che le condotte innanzi fossero state lesive delle prerogative sindacali come previste dalla normativa nazionale, anche emergenziale: 1) la COMER aveva fatto ricorso all’ammortizzatore sociale della CIG con causale Covid19 per 226 dipendenti senza rispettare la procedura che prevedeva la partecipazione e concertazione con i sindacati, ai sensi dell’art. 19 comma 2; 2) la stessa aveva, altresì, adottato un protocollo di sicurezza senza condividerlo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, né prima della interruzione delle attività produttive né successivamente al riavvio delle stesse.
II.1. Con memoria depositata in data 08/08/2020, la COMER si costituiva in giudizio chiedendo di “1) in via pregiudiziale di rito, accertare e dichiarare la nullità insanabile dell’avverso ricorso introduttivo per erronea indicazione di c.f. e p.iva dell’odierna resistente; 2) in via preliminare, accertare e dichiarare l’inammissibilità e/o irricevibilità e, comunque, rigettare integralmente nel merito il ricorso ex art. 28 S.L., per difetto del requisito di attualità dell’asserita condotta antisindacale; 3) in ogni caso nel merito, rigettare integralmente il ricorso ex art. 28 legge n. 300 del 1970 ed ogni domanda ivi spiegata, poiché infondata in fatto ed in diritto”. A supporto delle richieste innanzi, rappresentava: di aver sempre improntato la propria condotta al massimo rispetto delle prerogative dei sindacati, in un clima di collaborazione e reciproca responsabilizzazione; di aver affrontato il rischio pandemico da Covid19 adottando “con straordinaria celerità le più opportune soluzioni e misure a tutela del patrimonio e dell’incolumità dei lavoratori. Nello specifico, riferiva: 1. di aver trasmesso, in data 22/03/2020, una prima informativa CIG, poi integrata con nota del giorno successivo a firma di Confindustria alla luce delle novità introdotte dal DPCM del 22/03/2020, e di aver esperito contestualmente l’esame congiunto con le OO.SS. in modalità da remoto (v. all.ti 9, 10 e 11 fascicolo resistente). Tanto pur essendo stata eliminata ex tunc, in sede di conversione dalla Legge n. 23/2010, l’onere in capo al datore di lavoro di procedere con l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto previsto dall’art. 19 D.L. n. 18/2020; 2. di aver discusso con le RSU il protocollo sicurezza durante la riunione del 16/03/2020, all’esito della quale era stato istituito il Comitato di controllo nazionale, che si era riunito nella stessa giornata (dalle 11:00 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 18:30) con la partecipazione, tra gli altri, delle RLS nelle persone di P., V. e C. (v. all. 12 fascicolo resistente); 3. di aver predisposto un nuovo incontro per approfondire il tema della sicurezza per il 09/04/2020, consentendo alle RSU di effettuare un sopralluogo in azienda, e poi ulteriori per i giorni 30/04/2020, 14/05/2020 27/05/2020 e 10/07/2020 (v. all.ti 18, 19, 20 e 21); 4. di non avere alcun obbligo di esame congiunto e/o confronto ai fini della comunicazione unilaterale del datore di lavoro alla Prefettura territorialmente competente, volta alla riapertura delle attività dopo il periodo di chiusura ex lege. Sosteneva, quindi: a) la nullità del ricorso per erronea indicazione del codice fiscale e della partita iva dell’odierna resistente, che determinerebbero “l’assoluta incertezza in ordine all’identificazione del reale destinatario dell’atto delle domande ivi spiegate” in violazione dell’art. 163 comma 3 n. 2 c.p.c.; b) l’inammissibilità/irricevibilità del ricorso per difetto del requisito della attualità dell’asserita condotta antisindacale, poiché le condotte datoriale si sono esaurite a cavallo tra i mesi di marzo ed aprile 2020, “non pregiudicando oggi e non potendo in futuro pregiudicare le prerogative delle OO.SS. odierne ricorrenti”; c) l’assenza di alcun danno o pregiudizio, in difetto della prova di azioni degli iscritti volti al recupero di somme di denaro in loro danno ovvero di danni biologici patiti dagli iscritti per aver contratto il virus. In ultimo, si opponeva alla pubblicazione dell’emanando provvedimento magistratuale su un quotidiano a tiratura nazionale, istituto finalizzato ad assicurare il risarcimento del danno in forma specifica, in assenza di qualsivoglia danno patito dalle OO.SS. ricorrenti.
II.2. In data 19/08/2020, poi, interveniva ad adiuvandum della COMER la Confindustria Basilicata, che: in via pregiudiziale, eccepiva il difetto di legittimazione attiva delle Segreterie Regionali della FIOM CGIL e della UIL UIL Basilicata, spettando questa per Statuto ai loro organismi locali; nel merito aderiva alla prospettazione della datrice di lavoro, sottolineando: quanto alla CIGO per Covid19, che la Legge n. 27/2020 aveva eliminato alcun obbligo di informazione, comunicazione ed esame congiunto introdotto originariamente dall’art. 19 D.L. n. 18/2020, e che, avendo la cassa integrazione a zero ora riguardato per legge la totalità dei dipendenti, di fatto non si era posta alcuna necessità/utilità di un confronto preventivo con i sindacati; quanto al protocollo sicurezza, il dialogo voluto con i sindacati dei lavoratori dal legislatore non poteva sfociare in un obbligo di accordo sul testo del protocollo in questione, spettando in capo al solo datore di lavoro la responsabilità della salute dei lavoratori ai sensi dell’art. 2087 c.c..
