Cassazione Civile, Sez. 3, 11 maggio 2021, n. 12433 - Tetto pericolante e caduta mortale del lavoratore. Erronea determinazione del danno
Presidente: SCARANO LUIGI ALESSANDRO
Relatore: DELL'UTRI MARCO Data pubblicazione: 11/05/2021
Ritenuto che
con sentenza resa in data 27/8/2018, la Corte d'appello di Venezia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da M.G., F.G. e V.U.G., a seguito del decesso del loro congiunto, MA.G., verificatosi quale conseguenza dell'attività lavorativa da quest'ultimo prestata alle dipendenze della ditta di R.T., ha condannato il R.T. al risarcimento dei danni sofferti dagli attori;
con la stessa decisione, la corte d'appello ha confermato la decisione del primo giudice nella parte in cui ha rigettato la domanda proposta da M.G., F.G. e V.U.G., nei confronti della Pilkington Italia s.p.a., quale committente i lavori in occasione dei quali si era verificato il fatto dannoso dedotto;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva accertato la responsabilità del datore di lavoro nella causazione dell'infortunio del proprio dipendente, nonché nella parte in cui aveva escluso che la condotta di quest'ultimo, in occasione del fatto, fosse consistita in una circostanza del tutto imprevedibile ed abnorme, sì da escludere il nesso di causalità tra la condotta colpevole del datore di lavoro e il danno nella specie verificatosi;
sotto altro profilo, la corte territoriale ha evidenziato l'infondatezza della domanda risarcitoria proposta nei confronti della Pilkington Italia s.p.a., attesa l'incidenza riflessa al riguardo assunta dal giudicato formatosi a seguito della decisione emessa sulla domanda risarcitoria direttamente proposta dal lavoratore infortunato; giudicato nella specie suscettibile di essere esteso anche ai soggetti estranei al giudizio in relazione alle domande da essi fondate su fatti da quel giudicato direttamente dipendenti;
avverso la sentenza d'appello R.T. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d'impugnazione, illustrati da successiva memoria;
M.G., F.G. e V.U.G. resistono con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale sulla base di due motivi d'impugnazione;
nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;
Considerato che,
con il primo motivo del ricorso principale, R.T. si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 112 c.p.c. (in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sui motivi di appello proposti con riguardo all'erronea determinazione del danno liquidato dal primo giudice, nonché per aver erroneamente valutato l'incidenza causale del comportamento tenuto dal lavoratore in occasione del fatto illecito dedotto in giudizio, escludendo senza adeguata giustificazione, il relativo carattere del tutto imprevedibile e abnorme;
il primo motivo è solo parzialmente fondato, nei limiti appresso indicati;
dev'essere al riguardo effettivamente attestato come la corte territoriale non abbia in alcun modo provveduto ad esaminare la censura proposta in appello dal R.T. con riguardo alla (supposta) erronea determinazione del danno liquidato in favore degli originari attori, in tal modo incorrendo nella violazione dell'art. 112 c.p.c. espressamente denunciata dal ricorrente;
da tale premessa deriva la necessaria cassazione della sentenza impugnata su tale punto, con il conseguente rinvio alla Corte d'appello di Venezia affinché provveda alla decisione sulla censura non esaminata;
deve, viceversa, ritenersi inammissibile la questione concernente la valutazione dell'incidenza causale del comportamento tenuto dal lavoratore infortunato sulla provocazione dei danni dallo stesso subiti;
osserva al riguardo il Collegio come, con il motivo in esame, il ricorrente - lungi dal denunciare l'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge - si sia limitato ad allegare un'erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all'esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l'aspetto del vizio di motivazione (c:fr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l'eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente il R.T. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo, avendo contestato la valutazione discrezionale operata dalla corte territoriale circa l'avvenuta esclusione di alcun ruolo eziologico (ossia non abnorme, né imprevedibile) del comportamento tenuto dal lavoratore danneggiato in occasione del fatto illecito, né avendo il ricorrente articolato adeguatamente le proprie considerazioni in ordine all'eventuale decisività delle circostanze e dei fatti dedotti in ricorso asseritamente non considerati o non adeguatamente interpretati dal giudice di merito;
