Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2021, n. 14195 - Caduta mortale del carpentiere della ditta subappaltatrice. Mancanza di sistemi di protezione atti a prevenire le cadute dall'alto
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 18/03/2021
Fatto
1. Con sentenza del Tribunale monocratico di Sassari emessa - a seguito di giudizio ordinario - il 19/3/2015, M.DP., S.DP., C.F.T., R.P., G.C., A.C. e E.C. venivano condannati alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre le spese, con concessione di attenuanti generiche stimate equivalenti alla aggravante contestata e con la sospensione condizionale della pena, essendo stati ritenuti colpevoli:
• del delitto di cui all'art. 589, 1° e 2° comma c.p., perché G.C., E.C. e A.C. tutti in qualità di soci amministratori e di legali rappresentanti dell'impresa A.E.G. Edilizia soc. coop. A r.l., il A.C. in particolare anche come dirigente e "capo cantiere" della ditta AEG a r.1., M.DP., S.DP., C.F.T. e R.P. rispettivamente in qualità di presidente del consiglio di amministrazione, di amministratore delegato, di direttore tecnico e di capo cantiere dell'impresa di costruzioni Ing. Raffaello P. s.r.l., società quest'ultima aggiudicataria della committente TERNA spa dei lavori di costruzione della nuova stazione elettrica di conversione di Fiumesanto che, a sua volta, aveva sub-appaltato alla predetta impresa AEG ar.l. l'esecuzione delle sole opere di fondazione ed elevazione delle costruende strutture in cemento armato e, quindi, tutti in qualità di datori di lavoro destinatari della normativa antinfortunistica, per colpa cagionavano la morte di C.E., socio lavoratore della cooperativa AEG a r.l., con mansioni di carpentiere specializzato il quale, al momento dell'infortunio, era intento ad eseguire i controlli sulle legature e sugli ancoraggi trovandosi sopra l'armatura destinata all'alloggiamento dei pannelli metallici che era stata assemblata precedentemente a terra (con delle griglie metalliche composte da verghe della lunghezza di mt. 4 circa fissate con delle legature in funi di ferro) e che poi era stata posizionata in quota, ad una altezza di circa 14 mt, a mezzo della gru di cantiere per venire, quindi, definitivamente ancorata per mezzo di boccole. In particolare, mentre il C.E. era impegnato nel montaggio delle boccole, operando ad una altezza di circa mt. 2,5 dal piano di calpestio dell'impalcatura ed era aggrappato alle verghe della griglia metallica, perdeva improvvisamente l'equilibrio e dopo avere afferrato una verga per evitare la caduta, veniva sbalzato verso l'esterno oltre l'impalcatura di sicurezza cadendo rovinosamente al suolo da un'altezza di circa 16 mt., così riportando lesioni gravissime (politraumatismo contusivo produttivo di fratture cranio facciali, cervicale, costali, del bacino e degli arti superiori) determinanti il suo decesso immediato.
Colpa consistita per G.C., E.C. e A.C., nelle qualità sopra descritte, nella violazione delle seguenti norme antinfortunistiche:
1) Artt. 115, 3° comma e 159 del D.Lvo n.81 del 09.04.2008 (Testo Unico Infortuni sul Lavoro) per non avere accertato che, nell'uso dei sistemi di protezione contro le cadute dall'alto, il C.E. avesse assicurato il cordino di tenuta, direttamente o mediante connettore lungo una guida o linea vita, a parti stabili delle opere fisse o provvisionali;
2) Art. 96, 1° comma lett. G) e 159 del DLvo n.81 del 09/04/2008 (Testo Unico Infortuni sul Lavoro) per avere omesso di valutare il rischio insito nell'attività di realizzazione dell'armatura per la sopraelevazione dell'opera in costruzione non indicando nel POS (il Piano Operativo di Sicurezza) le specifiche misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC (il Piano di Sicurezza e di Coordinamento), che si sarebbero dovute seguire nel caso concreto (tutte descritte nella documentazione tecnica relativa all'uso dell'attrezzatura provvisio nale per l'assemblaggio di carpenterie ed opere provvisionali PERI-TRIO per opere di elevazione);
Colpa consistita per C.F.T. e R.P., nelle qualità sopra descritte, nel non avere adempiuto, pur potendolo fare, all'obbligo di vigilanza in ordine al rispetto delle norme infortunistiche da parte del personale dipendente della ditta subappaltatrice AEG a r.l. che operava in regime di subappalto nel medesimo cantiere temporaneo o mobile e, in particolare, nella violazione degli artt. 115, 3° comma e 159 del D.Lvo n.81 del 09.04.2008 (Testo Unico Infortuni sul Lavoro) per non avere verificato o controllato che, nell'uso dei sistemi di protezione contro le cadute dall'alto, il C.E. avesse assicurato il cordino di tenuta, direttamente o mediante connettore lungo una guida o linea vita, a parti stabili delle opere fisse o provvisionali; Colpa consistita per il M.DP. ed il S.DP., nella qualità sopra descritte, nella violazione delle seguenti norme antinfortunistiche: art. 97, 3° comma, in relazione agli artt. 95 e 96, 1159 del D.Lvo n. 81 del 09.04.2008 (Testo Unico Infortuni sul Lavoro) perché, eserci tando la gestione tecnico-organizzativa del cantiere di Fiumesanto e dei propri subappaltatori, omettevano di coordinare gli interventi di cui agli artt. 95 e 96 del D.Lvo n. 81 del 0904/2008, in particolare:
1) Non adottavano le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (art.95 in riferimento all'art. 15) quali la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza, la programmazione della prevenzione nonché l'influenza dei fattori dell'organizzazione del lavoro e l'eliminazione dei rischi o la loro riduzione al minimo;
2) Non contribuivano, così come previsto dall'art. 96, alla valutazione del rischio insito nell'attività di realizzazione dell'armatura per la sopraelevazione dell'opera mediante la redazione del POS ed omettevano specificamente di verificare la congruenza del POS dell'impresa esecutrice, AEG a r.l., rispetto al proprio, prima di trasmettere i POS al coordinatore per l'esecuzione.
In agro di Sassari, loc. Fiumesanto, presso il cantiere TERNA, il 24.09.2008, ore 16,00 circa.
In primo grado veniva altresì disposta la condanna in solido di C.F.T., R.P. e dei DP. al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separato giudizio civile, con concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva di € 100.000,00 in favore di OMISSIS, di € 85.000,00 in favore di Andrea C.E. e di€ 70.000,00 in favore di OMISSIS, oltre al pagamento delle spese di costituzione e difesa.
La Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 13/5/2019, confermava la sentenza di primo grado e, preso atto della revoca della costituzione di parte civile, revocava le statuizioni civili.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, gli imputati sottoindicati, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
1-3. G.C., A.C. e E.C. (Avv. Carlo Amat di San Filippo)
Con un primo motivo il difensore ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Ci si duole dell'aprioristica affermazione di infondatezza dell'appello senza confrontarsi con i rilievi difensivi e formulando un giudizio di mera verosimiglianza della ricostruzione operata dal giudice di prime cure.
Sottolineando l'assoluta inadeguatezza del concetto di verosimiglianza al fine di fondare una pronuncia di responsabilità penale, si evidenzia che l'impugnata sentenza si limita a ripercorrere le argomentazioni del provvedimento di primo grado ignorando i motivi di appello e gli elementi probatori evidenziati, giungendo ad una carente ed incerta ricostruzione della dinamica dell'evento.
Si evidenzia un travisamento delle risultanze processuali laddove la corte di appello attribuisce rilievo alla deposizione del M. rispetto a quelle del P. e del ME., in relazione alla posizione del C.E. al momento dell'incidente.
Erroneamente si ritiene che il M. avesse escluso che il C.E. si trovasse sulla banchina superiore, mentre in realtà il M. riferiva che lo stesso stava mettendo le boccole, come ricostruito dalla difesa, e che stesse per scendere a terra.