III. All’udienza del 27/08/2020, all’esito della discussione, la causa è stata trattenuta per la decisione.
IV. Il ricorso va accolto per quanto di ragione.
IV.1. Deve essere rigettata l’eccezione della COMER di nullità del ricorso introduttivo del presente giudizio per mancata e/o errata indicazione del codice fiscale o partita iva della convenuta, perché non consentirebbero la corretta identificazione del soggetto evocato in giudizio. Premesso che detto elemento, così come il numero di partita iva, potrebbe portare in alcuni casi alla non corretta identificazione dei soggetti giuridici ai fini fiscali, non si ritiene che altrettanto possa dirsi con riferimento ai rapporti tra le parti processuali nell’ambito del processo civile, poiché l’introduzione dell’obbligo ad opera del D.L. n. 193/2009, concernente “Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario”, convertito nella Legge n. 24/2010, afferisce ai rapporti tra le parti processuali e l’amministrazione finanziaria, cosicché la violazione di una norma che disciplina un rapporto estraneo al processo non può riverberare i suoi effetti sul procedimento, salvo che determini la nullità degli atti processuali, ed in particolare dell’atto introduttivo, ai sensi degli artt. 156 e ss c.p.c.. Nel caso che ci occupa, tale evenienza non si è verifica, dato che sia la COMER che Confindustria Basilicata hanno articolato delle compiute memorie difensive per opporsi alle pretese delle sigle sindacali ricorrenti e, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge punto può tuttavia essere pronunciata quando l'atto manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato”.
IV.2. Ancora, in via preliminare, deve essere rigettata l’eccezione del difetto di legittimazione attiva in capo alle Segreterie Regionali delle OO.SS. ricorrenti, sollevata da Confindustria Basilicata, perché destituita di fondamento.
Lo Statuto della FIOM-CGIL stabilisce all’art. 25 che la rappresentanza legale di fronte a terzi e in giudizio è attribuita: a) al Segretario generale, per tutte le materie ad eccezione di quelle previste al punto successivo; b) ad altra persona, nominata con formale delibera della Segreteria federale, per tutti i negozi giuridici di carattere amministrativo, fiscale, previdenziale, finanziario e della sicurezza del lavoro; con analoga delibera la Segreteria della Fiom può revocare in qualsiasi momento e senza preavviso tale nomina, provvedendo contestualmente alla formalizzazione di una nuova nomina; di tali delibere viene formalmente informato il Comitato Centrale. In caso di impedimento o di assenza, la rappresentanza di cui al punto a) è affidata al Vice Segretario o, in assenza o per impedimento di questi, ad altro componente della Segreteria. L’art. 16, a proposito del sindacato regionale, prevede poi che tutti i sindacati territoriali, nell'ambito della stessa regione, costituiscono la Fiom regionale, che ha il compito di elaborazione e di direzione politica ed organizzativa di tutte le Fiom territoriali presenti nel territorio regionale. Inoltre alle strutture di direzione regionale, in funzione delle caratteristiche che l'industria metalmeccanica ha sul territorio regionale, possono essere affidate dalla direzione nazionale della Fiom compiti di direzione e di rappresentanza generale del sindacato rispetto a settori produttivi o grandi gruppi aziendali nazionali e/o regionali. Ai sensi dell’art. 34, invece, la Segreteria territoriale ha nell'ambito del territorio le stesse funzioni e attribuzioni disposte dall'art. 25 del presente Statuto per la Segreteria nazionale.
Quindi permane la legittimazione della Segreteria Nazionale per i diritti sindacali a rilevanza nazionale o regionale, salvo, in quest’ultima eventualità la possibilità di delega alla Segreteria regionale. Per gli interessi sindacali territoriali, invece, è riconosciuta la rappresentanza direttamente in capo alla Segreteria territoriale. Laddove, però, non sia costituita una segreteria territoriale, non può sostenersi che manchi il soggetto sindacale che abbia l’interesse ad agire e la legittimazione processuale a farlo, ma deve ritenersi piuttosto che tali istituti debbano correttamente essere riferiti alla struttura organizzativa gerarchicamente sovraordinata a quella territoriale, che nel caso di specie è giustappunto il sindacato regionale che raggruppa tutti i sindacati territoriali, e per essa al segretario regionale.
