Corte di Appello di Milano, Sez. Lav., 22 marzo 2021, n. 475 - Mobbing in Teatro


 


N. R.G. registro generale appello lavoro 983/2018

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI MILANO SEZIONE LAVORO

nelle persone dei seguenti magistrati:
dr. Giovanni Picciau Presidente dr. Giovanni Casella Consigliere
dr Maria Di Paolo Giudice Ausiliario relatore ha pronunciato la seguente
SENTENZA



nella causa civile in grado di appello avverso la sentenza n 2832/2017 del Tribunale di Milano iscritta al n. r.g. 983/2018 estensore Giudice dr.ssa Dossi discussa all’udienza collegiale del 22 marzo 2021 ,promossa da (C.F. R), con il patrocinio dell’avv. CARTA EMANUELE e dell’avv. CARUSO SEBASTIANO BRUNO elettivamente domiciliato in VIA PERUGINO, 9 20135 MILANO presso il difensore avv. CARTA
APPELLANTE

CONTRO

FONDAZIONE TEATRO ALLA SCALA DI MILANO (C.F. 00937610152), con il patrocinio dell’avv. RAMPOLLA AMEDEO e dell’avv. CORBANI RICCARDO elettivamente domiciliato in VIA BORGOGNA, 8 20122 MILANO presso il difensore avv. RAMPOLLA
APPELLATO

I procuratori delle parti, come sopra costituiti, così precisavano le
 

CONCLUSIONI
contrariis reiectis, riformare l’impugnata sentenza emessa dal Tribunale di Milano, in persona del Giudice dottoressa Giulia Dossi, distinta dal numero 2832/2017, pubblicata il 29 gennaio 2018, non notificata, solo nella parte in cui non ha accolto le domande proposte in primo grado dalla ricorrente G., confermandola in ordine al riconoscimento che la Fondazione Teatro alla Scala di Milano ha posto in essere, nei confronti della ricorrente, condotte in violazione dell'art. 2087 c.c., che hanno provocato un danno non patrimoniale alla sua persona, condannando la medesima Fondazione al risarcimento di detto danno; in particolare,cosi statuire:1. accertata la responsabilità della Fondazione Teatro alla Scala di Milano, con sede in Milano,via Filodrammatici, 2, in persona del suo Presidente in carica, quale datore di lavoro, a cagione dei descritti comportamenti, ascrivibili a mobbing, ovvero, quantomeno, a straining ed, in ogni caso, posti in essere in violazione degli obblighi derivanti al datore di lavoro dall’art. 2087 del c.c., della richiamata normativa a tutela della salute del lavoratore e del Codice Etico, adottato dal Teatro ed anch’esso richiamato; accertato il nesso causale tra i descritti comportamenti datoriali ed i denunciati danni alla persona ed alla professionalità. Condannare la predetta Fondazione Teatro alla Scala di Milano, in persona del suo fidente in carica, a risarcire, per le esposte causali, in favore della ricorrente: tonfai danno non patrimoniale alla persona (costituto dal danno biologico, da quello esistenziale e da quello morale) quantificato nella somma di € 127.695.70 ovvero nella diversa somma, maggiore o minore che la Corte d’Appello