Si lamenta l'illogicità della motivazione in quanto la Corte distrettuale affermerebbe un contrasto inesistente tra le dichiarazioni dei testi e non spiegherebbe perché la deposizione del M. viene ritenuta più attendibile di quella degli altri operai, solo perché più aderente alla ricostruzione dell'accusa, fondata esclusiva mente sulla ricostruzione operata dagli ispettori dello SPRESAL, del tutto ipotetica e in evidente contrasto con le circostanze emerse dall'istruttoria dibattimentale.
La contraddittorietà dell'impugnata sentenza emergerebbe, poi, dall'affermazione, priva di qualsiasi spiegazione, che il P. e il ME. rendevano false dichiarazioni, circostanza che avrebbe dovuto comportare l'invio degli atti alla Procura della Repubblica, che non vi è mai stato, non avendo i testi reso alcuna falsa dichiarazione. Del resto, si aggiunge, la sentenza di primo grado aveva apprezzato la genuinità e spontaneità degli stessi testi, senza nemmeno ritenere necessario formulare domande per saggiarne l'attendibilità.
Si critica la ricostruzione della dinamica che sarebbe stata operata, apoditticamente, in aderenza alla ricostruzione offerta dallo SPRESAL, senza alcuna valutazione delle argomentazioni contenute nei motivi di appello. In particolare, si era evidenziato che era stata attribuita certezza ad una ricostruzione espressa dai tecnici in termini di probabilità e verosimiglianza. Inoltre, la lavorazione svolta dal C.E. era stata individuata attraverso il punto di caduta, nonostante fosse in contrasto con diversi elementi oggettivi emersi in istruttoria e richiamati nell'atto di appello. Tra tali elementi si evidenziava: 1. l'incompatibilità della posizione del lavoratore con la posizione finale assunta dalla verga, come ricostruito nella consulenza dell'ing. Gambarova; 2. l'assenza di verghe da legare oltre a quella divelta dal peso dell'operaio; 3. l'altezza complessiva della gabbia; 4. le deposizioni degli operai e il cronoprogramma dei lavori.
Si contesta l'affermazione che la lavorazione in corso riguardasse la legatura dei ferri di ripresa, dando per acquisita l'indicazione fornita dagli ispettori dello SPRESAL, funzionale ai fini della condanna, senza alcuna considerazione delle argomentazioni difensive che evidenziavano l'assoluta incertezza, espressa anche dagli agenti dello Spresal, e la contraddizione con le risultanze istruttorie.
Anche il comportamento del C.E. verrebbe valutato, nell'impugnato provvedimento, in maniera contraddittoria escludendo la dinamica prospettata dalla difesa, perché da un lato si escludeva che un carpentiere esperto potesse porre in essere operazioni incaute e rischiose per la propria incolumità e dall'altro si riteneva che proprio tale esperienza determinasse nel lavoratore un'eccessiva sicurezza nei propri nei propri mezzi tale da indurlo ad arrampicarsi sui ferri della griglia.
Obietta il difensore ricorrente che l'attività di arrampicarsi sulla griglia era la stessa sia per raggiungere più velocemente l'impalcato basso che per controllare i ferri di ripresa. Anzi per scendere il lavoratore avrebbe avuto le mani libere, non dovendo utilizzare nessuno strumento, mentre per controllare le legature dei ferri di ripresa poteva utilizzare una sola mano impegnando l'altra con l'uso di uno strumento per legare il filo di ferro.
Si sottolinea, poi, a riprova del mancato esame dei motivi di appello, l'affermazione, contenuta nell'impugnata sentenza, sul mancato ritrovamento del cesto delle boccole. Nei motivi di appello si era evidenziato come il mancato ritrovamento fosse dipeso dal mancato controllo dell'impalcato alto, da parte degli operanti dello SPRESAL che non compivano una verifica dei luoghi analitica e completa, necessaria per la corretta ricostruzione dell'evento.
Si lamenta, quindi, che la corte di appello all'esito dell'istruttoria dibattimentale, di natura prevalentemente indiziaria, avrebbe travisato gli elementi emersi e ignorato quelli richiamati dalla difesa.
Con un secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art. 603 cod. proc. pen.
Ci si duole dell'omesso esame delle valutazioni tecniche del consulente di parte ing. Gambarova, in relazione alla ricostruzione della posizione dell'operaio C.E., delle fasi della caduta e della dinamica dell'incidente, nonché dell'avvenuto rigetto, con motivazione apodittica, della richiesta di rinnovazione dell'attività istruttoria, con l'espletamento di una perizia che fornisse il doveroso supporto tecnico-scientifico alla ricostruzione della dinamica del sinistro.
Si contesta la ricostruzione effettuata sulla base delle ipotetiche valutazioni espresse dagli agenti dello SPRESAL e si evidenzia l'indispensabilità della rinnovazione istruttoria alla luce del contrasto tra la ricostruzione fornita dagli agenti dello Spresal e quella fornita nella relazione dell'ing. Gambarova, ed anche alla luce del riconoscimento dell'incertezza della dinamica del sinistro da parte di entrambe le sentenze di merito.
Con un terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 115 co. 2 D.L. 81/2008.
Ci si duole dell'avvenuta stigmatizzazione dell'assenza, sulla torre in costruzione, della linea vita, a prescindere dall'accertamento dell'effettiva lavorazione in esecuzione.
Si evidenzia in proposito, di avere sottolineato, nell'atto di appello, l'importanza dell'individuazione del tipo di lavori in esecuzione in quanto la sistemazione delle boccole sull'impalcato, già di per sé sistema di protezione collettivo, non richiedeva l'adozione della linea vita e del dispositivo di ritenzione Falcon Miller.
In ogni caso, poi, anche ove fosse stato necessario l'utilizzo della cintura di sicurezza Falcon Miller, ciò non determinava l'obbligo di predisporre la linea vita, essendo previsto solo l'obbligo di assicurare il sistema di protezione a parti stabili delle opere fisse o provvisionali come il cassero.
Si lamenta, pertanto, la mancata indicazione, nonostante l'espressa doglianza, del motivo tecnico scientifico per cui il fissaggio al cassero del sistema anticaduta non sarebbe stato idoneo.
La forzatura della motivazione impugnata risiederebbe non nell'asserita mancanza della linea vita, ma piuttosto nell'asserita e indimostrata inidoneità dei punti stabili individuati dal datore di lavoro per agganciare il dispositivo di ritenzione.
Pertanto, si ribadisce quanto dedotto in appello, che la lavorazione delle boccole, sull'impalcato alto, non richiedeva il sistema di ritenzione e la linea vita; che il sistema di ritenzione può essere agganciato in maniera indifferente alla linea vita o a parti fisse della struttura; e che nessun accertamento è stato svolto per individuare la presenza di parti fisse cui agganciare il sistema di ritenzione dove l'operaio stava lavorando al montaggio delle boccole.
Si denuncia l'omesso confronto con i motivi di appello anche nella parte in cui la sentenza fa riferimento alla violazione delle normative antinfortunistiche che integrerebbe la colpa specifica.
Nessuna carenza vi sarebbe stata nel POS, in quanto l'utilizzo del ponteggio Peri Trio non comportava alcuna particolarità nelle lavorazioni da eseguire, rispetto a quelle tradizionali, inoltre un'eventuale carenza non avrebbe avuto alcuna efficienza causale rispetto all'incidente, verificatosi al di fuori delle normali procedure di lavorazione per il comportamento abnorme, imprevisto e imprevedibile del lavoratore che cercava di raggiungere l'impalcato basso, senza percorre il ponteggio lungo tutto il suo perimetro.
