Cassazione Penale, Sez. 4, 23 marzo 2021, n. 11118 - Delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: D'ANDREA ALESSANDRO
Data Udienza: 11/03/2021
 

 

Fatto



1. Con ordinanza del 27 giugno 2020 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha parzialmente accolto l'istanza di riesame proposta da S.N., sostituendo la misura degli arresti domiciliari applicata dal G.I.P. del Tribunale di Castrovillari in data 22 maggio 2020 con quella dell'obbligo di dimora nel Comune di residenza, con divieto di allontanarsi dalle ore 21.00 alle ore 7.00, in relazione al delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110, 603-bis, commi 1 n. 1), 3 nn. 1), 2), 3) e 4), 4 n. 1) cod. pen.
1.1. Il giudice del riesame ha, infatti, ritenuto la ricorrenza di un pregiudicato quadro indiziario gravante a carico dello S.N. in ordine all'integrazione del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravato dall'aver utilizzato lavoratori in numero superiore a tre.
Nell'ordinanza viene esplicato come la misura sia stata applicata al ricorrente all'esito di una complessa attività di indagine finalizzata all'emersione dello sfruttamento della manodopera dei braccianti agricoli e alla repressione del c.d. "caporalato", che aveva, infine, condotto all'applicazione, con l'ordinanza genetica, di misure cautelari nei confronti di cinquantanove indagati.
La gravità indiziaria a carico dello S.N. era stata, in particolare, desunta dalle risultanze dell'attività di intercettazione telefonica, dagli esiti dei servizi di osservazione e controllo svolti dalla P.G. - di cui veniva anche eseguita documentazione video -, nonché dalle sommarie informazioni testimoniali rese da alcuni braccianti agricoli.
Di tali risultanze è stata data ampia rappresentazione dal Tribunale del riesame, nella trattazione relativa al merito, in particolare evidenziando come l'indagato: avesse svolto intensa attività di reclutamento di lavoratori provenienti dalla Romania per il titolare di un'azienda agricola, verso la corresponsione di significative somme di denaro; avesse avuto la gestione diretta dei giorni di ferie e dei compensi e a corrispondere ai braccianti; avesse provveduto all'organizzazione del trasporto dei lavoratori, al loro controllo, alla predisposizione della documentazione per la loro assunzione e alla rendicontazione delle giornate da versare.
L'attività era stata espletata con modalità di palese sfruttamento dei lavoratori, come evincibile: dalle condizioni alloggiative degradanti dei soggetti reclutati in Romania; dalla scarsa entità della retribuzione loro corrisposta, inferiore rispetto a quanto prescritto dai contratti collettivi; dall'assenza di riposo settimanale; dalla mancanza di qualificazione dei lavoratori assunti; dal trattenimento di giornate lavorative.
Il giudice del riesame ha, infine, ritenuto la ricorrenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. c) cod. proc. pen., in considerazione della professionalità raggiunta dall'indagato nell'espletamento dell'attività di "caporalato", svolta con intensità, disinvoltura e dimestichezza, potendo contare su un'ampia rete di collegamenti, anche all'estero. L'attualità di tali esigenze è risultata, poi, comprovata dalla circostanza che lo S.N. disponesse, al momento dell'applicazione dell'originaria misura cautelare, di un furgone con cui trasportare i braccianti e fosse in possesso di una lista in cui erano riportati nominativi di persone di nazionalità straniera.

2. Avverso l'indicata ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, in primo luogo evidenziando la discrasia esistente tra il provvedimento con cui il Tribunale del riesame di Catanzaro ha riconosciuto la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico, mantenendo l'applicazione di una misura cautelare personale (per quanto gradata), e la decisione del Tribunale di Cosenza con cui, in sede di riesame reale, è stata disposta la revoca del sequestro preventivo e la restituzione dell'autovettura in sequestro, nella ritenuta insussistenza del fumus del contestato delitto.
Ritiene, poi, il ricorrente che il Tribunale per il riesame di Catanzaro non abbia fornito adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti normativi previsti dagli artt. 274, 275, 291 e 292 cod. proc. pen., sia sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza che con riguardo alle esigenze cautelari. La condotta imputabile allo S.N., infatti, non potrebbe comunque configurare una situazione di sfruttamento dei lavoratori di rilievo ai sensi dell'art. 603-bis cod. pen.
In maniera specifica, quindi, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'attualità delle esigenze cautelari in relazione al tempo trascorso dalla commissione del reato, lamentando la carenza di un concret o e attuale pericolo di commissione di ulteriori delitti.
Viene, quindi, eccepita violazione dell'art. 275, comma 2, cod. proc. pen. e mancanza di motivazione quanto ai principi di proporzionalità e adeç1uatezza in ordine alla misura cautelare concretamente applicata.
Con l'ultima doglianza viene lamentata, infine, violazione dell'art. 274 lett. c) cod. proc. pen. e mancanza di motivazione con riferimento alla prognosi di pericolosità, che non è stata adeguatamente considerata nel provvedimento gravato, soprattutto per ciò che attiene ai comportamenti concreti dell'indagato ed all'assenza di precedenti penali su costui gravanti.

3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

 

Diritto




1. Il proposto ricorso non è fondato, per cui lo stesso deve essere rigettato.

2. In primo luogo priva di pregio è la ravvisata discrasia esistente tra il provvedimento con cui il Tribunale del riesame di Catanzaro ha riconosciuto la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dello S.N., mantenendo l'applicazione di una misura cautelare personale (per quanto gradata), e la decisione del Tribunale di Cosenza con cui, in sede di riesame reale, è stata disposta la revoca del sequestro preventivo e la restituzione dell'autovettura in sequestro, nella ritenuta insussistenza del fumus del contestato delitto, essendo di palmare evidenza come tale differente valutazione rientri nella fisiologica diversità di lettura che due distinte Autorità giudiziarie - peraltro chiamate a valutare aspetti tra loro parzialmente difformi - possono avere del materiale indiziario prodotto.