dovesse ritenere dovuta, anche in relazione ad un diverso criterio di determinazione, anche temporale e di quantificazione dei singoli aspetti del danno non patrimoniale alla persona; oltre, in ogni caso, interessi e rivalutazione monetaria dalla data del sorgere del credito al soddisfo; b) il danno patrimoniale per perdita di chance, quantificato, in via equitativa, alla data di cessazione del rapporto di lavoro, nella somma di € 66.824.96. pari alle differenze retributive tra il trattamento economico ricevuto e quello di pertinenza della prima ballerina, quantificate nella perizia contabile versata agli atti del giudizio di primo grado, accresciute dagli interessi e dalla rivalutazione monetaria; bl) nonche nelle ulteriori somme che la ricorrente avrebbe percepito, sino alla data della pronuncia e a titolo di trattamento -pensionistico, ove ella fosse andata in quiescenza con la qualifica di prima ballerina; b2) ovvero, in via subordinata, quantificando il danno patrimoniale per perdita di chance secondo il diverso criterio prescelto dalla Corte d’Appello e nella diversa misura rispetto a quanto sopra richiesto sub b) e bl); b3) somme, in ogni ipotesi, tutte da accrescere con i maggiori importi dovuti per interessi e rivalutazione monetaria dal sorgere dei singoli crediti al soddisfo; c) il danno patrimoniale per lesione accertata da mobbing (c.d. LAM), quantificato nella somma di € 70.280.85 ovvero nella diversa somma, maggiore o minore, che la Corte d’Appello dovesse ritenere dovuta, per la medesima causale oltre, in ogni caso, interessi e rivalutazione monetaria dalla data del sorgere del credito al soddisfo (il risarcimento di questa ultima voce di danno viene richiesto per il caso in cui la Corte dovesse ritenerla cumulabile con il risarcimento da perdita di chance);d) detrarre, in ogni caso, dal maggiore risarcimento al quale auspicabilmente sara condannata la Fondazione appellata in favore di o, a titolo di danno non patrimoniale, la somma, pari a complessivi € 30.000.00, liquidata dal Tribunale in suo favore e gia versata dalla Fondazione Teatro alla Scala di Milano.Con ogni conseguente regolamento delle spese legali inerenti Fintero giudizio. Per l’effetto: -t ' condannare la Fondazione resistente al pagamento delle spese del primo grado, in misura maggiore di quanto disposto dal Tribunale comprensiva, in ogni caso, dell’intera spesa relativa alla consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado (posta, nella sentenza impugnata, per meta a carico di ciascuna delle parti);- condannare la Fondazione resistente al pagamento delle spese legali dell’odierno grado. Detrarre, in ogni caso, dalla somma auspicabilmente maggiore, a cui sarà condannata dalla Corte la Fondazione appellata, quanto già liquidato, al medesimo titolo, dal Tribunale e versato in favore di asso.