In ogni caso, nei motivi di appello, si era evidenziato che la valutazione dei rischi, con l'indicazione dei dispositivi di sicurezza necessari, era presente già nel POS revisione 7 aprile 2008 e nessuna integrazione era stata necessaria alla valutazione dei rischi presente nel POS revisione 3 ottobre 2008, predisposto su espressa richiesta dello Spresal, che nulla obiettava sul contenuto del documento. Come evidenziato nell'atto di appello, il sistema Peri Trio consentiva di operare a terra e sugli impalcati, in modo tale che le lavorazioni, da svolgersi in posizione elevata rispetto al piano terra, non avvenissero mai in quota, ma sugli impalcati, e che in quanto dispositivi di protezione collettivi non prevedevano l'utilizzo dei dispositivi di protezione individuali, ritenuti indispensabili dai giudici di merito. Il POS prevedeva l'utilizzo di adeguati strumenti di protezione per le lavorazioni da eseguirsi in quota.
Nulla direbbe, l'impugnata sentenza, sui dispostivi che sarebbero stati necessari per le lavorazioni sui ponteggi Peri Trio, né sulla loro efficacia causale nel verificarsi dell'infortunio, rispetto a quanto già previsto nel POS.
Si conclude, quindi, rilevando, la mancata comprensione da parte dei giudici, al pari degli agenti dello Spresal, del tipo di lavorazione in corso che prevedeva, per il montaggio delle boccole, di operare sull'impalcato e non in quota.
Con il quarto motivo si deduce violazione di legge processuale e carenza di motivazione in relazione all'insussistenza del nesso causale in riferimento agli artt. 40 e 41 cod. pen.
Ci si duole della ritenuta sussistenza del nesso causale tra le contestate violazioni delle norme di prevenzione e l'infortunio.
L'attribuzione della responsabilità ai ricorrenti deriverebbe dall'errata ricostruzione, incerta e congetturale, delle lavorazioni che il C.E. stava svolgendo.
Come rilevato nell'atto di appello, l'eventuale inottemperanza alle prescrizioni della normativa di prevenzione, non avrebbe alcuna efficacia causale rispetto all'evento, in quanto la discesa dalla torre doveva svolgersi in sicurezza attraverso le scale, mentre la discesa avvenuta arrampicandosi sui ferri della gabbia ha costituito un'azione abnorme e imprevedibile, per effetto della quale il rispetto delle norme antinfortunistiche non avrebbe potuto avere alcuna efficacia.
Del resto, la responsabilità dei ricorrenti sarebbe fondata, oltre che sull'assenza della linea vita o di altri punti stabili di ancoraggio, sulla mancata previsione nel POS delle lavorazioni con l'utilizzo del sistema Peri Trio.
In relazione a quest'ultimo aspetto la corte di appello non avrebbe risposto alla censura sulla mancata indicazione dei particolari dispositivi di sicurezza necessari per le lavorazioni, la cui mancata indicazione nel POS avrebbe integrato la violazione della regola cautelare.
Si evidenzia che veniva contestato, in appello, che la lavorazione con il sistema Peri Trio richiedesse ulteriori cautele rispetto a quelle già previste nel POS e che l'avvenuta previsione nel POS delle lavorazioni in quota e dei dispositivi di sicurezza escludeva qualsiasi violazione della regola cautelare.
Si sottolinea che nella stessa ricostruzione della sentenza di primo grado, la mancata previsione della lavorazione Peri Trio nel POS, costituiva una mera carenza formale, in quanto i dispositivi di sicurezza erano gli stessi già previsti nel documento per la sicurezza.
Del resto, la AEG, a seguito di richiesta dello SPRESAL redigeva la revisione del piano operativo di sicurezza dedicato alla lavorazione Peri Trio, precisando che lo stesso era legato alla richiesta dello SPRESAL, ma che i dispositivi di sicurezza erano già previsti nel POS in relazione alle lavorazioni in quota.
Dall'analisi della revisione del POS redatta dall'AEG, emerge che non vi è nessuna ulteriore prescrizione di sicurezza rispetto al POS originario.
Pertanto, a prescindere dalla dinamica del sinistro, la contestazione mossa nell'atto di appello era volta alla dimostrazione che la mancata previsione nel POS della lavorazione Peri Trio non aveva alcuna efficacia causale rispetto all'evento.
Ma la corte di appello non avrebbe risposto sul punto, aderendo acritica mente alle motivazioni del primo giudice.
Con il quinto motivo si deduce violazione di legge processuale e carenza di motivazione in relazione all'art. 533 cod. proc. pen.
Ci si duole della violazione del principio dell'affermazione di penale responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, in quanto, come dichiarato nella stessa sentenza, l'accertamento della dinamica dell'infortunio è stato di natura indiziaria, così come indiziario è stato l'accertamento della responsabilità degli imputati.
La Corte distrettuale avrebbe omesso di confrontarsi con la ricostruzione offerta dalla difesa, nonostante la stessa fosse supportata da valida prova scientifica, coerente con le risultanze istruttorie.
Ritengono, pertanto, i ricorrenti che occorra prendere atto della persistenza di un ragionevole dubbio rafforzato dai vizi di motivazione dell'impugnato provvedimento.
Con un sesto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Si contesta la valutazione compiuta dai giudici di appello sui motivi d'impugnazione fondati sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, in quanto la sentenza impugnata non ha tenuto in alcun conto le argomentazioni difensive sul punto ed, inoltre, ha valorizzato elementi neutri ed inidonei a fondare un giudizio di riprovevolezza del comportamento degli imputati.
In particolare, sarebbe stata richiamata la gravità delle violazioni in materia di prevenzione degli infortuni senza indicare in cosa si sostanzi la gravità della violazione.
La motivazione sul punto viene definita inesistente e meramente formale.
Si aggiunge che l'infortunio è stato un evento drammatico per gli stessi imputati, legati al C.E. da uno stretto rapporto pluriennale.
Si lamenta, infine, l'assenza di qualsiasi differenziazione delle posizioni dei tre imputati, nel giudizio di bilanciamento delle attenuanti con le aggravanti, nonostante la netta differenziazione delle loro posizioni.
Si chiede, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
4-7. M.DP., S.DP., C.F.T. , R.P. (Avv. Guido Manca Bitti)
Con un primo motivo si deduce: a) omessa valutazione di prove decisive, dunque mancanza parziale della motivazione; b) parziale travisamento del fatto e della prova (contraddittorietà); c) incongruenze logiche e incoerenza delle conclusioni rispetto ai dati probatori raccolti e disponibili (illogicità); d) violazione degli artt. 40, 41, 43 cod. pen. e 192 comma 1 cod. proc. pen. e 533 cod. proc. pen. non essendo stato dato conto del criterio adottato nella valutazione delle prove assunte ma non vagliate.
Ci si duole di un vizio motivazionale intrinseco ed estrinseco dell'impugnata sentenza, nonché di un grave travisamento della prova.
Si lamenta che la lettura congiunta delle sentenze di merito, benché conformi, non consente di superare il grave vulnus motivazionale.
La ricostruzione dell'evento evidenzierebbe sia un grave travisamento della prova che un'illogica conclusione, avulsa dalle risultanze oggettive offerte dalla consulenza tecnica difensiva, priva di risposta ai motivi di appello.
Il primo problema è rappresentato dall'accertamento del luogo dove si trovava la persona offesa al momento in cui ha perso l'equilibrio e dove si trovava poco prima.
Tale circostanza - si sottolinea in ricorso- appare di fondamentale importanza perché le due alternative interpretazioni risultano determinanti ai fini della valutazione della responsabilità degli imputati.
Secondo la ricostruzione difensiva, il C.E. stava lavorando sulla mensola superiore interna, protetta e certificata, e si determinava incomprensibilmente a scavalcare il parapetto per scendere sul lato esterno dell'edificio unicamente per risparmiare tempo, determinando così l'irrilevanza delle ipotizzate omissioni e circostanze formulate con la prospettazione alternativa, a causa della condotta del tutto imprevedibile del lavoratore.
La corte di appello avrebbe travisato la prova scientifica offerta dalla consulenza tecnica del prof. Gambarova, attraverso considerazioni ed elementi incerti.
