Cassazione Civile, Sez. 6, 25 maggio 2021, n. 14422 - Responsabile la ristoratrice per la caduta di una statua sopra un bambino pur a fronte di una condotta imprevedibile del minore



Presidente Amendola – Relatore Positano

Rilevato che:

con atto di citazione del 13 marzo 2011, P.R. e T.R. evocavano in giudizio B.A. , davanti al Tribunale di Marsala, al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita del figlio. Deducevano che, il giorno 31 luglio 2005, alle 22:40, mentre si trovavano con il figlio minore K. all’interno del locale "Il ghiottone", di proprietà della convenuta, una statua di legno alta circa 1,7 mt e pesante 60 kg, era rovinata contro il piccolo K. il quale, a seguito di ciò, aveva perso la vita. In conseguenza dell’evento si era instaurato un procedimento penale a carico della B. , conclusosi con sentenza di patteggiamento del 31 maggio 2006;
si costituiva B.A. nel giudizio civile di danni contestando la dinamica e il Tribunale di Marsala, con sentenza del 14 marzo 2014, accoglieva la domanda, con condanna della convenuta al risarcimento dei danni e delle spese di lite;
avverso tale decisione B.A. proponeva appello con atto di citazione notificato il 23 maggio 2014 e si costituivano P.R. e T.R. chiedendo il rigetto del gravame;
la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 31 dicembre 2018, rigettava l’impugnazione, provvedendo sulle spese processuali;
avverso tale decisione B.A. propone ricorso per cassazione affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso P.R. e T.R. .

Considerato che:

con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, la violazione dell’art. 2051 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che la statua avrebbe avuto piena efficienza causale nella determinazione dell’evento delittuoso, oltre che contraddittorietà della motivazione, violazione dell’art. 2697 c.c.; erronea interpretazione dei mezzi di prova ed erronea graduazione della responsabilità nel verificarsi dell’evento in violazione degli artt. 2048 e 1226 c.c. Secondo la ricorrente non ricorrerebbe alcun collegamento eziologico tra l’evento mortale e il bene in custodia. Incombeva sul danneggiato la prova del rapporto eziologico con il manufatto e le risultanze processuali avrebbero dimostrato che il piccolo K. aveva posto in essere una condotta imprevedibile, arrampicandosi o, comunque, sollecitando la statua in legno e facendola cadere;
con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1226 c.c., l’erroneità della decisione nella parte in cui ha ricompreso, nella voce del danno non patrimoniale, anche una serie di pregiudizi non richiesti con l’originario atto di citazione. Gravava sul danneggiato l’onere di dimostrare gli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio. Nel caso di specie, agli attori sarebbe stato riconosciuto un consistente risarcimento nonostante la mancata allegazione di elementi di prova tesi a dimostrare la effettività della lesione riportata nella sua consistenza;
il ricorso è destituito di fondamento. Il primo motivo non si confronta con la decisione impugnata, perché pur prendendo le mosse dal principio secondo cui incombe sul danneggiato la prova del rapporto di causalità tra il bene in custodia e l’evento dannoso, non considera che la Corte ha evidenziato che la statua presentava una "propensione in avanti" e una precaria collocazione, confermata dall’esistenza di piccoli vassoi in polistirolo "per assestarne l’equilibrio", evidentemente del tutto inadeguati per consistenza e dimensioni, in confronto alla significativa altezza e al rilevante peso del manufatto. Tali elementi dimostrano implicitamente, secondo il giudice di appello, l’efficienza causale della res;
al contrario, gli ulteriori elementi fattuali ribaditi dalla ricorrente (condotta imprevedibile del minore che avrebbe sollecitato la statua, arrampicandosi sulla stessa), sono stati espressamente presi in esame ed esclusi dal giudice di merito, con valutazione non sindacabile in questa sede (e neppure specificamente contestata);
il secondo motivo è infondato. A prescindere dall’assoluta genericità della censura, non ricorre l’ipotesi di omessa pronunzia, adombrata con tale motivo, poiché, sulla base della giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (Cass. Sezioni Unite n. 26972 del 2008) la prova del danno può essere fornita anche con presunzioni semplici, riferita agli elementi fattuali dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio. E tale profilo è stato espressamente evidenziato dalla Corte, con riferimento allà/ notorio stravolgimento della vita familiare causato dalla perdita improvvisa di un figlio di meno di quattro anni e ciò sulla base dello stretto vincolo di parentela, dell’intangibilità della sfera degli affetti, dell’età della vittima e dei verosimili radicali cambiamenti dello stile di vita, conseguenti alla sofferenza interiore determinata dalla consapevolezza della perdita del rapporto parentale;
la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui "l’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima ... è pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo" (cfr. Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3767 del 15/02/2018 e da ultimo, Cass. Sez. 3, n. 25843 del 13/11/2020);
ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

 

P.Q.M.
 


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 7800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1–bis, se dovuto.