Identico discorso deve essere condotto con riguardo alla UILM-UIL. L’art. 13 del suo Statuto prevede che il Segretario Generale ha la legale rappresentanza della Uilm Nazionale; conseguentemente egli rappresenta la UILM Nazionale di fronte a terzi e in giudizio e può impegnarla senza limitazione alcuna, con facoltà di delegare il Segretario Organizzativo, ovvero, mediante firma congiunta con quest’ultimo, il Tesoriere Nazionale o anche soggetti terzi, al compimento di attività o alla esecuzione di singoli atti, di natura amministrativa, contabile, finanziaria e/o fiscale o di altri compiti di carattere accessorio e/o meramente strumentale rispetto agli scopi della associazione. Egli ha, inoltre, autonoma facoltà di delegare proprie specifiche funzioni relative alla esecuzione dei poteri-doveri istituzionali della Segreteria Nazionale ad altro componente di quest’ultima. Il Coordinato regionale o alternativamente, per scelta statutaria, il segretario regionale (v. art. 18) ha la legale rappresentanza della struttura associativa regionale; conseguentemente egli rappresenta la UILM regionale di fronte a terzi ed in giudizio. Egli ha la facoltà di esercitare poteri di controllo, d’intesa con la segreteria della struttura nazionale, sulle strutture associative territoriali. Egli deve delegare ad altro componente dell’Ufficio di coordinamento regionale i poteri di controllo della compatibilità tra mezzi disponibili e spese e della contabilità e regolarità amministrativa della struttura regionale. Congiuntamente a tale componente dell’Ufficio di coordinamento, il Coordinatore Regionale ha il potere di firma ai fini della sottoscrizione di contratti con soggetti terzi. Ai sensi dell’art. 19 la Segreteria Nazionale, sentito il Sindacato Regionale di competenza e con il coinvolgimento del soggetto associativo interessato, decide la definizione più opportuna dell’articolazione geografica dei Sindacati Territoriali. L’art. 38 precisa che ognuna delle strutture associative prese in esame dal presente Statuto (UILM Nazionale, Sindacati Regionali, Sindacati Territoriali, Strutture di base), è amministrativamente autonoma e risponde esclusivamente delle obbligazioni assunte dai propri organi rappresentativi. La UILM di fronte a terzi ed in giudizio risponde, pertanto, unicamente delle obbligazioni assunte dal Segretario Generale e, nei limiti dei poteri di firma loro attribuiti, dal Segretario Organizzativo e dal Tesoriere; non risponde, invece, delle obbligazioni assunte a qualsiasi titolo e causa, direttamente o indirettamente, dalle strutture di base, dai Sindacati Territoriali, dai Sindacati Regionali, e da qualsiasi struttura e/o entità di ogni ordine e grado ad esse afferente e/o aderente o dalle persone che agiscono in loro nome e conto. Anche qui, laddove non siano costituiti sindacati territoriali, non può sostenersi che manchi il soggetto sindacale che abbia l’interesse ad agire e la legittimazione processuale a farlo, ma deve ritenersi piuttosto che tali istituti debbano correttamente essere riferiti alla struttura organizzativa gerarchicamente sovraordinata a quella territoriale, che nel caso di specie è giustappunto il sindacato regionale che raggruppa tutti i sindacati territoriali, e per essa al segretario regionale.
IV.3. Venendo al merito delle contestazioni, vanno scisse e analizzate separatamente le condotte assunte dalla società datrice di lavoro in relazione alla gestione della cassa integrazione ed alla predisposizione del protocollo di sicurezza anticontagio Covid19.
IV.3.1. Con riferimento alla presunta condotta antisindacale tenuta dalla società nella gestione della CIGO per Covid19, va precisato in primis che l’art. 19 D.L. n. 18/2020, rubricato “Norme speciali in materia di trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario”, nella sua versione originaria disponeva che: “1. I datori di lavoro che nell'anno 2020 sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all'assegno ordinario con causale "emergenza COVID-19", per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 per una durata massima di nove settimane e comunque entro il mese di agosto 2020. 2. I datori di lavoro che presentano domanda di cui al comma 1 sono dispensati dall'osservanza dell'articolo 14 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 e dei termini del procedimento previsti dall'articolo 15, comma 2, nonché dall'articolo 30, comma 2 del predetto decreto legislativo, per l'assegno ordinario, fermo restando l'informazione, la consultazione e l'esame congiunto che devono essere svolti anche in via telematica entro i tre giorni successivi a quello della comunicazione preventiva. La domanda, in ogni caso, deve essere presentata entro la fine del quarto mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell'attività lavorativa e non è soggetta alla verifica dei requisiti di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148. 3. I periodi di trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario concessi ai sensi del comma 1 non sono conteggiati ai fini dei limiti previsti dall'articolo 4, commi 1 e 2, e dagli articoli 12, 29, comma 3, 30, comma 1, e 39 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, e sono neutralizzati ai fini delle successive richieste. Limitatamente all'anno 2020 all'assegno ordinario garantito dal Fondo di integrazione salariale non si applica il tetto aziendale di cui all'articolo 29, comma 4, secondo periodo, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148. 4. Limitatamente ai periodi di trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario concessi ai sensi del comma 1 e in considerazione della relativa fattispecie non si applica quanto previsto dagli articoli 5, 29, comma 8, secondo periodo, e 33, comma 2, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148. 5. L'assegno ordinario di cui al comma 1 è concesso, limitatamente per il periodo indicato e nell'anno 2020, anche ai lavoratori dipendenti presso datori di lavoro iscritti al Fondo di integrazione salariale (FIS) che occupano mediamente più di 5 dipendenti. Il predetto trattamento su istanza del datore di lavoro può essere concesso con la modalità di pagamento diretto della prestazione da parte dell'INPS.
6. I Fondi di cui all'articolo 27 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 garantiscono l'erogazione dell'assegno ordinario di cui al comma 1 con le medesime modalità di cui al presente articolo. Gli oneri finanziari relativi alla predetta prestazione sono a carico del bilancio dello Stato nel limite di 80 milioni di euro per l'anno 2020 e sono trasferiti ai rispettivi Fondi con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. 7. (…). 8. I lavoratori destinatari delle norme di cui al presente articolo devono risultare alle dipendenze dei datori di lavoro richiedenti la prestazione alla data del 23 febbraio 2020 e ai lavoratori stessi non si applica la disposizione di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148. 9. Le prestazioni di sostegno al reddito di cui ai commi da 1 a 5 e di cui all'articolo 21 sono riconosciute nel limite massimo di spesa pari a 1.347,2 milioni di euro per l'anno 2020. L'INPS provvede al monitoraggio del limite di spesa di cui al primo periodo del presente comma. Qualora dal predetto monitoraggio emerga che è stato raggiunto anche in via prospettica il limite di spesa, l'INPS non prende in considerazione ulteriori domande. 10. Alla copertura degli oneri previsti dal presente articolo si provvede ai sensi dell'articolo 126”.