Le sentenze di merito avrebbero escluso la ricostruzione difensiva, ancorata a calcoli scientifici e rappresentazioni grafiche offerte dalla consulenza, ignorando le risultanze oggettive e tecniche emergenti dalle prove acquisite e finendo per affermare, senza alcuna certezza, che il C.E. potesse trovarsi sul lato esterno da dove era caduto, pur in assenza di qualsiasi lavorazione eseguibile in quel punto, trovandosi in piedi sulla sommità della gabbia, dove le verghe erano libere e non vi era alcuna operazione da compiere.
Si ritiene che l'unico elemento importante per la valutazione dei fatti sia la collocazione del lavoratore all'altezza della mensola interna.
Si contesta la ricostruzione operata dall'impugnata sentenza definendo illogica la motivazione posta a sostegno e la risposta fornita allo specifico motivo di appello che lamentava l'inverosimiglianza dello svolgimento di attività lavorativa in un punto in cui il C.E. doveva tenersi in equilibrio utilizzando tutti e quattro gli arti, non avendo con sé il dispositivo anticaduta.
Si evidenzia la genericità e apoditticità delle risposte fornite dalla corte distrettuale, che afferma che, comunque, quando il lavoratore è caduto stava lavorando.
Si contesta la deduzione operata dal tribunale che il C.E. stesse lavorando sull'esterno, a fronte delle deposizioni testimoniali di P. e ME. che lo indicavano come impegnato a lavorare sulla mensola alta lato interno, prima dell'incidente.
Tale irragionevolezza sarebbe stata superata dai giudici di appello con altra illogica lettura alternativa che ritiene il C.E. impegnato solo a controllare che le verghe fossero fissate.
Si evidenzia la presenza nel testo della sentenza di diverse espressioni dubitative e si insiste per la logicità delle tesi prospettata dalla difesa che vedrebbe il C.E., impegnato a lavorare in sicurezza sul lato interno dell'impalcatura, decidere imprevedibilmente di scendere fino alla banchina sul lato opposto utilizzando la griglia di verghe esterna, piuttosto che utilizzare le passerelle protette che obbligavano ad un percorso molto più lungo.
L'utilizzo di numerose espressioni dubitative nel provvedimento impugnato sarebbe indicativo della violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Ci si duole, poi, del contrasto evidente tra le stesse affermazioni dell'impugnato provvedimento, che prima ritiene inverosimile la ricostruzione prospettata dalla difesa per un carpentiere esperto e poi lo colloca inerpicato tra le grate senza utilizzare le scale e i dispositivi di sicurezza.
Infine, si contesta il mancato confronto con il dato tecnico rappresentato dalla quota dei piedi del C.E. al momento della perdita dell'equilibrio, incompatibile con qualunque lavorazione o verifica, trovandosi al di sopra dell'ultimo incrocio tra le barre. Tale quota sarebbe stata ricavata con preciso calcolo scientifico, pienamente verificabile.
Si lamenta l'incoerenza della ricostruzione fornita dai giudici al fine di escludere la rilevanza del comportamento imprudente del lavoratore per l'esclusione del nesso causale tra qualsivoglia omissione contestata agli imputati e l'evento mortale.
Anche su tale punto si evidenzia la completa incoerenza delle affermazioni contenute nell'impugnata sentenza e della ricostruzione illogica formulata in termini ipotetici e dubitativi.
Ancora una volta si contesta il mancato superamento delle argomentazioni tecniche offerte dal consulente Gambarova.
Ci si duole che la corte di appello, per superare l'incongruenza della ricostruzione operata dal primo giudice con i dati tecnici offerti dalla difesa, offra una diversa ipotesi di comportamento del C.E. al momento del sinistro, anch'essa incompatibile con gli stessi dati tecnici.
La mancanza di conformità della ricostruzione fattuale dell'evento nelle due decisioni di merito, in uno all'omesso confronto con i dati scientifici, ne determinerebbe l'intrinseca illogicità.
Si sottolinea, infine, che la corretta ubicazione del lavoratore al momento dell'incidente, scientificamente determinata e confortata dalle dichiarazioni testimoniali, scardina l'impianto logico dell'impugnato provvedimento.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono omessa motivazione sul terzo motivo di appello e violazione degli artt. 43 cod. pen. e 125 comma 3, 530, commi 1 e 2 cod. proc. pen. Irrilevanza causale della condotta colposa addebitata ai ricorrenti.
Ci si duole dell'omesso confronto della decisione impugnata con il motivo di appello relativo all'insussistenza del nesso causale.
Il motivo di appello verrebbe riportato dalla Corte distrettuale senza formulare alcuna osservazione sul punto, con manifesta violazione dell'onere motivazionale. Si evidenzia che l'onere motivazionale non può ritenersi integrato con la diversa ricostruzione del sinistro tra giudici e difesa perché il motivo di impugnazione verteva unicamente sul rapporto tra la condotta e l'evento.
Né si poteva sopperire alla mancanza motivazionale con la sentenza di primo grado che non affronta lo specifico profilo e non opera alcuna concreta valutazione sull'efficacia della pretesa condotta alternativa ad evitare l'evento.
Nel motivo di impugnazione la difesa si doleva di tale mancata valutazione esponendo che le indicazioni di sicurezza contenute nel POS predisposto dalla AEG. erano più severe di quelle necessarie per lavorazioni con l'utilizzo di ponteggi del sistema Peri, notoriamente più sicuro di una classica struttura verticale. Non sarebbe stata indicata quale specifica indicazione di sicurezza avrebbe dovuto con tenere il POS della AEG in aggiunta alle previsioni già contenute nello stesso documento.
Il POS, ritenuto carente, vietava espressamente l'attività che, secondo la ricostruzione dei giudici, stava svolgendo il lavoratore, essendo pacifico che lo stesso si trovasse sulla struttura senza dispositivo di sicurezza, di cui disponeva, e lontano dalle scale presenti sul posto.
Sarebbe evidente, quindi, che le indicazioni di sicurezza, ritenute necessarie dalla Corte distrettuale, inserite nello stesso POS dopo l'incidente, sulla previsione di utilizzo di idonee cinture collegate a un punto di ancoraggio, sono irrilevanti sotto il profilo causale, perché la norma di sicurezza già prevista nel Pos era maggiormente restrittiva vietando la lavorazione che i giudici assumono si stesse svolgendo.
Concludono, pertanto, i ricorrenti che, in base ai principi stabiliti da questa Corte in tema di causalità della colpa, nessuna responsabilità può venire loro imputata.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono omessa motivazione sul terzo motivo di appello e violazione dell'art. 40 comma cod. pen. e 125 comma 3 cod. proc. pen., nonché degli artt. 111 e 117 Cost., art. 6, comma 3, lett. a) CEDU. Errata o omessa indicazione delle norme cautelari riferite agli imputati M.DP. e S.DP.
Ci si duole dell'omessa valutazione del secondo motivo di appello sulla non vigenza all'epoca dei fatti contestati delle norme cautelari contestate ai DP.. Viene riportato il motivo di appello, superato dalla sentenza impugnata con l'affermazione che la previsione cautelare fosse in vigore all'epoca dei fatti, essendo il T.U. del 2008 un semplice riordino e coordinamento in un unico testo normativo delle disposizioni precedentemente vigenti, pur riconoscendo la non vigenza delle norme cautelari invocate.
Nessuna indicazione viene fornita però sulla specifica o generica norma previgente violata.
Tale omessa motivazione inciderebbe sul diritto di difesa degli imputati che sono stati condannati per una contestazione illegittima e condannati per una violazione non specificata, in violazione delle garanzie difensive previste dalla Costituzione e dalle norme sovranazionali.
Sul punto la sentenza di primo non avrebbe assolutamente affrontato il tema, condannando gli imputati per la violazione delle norme cautelari, senza rilevare la non vigenza all'epoca dei fatti.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione alla posizione di garanzia di Tranci, la violazione dell'art. 42 cod. pen.
Si evidenzia di avere rilevato, con il quarto motivo di appello, l'avvenuta contestazione al Tranci, direttore tecnico dei lavori nel cantiere, delle stesse conte stazioni mosse a R.P., capo cantiere dell'impresa P., nonostante le diverse responsabilità e le differenti posizioni di garanzia.