PER FONDAZIONE TEATRO ALLA SCALA DI MILANO Voglia l’Ill.mo Giudice adito, Rigettare nel merito il gravame in quanto infondato in fatto ed in diritto;Riformare la Sentenza nella parte in cui riconosce la sussistenza di un danno non patrimoniale in capo alla signora o, liquidato in euro 30.000, e per l’effetto accertare e dichiarare l’infondatezza di tale pretesa con condanna della ricorrente alla restituzione dell’importo anzidetto alla odierna appellata. Con vittoria di spese, competenze ed onorari, del doppio grado.



MOTIVI IN FATTO
 

La Sig.ra o, già ballerina nel corpo di ballo della Scala, collocata in quiescenza nel 2013, ha adito il Tribunale di Milano denunciando una serie di comportamenti vessatori posti in essere dalla Fondazione ai suoi danni nel corso del rapporto di lavoro. In sintesi, la G. ha lamentato la mancata attribuzione di ruoli importanti (nonostante fosse una professionista il cui talento era stato riconosciuto persino dal Nureyev, che la aveva voluta tra i suoi “ pupilli”) . Ciò aveva ostacolato la sua carriera, togliendole la possibilità di ricoprire la posizione di solista. Praticamente, ha affermato, dal 34^ anno di età le era stata sottratta qualsiasi possibilità di esibirsi sulle punte. A ciò si erano aggiunti comportamenti abbastanza “ pesanti “ da parte del datore di lavoro, segnatamente del Direttore , che la stessa riteneva, tra l’altro, causa della mancata assegnazione dei ruoli cui aspirava.
A causa di tale frustrante trattamento era entrata in una forte depressione, per cui era in cura dal 2005.
In ragione della situazione sopra descritta, aveva chiesto risarcimento danni a vario titolo: danno non patrimoniale alla persona, danno patrimoniale per perdita di chances, quantificato in relazione alla differenza retributiva tra stipendio in godimento e trattamento economico della prima ballerina, danno da mobbing.
E’ stata espletata una approfondita istruttoria orale ed una CTU medica.
A seguito dell’istruttoria orale il primo Giudice ha ritenuto provati gli atteggiamenti discriminatori lamentati dalla ricorrente.
Pur ammettendo che i criteri di scelta, nella professione della o, fossero discrezionali,( e certo non potesse darsi applicazione a principi di rotazione nella scelta dei ruoli delle varie rappresentazioni,) tuttavia dalle testimonianze era emerso che, almeno in vari casi, la non era stata scelta più per idiosincrasie personali che per problemi di merito artistico. Non ha però ravvisato in tali comportamenti intento persecutorio e strategia mirata, ossia gli elementi fondanti della fattispecie definita mobbing.
Respinta anche la domanda risarcitoria relativa alla perdita di chances, per difetto di allegazione e prova.
Ha, invece, ravvisato illecito ai sensi dell’art. 2087 cc.
La CTU ha riscontrato in effetti lo stato di malattia lamentato nel ricorso, ma ne ha individuato la causa nel “ vissuto “ anche psicologico della o. Il che ha impedito di accogliere la domanda relativa al risarcimento del danno alla salute. Rigettate anche le varie eccezioni di parte ricorrente sul procedimento seguito dal consulente.
Ha invece riconosciuto, sempre sulla base delle testimonianze, l’esistenza di danno esistenziale, ossia un peggioramento della vita di relazione della o, conseguente alle problematiche vissute sul luogo di lavoro. Per la sua quantificazione, ha ritenuto di poter procedere equitativamente, prendendo come riferimento le tabelle milanesi relative al danno biologico, segnatamente alla voce inabilità temporanea,nella misura del 10%. Il calcolo ha preso in considerazione tutto il periodo per il quale erano stati provati gli atteggiamenti discriminatori e vessatori del datore di lavoro, cioè dal 2005 fino al collocamento in quiescenza, giungendo a quantificare la somma dovuta in euro 30.000,00=.

La Sig.ra ha proposto appello per i motivi che di seguito si illustrano.

Fondazione alla Scala resiste difendendo la sentenza e contestando la ritenuta responsabilità ex art 2087 cc.

Il Collegio, accogliendo la richiesta di parte appellante, ha disposto una nuova CTU, il cui elaborato è stato depositato ed acquisito agli atti.
In osservanza delle linee guida emesse dalla Presidenza della Corte in attuazione delle disposizioni dettate per l’emergenza coronavirus, all’udienza del 22 marzo 2021, previa presentazione di note scritte, la causa è stata discussa e decisa come da dispositivo che si trascrive in calce
 

MOTIVI IN DIRITTO
L’appello è parzialmente fondato.
Come primo motivo di appello la censura il capo della sentenza che , accogliendo le conclusioni della CTU di primo grado, contestate, ha escluso il riconoscimento del danno alla salute. Reiterando le proprie censure relativamente al procedimento seguito dal consulente, osserva che la sussistenza di un determinato “ assetto” caratteriale non implica nulla in tema di insorgenza della malattia. Ogni malattia /stress deriva da reazioni a fattori esterni; in sostanza, si può essere più o meno fragili, ma questo non elimina il ruolo causale di una disgrazia o di un evento o di una serie di eventi sullo stato di salute.

Come secondo motivo di appello, contesta il capo della sentenza che ha rigettato la domanda di mobbing. Afferma che, se fosse corretto quanto ritenuto in sentenza, il lavoratore avrebbe di fronte una probatio diabolica in quanto non potrebbe mai provare l’intento persecutorio.
Il terzo motivo di appello è incentrato sulla quantificazione del danno esistenziale, sempre, comunque, ricondotto alla fattispecie mobbing o straining..
Contesta, infine, come quarto motivo di appello, il mancato riconoscimento della domanda relativa al danno per perdita di chance, il cui fondamento ritiene di aver provato nel corso dell’istruttoria orale.

