Cassazione Penale, Sez. 4, 08 giugno 2021, n. 22260 - Amputazione del dito del lavoratore in nero nell'azienda agricola. Prescrizione


 

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 04/03/2021
 

Fatto



1. La Corte di appello di Firenze il 21 novembre 2019, in parziale riforma della sentenza, appellata dall'imputato, con la quale il Tribunale di Arezzo il 12 marzo 2018, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto A.A. responsabile dei reati di lesioni colpose gravissime, con violazione della disciplina sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (capo n. 1 dell'editto), fatto commesso il 13 ottobre 2012, e, in conseguenza, concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti all'aggravante, lo ha condannato alla pena pecuniaria stimata di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, in favore della costituita parte civile, riqualificato il reato in lesioni colpose gravi, ha rideterminato, riducendola, la pena; con conferma quanto al resto.

2. I fatti, in estrema sintesi, come accertati dai giudici di merito.
O.K., il 13 ottobre 2012, mentre stava tentando di riparare un cancelletto che consentiva l'accesso alla piscina dell'azienda agricola "Somma Villa", il cui legale rappresentante era A.A., si è infortunato amputandosi con un falcetto la prima falange del dito anulare della mano sinistra.
Alla stregua delle prove, testimoniali e documentali raccolte, si è ritenuto: che A.A. fosse da tempo datore di lavoro di fatto di O.K.; e che il dipendente, totalmente "in nero", con mansioni di operaio factotum dell'azienda agricola, non sia stato formato né informato né fornito dei necessari dispositivi di protezione individuale e degli adeguati strumenti di lavoro.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi con i quali lamenta violazione di legge, anche sotto il profilo della mancanza dell'apparato giustificativo, e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento delle prove.
3.1. Con il primo motivo, in particolare, denuncia mancanza della motivazione quanto alla penale responsabilità dell'imputato.
La sentenza di appello avrebbe totalmente trascurato le doglianze difensive svolte alle pp. 2-4 dell'impugnazione di merito.
Nel merito, la decisione impugnata non avrebbe risolto il tema centrale del processo, se cioè vi sia stato o meno un ordine di riparare il cancello, affidandosi la motivazione solo al rilievo (che si legga alla p. 3) che sarebbe illogico che la persona offesa si sia messa ad effettuare l'operazione di sua iniziativa, senza considerare le doglianze difensive e le prove indicate alla p. 5 dell'appello.

In sostanza, vi sarebbe stata «una probabile "messa in scena", utile ad imporre la regolarizzazione agognata... Eppure, la Corte fiorentina afferma che "la persona offesa non è incorsa in contraddizioni o imprecisioni... Un secondo vizio motivo, il travisamento delle prove» (così alla p. 2 del ricorso).
3.2. Con il secondo motivo censura la determinazione della pena, che sarebbe illegale: essendo state le attenuanti ritenute equivalenti all'aggravante, la pena pecuniaria massima possibile è quella di 309,00 euro, mentre la Corte di appello ha erroneamente applicato la sanzione di 500,00 euro.
3.3. Mediante l'ulteriore motivo si duole della mancanza di motivazione quanto alla invocata (alle pp. 1 ed 8 dell'atto di appello) prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, tema del quale la Corte di appello di Firenze - si sottolinea - non si occupa. Il ricorrente chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.


4. Il P.G. della Corte di cassazione il 15 febbraio 2021 nella conclusioni scritte rassegnate ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificaz., nella I. 18 dicembre 2020, n. 176, ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione, e rigettarsi il il rico so agli effetti civili.

 

Diritto
 



1. Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato il relativo termine di prescrizione massimo (fatto del 13 ottobre 2012 + sette anni e sei mesi = 13 aprile 2020 sospensione per 49 giorni (dal 5 maggio 2017 al 23 giugno 2017) per astensione della difesa dalle udienza (v. p. 3 della sentenza di primo grado) = prescrizione il 1° giugno 2020 (sentenza impugnata del 21 novembre 2019; atti pervenuti alla S.C. il 5 gennaio 2021).
Peraltro, il ricorso non presenta profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione. Ciò con riferimento agli aspetti, denunciati con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, del trattamento sanzionatorio: pena illegale (ai sensi dell'art. 590, comma 1, cod. pen., la pena pecuniaria massima è 309,00 euro, che è inferiore ai 500,00 euro applicati) e comparazione tra circostanza eterogenee (tema rispetto al quale non vi è risposta della Corte di appello). ,

In conseguenza, sussistono i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare la sussistenza di una causa di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen.

2. E' poi appena il caso di sottolineare che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen:, in considerazione delle congrue e non illogiche valutazioni contenute nella sentenza impugnata quanto all'an della responsabilità dell'imputato: non emergendo, dunque, all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazione" cioè presa d'atto, la necessità di assoluzione (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274-01), discende, di necessità, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione.
Va, invece, rigettato il ricorso agli effetti civili, aspetto che non è per nulla affrontato nell'impugnazione.

 

P.Q.M.
 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili. Così deciso il 04/03/2021.