In particolare, al Tranci venivano formulate contestazioni connesse e relative a condizioni di sicurezza che esulano dalle sue funzioni e responsabilità.
La sentenza impugnata, senza contrastare le considerazioni difensive, estenderebbe al C.F.T. le stesse responsabilità del R.P. in virtù di una presunta ingerenza nelle funzioni di quest'ultimo, superando la necessità di conferimento di apposita delega.
Secondo l'erronea ricostruzione dei giudicanti la partecipazione alle periodiche riunioni nel cantiere sulla sicurezza e a quella settimanale con il responsabile della commessa e il coordinatore della sicurezza avrebbe determinato in capo al C.F.T. la posizione di capo cantiere di fatto.
Si obietta, però, che la partecipazione alle riunioni non integrerebbe alcuna ingerenza nell'attività del capo cantiere e l'affermazione dei giudicanti non sarebbe sorretta da nessun riferimento di fatto o giuridico. Mentre l'attribuzione di una posizione di fatto all'interno dell'organico societario richiede la dimostrazione di un'ingerenza non occasionale o episodica di cui non c'è alcuna evidenza.
Inoltre, si evidenzia l'ulteriore contraddizione con la mancata contestazione ai tecnici della stazione appaltante TERNA, che pure partecipavano alle riunioni unitamente al C.F.T..
Si chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente provvedimento.
3. In data 2/2/2021 ha rassegnato le proprie conclusioni scritte il PG presso questa Corte che ha chiesto dichiararsi inammissibili i proposti ricorsi.
In data 10/3/2021 ha depositato le proprie conclusioni l'Avv. Carlo Amat di Sanfilippo nell'interesse di G.C., E.C. e A.C., che ha depositato estratto dell'atto di morte di A.C., comunicazione di adempimento alle prescrizioni ed ammissione all'oblazione e ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata quanto a A.C. per intervenuta morte dell'imputato ed ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi quanto agli altri ricorrenti.
In data 12/3/2021 ha rassegnato le proprie conclusioni l'Avv. Guido MancaBitti, difensore e procuratore speciale di M.DP., S.DP., C.F.T. e R.P. che ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi.
Diritto
1. In premessa va rilevato che risulta acquisito agli atti il certificato rilasciato in data 14/9/2020 dal Comune di Cagliari attestante che A.C., nato a Cagliari il 14/11/1973, è ivi deceduto il 9/9/2020.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, limitatamente a A.C., per essersi il reato allo stesso ascritto estinto per intervenuta morte dell'imputato.
Quanto a tutti gli altri imputati, i motivi sopra illustrati appaiono manifesta mente infondati e, pertanto, i proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
2. Per quanto rileva in questa sede, va premesso, in fatto, che gli accadimenti che hanno portato a questo processo risalgono al 24/9/2008, quando, alle ore 16 circa, il carpentiere specializzato C.E., trovandosi ad eseguire un lavoro in quota presso il cantiere della Terna S.p.a. sito in località Fiumesanto, era precipitato al suolo, riportando delle lesioni che ne avevano causato la morte immediata.
Come ricordano i giudici di merito, alla AEG. s.r.l. era stata subappaltata la costruzione di alcune strutture di fondazione e di elevazione in cemento armato dall'impresa Raffaello P. s.r.l., alla quale, a sua volta, era stato affidato l'appalto per lo svolgimento di varie opere civili nell'ambito della realizzazione di una sottostazione di trasformazione dell'energia elettrica da parte della Terna.
In particolare, la AEG aveva il compito di realizzare una torre in calcestruzzo armato dell'altezza totale di circa 20 metri, la cui elevazione sarebbe dovuta avvenire per fasi, con la sovrapposizione di fasce orizzontali dell'altezza di circa 3,5 metri. E in ragione di questa particolare tecnica di costruzione - detta "a casseri rampanti" - la ditta P. aveva scelto di dotare la AEG dei materiali di carpenteria PERI-TRIO.
Nel momento in cui era avvenuto l'infortunio, la torre aveva già raggiunto la quota di 16-17 metri dal suolo ed era in fase di completamento la quinta e ultima fascia: la gabbia metallica era stata chiusa solo sul lato interno e si stava per portare in quota il pannello che l'avrebbe chiusa anche sul versante interno, dopodiché avrebbe potuto avere luogo il getto del calcestruzzo.
Per quanto concerne l'attività che C.E. stava svolgendo al momento della caduta, essendo acclarato che i compagni di lavoro non hanno visto la persona offesa cadere, i giudici di prime cure si sono rifatti, in primis, e non avrebbero potuto fare altrimenti, alla dinamica prospettata dai funzionari dello SPRESAL, secondo cui, innanzitutto, il carpentiere operava in quota, a circa 3-4 metri dal piano di calpestio, sulla gabbia del fronte esterno della torre, con indosso la cintura di sicurezza che però non era collegata ad un sistema anticaduta.
I tecnici, tenuto conto della verga piegata sulla verticale di caduta, avevano desunto che C.E., dopo essere salito su una delle scale appoggiate alla gabbia di armatura, si era arrampicato e spostato sulla stessa - infilando i piedi fra i quadrati che componevano la grata - e aveva perso l'equilibrio in quel frangente, aggrappandosi invano alla verga di ripresa in ferro che, però, non era idonea a reggere il peso del lavoratore e, nell'impattare sul parapetto della banchina, aveva agito da catapulta, facendogli perdere la presa e facendolo precipitare al suolo da un'altezza di circa 16 metri.
La sentenza impugnata dà atto che, pur non potendosi del tutto escludere che C.E., quando aveva perso l'equilibrio, stesse sistemando degli ancoraggi o delle boccole, i funzionari avevano ritenuto maggiormente verosimile l'ipotesi che egli fosse impegnato nella legatura o nella verifica della legatura dei ferri di ripresa. Infatti, sulla banchina esterna, erano stati trovati attrezzature e materiali utilizzabili per detta attività, mentre non vi era traccia del cesto di boccole che A.C. - a suo dire - avrebbe dovuto ritirare con la gru, come gli avrebbe chiesto C.E. prima di cadere. Inoltre, la ricostruzione operata dai tecnici dello SPRESAL veniva ritenuta confortata anche dalle dichiarazioni di M., secondo cui in quegli istanti era in corso una fase decisamente fluida dei lavori, nella quale gli operai non avevano una specifica ripartizione dei compiti, ma si avvicendavano nello svolgimento delle varie mansioni del momento - deputato alla chiusura del cassero - a seconda delle necessità. Tale rilievo consentiva al giudice monocratico di dedurre che ciascun operaio si potesse spostare da una banchina all'altra in base all'attività da svolgere.
La versione fornita da A.C. - e supportata dalle testimonianze degli operai P. e ME. - secondo cui C.E. non stava lavorando sulla banchina esterna, bensì sulla banchina interna più alta, sicché non vi era ragione per trovarsi su quella esterna al momento della caduta, era mirata a dimostrare che la caduta sarebbe conseguita ad un tentativo di scavalcamento del muro, come scorciatoia per raggiungere la banchina sottostante esterna, anziché seguire il percorso regolare, consistente dello scendere mediante scala a pioli dalla banchina superiore a quella inferiore interna e, quindi, percorrere quest'ultima interamente fino a giungere sul versante esterno. Tuttavia, già il giudice di primo grado considerava la prospettazione dello scavalcamento un'ipotesi sfornita di ogni riscontro e rilevava che C.E., trovandosi ad una quota di 3-3,5 metri, stava lavorando ed era un carpentiere esperto, conoscitore dei rischi inerenti il suo mestiere, ma non era stato informato né formato sull'utilizzo del sistema di costruzione PERI TRIO e, inoltre, sebbene indossasse il cordino di tenuta, non era agganciato ad un idoneo sistema che lo proteggesse da accidentali cadute, perché inesistente.