Il primo motivo d’appello è fondato.

Il Collegio, accogliendo le osservazioni della o, ha disposto nuova CTU. Non è, in effetti, sostenibile che la sussistenza di un determinato vissuto possa escludere, anche solo in parte, la rilevanza causale di fatti illeciti comprovati ( nel caso di specie, gli atteggiamenti discriminatori e vessatori ) nel deterioramento dello stato di salute di colui che ne è vittima. Sicuramente ogni persona reagisce ad eventi stressogeni con diverse modalità, riconducibili, anche, al proprio carattere ed alle proprie esperienze; ma questo non è un motivo valido per escludere l’efficacia causale degli eventi stessi su uno stato di malattia, ove ne sia provata sia l’esistenza sia il nesso causale . Per fondare eventuale responsabilità è sufficiente, quindi, che la condotta, dolosa o colposa, dell’agente abbia avuto efficacia causale anche solo a livello di concausa, nella produzione dell’evento dannoso . “ come sottolineato da questa Corte , un evento dannoso è da considerarsi causato sotto il profilo materiale da un altro se, ferme restando le condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assensa del secondo… quando la sua condotta abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell’evento, l’agente deve rispondere per l’intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato “ ( Cass 13400 dell08. 6. 2007; n. 15183 del 19. 7. 2005)- Il noto principio della irrilevanza del fattore, anche se concausale, non interruttivo.

La nuova CTU, i cui esiti, sostanzialmente, non sono contestati dall’appellante, se non con riferimento alla quantificazione del risarcimento, ha completamente ribaltato quella svolta in primo grado.

E’ bene subito chiarire che la sussistenza di comportamenti lamentati, fonte di responsabilità ex art. 2087 cc, che la Fondazione nega, sono in realtà stati adeguatamente provati nel giudizio. Per la verità, la Fondazione nega la sua responsabilità in atto che, denominato “ memoria di costituzione ex art. 436 cpc “, non è stato notificato ( almeno, nel fascicolo non risulta prova della notifica) ma semplicemente depositato il 2. 11. 2018. Se, effettivamente, fosse stato proposto un appello incidentale, in difetto di notifica sarebbe inammissibili; come inammissibili sono le contestazioni della sentenza, nei capi che hanno visto la Fondazione soccombente, formulati in mera memoria di costituzione.
Tuttavia, si ritiene opportuno chiarire, in quanto la questione costituisce il fondamento della presente pronuncia.

Si condivide la valutazione svolta dal Tribunale sulle risultanze istruttorie e la conseguente riconosciuta sussistenza della violazione degli obblighi di cui all’art. 2087 cc da parte della Fondazione. Si è appurato come la sia stata esclusa da vari cast con frequenza effettivamente notevole . Si noti, come anche rilevato dal Tribunale, che la Fondazione non ha mai allegato, sul punto, circostanze atte a giustificare le esclusioni lamentate, come, in tesi, una cattiva forma fisica ( o un fisico inadatto comunque al particolare ruolo), una qualsiasi carenza nell’espressione artistica, o simili.
Significativo che a difesa della si erano mosse anche le Organizzazioni sindacali ( cfr testimonianza ; lettera della ex direttrice del corpo di ballo e). In particolare, la teste e, nel descrivere l’incontro che si era tenuto tra il Direttore e, il Sovrintendente, e , appunto, le rappresentanze sindacali, precisa che lo stesso Sovrintendente aveva sollecitato il Direttore ad impiegare maggiormente la o. , dopo aver cercato di attribuire la responsabilità delle esclusioni ai registi, era uscito dall’incontro molto seccato, dichiarando che a quel punto le cose sarebbero state più difficili per la o.
D’altra parte, il citato a, primo ballerino, racconta di aver egli stesso proposto la ad un regista nel ruolo di regina nella Bella Addormentata , ma questi aveva rifiutato. I motivi: la era “ vecchia” ( all’epoca non aveva ancora 40 anni) e poi non gradiva alcuni aspetti caratteriali della stessa . Lo scarso gradimento è espresso con un termine molto forte e poco garbato, che non si trascrive in sentenza ma è agli atti.