nel caso di specie, pertanto, al di là del formale richiamo, contenuto nell'epigrafe del motivo d'impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l'ubi consistam delle censure sollevate dall'odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell'interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un'argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d'impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall'art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell'omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
con il secondo motivo, il R.T. censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 2087 c.c., nonché degli artt. 16 e 70 del d.p.r. n. 164/1956 (in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente attribuito la responsabilità del fatto dannoso al comportamento del datore di lavoro, atteso, nel caso di specie, l'avvenuto adempimento, da parte dello stesso, di tutte le misure idonee a impedire il danno, nella specie verificatosi per l'esclusiva ed abnorme responsabilità del lavoratore infortunato;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, anche in relazione alle censure in esame, il ricorrente si sia limitato a una non consentita invocazione della rivalutazione nel merito dei fatti di causa concernenti l'effettiva adeguatezza del comportamento cautelare tenuto dal datore di lavoro in occasione dell'infortunio occorso al lavoratore;
nell'articolazione critica della doglianza, infatti, il ricorrente ha del tutto trascurato di argomentare in modo adeguato la pretesa decisività delle circostanze di fatto dedotte in ricorso, a fronte della piena congruità logico-giuridica del discorso sul punto dipanato nella motivazione della sentenza impugnata, che ha opportunamente segnalato il carattere gravemente imprudente, da parte del datore di lavoro, della circostanza consistita nel non aver impedito che i propri dipendenti (tra cui il MA.G.) raggiungessero il tetto del capannone sul quale dovevano essere eseguiti i lavori; tetto nell'occasione in nessun modo praticabile in sicurezza senza la preventiva adozione di alcuna precauzione idonea a cautelarne ogni (ragionevolmente prevedibile) imprudenza dei lavoratori coinvolti;
con il terzo motivo, il R.T. si duole della nullità della sentenza impugnata violazione degli artt. 101 e 183 c.p.c. (in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale deciso sulla base di un fatto (l'asserita mancata comprensione, da parte del lavoratore infortunato, delle ammonizioni allo stesso rivolte dal datore di lavoro immediatamente prima della verificazione del fatto), mai concretamente sottoposto al contraddittorio delle parti, e in relazione al quale non era stata conseguentemente condotta alcuna attività istruttoria;
il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza e di decisività; osserva al riguardo il Collegio come, con riguardo alla censura in esame, debbano ribadirsi le medesime considerazioni svolte a proposito della decisione del secondo motivo: ossia, l'avere la corte territoriale attribuito una decisiva e dirimente rilevanza alla circostanza consistita nell'avere il R.T. imprudentemente consentito il raggiungimento, da parte dei propri dipendenti, di un tetto assolutamente pericolante (perché in cattivo stato ed estremamente scivoloso) senza l'adozione di alcuna cautela idonea a prevenirne eventuali cadute dall'alto; ciò che confina nell'assoluta irrilevanza la circostanza dell'eventuale comprensione, da parte del lavoratore infortunato, dell'ammonimento di rimanere fermo sul tetto senza muoversi; fatto che, in ogni caso, la stessa corte d'appello ha ritenuto irrilevante, sottolineando la circostanza della persistente prevedibilità di un comportamento imprudente dei lavoratori condotti sul tetto, a prescindere dagli ammonimenti ricevuti (cfr. pp- 8-9);
con il quarto motivo, il R.T. censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 2909 c.c. (in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale adombrato il carattere vincolante del giudicato formatosi sulla vicenda oggetto dell'odierno esame a seguito della mancata impugnazione della sentenza del giudice del lavoro precedentemente pronunciato sulla domanda risarcitoria avanzata dal medesimo lavoratore infortunato, senza avvedersi della mancata impugnazione, e del conseguente passaggio in giudicato, dell'affermazione emessa dal tribunale nel corso dell'odierno giudizio, circa il carattere non vincolante dell'accertamento contenuto in tali decisioni;
il motivo è infondato;
