Cassazione Penale, Sez. 4, 14 maggio 2021, n. 18961 - Sfruttamento del lavoro


 

Presidente: MENICHETTI CARLA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 26/01/2021
 

 

Fatto




1.Il Tribunale per il riesame di Catanzaro, adito ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., il 25 giugno - 23 luglio 2020 ha rigettato la richiesta di riesame avverso l'ordinanza con cui il G.i.p. del Tribunale di Castrovillari il 22 maggio 2020 ha applicato a G.M., indagato per violazione dell'art. 603-bis cod. pen. (capo n. 31 dell'editto) la misura cautelare degli arresti domiciliari.

2. Secondo la prospettazione della pubblica accusa, recepita dai decidenti, il ricorrente, imprenditore agricolo titolare della omonima ditta individuale, avrebbe assunto ed impiegato presso l'azienda più lavoratori sottoponendoli a condizioni di sfruttamento, sotto vari profili precisati nel capo di imputazione, ed approfittando dello stato di bisogno in cui essi - immigrati clandestini giunti in Italia solo per poter raccogliere denaro da inviare in patria alle famiglie - versavano; ciò mediante l'attività di intermediazione di M.A., "subcaporale" di G.A.; nell'aprile-maggio 2018.
Il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto sussistente l'esigenza cautelare di evitare il rischio di recidiva e necessaria, adeguata e proporzionata la misura degli arresti domiciliari applicata all'indagato dal G.i.p.