In sede di conversione, tuttavia, la Legge n. 27/2020 ha modificato il comma 2 dell’art. 19, prevedendo solo che “I datori di lavoro che presentano la domanda di cui al comma 1 sono dispensati dall'osservanza dell'articolo 14 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, e dei termini del procedimento previsti dall'articolo 15, comma 2, nonché dall'articolo 30, comma 2, del medesimo decreto legislativo. La domanda, in ogni caso, deve essere presentata entro la fine del quarto mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell'attività lavorativa e non è soggetta alla verifica dei requisiti di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148”. Come in effetti sottolineato dalla difesa della COMER, dal testo della norma è stata espunta la previsione secondo la quale l’accesso alla misura di sostegno al reddito in questione, in deroga alla disciplina di cui al d.lgs. n. 148/2015 che prevede l’avvio delle consultazioni con i sindacati prima dell’adozione della stessa, doveva prevedere ex post il recupero del confronto con i sindacati.
Le ragioni per le quali il legislatore abbia deciso di eliminare la previsione de qua non possono essere sindacate da questo Giudice, che deve solo prendere atto dell’intervento modificativo e vagliarne l’efficacia giuridica. Poiché la necessità del confronto con i sindacati è stata prevista con decreto legge e, in sede di conversione, è stata espunta, questa previsione normativa non può più ritenersi invocabile nell’ambito del nostro ordinamento giuridico, avendo perso efficacia giuridica ex tunc (v. ex multis Corte Costituzionale ordinanza n. 366/1996). L’art. 77 cost., infatti, prevede al comma 3 che i decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione, fermo restando che le Camere possono regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Circostanza quest’ultima che nel caso che ci occupa non si è verificata. Né si può ritenere che un obbligo di confronto, preventivo o, in via eccezionale, successivo, con i sindacati dei lavoratori possa rinvenirsi comunque nella disciplina di cui al d.lgs. n. 148/2015, per due ordini di ragioni: a) in primis la mancata conferma della previsione in sede di conversione è espressione di un chiaro ripensamento del legislatore, che ha scelto di non prevedere più il confronto tra datore di lavoro e sindacati sull’accesso alla CIGO con causale Covid19, pur opportuno, anche in ragione della non esclusività della misura de qua per fronteggiare il rischio contagio (si pensi allo smart working ed al telelavoro, alla possibilità di godimento delle ferie e dei permessi arretrati, ecc.); b) in secondo luogo, perché la disciplina del d.lgs. n. 148/2015 non è applicabile analogicamente in parte qua all’accesso alla CIGO con causale Covid19, perché prevede un confronto con i sindacati antecedente all’adozione della misura, con una cadenza temporale e procedurale ben definita ed incompatibile con l’urgenza dell’intervento sotteso a far fronte alla sospensione dell’attività lavorativa durante la pandemia, che, invece, prescinde dal dialogo preventivo.
Per le ragioni suddette, si ritiene che la condotta assunta dalla COMER in ordine alla gestione della CIGO con causale Covid19 non possa integrare in astratto gli estremi della condotta antisindacale, mancando una previsione di legge efficace che prevedesse, almeno ex post, l’interlocuzione con i sindacati dei lavoratori. Tanto consente di prescindere dall’accertamento in concreto dell’espletamento degli incontri con gli stessi.
IV.3.2  Per quanto attiene, invece, alla gestione della sicurezza dei lavoratori in relazione al rischio di contagio da Covid19, certamente non è questa la sede per un’analisi puntuale dei contenuti delle misure precauzionali e delle regole prevenzionistiche introdotte per il contrasto della diffusione del contagio pandemico, a tutela della salute pubblica, in generale, e a protezione di quanti operano negli ambienti di lavoro, più nello specifico. Va però ricordato che dette regole sono mutate in un arco temporale molto breve, evolvendosi in relazione alle diverse fasi nelle quali anche in Italia si è articolata e si sta ancora articolando la gestione della crisi pandemica. Un aggiornato compendio delle disposizioni generali minime a tutela della salute nei luoghi di lavoro deve essere rinvenuto nel “Protocollo condiviso delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid19 negli ambienti di lavoro fra il Governo e le parti sociali” del 24 aprile 2020. Detto Protocollo, che figura come allegato al D.P.C.M. del 26 aprile 2020, (poi allegato 12 nel D.P.C.M. del 17 maggio 2020 “Disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza da Covid19, e del decreto-legge 16 maggio, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid19”, in G.U. n. 126 del 17 maggio 2020), integra il precedente documento condiviso allo stesso fine da Governo e parti sociali il 14 marzo 2020, sottoscritto anch’esso su invito del Presidente del Consiglio e dei Ministri competenti in attuazione della misura già contenuta nel D.P.C.M. dell’11 marzo 2020. La circostanza che detto protocollo acceda ad una fonte normativa  in funzione del rinvio integrativo del precetto di legge  consente di riconoscere ad esso un’efficacia lato sensu normativa. Non si può dubitare, pertanto, che le previsioni in esso contenute, integrative dei precetti che rinvengono fonte diretta nei decreti legge e nella normazione secondaria nel frattempo stratificatasi, condividano con questi ultimi la medesima natura di misure di tutela la distinzione  che pure è a rigore possibile fare in relazione alla natura specifica delle “direttive” tipizzate  tra misure a carattere più propriamente precauzionale, ovvero rispondenti ad uno schema riconducibile a quel principio di precauzione da tempo acquisito nel sistema per il tramite dell’ordinamento eurounitario, e vere e proprie regole di prevenzione, quali, ad esempio, quelle relative all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI). E ciò perché il T.U. del 2008 assume trasversalmente anche le prime al proprio interno, nell’alveo della medesima previsione generale di cui all’art. 15. Questa osservazione deve guidare l’interprete anche nella soluzione della que stione, da subito dibattuta tra i primi commentatori delle misure emergenziali, se detta disciplina imponga o meno al datore di lavoro, in contesti diversi da quelli sanitari per i quali ciò è incontroverso, un obbligo di aggiornamento del documento unico di valutazione dei rischi (DVR), di cui all’art. 28 d.lgs. n. 81/2008. A proposito si sono sviluppati due formanti dottrinali:
1. l’opinione che lo esclude fa essenzialmente leva sulla natura generica del rischio biologico derivante dal Covid 19, reputando che dal sistema del testo unica emerga come soltanto per i rischi specifici “connessi al contesto strutturale, strumentale, procedurale e di regole che il datore di lavoro ha concepito e messo in atto per il perseguimento delle proprie finalità produttive”, sussista un siffatto obbligo, ai sensi degli artt. 28 e 29 comma 3.