fermo quanto si dirà in relazione all'esame dei motivi del ricorso incidentale (segnatamente con riguardo alla suscettibilità, dell'affermazione del primo giudice circa la non vincolatività del giudicato esterno, ad assumere a sua volta veste di giudicato) vale osservare come la corte territoriale non abbia affatto attribuito l'efficacia propria del giudicato esterno alla decisione sul punto assunta dal giudice del lavoro, essendosi limitata unicamente a considerarne i contenuti sul piano della delibazione condotta alla stregua di una mera prova documentale (o atipica), avendo piuttosto proceduto ad argomentare in fatto sui presupposti e le ragioni concrete della responsabilità del datore di lavoro in ordine alla provocazione dell'infortunio occorso;
in forza di tale premessa, deve escludersi la fondatezza dell'odierna censura nella parte in cui attribuisce al giudice a quo il preteso avvenuto riconoscimento del carattere vincolante del giudicato formatosi a seguito del giudizio celebratosi dinanzi al giudice del lavoro;
con i due motivi dell'impugnazione incidentale, M.G., Fa nel G. e V.U.G., censurano la sentenza impugnata per violazione dell'art. 3, co. 8, lett. a), e degli artt. 5, 6 e 12, del d.lgs. n. 494/96; degli artt. 1218, 2043 e 2098 c.c., nonché dell'art. 2909 c.c. (in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente attribuito efficacia di cosa giudicata (in ordine al difetto di alcuna responsabilità della società committente i lavori in occasione dei quali si era verificato l'infortunio in esame) alla decisione sul punto emessa dal giudice del lavoro sulla domanda separatamente proposta dal lavoratore infortunato, attesa, da un lato, la mancata impugnazione della negazione di tale efficacia di giudicato riconosciuta dal giudice di primo grado (peraltro coerente col dato della totale estraneità degli odierni ricorrenti incidentali a detto giudizio) e, dall'altro, la mancata impugnazione della sentenza emessa dal giudice del lavoro per l'evidente difetto di interesse degli odierni ricorrenti incidentali, in quanto pienamente soddisfatti dalla condanna emessa, in proprio favore, a carico del datore di lavoro e della relativa compagnia assicuratrice;
entrambi i motivi del ricorso incidentale - congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione - sono infondati;
preliminarmente segnalare la correttezza della decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile, al caso di specie, il principio della c.d. efficacia riflessa del giudicato (principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte) ai sensi del quale, in tema di effetti del giudicato, la sentenza che sia passata in giudicato, oltre ad avere un'efficacia diretta tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, ne ha anche una riflessa, poiché, quale affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo nei quali sia stata resa qualora essi siano titolari di diritti dipendenti dalla situazione definita in quel processo, o comunque subordinati a questa (Sez. 6 - 2., Ordinanza n. 21240 del 28/08/2018, Rv. 650353 - 01; Sez. L, Sentenza n. 2137 del 31/01/2014, Rv. 629926 - 01);
più in particolare, occorre ritenere che l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non estende i suoi effetti, né è vincolante, nei confronti dei terzi, ma, quale affermazione obiettiva di verità, è idoneo a spiegare efficacia riflessa verso soggetti estranei al rapporto processuale, allorquando il terzo sia titolare di una situazione giuridica dipendente o comunque subordinata, sempreché il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo e indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile, in tale evenienza, che egli, salvo diversa ed espressa indicazione normativa, ne possa ricevere pregiudizio giuridico o possa avvalersene a fondamento della sua pretesa (Sez. 3, Sentenza n. 15599 del 11/06/2019, Rv. 654346 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 5411 del 25/02/2019, Rv. 652762 - 02);
nel caso di specie, del tutto correttamente il giudice a quo ha ritenuto l'efficacia riflessa del giudicato formatosi a seguito della pronuncia del giudice del lavoro, sul presupposto che le conseguenze dannose dedotte in giudizio dai congiunti del lavoratore infortunato fossero direttamente e immediatamente derivate, con carattere di stretta dipendenza, dallo stesso fatto (l'infortunio del congiunto per fatto della società committente i lavori) accertato (negativamente) nel processo celebrato dinanzi al giudice del lavoro, con la conseguente piena integrazione, nel caso di specie, di una situazione giuridica - quale quella in capo agli odierni ricorrenti incidentali - certamente dipendente, o comunque strettamente subordinata, a quella oggetto del giudicato esterno richiamato in questa sede;