Che ciò concreti una manifesta violazione degli obblighi di correttezza e buona fede che gravano sul datore ( irrilevante, come è noto, che i singoli comportamenti siano riferibili direttamente alla figura del “ datore”, o a quella dei suoi dipendenti e collaboratori, di cui comunque risponde ex art. 2049 cc) è decisamente non contestabile. Né è contestabile che sia stato provato il nesso tra la situazione lavorativa e le “ reazioni “ ad essa della G. ( si legga la testimonianza di Garritano, che attesta chiaramente il patimento provato dalla o, così forte da influire nettamente sul suo modo di vivere e di relazionarsi con l’esterno).

Chiarito questo, il CTU individua nell uno stato di disturbo dell’adattamento con umore depresso di tipo persistente, di grado medio grave. Spiega come si tratti di un disturbo caratterizzato da sintomi emotivi di risposta a eventi stressanti identificabili . I fatti di causa, comprovati, vengono ritenuti, in termini quantitativi e qualitativi, idonei a rappresentarne causa ( il CTU, ad abundantiam, precisa anche che non sussistevano patologie pregresse ).
Con una serie di considerazioni specifiche ed approfondite, molto puntuali anche nel rispondere alle controdeduzioni di entrambe le parti, dando atto degli esami effettuati e della documentazione clinica esaminata ( che è allegata) il CTU accerta, quindi, lo stato di malattia, ( come il primo CTU) ma lo correla,dichiarandolo “ coerente”, allo stress subito in ambito lavorativo. Quantifica l’inabilità temporanea, protratta per 8 anni, nel 15% , i postumi invalidanti nella misura tra il 6 e il 10%.
Questo è il danno che deve, quindi essere risarcito.
Non può trovare ingresso alcun riconoscimento relativo alla successiva patologia ( carcinoma mammario) da cui la ricorrente è stata colpita, non risultando alcun nesso eziologico con la sofferenza psichica .

Per danno non patrimoniale da lesione del diritto alla salute deve intendersi l’insieme dei pregiudizi subiti dalla vittima, tutti, quindi sia come danno biologico che come sofferenza soggettiva . E’, tra l’altro, ovvio che qualsiasi lesione alla salute comporti sofferenza, fisica, psicologica , o di entrambi i tipi ( Cass 26972/2008). Per decidere sul suo ammontare, vanno acclarati, sulla base delle valutazioni medico legali, il carattere lesivo dei comportamenti contestati anche sotto il profilo della lesione alla dignità, ed i pregiudizi subiti a livello professionale, posto che lo svolgimento della professione è una delle forme in cui la personalità si esprime ( tanto più se si tratta, come in questo caso, di professione artistica).
Vero che la , come la Fondazione tende a rimarcare , presentando anche una specie di specchietto, ha preso parte a diversi, anche numerosi, spettacoli ( mai come solista); ma il punto non è questo.
La G. era una ballerina della Scala; è ovvio che abbia danzato in varie coreografie e spettacoli.
Nella domanda la stessa non si doleva che le fosse impedito di ballare , ossia di svolgere il proprio lavoro , per così dire, in via ordinaria, ma di “crescere”, di cimentarsi in ruoli più impegnativi che sentiva di poter ricoprire; specificatamente, che , in varie occasioni, in cui avrebbe avuto titolo a ricoprire un determinato ruolo, questo le sia stato rifiutato per ragioni non attinenti alle sue qualità artistiche.
Si tratta di atteggiamenti molto gravi, che denotano l’esistenza di un ambiente di lavoro malsano ed un totale disinteresse per le ricadute che ciò poteva avere sulla dipendente, che non avrebbe potuto non reagire con sentimento di frustrazione e delusione. Sentimento particolarmente forte, poi, ripetesi, vista la natura dell’attività di cui si discute, e il fatto, non contestato, che alla non difettasse il talento.