Secondo tale tesi, infatti, le misure emergenziali  e in prevalenza quelle precauzionali  a tutela della salute pubblica, anche quando riguardino la sicurezza dei lavoratori, si affiancano solo provvisoria mente per la durata della fase di emergenza a quelle ordinarie, conservando la propria distinta natura e funzione. La valutazione di quel rischio è operata a monte dalla pubblica autorità, ai cui comandi il datore di lavoro deve adeguarsi, adattando a tal fine la propria organizzazione alle misure di prevenzione dettate dalla stessa pubblica autorità. Sicché una tale riorganizzazione non sarebbe altro che un adeguamento alle direttive pubbliche, senza costituire, come tale, un vero e proprio aggiornamento della valutazione dei rischi ex art. 29 d.lgs. n. 81/2008, con la conseguenza che l’eventuale inosservanza delle direttive pubbliche rileverebbe non già ai sensi dell’art. 55 dello stesso decreto, bensì in relazione alle sole speciali sanzioni pubblicistiche sancite dalla pubblica autorità;

2. per altra tesi, invece, la disciplina emergenziale e quella del testo unico del 2008 sarebbero ancorate alla medesima valutazione sistematica e integrata, tant’è che l’intero apparato di misure, precauzionali e protettive, introdotto dalla prima e che il Protocollo tra Governo e parti sociali demanda alla responsabilità attuativa delle imprese in ragione dello specifico contesto aziendale, si inserisce armoniosamente nel decreto legislativo del 2008, in virtù dell’apertura sistemica che connota quest’ultimo, integrandone i precetti anche laddove (v. art. 29 comma 3 d.lgs. n. 81/2008) impone obblighi di adeguamento e aggiornamento dell’atto fondante l’intero processo di tutela della sicurezza sul lavoro il DVR. Appaiono del resto cogenti  in tale direzione interpretativa  molteplici dati normativi, anche strettamente testuali: l’art. 2 lett. q) d.lgs. 81/2008, che, nel dettare la definizione normativa della “valutazione dei rischi”, la riferisce globalmente a tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione produttiva; il successivo art. 15 comma 1 lett. a), che esige parimenti la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, a cui fa eco l’art. 17 che ribadisce il principio; l’art. 28 d.lgs. n. 81 citato, che, in maniera ancora più esplicita, stabilisce che la valutazione del rischio, anche nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, inclusi quelli da stress-lavoro correlato. La medesima disposizione, al comma e lett. a), precisa ulte riormente che il DVR deve contenere “una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa”, per cui è la valutazione eminentemente temporale e circostanziale, più che quella causale-spaziale sulla quale si appunta la distinzione tra rischi endogeni ed esogeni fatta valere dall’altra tesi, a rilevare a tal fine: qualunque rischio che afferisca all’attività lavorativa, nel senso che derivi direttamente da essa o sia comunque connesso al tempo e al modo in cui l’attività viene espletata, ogni rischio cioè che trovi la propria ‘occasione’ di manifestarsi nell’organizzazione del lavoro deve essere valutato dal datore di lavoro.


La posizione interpretativa che si ritiene di condividere è questa seconda. Del resto, anche chi propende per l’altra tesi, opportunamente rileva come sarebbe più corretto fondare questa distinzione non tanto sull’origine interna o esterna all’azienda del fattore di rischio, quanto piuttosto sul fatto che l’attività lavorativa, intesa sia come condizioni di lavoro che come mero contesto ambientale in cui viene a svolgersi la prestazione, comporti un innalzamento del livello di esposizione al rischio rispetto a quello socialmente accettato nella comunità cui appartiene il lavoratore. Ma se è così, considerato che la prima misura precauzionale e di prevenzione stabilita dalle fonti emergenziali, e ribadita nel Protocollo condiviso da Governo e parti sociali, è quella rappresentata dall’opzione per il lavoro da remoto in modalità “agile”, è giocoforza concludere che lo stesso svolgimento della prestazione lavorativa in azienda costituisce fattore tipico di aggravamento del rischio socialmente accettato nella comunità di riferimento. In altri termini, è il fatto stesso di dover continuare a prestare l’attività lavorativa in ambito aziendale, nella impraticabilità della modalità agile da remoto, a costituire di per sé fattore di accrescimento del rischio sanitario, per l’aumento delle occasioni di contagio in loco e in itinere. Anche chi in principio esclude, allo stato, un obbligo di aggiornamento in senso proprio del DVR, ammette, infatti, che ove, come appare ormai inevitabile, la situazione di forzata convivenza con il rischio di conta gio da Covid19 dovesse protrarsi a lungo nel tempo, ben oltre l’attuale fase emergenziale, obbligando ad una gestione precauzionale ordinaria, per quanto a intensità attenuata, sarebbe doverosa una corrispondente riconsiderazione delle misure richieste anche ai sensi degli artt. 28 e 29 d.lgs. n. 81/2008.