Veniva anche rilevato già nella sentenza di primo grado che la torre in cui venivano svolti i lavori non recava una "linea vita" né altri punti di ancoraggio cui agganciarsi - tramite la cintura di sicurezza o anche mediante il dispositivo retrat tile rinvenuto sulla banchina - per svolgere il tipo di lavorazioni alle quali era pre posto C.E. al momento dell'incidente. Sicché era stata contestata ai legali rappresentanti della ditta AEG - i tre C. - la violazione degli artt. 115, comma 3 e 159 del d.lgs. n. 81/2008, dal momento che il sistema di protezione individuale indicato sarebbe stato l'unico idoneo nel caso di specie, posto che mancavano completamente dispositivi di sicurezza collettivi. Inoltre, lo SPRESAL aveva riscontrato che il POS della ditta AEG era carente sotto il profilo delle misure preventive e protettive per la costruzione di opere in elevazione, in quanto la suddetta lavorazione non era stata descritta compiutamente. Come spiegato dall' ing. Testoni, infatti, l'utilizzo di pannelli prefabbricati rappresentava una metodologia di costruzione non tradizionale che implicava la preventiva analisi del documento di uso, manutenzione e installazione di detti pannelli. Tale documento tecnico - proveniente dalla stessa ditta fornitrice dei prefabbricati - non era, invece, neppure presente in, cantiere ed era stato esibito solamente dopo le prescrizioni impartite dallo SPRESAL.
Pertanto, ai tre C. era stata correttamente contestata anche la violazione degli artt. 96, comma 1, lettera g) e 159 del d.lgs. n. 81/2008.
Nelle medesime violazioni erano incorsi anche C.F.T. e R.P., i quali provvedevano ad impartire ad A.C. - non solo legale rappresentante della AEG, bensì anche direttore dei lavori - le direttive e avevano, quindi, l'obbligo di vigilare sul rispetto delle norme antinfortunistiche da parte della ditta subappal tatrice.
Ai DP., invece, era stata contestata la violazione dell'art. 97, comma 3 del d.lgs. 81/2008 - in relazione agli artt. 95, 96 e 159 del medesimo decreto - perché l'impresa affidataria che i due rappresentavano aveva omesso di fornire alla subappaltatrice, unitamente alle attrezzature utilizzate per la realizzazione delle torri, la relativa documentazione tecnica necessaria per operare in sicurezza, mancando anche di verificare che il POS della AEG fosse conforme al tipo di opere che doveva eseguire. Eppure, dal contratto di appalto stipulato fra l'impresa Pel legrini e l'AEG, il giudice evinceva che la prima si era assunta l'onere di assicurare il coordinamento o, comunque, la cooperazione nell'attuazione delle misure pre ventive, così come previsto dal T.U. in materia di infortuni sul lavoro. Tuttavia, come anticipato, la P. non aveva fornito il manuale di istruzioni alla AEG, la quale - sebbene fosse evidente la particolarità delle attrezzature ricevute in dotazione - non aveva chiesto alcun ragguaglio all'impresa affidataria, svolgendo i lavori secondo i metodi tradizionali.
Sulla base di tali elementi, come ricorda la sentenza impugnata, il primo giu dice riteneva provata la penale responsabilità degli imputati e li condannava alla pena indicata, ritenendo che C.E., al pari dei suoi colleghi della AEG, non avesse ricevuto le necessarie informazioni e la dovuta formazione sulla metodologia di lavoro da seguire nella realizzazione dell'opera, né era stato dotato di sistemi di protezione anticaduta idonei a quel genere di lavorazione. Nessuna anomalia o eccezionalità, invece, veniva ravvisata nella condotta del carpentiere, il quale la vorava in base alle proprie conoscenze e in esecuzione degli ordini ricevuti. Infatti, pur astrattamente considerando, come ventilato dalla Difesa dei C., che C.E. si fosse sporto perché impegnato nel posizionamento delle boccole, il giudice monocratico sottolineava che quella non era una lavorazione da svolgere in quel momento, ma solo dopo la sistemazione del secondo pannello di chiusura. Tale elemento veniva indicato come ulteriormente dimostrativo della totale assenza sia di corrette informazioni e della formazione del carpentiere sia di adeguate direttive che gli imputati, nell'ambito dei rispettivi ruoli, avrebbero dovuto garantire.
3. Ebbene, a fronte di tale pronuncia, i ricorrenti proponevano i motivi di ricorso che vengono ricordati alle pagg. 4-12 del provvedimento impugnato, che vengono tutti confutati dai giudici del gravame del merito con argomentazioni prive di aporie logiche e con una sentenza corretta in punto di diritto, che si sottrae, pertanto, ai proposti rilievi di legittimità.
In questa sede i ricorrenti, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili dinanzi al giudice di legittimità, si sono nella sostanza limitati a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione.
In proposito, va ricordato essere ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in se condo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Carialo e altri, Rv. 260608).
In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
4. Prima di analizzare, in sintesi, i singoli motivi, va rilevato, in relazione al terzo motivo di ricorso proposto dall'Avv. Manca Bitti (pag. 16) che la denuncia di violazione di norme costituzionali o di norme CEDU non integra un caso di ricorso per cassazione a norma dell'art.606 lett. b) cod. proc. pen., ma legittima la proposizione della questione di legittimità costituzionale (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014 dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261551). Il principio che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduce la violazione di norme della Costituzione o della CEDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall'art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale è stato anche ribadito di recente (Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019 dep. 2020, Leone, Rv. 279059 che ha sottolineato, quanto alla censura riguardante la presunta violazione della CEDU, che le sue norme, per come interpretate dalla Corte EDU, rivestono il rango di fonti interposte integratrici del precetto di cui all'art. 117, comma 1, Cost. sempre che siano con formi alla Costituzione e compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti).
5. Quanto ai motivi di ricorso proposti nell'interesse di G.C., A.C. e E.C., con il primo motivo tali ricorrenti prospettano una diversa ricostruzione dei fatti, certamente complessi, parcellizzando le valutazione delle singole frazioni del fatto, sostituendo alla valutazione formulata dalla Corte territoriale la propria lettura della vicenda, operazione inammissibile nel giudizio di legittimità in presenza di una motivazione puntuale, logica e coerente con le evidenze disponibili pur nella consapevolezza che su alcuni aspetti della vicenda la Corte ha fatto ricorso alla prova logica, senza sottrarsi la Corte all'approfondimento degli snodi più critici e valutando la resistenza al giudizio controfattuale delle ipotesi alternative prospettate dalla Difesa.
Anche il secondo motivo è inammissibile poiché reitera doglianza già prospettata e argomentatamente disattesa dalla Corte sarda, che aveva evidenziato come la dinamica del sinistro fosse emersa in termini certi dalla compiuta e analitica istruttoria condotta dal giudice di primo grado, così come non potesse esserci dubbio alcuno sulla violazione delle norme antinfortunistiche.
Tale violazione risulta provata attraverso le dichiarazioni degli ispettori dello SPRESAL, pubblici ufficiali intervenuti sul cantiere, soggetti specializzati in relazione all'attendibilità di quanto dagli stessi dichiarato i ricorrenti nemmeno prospettano elementi di dubbio intervenuti sul cantiere.
Peraltro, viene dato atto di come la violazione contestata risulti documentai mente provata dal fatto che nel POS originario nulla era previsto per il tipo di attività che la persona offesa stava eseguendo quando si è verificato l'incidente. E non a caso, proprio a seguito delle prescrizioni impartite dall'Ing. Testoni, la AEG integrò il POS inserendo, solo il 3.10.2008, dopo l'incidente, il sottocapitolo 14.1.3 e il sottocapitolo 14.1.6.
Inoltre, è provato che il manuale non era mai stato consegnato dall'appaltante all'impresa subappaltatrice, disinteressandosi i legali rappresentanti della P. di controllare le rispondenze del POS al PSC.
La Corte territoriale ha, inoltre, evidenziato correttamente come l'incidenza causale sull'infortunio delle evanescenti norme infortunistiche violate è giudizio di fatto da esprimersi sulla base delle risultanze processuali e come, al riguardo, non necessitasse un accertamento tecnico.