Si condivide, tuttavia, l’orientamento negativo della sentenza impugnata in punto di mobbing , e quindi si ritiene infondato il secondo motivo di appello.
Se è pacifico che il datore di lavoro deve prestare attenzione alla tutela della salute fisica e psichica del lavoratore, esponendosi, in difetto, alle conseguenze risarcitorie dell’inadempimento a tale obbligo, perché si verifichi la fattispecie del mobbing occorre qualcosa di più.
La fattispecie mobbing non è tipizzata dalla legge . I suoi tratti caratteristici sono stati enucleati dalla giurisprudenza e , sinteticamente, si possono così riassumere: deve esistere una serie di comportamenti prolungati nel tempo, nemmeno necessariamente tutti illeciti, ma comunque preordinati al diretto e chiaro fine di danneggiare il lavoratore; deve, cioè, delinearsi chiaramente un quadro univoco persecutorio, posto in essere ad opera del datore, o diretto suo sottoposto ; l’evento lesivo ; il nesso eziologico.
Come giustamente osservato dal primo Giudice, nella fattispecie delineata manca proprio l’intento persecutorio che non si colloca, come sembra ritenere l’appellante , in una dimensione soggettiva e “ intima “ del persecutore ( altrimenti sarebbe effettivamente una probatio diabolica per il lavoratore), ma deve in qualche modo esternalizzarsi ed estrinsecarsi in modo oggettivo.
Non si deve, cioè, essere soltanto di fronte a singoli comportamenti, anche gravi, anche palesemente lesivi degli obblighi di cui all’art. 2087 cc, ma ad un atteggiamento unico, preordinato , secondo parametri di chiara ragionevolezza, allo scopo di arrecare il danno alla salute .

Le varie condotte denunciate e comprovate dalla non appaiono ricollocabili in tale ottica. Vi sono stati, come già rilevato, comportamenti non rispettosi della sua dignità; vi sono state anche esclusioni palesemente ispirate a ragioni non artistiche in varie occasioni; ma quello che manca è il filo conduttore , atto a ricondurre il tutto in un unicum, finalizzato ad escludere totalmente la dall’ambiente lavorativo, ad isolarla, a renderla invisibile,a “ cacciarla”. Tanto che, come sopra accennato, alla non è stato impedito di svolgere la sua attività lavorativa che si può definire come “ ordinaria” , in difetto di un termine migliore.
Il che porta ad escludere anche la sussistenza della più attenuata fattispecie dello straining, che , appunto, è un mobbing in cui le condotte non sono caratterizzate da continuità, ma che, in quanto appartenente alla fattispecie del mobbing, deve appunto manifestare lo stesso intento persecutorio.

Il che, però, non esclude affatto la risarcibilità del danno patito ex art. 2087 cc.e . La domanda di parte appellante, non accoglibile sotto il profilo del mobbing, si interpreta ( in uno con la domanda relativa ad una migliore considerazione economica del danno “ esistenziale” già riconosciuto in sentenza) appunto in tal senso. L’esclusione della fattispecie mobbing non esclude a sua volta che il Giudice possa qualificare la domanda , riconducendola, appunto, alla violazione degli obblighi di cui all’art 2087 cc . Il datore di lavoro resta gravato comunque dall’obbligo di tutelare le condizioni di lavoro, a garanzia del lavoratore. Obbligo che, in generale, consiste nell’imporre il rispetto di quelle particolari misure che, secondo la particolarità del lavoro e l’esperienza comune, sono idonee a tutelare non solo l’integrità fisica, ma anche quella morale e psicologica del lavoratore. Nel caso di specie, l’obbligo di protezione avrebbe imposto alla Fondazione di vigilare affinchè la potesse quanto meno “ ballare come gli altri”, per usare le parole rivolte dal Sovrintendente al Direttore ( cfr testimonianza di e).Esortazione, quella del Sovrintendente, palesemente disattesa.