3. Ricorre per la cassazione dell'ordinanza G.M., tramite difensori di fiducia, affidandosi a tre motivi, con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e vizio motivazionale, anche sotto il profilo della omissione di motivazione.
3.1. In particolare, con il primo motivo lamenta violazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 603-bis, comma 3, nn. 1, 2, 3 e 4, cod. pen., per insussistenza della gravità indiziaria circa la condotta di sfruttamento e per omessa motivazione.
Rammentato da parte del ricorrente che il Tribunale per il riesame ha ritenuto sussistenti tutti e quattro gli "indici di sfruttamento" (1. reiterata corresponsione di retribuzioni in maniera palesemente difforme dai contratti collettivi; 2. reiterata violazione della normativa sull'orario di lavoro, sui periodi di riposo, sul riposo settimanale, sulle ferie etc.; 3. violazioni delle norme in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro; 4. sottoposizione a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o situazioni di alloggio degradanti) e che la condizione di sfruttamento risulta integrata solo da uno degli indici, assume il ricorrente che sia l'ordinanza genetica sia quella del Tribunale per il riesame siano del tutto carenti in ordine all'indagine logico-giuridica concernente la sussistenza, sotto il profilo indiziario, degli indici rilevatori.
Non sarebbero state accertate le effettive e concrete modalità lavorative eventualmente espletate dai lavoratori indicato nel capo di accusa presso l'azienda M., non sarebbero emersi elementi indicativi di metodi di sorveglianza o di situazioni alloggiative degradanti né violazioni delle norme in materia di sicurezza o di igiene nei luoghi di lavoro in costanza dell'attività lavorativa svolta asseritamente presso la ditta M.: in conseguenza, l'ordinanza sarebbe da annullare per omessa motivazione o per violazione dell'art. 273 cod. proc. pen.
Difetterebbe il requisito normativo della reiterazione quanto alla eventuale corresponsione di retribuzioni difformi, per difetto, rispetto ai contratti collettivi o, comunque, sproporzionata rispetto alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato e la eventuale violazione della normativa sull'orario di lavoro e sui periodi di riposo, mancando una pluralità di condotte poste in essere nel corso del tempo.
Il Tribunale per il riesame non si sarebbe minimamente confrontato con la struttura oggettiva del reato contestato.
Le dichiarazioni del "sub-caporale" M.A., fermato dalla polizia giudiziaria mentre guidava un automezzo con a bordo dieci lavoratori, e quelle di quattro braccianti sarebbero generiche, non ricavandosi dalle stesse né per quanto tempo ebbero a prestare attività lavorativa presso l'azienda agricola di M. né se vi abbiano lavorato solo il giorno 18 aprile 2018 ovvero anche in altri giorni: in conseguenza, non potrebbe dirsi se via stata reiterata corresponsione di retribuzioni inferiori a quelle previste dai contratti collettivi o reiterata violazione della normativa sull'orario di lavoro o sproporzione della retribuzione rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato.
3.2. Con il secondo motivo censura violazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 603-bis, comma 3, nn. 1, 2, 3 e 4, cod. pen., per insussistenza della gravità indiziaria circa la condotta di sfruttamento e per illogicità della motivazione.
Richiamate le circostanza fattuali relative al controllo operato dalla polizia giudiziaria il 18 aprile 2018 del veicolo, di proprietà di E.V., nell'occasione condotto da M.A., con a bordo dieci lavoratori, il contenuto dell'intercettazione tra lo stesso M.A. e G.A., in cui si fa riferimento ad un certo "Gianni" (per la p.g. G. M.) e le dichiarazioni della persona informata sui fatti S.V., si riferisce la motivazione in punto di gravità indiziaria svolta dal Tribunale per il riesame (alla p. 4), sottolineando che la stessa non farebbe riferimento alla «posizione specifica dell'odierno ricorrente [...] il Tribunale di Catanzaro ha incentrato il contenuto delle proprie argomentazioni sulla esistenza, o meno, di un'attività di intermediazione di manodopera illecita da altri realizzata, non fornendo argomentazione alcuna sulle ragioni e sugli elementi specifici muovendo dai quali fosse possibile argomentare una condotta di "sfruttamento", in qualità di utilizzatore, ascrivibile a/l'odierno ricorrente [...] l'ordinanza de qua si profond[e] in mere asserzioni che non assurgono al livello di indizi sufficienti» (così alle pp. 9-10 del ricorso).
In particolare, "neutre", rispetto alla specifica posizione di G.M., sarebbero le dichiarazioni di S.V., mentre inconcludente sarebbe il riferimento, nella conversazione tra M.A. e G.A., a "Gianni", mancando «eventuali altri elementi indiziari dai quali poter ricavare per un verso che detto incontro vi sia stato e, per altro verso, che l'G.A., per il tramite dell'M.A., abbia fornito manodopera al M.» (così alla p. 11 del ricorso); e tutti i lavoratori trasportati e controllati dalla p.g. il 18 aprile 2018 hanno dichiarato di lavorare per M.A. e di ricevere il denaro direttamente da quest'ultimo, solo alcuni conoscendo tale "G.".
Difetterebbe, in conseguenza, il requisito della gravità indiziaria, non essendo emerso se i braccianti abbiano prestato attività lavorativa presso l'azienda di M. solo quel giorno ovvero anche altri giorni, né che siano state reiteratamente corrisposte retribuzioni palesemente difformi dai contratti collettivi né se gli operai usufruissero di riposi o di ferie né se siano stati sottoposti a trattamenti degradanti né se vi sia stata violazione delle norme sulla sicurezza e sull'igiene nei luoghi di lavoro.
Difetterebbe, in ogni caso, la prova di «un rapporto "duale" di "reclutamento-impiego" tra l'G.A. ed il M.» (così alla p. 14 del ricorso).
Infine, il Tribunale per il riesame non si sarebbe confrontato con le allegazioni difensive, sub specie di verbali dell'Ispettorato del lavoro del maggio 2019 (allegati al ricorso), dai quali non è emersa alcuna irregolarità.
3.3. Mediante l'ultimo motivo G. M. si duole della ritenuta violazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. e di omessa motivazione sotto il profilo della conferma delle valutazioni del G.i.p. quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla adeguatezza e proporzionalità esclusivamente della misura degli arresti domiciliari.
3.3.1. Nonostante il richiamo da parte dei giudici di merito alla "replicazione" (p. 13 del ricorso) di quanto già accaduto nel 2017, essendo stato M. già denunziato in tale anno per violazione del'art. 603-bis cod. pen. in procedimento di cui - si sottolinea nel ricorso - non si conosce l'esito, difetterebbe l'attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione del reato, non essendovi alcuna prova del rapporto di "reclutamento-impiego" tra M. ed G.A. né della «eventuale "perduranza" della condotta del prevenuto» (così alla p. 14 del ricorso), in ogni caso fermandosi - al più tardi - la condotta all'11 maggio 2018, giorno della telefonata tra G.A. e M.A. e nessuna irregolarità essendo emersa dai controlli dell'Ispettorato del lavoro effettuati sia prima (nel 2017) che dopo (nel 2019).
3.3.2. Sotto il profilo dell'adeguatezza della misura prescelta, il provvedimento impugnato, che richiama l'esigenza di impedire la riorganizzazione dell'attività illecita, ingaggiando altri "caporali", sarebbe illogico nella misura in cui M. non è inserito in un contesto organizzato né ha contatti con il presunto "caporale" G.A..
Sarebbe stata comunque trascurata l'incensuratezza dell'indagato, imprenditore corretto nei cui confronti nell'anno 2019 l'Ispettorato del lavoro non ha mosso alcuna contestazione e che risulta documentalmente avere rispettato appieno le normative anti-Covid (all. n. 5 al ricorso).
3.4. Rappresenta, infine, il ricorrente che il Tribunale per il riesame di Cosenza, adito dalla difesa ex art. 324 cod. proc. pen., con ordinanza del 29 giugno 2020, che si richiama e che si allega (all. n. 6 al ricorso), ha annullato il provvedimento per mancanza del fumus del reato contestato.
Si chiede, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

4. Il Procuratore Generale della S.C. nelle proprie conclusioni scritte dell'8 gennaio 2021 (rassegnate ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176) ha chiesto il rigetto del ricorso.