Quanto al terzo motivo, sempre nell'interesse dei ricorrenti C., afferente ad un'asserita violazione di legge e ad un vizio motivazionale in punto di ritenuta violazione dell'art. 115, co. 2, del D.L. 81/08 la censura difensiva muove da una diversa ed alternativa ricostruzione del fatto e all'accertamento del tipo di attività cui era applicato C.E. al momento dell'incidente riproponendo l'alternativa ricostruzione difensiva già disattesa dalla Corte territoriale con motivazione puntuale e coerente rispetto agli elementi di prova in atti ricorre
I giudici del gravame del merito hanno dato atto della necessità delle linee vita e di stabili punti di ancoraggio dei dispositivi di protezione individuale, hanno specificato quali avrebbero dovuto essere i materiali con i quali realizzare i cavi e l'utilizzo di cinghie elastiche e come il cordino avrebbe dovuto essere allacciato alle linee vita. Hanno, inoltre, specificato come il cassero o il parapetto della mensola non possono considerarsi parti cui agganciare il cordino non avendo le caratteristiche di sicurezza che le linee vita o punti stabili creati all'uopo creati sono in grado di garantire e come l'assenza di linee vita integri la violazione degli artt. 96 comma 1 e 159 d.lgs. 81/2008.
Anche il quarto profilo di doglianza, in punto di asserita assenza del nesso di causalità ex art. 40 e 41 cod. pen., è meramente ripropositivo di tesi già argomentatamente e logicamente confutate dalla Corte sarda, e non si confronta criticamente con i rilievi contenuti nella sentenza impugnata secondo cui: 1. il ponteggio PERI TRIO è stato considerato dispositivo di protezione collettivo ma è stato precisato che tale caratteristica vale per lavori da eseguirsi a terra, o sopra l'impalcato, in ogni caso non per lavori ad altezza superiori a due metri dal piano di calpestio; 2. per lavori ad altezza superiore a due metri subentrano i sistemi di protezione individuale, e doveva utilizzarsi un sistema anticaduta retrattile; 3. se impalcati di sicurezza, ponteggi, opere provvisionali, parapetti sono considerati opere provvisionali che servono per la protezione dei lavoratori che operano in quota, il ponteggio PERI TRIO è un piano di calpestio, non è un ponteggio (come hanno ricordato i testi SPRESAL e Ing Testoni); 4. è smentito che non ci fossero da eseguire lavori in quota avendo l'Ing Testoni riferito di lavori come il montaggio dei ferri da ripresa, la legatura dei ferri dell'armatura, il posizionamento dei tondini in ferro lavorazioni da eseguire in quota; 5. C.E. stava eseguendo questa tipologia di lavorazioni ma non indossava dispositivi di protezione individuali; 6. nella torre non vi erano linee vita cui agganciare il dispositivo di protezione individuale né all'uopo potevano utilizzarsi casseri o parapetti della mensola.
Anche il quinto motivo, con cui i ricorrenti deducono violazione di legge processuale e carenza di motivazione in relazione all'art. 533 cod. proc. pen. si palesa inammissibile, in quanto anche con quello i ricorrenti ripropongono la diversa ricostruzione dei fatti già disattesa dalla Corte territoriale.
Manifestamente infondato, in ultimo, è anche il sesto motivo i ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di motivazione in punto di applicazione delle circostanze attenuanti generiche che, diversamente da quanto si sostiene in ri corso (cfr. pag. 20 del ricorso) sono state concesse sin dal primo grado a tutti gli imputati, venendo valorizzate a tal fine la loro incensuratezza e le condizioni di vita immuni da altri rilievi penali (cfr. pag. 18 della sentenza di primo grado e il relativo dispositivo). E non a caso in appello (cfr. pag. 30 del relativo atto) le doglianze si erano appuntate sul mancato giudizio di prevalenza delle stesse, motivo cui la Corte territoriale ha risposto (cfr. pag. 31 della sentenza impugnata), dovendosi peraltro ricordare come le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. Un., n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; conf. Sez. 2 n. 31543 dell'8/6/2017; Pennelli, Rv. 270450; Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007, Montanina Rv. 236992; Sez. 3, n. 26908 del 22/4/2004, Ronzoni, Rv. 229298). E nel giudizio ex art. 69 cod. pen., così come nella determinazione, in misura inferiore a quella massima consentita dalla legge, della riduzione di pena dovuta al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può valorizzare anche i precedenti penali relativi a reati depenalizzati o estinti, trattandosi di fattispecie che rimangono significative di una predisposizione dell'imputato a violare la legge penale (cfr. Sez. 5, n. 45423 del 6/10/2004, Mignogna ed altri, Rv. 230579).
6. Passando ad esaminare i motivi di ricorso proposti nell'interesse di M.DP., S.DP., C.F.T. , R.P., va rilevato come il primo motivo sia inammissibile per genericità ed aspecificità quanto ai primi tre aspetti, con cui si denunciano, cumulativamente, omessa valutazione di prove decisive dunque mancanza parziale della motivazione, parziale travisamento del fatto e della prova (contraddittorietà) e incongruenze logiche e incoerenza delle conclusioni rispetto ai dati probatori raccolti e disponibili (illogicità)
In proposito, va qui ribadito il dictum di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma primo, lett. c) e 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio (cfr. Sez. 1, n. 39122 del 22/9/2015, Rugiano, Rv. 264535; conf. Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota ed altri, Rv. 263541; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011 dep. 2012, Bidognetti ed altri, Rv. 251528, Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037). Ancore di recente è stato condivisibilmente sottolineato come sia onere del ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (così Sez. 2, Sentenza n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518, nella cui motivazione, la Corte ha precisato che, al fine della valutazione dell'ammissibilità dei motivi di ricorso, può essere consi derato strumento esplicativo del dato normativo dettato dall'art. 606 cod. proc. pen. il "Protocollo d'intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale", sottoscritto il 17 dicembre 2015).
Peraltro, già in precedenza (Sez. 2, n. 31811 dell'8/5/2012, Sardo ed altro, rv. 254328 che richiama i precedenti costituiti da sez. 6, n. 32227 del 16.7.2007, T. e sez. 6, n. 800 del 6.12.2011 dep. il 12.1.2012, Bidognetti ed altri) secondo cui è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso che prospetti vizi di legittimità del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa.
Non si possono, in altri termini, indicare, alla rinfusa, come nel caso che ci occupa, tutti i possibili vizi di legittimità (qui, in aggiunta al caso suvvisto si aggiunge, in via cumulativa, anche la violazione di legge) senza specificare la violazione o il punto della motivazione attinto da vizio.
In particolare, quanto al vizio motivazionale, l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. stabilisce la ricorribilità per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame». Ebbene, tale disposizione, se letta in combinazione con l'art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (a norma del quale è onere del ricorrente «enunciare i motivi del ricorso, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta») evidenzia che non può ritenersi consentita l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente quello specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta il logicità ovvero, se come indicato nell'odierno ricorso, ad una pluralità di tali vizi, in relazione a quali specifici punti della motivazione gli stessi vadano riferiti.
Ciò, nel caso che ci occupa, non è avvenuto.
7. Va peraltro ricordato che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non cor rispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr. ex multis Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018 L. Rv. 272018; conf. Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buon fine Rv. 256837).
Ebbene, nel caso che ci occupa non risulta essersi concretizzata alcuna di tali evenienze.
La Corte sarda ha sottolineato come sia dirimente il profilo per cui P. s.r.l. non fornì ad AEG a.r.l. il manuale di istruzioni e manutenzione delle attrezzature che P. stessa aveva fornito ad AEG e prodotte da PERI, come nessun coordinamento fu mai proposto ed attuato dagli imputati in punto di normativa antinfortunistica, di sistemi di prevenzione, su verifica di corretta applicazione dei protocolli di sicurezza, come non ci fu alcuna consapevolezza in capo agli imputati delle lavorazioni in atto, come solo dopo l'infortunio mortale furono aggiunti nel POS le previsioni che - se tempestivamente introdotte - avrebbero evitato la morte di C.E..