Provato quindi l’inadempimento datoriale; provato l'elemento soggettivo, seguendo l’orientamento delle più recenti teorie che vedono anche l’inadempimento contrattuale come “ soggettivizzato “ o se si vuole “ colpevolizzato”; provato il nesso causale; provato il danno; si procede alla sua quantificazione.

La malattia insorta, nel suo duplice aspetto di diminuzione della funzionalità fisica e psichica ( invalidità temporanea) , e di postumi invalidanti, merita ristoro nei termini di legge, e quindi con l’applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano vigenti al momento della decisione , di riconosciuta ( statisticamente) vocazione nazionale.

La quantificazione del danno deve garantire l’esame di tutte le circostanze del caso concreto,come sopra individuate.

Le tabelle approvate il 10.3.2021 superano quelle precedenti non solo sotto il profilo dei valori monetari . Esse, infatti, sono frutto di un recepimento dei principi dettati dalla più recente giurisprudenza di Cassazione, soprattutto in punto di danno morale o sofferenza. Perseguono infatti l’intento di valutare in modo unitario il danno biologico ed ogni altra forma di danno non patrimoniale connesso alla lesione del diritto alla salute,mediante un incremento percentuale standard a titolo di ristoro del “ dolore “, riferita ad ogni tipo di lesione; salvi , ovviamente, aumenti ulteriori, (sempre in percentuali predefinite, ) là dove il danneggiato fornisca ampia allegazione e prova di elementi, appunto, ulteriori.

Il CTU ha quantificato i postumi invalidanti collocandoli tra il 6 ed il 10% e l’ IT nel 15%.

Il Collegio, valutata la gravità del quadro emergente dalla relazione del CTU, delle sofferenze psichiche patite dalla appellante; apprezzata anche l’estensione del periodo temporale durante il quale si è protratto l’inadempimento datoriale agli obblighi di cui all’art. 2087 cc, suscettibile solo per questo di aver più gravemente e soprattutto irrimediabilmente inciso sullo stato di salute della lavoratrice, ritiene equo accogliere la domanda della riconoscendo alla stessa il ristoro dovuto per danno biologico con postumi invalidanti nella misura del 9%.

La è nata il 28. 8 1967 e, conseguentemente, al momento della proposizione della domanda ( 2015) aveva compiuto 48 anni.
Il punto base per danno biologico è pari a 2.097,83. Per la fascia da 1 a 9 l’aumento percentuale a ristoro del danno sofferenza è pari al 25% del punto base, ossia 524,46, per un totale punto di 2.622,29 che, moltiplicato per la percentuale di invalidità che il Collegio determina di riconoscere, porta l’ammontare del risarcimento per IP a euro 43.362,00
Non si ritiene dovuto alcun altro aumento e/o personalizzazione , in quanto la non ha portato all’attenzione del Collegio ulteriori elementi, oltre a quelli compiutamente esaminati già in primo grado con riferimento al c.d danno esistenziale.

A tale cifra va aggiunta quella spettante per l’invalidità temporanea. Le contestazioni mosse sul punto dalla Fondazione, e cioè che non può esistere un’ invalidità temporanea che dura 8 anni, sono prive di fondamento. Lo stato di invalidità temporanea consiste nello “ stato di malattia” che permane fino a che questa non si stabilizza, con o senza postumi. Non esiste una norma che regoli la durata massima di tale stato. Nel caso di specie, il periodo in cui la ha subito i comportamenti descritti cominciando a reagire fisicamente e mentalmente ( in negativo) è stato comprovato con inizio 2005, come da CTU, ed è cessato solo quando la stessa ha lasciato il lavoro ( 2013). Non sussiste quindi alcuna ragione per non riconoscere alla appellante il quantum dovuto, sempre in base alle tabelle citate, per tale periodo , per un totale di euro 18. 054, 01. Va detratto quanto eventualmente già corrisposto a titolo di danno non patrimoniale, come lealmente richiesto dallo stesso appellante.