S. Il difensore dell'indagato ha ulteriormente illustrato il ricorso con memoria scritta.

 

Diritto



1.Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Quanto al tema della gravità indiziaria, l'ordinanza impugnata si concentra sulla condizione di clandestinità dei lavoratori, che si indicano come disposti a lavorare in condizioni estremamente disagevoli, valorizzando i seguenti elementi (p. 3-5):
una telefonata tra due ritenuti "caporali" (G.A. e M.A.) che dicono di dover andare a parlare con "Gianni" perché "hanno un po' di persone"; "Gianni", che viene successivamente chiamato per esteso "M. G.", è descritto come avaro ("paga poco") e "tiene 500 o 600 persone";
le dichiarazioni di M.A., che, fermato dalla polizia giudiziaria il 18 aprile 2028 alla guida di un furgone con a bordo dieci persone con abiti da lavoro sporchi di fango, ha dichiarato di avere lavorato, insieme ai braccianti, per G. M. in Basilicata; a bordo del veicolo vi era un appunto scritto con l'indicazione dell'azienda di M. G.; sentiti quattro dei trasportati, ritenuti attendibili, hanno detto di lavorare non per M., con il quale non avevano alcun contatto, ma per M.A., «il quale a sua volta veniva retribuito "dall'italiano G."», ricevendo 25,00 euro al giorno in contanti per nove ore lavorative raccogliendo fragole; ed a proposito della riferita entità del compenso, i giudici di merito specificano che esso è al di sotto dei 37,50 euro per 6,30 ore a giorno del contratto collettivo della provincia di Matera (p. 5 della sentenza impugnata);
inoltre, le dichiarazioni di S.V., responsabile di un'agenzia per il lavoro, che non ha fatto nessun riferimento a G. M. ma che ha detto che era M.A. ad occuparsi personalmente di far iscrivere i braccianti alla sua agenzia e che con molti braccianti extracomunitari mandati da G.A. hanno avuto problemi perché privi di permesso di soggiorno.
Ebbene, dopo essersi soffermata sugli elementi indiziari a carico di M.A. e di G.A., l'ordinanza si concentra sulla situazione di clandestinità dei lavoratori descrivendola come immediatamente percepibile (p. 5), trattandosi di persone provenienti da paesi extracomunitari poverissimi, molti dei quali non parlanti la lingua italiana, disposti ad accettare qualsiasi condizione pur di lavorare ed i risparmi alle famiglie, quindi, non in condizione di contrattare.
2.1. Si tratta di ragionamento non incongruo né illogico e che, complessivamente considerato, tenuto conto della inevitabile fluidità che connota la fase investigativa, resiste alle riferite censure difensive, censure, peraltro, in parte aspecifiche (non confrontandosi con la valenza indiziaria dell'appunto trovato in auto né con l'essere nel corso di una telefonata intercettata "Gianni" evocato espressamente come "M. G.") ed in parte meramente avversative .
2.2. Quanto all'eventuale valore da attribuirsi alla motivazione dell'ordinanza del Tribunale per il riesame di Cosenza, si osserva quanto segue:
a) in primo luogo, non può certo attribuirsi aprioristica prevalenza alle valutazioni di un Ufficio giurisdizionale di merito rispetto a quelle svolte da un altro Ufficio, entrambi chiamati, a breve distanza di tempo, per effetto delle diverse regole procedurali in tema di cautele reali e personali, ad occuparsi di una vicenda che è - sì - unitaria ma sotto angoli prospettici diversi; b) inoltre, il provvedimento favorevole alla difesa è cronologicamente successivo a quello impugnato, sicché il Tribunale per il riesame di Catanzaro, riservata la decisione all'udienza camerale del 25 giugno 2020, nulla poteva sapere circa le determinazioni che avrebbe adottato quattro giorni dopo il Tribunale di Cosenza;
e) infine, l'impugnazione mira - ma inammissibilmente - ad introdurre per la prima volta nel giudizio di legittimità un documento (cioè l'ordinanza del Tribunale per il riesame di Cosenza, il cui contenuto argomentativo appare favorevole alla difesa) che non è stato precedentemente sottoposto, perché non ancora esistente, alla valutazione del giudice la cui decisione si contesta.

3. Quanto alle doglianze in punto di esigenze cautelari, l'ordinanza impugnata (pp. 5-6) valorizza l'essere stato G.M. già denunciato per "caporalato" in relazione ad un episodio del 28 febbraio 2017 (nota n. 2, p. 5: la polizia giudiziaria nell'occasione aveva fermato M.A. che guidava un veicolo di proprietà di G.A. con a bordo lavoratori che, reclutati da M.A., tornavano dopo avere lavorato per G.M. G.) e l'essersi rivolto alla intermediazione illecita di un personaggio come G.A., dimostrando così "la sua avulsione alle regole" e ritiene adeguata la misura degli arresti domiciliari.
Il riferimento alla ritenuta gravità del fatto (p. 6 dell'ordinanza) risolve, sia pure implicitamente, il possibile rilievo dell'incensuratezza dell'indagato.
La scelta della misura risulta - non irragionevolmente - determinata dalla residenza dell'indagato "proprio ove ha sede l'impresa" (p. 8), in relazione al ravvisato pericolo di recidiva.
Si tratta di motivazione sufficiente, non incongrua né illogica e che resiste alle riferite censure difensive.

4. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge, al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/01/2021.