Deve, poi, condividersi la considerazione che sia l’art. 2087 c.c., autentica valvola di controllo automatico delle interconnessioni sistemiche tra dispositivi emergenziali e regimi ordinari di tutela, a dover dissipare ogni residua incertezza a riguardo. È infatti necessario muovere dalla premessa  fondata appunto su tale norma-chiave  che il datore di lavoro è garante della salute e sicurezza in azienda ed è tenuto ad adottare le misure necessarie ad evitare che l’ambiente lavorativo divenga  in via diretta o per interferenza  occasione di contagio. In questa premessa si compendia la filosofia e la prassi operazionale della prevenzione secondo l’art. 2087 c.c. e da questa, in definitiva, partono i percorsi attuativi del testo unico del 2008. Nessuno dubita, d’altra parte, che, a prescindere dalla soluzione che si voglia dare alla questione dell’adeguamento del DVR, il datore di lavoro sia tenuto a garantire la puntuale attuazione, in virtù della suddetta norma, di tutte le misure e le cautele tipizzate dai diversi provvedimenti emanati per contrastare la diffusione del contagio da Covid19, adattandole  come vuole il Protocollo sottoscritto da Governo e parti sociali  allo specifico contesto produttivo e organizzativo aziendale. Né è dubitabile, quindi, che, in assenza della effettiva adozione di quelle misure, il lavoratore, titolare di un diritto soggettivo perfetto ad un ambiente di lavoro sicuro alla stregua dell’art. 2087 c.c., abbia facoltà di opporre al datore il rifiuto di svolgere una prestazione gravemente insicura. Anzi, il datore di lavoro dovrà a tal fine elaborare, di norma, un proprio protocollo aziendale, secondo quelle modalità concertate, che sono state definite a livello nazionale; le misure di prevenzione e di sicurezza stabilite nella sede generale troveranno qui la concreta attuazione che è richiesta nel contesto organizzativo e nell’ambiente lavorativo di riferimento. Ad esempio il protocollo aziendale dovrà anzitutto definire gli ambiti e le posizioni per le quali è praticabile e quindi obbligatorio il ricorso all’attività lavorativa prestata a distanza dal domicilio del lavoratore. Subito dopo, per tutte le prestazioni che debbono essere rese in presenza nel luogo di lavoro, il protocollo dovrà dettagliatamente prevedere l’attuazione di tutte le cautele, misure, precauzioni e protezioni (dal distanzia mento interpersonale ai DPI) che pure sono state tipizzate dalla normativa in esame. E sono queste misure che rientrano pacificamente nella previsione delle “misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” di cui parla l’art. 2087 c.c., dovendo essere tecnicamente considerate come regole “nominate” di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore.

Va a questo punto precisato circa la rilevanza delle misure sin qui tipizzate dal diritto “emergenziale”, nella sua complessa articolazione, ai fini della esenzione da responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., che in linea di principio, l’art. 2087 c.c., in quanto norma dinamicamente “aperta” all’evoluzione del quadro di rischi e delle connesse tecniche di prevenzione, impone all’imprenditore l’adozione di tutte quelle misure che, pur innominate o non tipizzate, siano comunque necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Se, dunque, almeno in via di principio non sarebbe astrattamente consentito limitare l’obbligo datoriale di sicurezza e la corrispondente posizione di garanzia a quelle sole misure sin qui emerse nella gestione emergenziale, è tuttavia anche ragionevole ritenere che, allo stato, l’autorità pubblica, con il concorso delle parti sociali che hanno elaborato i diversi protocolli fin qui sottoscritti, abbia dettato, in modo tendenzialmente esaustivo, le misure necessarie alla prevenzione del rischio da Covid 19 secondo l’esperienza e la tecnica ad oggi nota. Per cui spetta all’imprenditore un obbligo essenzialmente attuativo/traspositivo di quelle misure  al massimo livello di sicurezza tecnica disponibile  nello specifico contesto aziendale. Ne discende che anche il perimetro della sua responsabilità ex art. 2087 c.c. dovrà ragionevolmente dirsi contenuto ed esaurito nell’obbligo di un “puntuale e diligente adempimento delle specifiche misure di sicurezza tempo per tempo previste dal Protocollo e dalla normativa emergenziale in evoluzione”, non potendosi, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche (peraltro in rapida evoluzione) sul Covid19, esigere oggettivamente più di questo.