ciò posto, le censure sollevate dai ricorrenti incidentali, circa l'ormai definitiva irretrattabilità della questione concernente l'inefficacia del giudicato esterno nel caso di specie (non essendo stata impugnata la corrispondente affermazione del giudice di primo grado), devono ritenersi del tutto prive di fondamento, poiché la decisione del giudice di primo grado (che avrebbe ritenuto non vincolante il giudicato esterno formatosi a seguito del giudizio direttamente proposto dal lavoratore nei confronti della società committente i lavori) non è in alcun modo suscettibile di passare a sua volta in giudicato, dovendo ritenersi decisiva la considerazione (argomentata sulla scia dell'insegnamento delle Sezioni Unite della corte di legittimità: v. Sez. U, Sentenza n. 226 del 25/05/2001, Rv. 548189 - 01, e succ. conf.) secondo cui, poiché nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell'istanza di parte solo dall'esistenza di una eventuale specifica previsione normativa, l'esistenza di un giudicato esterno, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Del resto, il giudicato interno e quello esterno non solo hanno la medesima autorità che è quella prevista dall'art. 2909 cod. civ. ma corrispondono entrambi all'unica finalità rappresentata dall'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l'autorità del giudicato riconosciuta non nell'interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell'interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi - nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile - per l'intera comunità. Più in particolare, il rilievo dell'esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito. Da ciò consegue che, in mancanza di pronuncia o nell'ipotesi in cui il giudice di merito abbia affermato la tardività dell'allegazione - e la relativa pronuncia sia stata impugnata - il giudice di legittimità accerta l'esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice del merito (v. altresì Sez. 3, Sentenza n. 19136 del 29/09/2005, Rv. 586442 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 1153 del 27/01/2003, Rv. 560002 - 011, secondo cui "in sede di legittimità il giudicato, sia pure 'esterno', non solo è rilevabile di ufficio, ma va individuato nella sua portata indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice di merito, in quanto il divieto di bis in idem ha carattere pubblicistico e le relative questioni sono assimilabili a quelle 'di diritto' anziché 'di fatto', sicché in materia il sindacato della Corte di cassazione non è limitato alla verifica della congruità della motivazione, sul punto, della sentenza impugnata, ma si estende, con pienezza di cognizione, all'accertamento sia dell'esistenza sia del contenuto del giudicato");
da tali considerazioni discende la coerente conseguenza per cui l'indisponibilità del giudicato per le parti private comporta che il giudice, anche in assenza di alcuna impugnazione sull'eventuale affermazione contenuta in una sentenza attestante il carattere non vincolante di un giudicato esterno per le parti in lite, ha comunque il dovere di considerare detto giudicato esterno e trarne le conseguenze che ne derivano secondo legge, anche in dissenso rispetto al giudice di grado inferiore; quanto infine alle ulteriori considerazioni argomentate dai ricorrenti incidentali (in ordine alla 'presunta' inammissibilità per carenza di interesse dell'eventuale impugnazione che il lavoratore avrebbe potuto spiegare avverso l'assoluzione pronunciata dal giudice del lavoro in favore della società committente i lavori), è appena il caso di rimarcare l'assoluta irrilevanza delle ragioni che hanno indotto il lavoratore infortunato, nel giudizio proposto dinanzi al giudice del lavoro, a rinunciare all'impugnazione della decisione che aveva riconosciuto l'assenza di alcuna responsabilità della società committente i lavori in relazione al fatto dannoso verificatosi, rilevando unicamente il dato obiettivo della mancata impugnazione di una statuizione decisoria sui fatti dedotti in giudizio;
sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la parziale fondatezza del primo motivo del ricorso principale (nei termini più sopra specificati), disattesi i restanti motivi del ricorso principale e i motivi del ricorso incidentale, dev'essere disposta - accanto al rigetto del ricorso incidentale - la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo del ricorso principale accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale nei limiti di cui in motivazione; dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo del ricorso principale; rigetta il quarto motivo delI ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo del ricorso principale accolto, e rinvia alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 17/2/2021.