Con riguardo al profilo sub d) del primo motivo - con cui si lamenta la violazione degli artt. 40, 41, 43 cod. pen. e 192 comma 1 cod. proc. pen. e 533 cod. proc. pen. assumendosi che non sarebbe stato dato conto del criterio adottato nella valutazione delle prove assunte ma non vagliate- ancora una volta, i ricorrenti ripropongono censure già disattese dalla Corte con motivazione immune da censure.
La Corte isolana ha focalizzato il cuore centrale della vicenda e le ragioni per le quali dovesse ritenersi che C.E., al momento del fatto, si trovasse sul versante esterno della torre e non sulla passerella alta posta all'interno e come tale spiegazione fosse compatibile con il dato per cui quella mattina C.E. - come tutti suoi colleghi - non erano addetti a una specifica attività e che nessuno dei colleghi della persona offesa abbia riferito di averli visto in quel frangente per la semplice ragione che C.E. si era spostato sul versante opposto. Ricostruzione che appare logica e coerente con le prove testimoniali raccolte sia in tale parte che in quella in cui i giudici del gravame del merito hanno spiegato come la presenza del lavoratore in quella parte della struttura non poteva ritenersi ingiustificata- diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti - poiché le uniche attività in programma, previste dal cronoprogramma dei lavori del giorno, erano da eseguirsi nel versante interno della torre.
Allo stesso modo risulta provato, attraverso l'escussione dei testi dello SPRESAL, in ordine all'assenza di elementi che possano far dubitare della loro attendibilità si è detto- che nella parte ove la ricostruzione colloca la vittima vi erano da eseguire lavori in quota, quali legatura, o quanto meno controllo delle legature dei ferri di ripresa nonché il montaggio dei ferri di armatura.
8. Ricorda ancora la sentenza impugnata come il consulente tecnico di parte, Ing. Gambarova - la cui consulenza, pertanto, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, è stata vagliata e tenuta in conto -abbia ammesso di non poter escludere che nella parte dell'edificio dal quale C.E. è precipitato vi fossero lavori da eseguire, pur evidenziando perplessità sulla posizione delle scale e che uno dei possibili lavori eseguibili era di scarsa importanza.
Orbene, sul lamentato comportamento abnorme del lavoratore che avrebbe interrotto il nesso di causalità il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (vedasi sul punto Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Costante giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (così, ex multis, Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima haritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere). Inoltre, è altrettanto pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predi sposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Ciò perché il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. 2015, Ottino, Rv. 263200). E, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. il 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).
Va richiamato anche il dictum di Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018 dep. il 2019, Musso, Rv. 275017 che ribadisce che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in quel caso la Corte di legittimità ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziché utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato).
Ribadendo il concetto di "rischio eccentrico" altra recente pronuncia (Sez. 4 n. 27871 del 20/3/2019, Simeone, Rv. 276242) ha puntualizzato che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (si trattava di un caso di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel POS e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).
Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, la Corte territoriale, che pure dà atto che il fatto che C.E. si spostasse lateralmente, arrampicato sulla grata, emerge dal fatto che le due scale erano distanti dal luogo ove era precipitato al suolo, ne ha operato un buon governo laddove afferma che la condotta di C.E. non può ritenersi né eccentrica né esorbitante rispetto alle procedure alle quali era addetto, in quanto il lavoratore operava nell'esercizio delle mansioni di propria competenza in una situazione in cui erano totalmente assenti i dispositivi individuali di protezione sicché anche una eventuale imprudenza - seppur immaginabile certamente non riscontrata - non escluderebbe tuttavia la responsabilità del datore di lavoro (cfr. Sez. 4 n. 7188/18).
9. Meramente ripropositivi di censure già proposte in sede di gravame nel merito e già logicamente confutate nella sentenza impugnata sono il secondo il terzo, il quarto motivo del ricorso in esame.
Ed invero la Corte sarda ha osservato come M.DP., S.DP., C.F.T. , R.P. Roberto sono, rispettivamente, presidente del consiglio di amministrazione, amministratore delegato, direttore tecnico e capo cantiere di Raffaele P. s.r. I., società aggiudicataria dalla committente Terna spa dei lavori in oggetto.
Tale società ha subappaltato all'impresa AEG a.r.l. l'esecuzione delle sole opere di fondazione e di elevazione delle strutture in cemento armato dell'opera da realizzare. E nel contratto siglato il 18/3/2008 tra l'impresa P. srl e la AEG arl la prima si assumeva l'onere di curare il coordinamento e la cooperazione nell'attuazione delle misure prevenzionali, come previsto ex art. 7 di 626/1994, poi sostituito dal D.lgs. 81/2008.
Le opere da eseguire erano specificate nel contratto, e così pure entità e tipo di materiali delle medesime, materiali che sarebbero stati forniti dalla ditta affidataria.
La ditta tedesca PERI , fornitrice di alcune attrezzature, infortunistiche, prestava, come prescritto nel manuale, particolare attenzione alla informazione e alla formazione del personale che avrebbe dovuto utilizzare i suoi prodotti e, tuttavia, P. srl, e per la stessa i suoi legali rappresentanti nonché i titolari in genere di posizioni di garanzia, non fornirono ad AEG - nonostante si trattasse di una attrezzatura particolare e gli impegni contrattualmente assunti - il manuale di istruzioni, e nemmeno chiesero alcuna indicazione alla ditta affidataria, pensando di operare con i metodi tradizionali, inadeguati a garantire la sicurezza dei lavora tori. E infatti, nell'originario POS manca qualsiasi riferimento alla specifica fase lavorativa in atto nel cantiere. Ciò nondimeno C.F.T. e R.P., che avevano l'obbligo di vigilare sul rispetto delle norme antinfortunistiche da parte della società subappaltatrice, impartirono direttive a A.C., legale rappresentante di AEG ari, , omettendo altresì di operare uno specifico controllo sull'adozione da parte di AEG di idonei dispositivi di sistema anticaduta, sia sul modo degli operai di utilizzare i medesimi.
Parimenti, M.DP. e S.DP. - che, nei rispettivi ruoli, erano obbligati a rispettare l'art. 97 co. 3 in relazione agli artt. 95, 96 e 159 D.lgs. 81/2008 - omisero i doverosi compiti di coordinamento degli interventi della ditta subappaltatrice, e di controllo del POS elaborato con il PSC.
I ricorrenti omettono di considerare che sulla ricostruzione del sinistro esiste una doppia conforme della quale gli imputati avrebbero dovuto tenere conto in punto di ricostruzione del fatto, di valutazione delle regole cautelari poste a presidio della sicurezza dei lavoratori, sul nesso causale tra la violazione di dette regole e la causazione dell'evento ma, soprattutto, sugli obblighi connessi alla loro posizione di garanzia che, tra l'altro, avevano contrattualmente assunto.
In proposito, va ricordato che Sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272221, ha chiarito che il committente, anche nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini. (in applicazione di tale principio, la Corte - con riferimento a una fattispecie in cui i lavori appaltati erano stati oggetto di una catena di subappalti - ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto la responsabilità a titolo di lesioni colpose del primo appaltatore, per avere omesso di vigilare sull'adozione, da parte dell'ultimo subappaltatore della catena, di presidi anticaduta nel vano ascensore in cui si era verificato l'infortunio, la cui mancanza era stata rilevata tre giorni prima dell'incidente dal coordinatore della sicurezza nominato dal primo committente).
I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l'impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele. E in cui dà conto delle specifiche e ben individuate posizioni di garanzia che ciascuno degli odierni ricorrenti aveva nei confronti dei lavoratori.
10. Essendo i ricorsi proposti nell'interesse di G.C., E.C., C.F.T. , R.P., M.DP. e S.DP. inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedi mento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente a A.C., per essere il reato estinto per morte dell'imputato.
Dichiara inammissibili i ricorsi di G.C., E.C., C.F.T. , R.P., M.DP. e S.DP. e li condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 18 marzo 2021