Detto ciò, va sottolineato che il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto ed il contenimento della diffusione del virus Covid19 negli ambienti di lavoro fra il Governo e le parti sociali”, in attuazione della misura di cui all’art. 1 comma 1, n. 9 D.P.C.M. 11 marzo 2020 “raccomanda intese tra le organizzazioni datoriali e sindacali”, stabilendo che “ferma la necessità di dover adottare rapidamente un Protocollo di regolamentazione per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus che preveda procedure e regole di condotta, va favorito il confronto preventivo con le rappresentanze sindacali presenti nei luoghi di lavoro e per le piccole imprese le rappresentanze territoriali come previsto dagli accordi interconfederali, affinché ogni misura adottata possa essere condivisa e resa più efficace dal contributo di esperienza delle persone che lavorano, in particolare degli RLS e degli RLST, tenendo conto della specificità di ogni singola realtà produttiva e delle situazioni territoriali”. Al di là del linguaggio ivi utilizzato che rende non immediatamente intelligibile se la concertazione sindacale sia un obbligo o meno, per le ragioni evidenziate innanzi in ordine all’integrazione del DVR: si ritiene applicabile il disposto dell’art. 29 d.lgs. n. 81/2008 secondo cui, fermo restando che è il datore di lavoro ad effettuare la valutazione dei rischi e ad elaborare il documento di cui all’art. 17 comma 1 lett. a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente (nei casi di cui all’art. 41), le attività di cui al comma 1 sono realizzate previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; laddove il Protocollo condiviso “raccomanda intese” deve intendersi nel senso che, seppure con l’urgenza richiesta dalla situazione pandemica, i sindacati devono essere consultati prima della adozione del protocollo di sicurezza aziendale.
Venendo al caso di specie, quindi, la COMER, pur dovendo osservare immediatamente le prescrizioni di cui al Protocollo condiviso tra Governo e parti sociali, doveva elaborare un protocollo di sicurezza a livello aziendale, modificando il DVR secondo quanto previsto dall’art. 29 d.lgs. n. 81/2008, non essendo sufficiente la mera trasposizione delle previsioni del Protocollo nazionale, secondo uno schema del tutto eguale a quello dell’efficacia dei Modelli ex lege n. 231/2001. Non poteva, dunque, limitarsi in via unilaterale ad elaborare un protocollo aziendale da comunicare ex post ai sindacati, come accaduto con nota del 02/04/2020 (v. all. 3 fascicolo ricorrente), a firma di Confindustria Basilicata, nella quale si comunica: “Con la presente, Confindustria Basilicata in nome e per conto della nostra azienda associata – COMER Industries Components srl, comunica che, al fine di dare seguito alle richieste urgenti provenienti da diversi clienti, ha formalizzato richiesta ufficiale alle autorità competenti, secondo le disposizioni vigenti in materia (i.e. al Prefetto di Matera), di ripresa delle attività produttive, ottenendo parere favorevole. Pertanto, decorrere da lunedì 6 Aprile 2020 riprenderemo le attività produttive nell’unità operativa di Matera (zona industriale La Martella prima traversa “Enzo Ferrari”), garantendo il pieno rispetto delle norme sanitarie e di sicurezza previste per la prevenzione della diffusione del covid19, come già ampiamente dimostrato , attraverso l'applicazione del protocollo allo scopo già predisposto che si allega alla presente e di cui abbiamo fornito puntuale informativa preventiva all'azienda sanitaria locale, per la relativa attestazione di piena ed incondizionata conformità alle disposizioni normative vigenti. A conferma del corretto operato datoriale sotto il profilo della salvaguardia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ex art. 2087 e TU 81/08, tale ballo è stato prontamente reso dal predetto ente pubblico zonale virgola in veste di referente sanitario terzo imparziale. Il personale comandato a prestare servizio rientra pertanto dalla CIGO con causale unica COVID-19 e sarà individualmente contattato dal diretto responsabile a partire dalla data odierna”. E ciò indipendentemente dall’efficacia delle misure di sicurezza adottate, poiché qui è in rilievo il rispetto delle prerogative dei sindacati in materia. Non è dirimente, che successivamente alla adozione unilaterale da parte della società datrice di lavoro (v. e-mail Confindustria del 07/04/2020 – all. 6 fascicolo COMER) del protocollo aziendale si siano svolti, a partire dal 09/04/2020 (v. all.ti 6, 7, 12 degli incontri con i sindacati finalizzati a consentire una eventuale e successiva modifica del documento, né che sia stato istituito il “Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole di protocollo di regolamentazione” con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e dell’RLS, a cui è affidato il compito di assicurare il costante aggiornamento del protocollo di regolamentazione stesso. Men che meno appare dirimente la circostanza che la ASL abbia dato il benestare alla riapertura dell’azienda, in mancanza della consultazione preventiva dell’RLS sulle misure da adottare per assicurare la ripresa delle attività produttive con la massima sicurezza per la salute dei lavoratori. Se è vero che il Protocollo nazionale auspica solo che i protocolli aziendali siano condivisi e cioè che le parti sociali concordi le misure da adottare e che non v’è, sulla base della normativa vigente, un obbligo per il datore di lavoro di raggiungere un accordo sulle misure di sicurezza con i sindacati, è altrettanto vero che la loro consultazione preventiva è necessaria e non può essere bypassata in ragione di una malintesa responsabilità esclusiva del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c.. D’altro canto apparirebbe irragionevole una norma che limitasse la consultazione dell’RLS solo in fase di monitoraggio dell’esecuzione del protocollo e di modifica dello stesso e non anche in fase di adozione dello stesso, che è il momento più delicato e rilevante ai fini della ripresa delle attività produttive in sicurezza, considerato che il Protocollo nazionale in premessa prevedeva espressamente che “la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione delle attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”. La lesione delle prerogative sindacali, dunque, si è verificata in sede di attuazione aziendale del protocollo nazionale sulle misure anti Covid19 e in relazione a ciò ha effetti permanenti, con conseguente interesse dei ricorrenti all’accertamento della natura antisindacale della condotta datoriale e all’inibitoria per il futuro di comportamenti simili in sede di modifica del DVR, che deve essere implementato con riferimento al rischio Covid19. Va sottolineato, poi, che la condotta illegittima è stata reiterata, quando, all’indomani delle modifiche delle misure di sicurezza a livello nazionale, la datrice di lavoro si è limitata a riferire ai sindacati che il protocollo aziendale già in auge era stato adeguato e che “naturalmente la versione definitiva avrà ancora qualche aggiustamento ma vi posso anticipare che saranno aggiustamenti non di rilievo ma di forma (una migliore veste grafica sostanzialmente)”.