Non sono invece condivisibili gli ulteriori motivi di appello.

L’appellante ritiene di aver provato che, in difetto delle condotte datoriali, siano esse state semplicemente adottate in violazione dell’art. 2087 cc o abbiano configurato mobbing, la
avrebbe , con ragionevole grado di probabilità, potuto ricoprire il ruolo di prima ballerina.
In realtà di tale conseguenza, e soprattutto della possibilità di conseguimento del ruolo auspicato, non è stata fornita prova alcuna e nemmeno , per vero, allegazioni specifiche.
Perché si possa effettivamente accampare pretesa relativa alla perdita di chances,occorre fornire un consistente supporto probatorio a quello che rimane, necessariamente, un assunto non verificatosi in fatto. Si intende infatti per chance la possibilità di ottenere un vantaggio con un grado di certezza maggiore di quello della semplice aspettativa . Superata la vecchia dicotomia tra chance eziologica e chance ontologica ( cfr Cass 28993/2019) l’attività del Giudice deve svilupparsi partendo dalla disamina della condotta colpevole per giungere all’accertamento della relazione causale tra questa e l’evento danno; danno che, si noti, non è rappresentato dal bene perduto ma dalla possibilità di ottenerlo e conseguente ( ingiusta ) perdita. Il tutto secondo i criteri ordinari di accertamento in punto di nesso eziologico e sulla base dell’ordinario riparto degli oneri probatori.

Nel caso di specie l’appellante si è limitato a sottolineare il talento della ballerina . Difficile, effettivamente, fornire dimostrazione giuridica di una qualità come il talento,ma il punto non è tanto questo ( visto che l’appellato non ha mosso alcuna contestazione sul punto) quanto il fatto che, nella particolare professione della G., il talento non è garanzia di successo . Nella particolare professione scelta dalla non basta essere “ bravi” per emergere con il particolare ruolo auspicato.
Peraltro, la G. non struttura le proprie richieste , né in punto di domanda né in punto di prova, in tal senso ; vale a dire, non individua specifiche occasioni, concorsuali e non, ( provini, audizioni, et similia) cui avrebbe tentato di partecipare, venendone ingiustamente esclusa , o cui avrebbe partecipato ricevendo punteggio penalizzante. A maggior ragione quindi non vi è titolo alcuno per aspirare non solo a differenze retributive, ma anche a indennità di qualunque tipo, connesse all’inquadramento professionale ed economico come prima ballerina.
Sugli specifici aspetti da ultimo esaminati, quindi, si ritiene corretto il ragionamento seguito dal primo Giudice.
In conclusione, la sentenza va riformata con riguardo al rigetto della domanda relativa al risarcimento del danno biologico, e confermata nel resto.
Le spese del giudizio, e quelle della CTU, seguono la soccombenza e quindi vengono poste a carico della Fondazione. Le spese di CTU vengono liquidate come da nota presentata, comprensiva del compenso del consulente e di quello del collaboratore debitamente autorizzato, come da nota spese distinta, con separato decreto.
 

PQM
 

In parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano 2832/2017, condanna Fondazione teatro alla Scala di Milano al versamento, in favore di a, della somma di euro 61.416,00 = più interessi e rivalutazione dalla data della domanda attualizzati.
Conferma nel resto.
Condanna Fondazione Teatro alla Scala di Milano alle spese del grado che liquida in euro 3.300,00 oltre spese generali ed oneri di legge. Pone definitivamente a carico della Fondazione Teatro alla Scala di Milano le spese della CTU nella misura liquidata con separato decreto in data odierna

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Milano 22 marzo 2021