3. Riguardo, poi, alle ulteriori doglianze, deve essere osservato che, in tema di impugnazione dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto nel caso in cui denunci la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628-01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884-01).
Anche con riferimento al giudizio cautelare personale, cioè, il controllo di legittimità susseguente alla proposizione del ricorso per cassazione non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del G.I.P. e del Tribunale del riesame, ed essendo esso, invece, circoscritto all'esame dell'atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (così, tra le tante, Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Sansone, Rv. 269438-01).
Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, infatti, è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione - come nel caso in esame - sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
Non sono consentite, pertanto, censure che, pur formalmente investendo la motivazione, e a fortiori ammantandosi di una pretesa violazione di legge, si risolvano, in realtà, nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito.
Orbene, nel caso di specie le doglianze espresse dal ricorrente si risolvono nella rappresentazione di errate valutazioni in relazione alla sussistenza della gravità indiziaria così come accertata dal Tribunale del riesame, prevalentemente concernendo circostanze di puro fatto non sindacabili nella presente sede di legittimità.
Di converso, per come nel prosieguo precisato, le argomentazioni addotte nel provvedimento impugnato appaiono del tutto congrue ed esenti da qualsiasi vizio logico o giuridico.

3. In primo luogo non fondato, infatti, è il motivo con cui il ricorrente ha dedotto vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla ricorrenza di una condotta di sfruttamento del lavoro rilevante ai sensi dell'art. 603-bis cod. pen.
Questa Corte ha già avuto modo di puntualizzare che la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'art. 603-bis cod. pen. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (così Sez. 4, n. 27582 del 16/09/2020, Savoia Giuseppe, Rv. 279961-01; nonché, in termini conformi, Sez. 4, n. 49781 del 09/10/2019, Kuts Olena, Rv. 277424-01).
Di tale principio ha fatto corretta applicazione, nel caso di specie, il Tribunale del riesame, che ha correttamente valutato riscontri indiziari, complessivamente e prudentemente soppesando una serie di elementi fattuali (desunti dalle dichiarazioni dei lavoratori, stimate - non illogicamente - attendibili, dall'attività di intercettazione telefonica e dagli esiti dei servizi di osservazione e controllo svolti dalla P.G.) che ha - non incongruamente - ritenuto dimostrativi dello sfruttamento dei lavoratori da parte del "caporale", tra cui: la durata oraria della prestazione; la scarsa retribuzione ; la penosa situazione personale ed abitativa dei lavoratori; la decurtazione "obbligatoria" di parte non irrilevante del compenso; la carenza di qualificazione dei lavoratori assunti; il previo mancato svolgimento di corsi di formazione; la mancata fruizione di un giorno di riposo settimanale e delle ferie.
Risulta evidente, allora, come il Tribunale del riesame abbia correttamente valorizzato gli indicati aspetti, desumendone l'inequivoca valenza indiziaria, con motivazione da ritenersi, nel complesso, congrua e logica, immune da vizi sindacabili in sede di legittimità.

4. Parimenti infondata è, poi, la doglianza del ricorrente concernente la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, alla loro attualità, nonché in ordine al rispetto dei principi di proporzionalità e di adeguatezza della misura cautelare applicata, anche considerata la pericolosità in concreto espressa da parte dell'indagato.
L'esame dell'impugnata ordinanza, infatti, mostra la presenza di una motivazione del tutto congrua, in cui è stata compiutamente evidenziata la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione da parte dello S.N. di condotte analoghe a quelle per cui si procede, alla stregua di quanto desumibile: dall'intensità dell'attività di reclutamento svolta, anche riferentesi al mercato estero; dalla disinvoltura e dimestichezza palesata nella gestione e organizzazione dei soggetti reclutati; dalla rete dei rapporti posti a sua disposizione per il costante reperimento di unità lavorative.
Il Tribunale del riesame, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, ha anche fornito congrua motivazione circa l'attualità delle esigenze di cautela - rappresentando in modo espresso che, all'esito della svolta perquisizione, «è emerso che l'indagato, assieme alla moglie, avessero ancora la disponibilità di uno dei furgoni utilizzati per il trasporto dei braccianti, ed all'interno della loro abitazione è stato rinvenuto un foglio riportante una lista, intestata a Operatore Raccolta Calabria, con l'indicazione di soggetti stranieri» - nonché in ordine all'adeguatezza della misura cautelare disposta, in sostituzione di quella precedentemente applicata, dimostrata dal fatto che «l'inserimento nel contesto economico­ territoriale ove è originata e si è sviluppata la condotta illecita, in uno con l'ubicazione dell'azienda in Basilicata, consentono l'applicazione dell'obbligo di dimora nel Comune di residenza, misura efficace ad impedire l'ulteriore perpetrazione della condotta».

5. Alla stregua delle superiori considerazioni, allora, può affermarsi che la motivazione dell'ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all'apprezzamento dei requisiti previsti dalla legge per l'emissione ed il mantenimento dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l'intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.
Conclusivamente, pertanto, il giudice della impugnata ordinanza ha rappresentato la sua pronuncia con motivazione congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, logica e coerente, così da non poter essere censurata in questa sede di legittimità.

6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dello S.N. al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 11 marzo 2021