La COMER, dunque, deve rimuovere gli effetti derivanti dalla condotta antisindacale assunta in sede di predisposizione unilaterale del protocollo di sicurezza anticontagio Covid19, riaprendo le trattative con i sindacati per la predisposizione ex novo di un protocollo di sicurezza aziendale anche in vista dell’implementazione del DVR.
V. Deve essere rigettata la domanda dei ricorrenti volti ad ottenere la pubblicazione della decisione favorevole su un quotidiano a tiratura nazionale. L’art. 120 c.p.c. prevede la pubblicità della sentenza come forma di riparazione in forma specifica di un danno, soprattutto non patrimoniale, che come tale non trova un pieno ristoro nel risarcimento per equivalente.
La norma dispone che “Nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, compreso quello derivante per effetto di quanto previsto all’articolo 96, il giudice, su istanza di parte, può ordinarla a cura e spese del soccombente, mediante inserzione per estratto, ovvero mediante comunicazione, nelle forme specificamente indicate, in una o più testate giornalistiche, radiofoniche o televisive e in siti internet da lui designati. Se l’inserzione non avviene nel termine stabilito dal giudice, può procedervi la parte a favore della quale è stata disposta, con diritto a ripetere le spese dall’obbligato”. Ad avviso della giurisprudenza, essa assolve ad una funzione riparatoria in via preventiva rispetto all'ulteriore propagazione degli effetti dannosi dell'illecito, diversamente dal risarcimento del danno per equivalente che mira al ristoro di un pregiudizio già verificatosi, tant’è che la pubblicazione costituisce una modalità di risarcimento in forma specifica volta ad aggiungersi al risarcimento per equivalente al fine di assicurare, nei casi in cui il giudice la ritenga utile, la integrale riparazione del danno, al fine di contribuire a rimuovere il discredito gettato su un soggetto e di ricostruire la sua immagine pubblica. «E' significativo che la pubblicazione della sentenza sia un provvedimento, costituente oggetto di un potere discrezionale del giudice, che può essere disposto indipendentemente dall'esistenza o dalla prova di un danno attuale, trattandosi di una sanzione autonoma che, grazie alla conoscenza da parte della collettività della reintegrazione del diritto offeso, assolve ad una funzione riparatoria in via preventiva rispetto all'ulteriore propagazione degli effetti dannosi dell'illecito nel futuro (v. Cass. n. 6226/2013, n. 1982/2003, n. 564/1995), a differenza del risarcimento del danno per equivalente che ha funzione reintegratoria di un pregiudizio già verificatosi (v. Cass. n. 12103/1995). Si spiega dunque perché una parte della dottrina abbia inteso questa misura come diretta non specificamente a riparare il danno, ma a tutelare l'interesse generale a che non circolino false rappresentazioni della realtà. In tal senso sembra deporre il riferimento dell'art. 120 c.p.c., - come presupposto per l'emissione dell'ordine di pubblicazione - a una "decisione di merito" e non necessariamente a una condanna al risarcimento del danno o a distinti facere di reintegrazione del diritto leso. La possibile obiezione, secondo la quale i precedenti poc'anzi richiamati non sarebbero pertinenti perché riguardanti fattispecie (di concorrenza sleale ex art. 2600 c.c.) diverse dalla lesione dei diritti della personalità, è agevolmente superabile, se si considera che l'art. 120 c.p.c., costituisce norma di generale applicazione, non derogata dalle norme speciali presenti in particolari materie (v. anche l'art. 126 cod.propr. ind., e L. n. 633 del 1941, art. 166, sul diritto d'autore)» (così Cassazione civile sez. I sentenza n.1091 del 21/01/2016). Nel caso che ci occupa, non sono emersi elementi tali da consentire a questo Giudice di ritenere la pubblicazione del presente decreto misura necessaria a riparare e prevenire il presunto discredito subito dalle OO.SS. ricorrenti, in ragione della condotta antisindacale della COMER, considerando, di contro, sufficiente a tal fine la previsione speciale di cui all’art. 28 comma 4 Legge n. 300/1970.
VI. Non sussistendo in materia un orientamento giurisprudenziale, data la recente entrata in vigore della normativa innanzi richiamata, ai sensi dell’art. 92 comma 2 c.p.c., come interpretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 77 del 19/04/2018, si ritengono sussistenti gravi ed eccezionali ragioni per disporre tra le parti l’integrale compensazione delle spese processuali.
 

P.Q.M.
 

disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione, in parziale accoglimento del ricorso, così definitivamente provvede:
- accertatane la natura antisindacale, ORDINA alla COMER INDUSTRIES COMPONENTS SRLU di rimuovere gli effetti derivanti dalla condotta assunta in sede di predisposizione unilaterale del protocollo di sicurezza anticontagio da Covid19 e di riaprire le trattative con i sindacati per la predisposizione ex novo di un protocollo di sicurezza aziendale anche in vista dell’implementazione del DVR;
- RIGETTA il ricorso per la parte restante;
- DICHIARA integralmente compensate tra le parti le spese processuali.
Matera, 14/09/2020
Il Giudice del Lavoro